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LA CRISI del 2007-2008 materiale di approfondimento per le pp LA CRISI del 2007-2008 materiale di approfondimento per le pp. 83-88 del libro (questo materiale non è testo di esame)

Gruppo de Larosière: LE CAUSE DELLA CRISI FINANZIARIA del 2007-2008 L’abbondante liquidità e i bassi tassi di interesse sono tra i principali fattori all’origine della crisi, ma l’innovazione finanziaria ha amplificato e accelerato le conseguenze dell’eccesso di liquidità e della rapida espansione del credito. La forte crescita macroeconomica a partire dalla metà degli anni ‘90 ha creato l’illusione che fosse non solo possibile ma probabile mantenere in permanenza livelli di crescita elevati e sostenibili.

Il volume dei crediti è cresciuto rapidamente e, dato che l’inflazione dei prezzi al consumo si manteneva bassa, le banche centrali, in particolare negli Stati Uniti, non hanno ritenuto necessario praticare una politica monetaria restrittiva. Piuttosto che nel prezzo delle merci e dei servizi, l’eccesso di liquidità si è manifestato nell’impennata dei prezzi dei beni immobiliari. Queste politiche monetarie hanno accresciuto gli squilibri sui mercati finanziari e delle materie prime mondiali.

D’altro canto, il basso tasso dei tassi di interesse statunitensi ha contribuito a creare una diffusa bolla edilizia. Alimentata da prestiti ipotecari non regolamentati o insufficientemente regolamentati e da complesse tecniche di finanziamento delle cartolarizzazioni. Una vigilanza insufficiente sui cosiddetti government sponsored entities (GSE – agenzie che beneficiano di sostegno statale) statunitensi, ossia Fannie Mae e Freddie Mac, e la forte pressione politica esercitata su di essi perché promuovessero la proprietà della casa da parte delle famiglie a basso reddito hanno aggravato la situazione.

In Europa esistono vari modelli di finanziamento dell’acquisto della casa. Mentre un certo numero di Stati membri dell’UE hanno registrato aumenti insostenibili dei prezzi delle abitazioni, in alcuni Stati membri i prezzi sono cresciuti in misura più moderata e, in generale, la concessione di mutui ipotecari è stata più responsabile.

Negli Stati Uniti, la percentuale del risparmio privato è scesa dal 7% del reddito disponibile nel 1990, a meno zero nel 2005 e nel 2006. Il credito al consumo e i mutui ipotecari hanno registrato una rapida espansione. In particolare, la concessione di mutui subprime negli Stati Uniti è cresciuta in misura significativa, da 180 miliardi di USD nel 2001 a 625 miliardi di USD nel 2005.

Ciò è andato di pari passo con l’accumulo di enormi squilibri a livello mondiale. L’espansione del credito negli Stati Uniti è stata finanziata dai massicci afflussi di capitale dai maggiori paesi emergenti con avanzi esterni, in particolare la Cina. Ancorando la loro moneta al dollaro, la Cina e altri paesi, come l’Arabia Saudita, hanno in pratica importato la disinvolta politica monetaria degli Stati Uniti, favorendo l’accumularsi degli squilibri. Gli avanzi delle partite correnti in questi paesi sono stati riciclati in titoli di Stato statunitensi e altre attività a basso rischio, il che ha depresso i rendimenti e spinto altri investitori a cercare rendimenti più elevati in attività più rischiose.

Il costo del rischio non è stato correttamente stimato. I creatori di prodotti di investimento hanno risposto a questo andamento sviluppando strumenti sempre più innovativi e complessi, concepiti per offrire rendimenti migliori, spesso dotati di una più grande leva finanziaria. In particolare, gli istituti finanziari hanno convertito i prestiti da essi concessi in mutui o titoli garantiti da attività (asset-backed securities), per poi trasformarli successivamente in obbligazioni cartolarizzate ricorrendo spesso a società veicolo fuori bilancio e a veicoli strutturati per l’investimento, il che ha causato un’espansione massiccia della leva finanziaria nell’ambito del sistema finanziario nel suo complesso.

Ad esempio l’emissione negli Stati Uniti di titoli garantiti da attività è quadruplicata, passando da 337 miliardi di USD nel 2000 a più di 1 250 miliardi nel 2006, e i titoli rappresentativi di mutui (mortgage-backed securities) non concessi dalle GSE sono aumentati da circa 100 miliardi di USD nel 2000 a 773 miliardi di USD nel 2006. Sebbene in linea di principio la cartolarizzazione sia un modello economico auspicabile, essa è stata caratterizzata da un’opacità che ha nascosto la mediocre qualità delle attività sottostanti. Ciò ha contribuito all’espansione del credito, facendo credere che i rischi fossero ripartiti.

Questi sviluppi hanno portato ad un incremento della leva finanziaria e alla creazione di prodotti finanziari ancora più rischiosi. Nelle condizioni macroeconomiche che hanno preceduto la crisi illustrate sopra, gli alti livelli di liquidità hanno fatto scendere i costi del rischio ai livelli più bassi mai registrati. Gli istituti finanziari praticavano una leva finanziaria molto elevata (sia in bilancio che fuori bilancio) – e molti istituti finanziari avevano una percentuale di leva finanziaria superiore a 30 e a volte arrivavano fino a 60 – che li ha resi eccessivamente vulnerabili anche di fronte ad un calo modesto del valore delle attività.

Questa combinazione, accompagnata da coefficienti patrimoniali costanti, ha determinato una rapida espansione dello stato patrimoniale e ha reso gli istituti finanziari vulnerabili ai cambiamenti di valutazione con il deteriorarsi delle condizioni economiche.

Le politiche o le pratiche regolamentari e di vigilanza non sono state in grado di contenere queste pressioni. Alcune politiche seguite da lungo tempo, quali la definizione dei requisiti patrimoniali delle banche, facevano eccessivo affidamento sia sulle capacità di gestione del rischio delle banche stesse che sull’adeguatezza dei rating. Tra gli errori commessi vi è stata l’insufficiente attenzione accordata alla liquidità dei mercati. Oltre a ciò, si è prestata troppa attenzione ad ogni singola impresa e troppo poca all’impatto dell’andamento generale sui settori o sui mercati nel loro complesso.

Le autorità di regolamentazione e quelle di vigilanza si sono concentrate sulla vigilanza microprudenziale di singoli istituti finanziari, senza prestare sufficiente attenzione ai rischi macrosistemici di un contagio di shock orizzontali correlati. La forte concorrenza internazionale tra centri finanziari ha anch’essa fatto sì che le autorità di regolamentazione e di vigilanza nazionali fossero riluttanti a intraprendere azioni unilaterali.

La crisi è finalmente esplosa quando le pressioni inflazionistiche presenti nell’economia statunitense hanno imposto una stretta della politica monetaria a partire dalla metà del 2006, quando è apparso chiaro che la bolla edilizia dei subprime negli Stati Uniti sarebbe esplosa a seguito dell’aumento dei tassi di interesse. A partire dal luglio 2007 l’accumularsi delle perdite sui mutui subprime statunitensi ha innescato una perturbazione generalizzata dei mercati del credito, con la perdita della fiducia degli investitori a causa dell’incertezza sull’entità reale e l’ubicazione delle perdite sui crediti. Le esposizioni a dette perdite era state ripartite fra gli istituti finanziari in tutto il mondo, compresa l’Europa, tra l’altro tramite i mercati dei derivati sui crediti.

La caduta del valore dei derivati legati ai mutui

Indice del rischio

Rischio interbancario Crisi di liquidità

Indice di borsa Rischio delle imprese Rischio dell’interbancario Tasso ufficiale

Il carattere prociclico di alcuni aspetti del quadro regolamentare è allora apparso in tutta la sua evidenza. Come è facile capire, gli istituti finanziari hanno cercato di disfarsi delle attività quando hanno compreso di aver tirato troppo la leva finanziaria, causando in tal modo un abbassamento del prezzo di mercato. I requisiti regolamentari (le norme contabili e i requisiti patrimoniali) hanno contribuito a innescare un feed-back loop negativo amplificato da importanti ripercussioni sui mercati creditizi.

Gli istituti finanziari, tenuti a valutare il loro portafoglio di negoziazione secondo il principio del valore corrente di mercato (che ha fatto lievitare i profitti e le riserve durante la fase di forte rialzo) hanno dovuto procedere a rettifiche di valore delle attività iscritte a bilancio con il deleverage dei mercati. A causa di un eccesso di leva finanziaria si sono trovati costretti a vendere altre attività per mantenere i livelli patrimoniali o a ridurre il volume dei loro prestiti.

Vendite di emergenza effettuate da un istituto finanziario hanno costretto tutti gli altri istituti finanziari che detenevano attività analoghe a ridurre il valore delle attività a quello corrente di mercato. Molti fondi speculativi si sono comportati analogamente e le richieste di margini hanno acuito i problemi di liquidità. Quando le agenzie di rating del credito hanno iniziato a rivedere al ribasso i meriti di credito dei CDO, , le banche sono state costrette ad adeguare al rialzo i requisiti patrimoniali ponderati per il rischio.

Quello che all’inizio era un problema di liquidità, per alcuni istituti si è trasformato rapidamente in un problema di solvibilità.  La mancanza di trasparenza del mercato, assieme all’improvvisa riduzione dei meriti di credito, e la decisione del governo degli Stati Uniti di non salvare la Lehman Brothers hanno portato ad un crollo generalizzato da una crisi di fiducia, che nell’autunno 2008 ha portato praticamente alla chiusura del mercato monetario interbancario, creando in tal modo una crisi di liquidità su vasta scala, che pesa ancora gravemente sui mercati finanziari nell’UE e del resto del mondo.

La risposta della Fed

evitare

Nella crisi del 2008,

- Aiuti per il salvataggio di certe istituzioni finanziarie per evitare ondate di panico, etc.

LA BCE

La soluzione adottata della BCE è stata quindi di “agire come surrogato del mercato interbancario sia in termini di allocazione della liquidità sia di fissazione dei tassi” (testuale affermazione di Trichet) i cui capisaldi consistono in: 1) mantenere basso il tasso ufficiale; 2) soddisfare l’intera domanda di liquidità da parte delle banche a un tasso fisso; 3) lasciar diminuire certi tassi come l’EONIA, l’Eurepo e l’OIS sotto il loro valore coerente col Repo; 4) continuare a guidare le aspettative dei tassi a medio-lungo termine;

5) attivare, se necessario, operazioni con scadenza più lunga di quella tradizionale (es. 6 mesi), che hanno un maggiore impatto sui tassi interbancari di pari scadenza; 6) accettare un elevato spettro di attività come collaterale; 7) accettare che un elevato numero di controparti possa accedere direttamente alle operazioni di rifinanziamento; 8) mantenere un tasso basso ma positivo sui depositi overnight per non penalizzare eccessivamente il mantenimento del margine di liquidità di sicurezza nelle singole banche.

9) the provision of liquidity in foreign currencies (particularly in US dollars) 11) the outright purchase of euro-denominated covered bonds since July 2009 to revitalise a segment of the market that was particularly affected by the fi nancial turmoil. In addition, the ECB emphasised the clear distinction between its policy actions and the government support measures, while stressing their complementarities in alleviating the strains in financial markets 12) Evitare credit crunch mantenendo alta la liquidità delle banche e bassi i tassi dell’interbancario

Grossi interventi BCE

Grafici per illustrate la pagina 149 del libro do Pittaluga