La gestione psicologica del gruppo di lavoro La gestione psicologica del gruppo di lavoro si rende necessaria per una serie di motivi, peraltro, già indicati nel Programma del Convegno, nel sottotitolo di questa relazione. Dunque, non si dice nulla di nuovo se si afferma che i professionisti coinvolti in attività di assistenza e riabilitazione delle gravi cerebrolesioni: vengono caricati di aspettative di risultato che scaturiscono da molteplici fonti: da un lato, le famiglie confidano nel cosiddetto “secondo miracolo” della restitutio ad integrum; dall’altro lato, le Istituzioni sanitarie esigono il conseguimento del massimo successo degli interventi di cura/assistenza in termini di produttività e ottimizzazione delle competenze e delle risorse disponibili; A seguito di queste “pressioni”, possono sviluppare sentimenti di inadeguatezza/frustrazione/fallimento di fronte al probabile mancato raggiungimento degli obiettivi riabilitativi ipotizzati ed attesi, soprattutto se si tratta di pazienti con gravi esiti post-lesionali; in conseguenza di tali negativi sentimenti, possono presentare riduzione della motivazione e crolli dell’autostima e dell’autoefficacia e, in caso di scarse/inefficaci opportunità di sostegno da parte del contesto organizzativo, sono da prevedere sensazioni di impotenza, con ulteriore incremento della tensione psicologica e possibile attivazione di meccanismi di “distacco” e disingaggio emotivo. Così delineati i problemi “psicologici” intrinsecamente connessi a qualsiasi attività di assistenza, ed in particolare in ambito neuro- riabilitativo, appare evidente che la condizione emotiva dell’operatore e del gruppo di lavoro può essere, almeno in parte, compresa e “gestita” sulla base di conoscenze che credo tutti noi qui presenti abbiamo acquisito dall’esperienza diretta con i bisogni e le problematiche delle famiglie dei pazienti con gravi cerebrolesioni: ben nota è la drammaticità delle loro aspettative, frustrazioni, sensazioni di impotenza, ecc. In altri termini, modelli di “lettura” del disagio emotivo dei famigliari possono essere validamente replicati per “spiegare”, seppure in una prospettiva parziale, anche il disagio emotivo del singolo operatore e dell’équipe riabilitativa. La gestione psicologica del gruppo di lavoro Aspettative di risultato Sentimenti di inadeguatezza, frustrazione, fallimento Demotivazione – Crollo di autostima e autoefficacia Sensazioni di impotenza – Disingaggio emotivo Raffaella Cattelani Dipartimento di Neuroscienze – Sezione di Neurologia Facoltà di Medicina e Chirurgia – Università di Parma
Risposte di STRESS “Stress-Appraisal-Coping” (SAS) STRESSOR MEDIATORE gravità oggettiva e qualità degli esiti del TCE limitazioni sensitivo-motorie disfunzioni cognitive, comportamentali, psicosociali STRESSOR “Stress-Appraisal-Coping” (SAS) Godfrey et al., JHTR 1996 Harris et al., BI 2001 Fra i tanti modelli teorici disponibili, ho ritenuto potesse essere utile alla trattazione di questo tema, quello definito “Stress-Appraisal-Coping”, adottato da alcuni Autori per l’analisi dei possibili meccanismi alla base del disagio esistenziale delle famiglie di gravi traumatizzati cranici. Il modello suggerisce che la correlazione tra il livello di perturbazione del sistema familiare (dato dalle risposte di stress emotivo dei singoli soggetti) e l’intensità oggettiva degli stressor (indicata dalla gravità della condizione clinica del proprio congiunto e dalle ripercussioni sfavorevoli sui singoli membri e sul sistema familiare) non è affatto di tipo lineare bensì, tende ad essere di natura ed entità diverse a seconda di una serie di caratteristiche individuali (mediatori di stress) e di caratteristiche ambientali/contestuali (moderatori di stress) che sono fattori del tutto indipendenti dall’evento lesivo e difficilmente “misurabili” o “quantificabili” nella loro reale dimensione. Pertanto, secondo questo modello teorico generale si assume che il disagio emotivo si manifesta in modo tanto più accentuato e “disorganizzante” quanto più l’individuo percepisce un’eccessiva discrepanza tra le richieste ambientali contingenti (ovvero, gli stressor “oggettivi” e relativamente “quantificabili”) e la disponibilità di valide risorse individuali “interne” o di efficaci risorse/opportunità “esterne”. valutazione soggettiva della condizione in base a risorse individuali “interne” maturità dell’Io stili di coping soglia di resilienza esperienze di vita MEDIATORE ripercussioni sfavorevoli su singoli membri e sistema familiare modificazione ruoli incremento spese riduzione introiti … STRESSOR Risposte di STRESS depressione frustrazione crollo di autostima e autoefficacia percezione di efficacia delle risorse “esterne” supporto pratico opportunità di “sgravio” rete socio-assistenziale MODERATORE
Risposte di STRESS STRESSOR MEDIATORE STRESSOR MODERATORE gravità oggettiva del quadro clinico generale del Paziente livello di responsività problemi internistici condizione neuropsicologica STRESSOR Anche il possibile disagio emotivo e relazionale degli operatori sanitari – delineato nell’introduzione - può essere analizzato secondo questo modello teorico. Non vi è dubbio circa il “peso” assunto dai fattori intrinsecamente connessi con l’attività di assistenza e riabilitazione, quali la gravità oggettiva del quadro clinico generale del Paziente e le sue ripercussioni sui singoli operatori e sull’intero team riabilitativo. Tuttavia, nella determinazione dell’entità del disagio concorrono anche altri elementi di “mediazione” e “moderazione“, di natura più specificamente “soggettiva”, che possono rendere più o meno tollerabili le condizioni “oggettive” di difficoltà e stress: (a) le caratteristiche strutturali della personalità dei singoli professionisti (maturità dell’Io, stili di coping, capacità di adattamento, soglia di resilienza, precedenti esperienze di vita, ecc.) (b) la percezione delle risorse esterne disponibili (in termini di opportunità di formazione alla relazione e di “decompressione”, nonché di caratteristiche strutturali dell’istituzione sanitaria e del contesto organizzativo) Pertanto, la gestione psicologica del gruppo di lavoro dovrebbe prevedere interventi diretti tanto ai singoli operatori quanto al contesto organizzativo in cui sono inseriti. valutazione soggettiva della condizione in base a risorse individuali “interne” maturità dell’Io stili di coping soglia di resilienza esperienza professionale momento della vita competenza empatica MEDIATORE ripercussioni sui singoli operatori e sul team riabilitativo condizioni di incertezza e/o“emergenza” ruoli/funzioni difficilmente definibili multidisciplinarietà STRESSOR Risposte di STRESS tensione inadeguatezza frustrazione fallimento crollo di autostima e autoefficacia impotenza distacco emotivo percezione di efficacia delle risorse “esterne” supervisione sostegno/decompressione” “formazione alla relazione” caratteristiche strutturali del contesto organizzativo MODERATORE
TCE: fattori predittivi di efficacia e adattamento Ben-Yishay, Prigatano, Truelle, Wood Mi è sembrato interessante trarre spunti di analisi e riflessione, validamente applicabili anche all’analisi dei requisiti essenziali per il buon funzionamento del team di lavoro e per l’efficacia del prodotto- assistenza, dalle osservazioni di alcune tra le più autorevoli fonti internazionali sullo studio dei problemi inerenti la traumatologia cranica Tra i fattori predittivi dell’efficacia dei trattamenti riabilitativi e del livello di reinserimento/adattamento sociale dei pazienti e delle loro famiglie, sono indicate di fondamentale importanza alcune pre-condizioni: Innanzitutto, lo sviluppo di una valida alleanza terapeutica tra operatori- paziente-famiglia, sostenuta dal dialogo e dalla condivisione delle scelte terapeutiche e degli obiettivi Inoltre, si richiede la stabilizzazione delle funzioni comportamentali da parte del paziente e il recupero di un livello minimo di competenza psicosociale E’ indispensabile anche la riacquisizione, da parte del paziente, di una sufficiente consapevolezza dei propri limiti e, soprattutto da parte della famiglia, si richiede la disponibilità all’accettazione delle residue disabilità e disfunzioni attraverso il superamento della inevitabile “crisi” emotiva che caratterizza le fasi iniziali del difficile e delicato processo di elaborazione della “perdita” Infine, la qualità dell’adattamento sociale è correlato anche alla disponibilità di qualificati interventi di cura-assistenza e di una efficiente “gestione” generale delle diverse esigenze di ogni singolo caso Ora, vediamo come queste indicazioni possono essere trasferite al tema della gestione psicologica del team riabilitativo. Alleanza terapeutica = Condivisione di scelte e obiettivi Livello minimo di competenza psicosociale Consapevolezza di limiti/disabilità/disfunzioni Accettazione/elaborazione della “perdita” Solida identità/coesione del sistema familiare Qualità del caregiving - Disponibilità di case-management
Team: fattori predittivi di buon funzionamento E’ indubbio che il requisito essenziale per il buon funzionamento delle relazioni interdisciplinari di qualsiasi gruppo di lavoro - che, come sappiamo, rappresenta un aspetto dell’attività assistenziale tra i più delicati e complessi da realizzare - è dato dalla condivisione degli obiettivi e dalla solida coesione tra le diverse discipline coinvolte. Nonostante sia da prevedere/accettare che, in ogni caso, la “serenità” all’interno dell’équipe sarà sempre tanto più precaria quanto più divergenti sono le molte verità dei singoli operatori, tuttavia, l’impegno di perseguire la condivisione e l’alleanza interdisciplinare deve rappresentare un imperativo per tutti. Le basi per il raggiungimento di condivisione/alleanza interdisciplinare sono rappresentate dal verificarsi di alcune pre-condizioni organizzative, quali: I programmi e i protocolli dovrebbero essere chiaramente identificati e discussi all’interno del team di lavoro, ed “esplicitati” in forme comprensibili agli utenti (pazienti, caregivers, familiari, ecc.) E’ necessario rendere “visibili” e formalizzate anche le attività pertinenti all’area non strettamente sanitaria, cioè, chi opera in ambiti a maggiore connotazione psico-sociale (penso alla riabilitazione neuropsicologica, al supporto psicologico alle famiglie, al reinserimento lavorativo/scolastico, ecc.) deve adottare metodologie e procedure di lavoro che consentano di confrontare, discutere e verificare l’efficacia del proprio operato. In altri termini, non è sufficiente fare qualcosa di positivo o meritevole, né si deve dare per scontato che tutti gli altri possano esserne a conoscenza ed approvare. Si impongono metodologie e modalità operative caratterizzate da flessibilità nell’individuazione delle necessità e dei problemi di ogni singolo caso, con distribuzione delle responsabilità a seconda delle competenze individuali e dell’area in cui si rilevano le maggiori “criticità” Condivisione degli obiettivi = Alleanza interdisciplinare Programmi/protocolli chiaramente identificati ed “esplicitati” all’interno e all’esterno del team “Visibilità” e formalizzazione anche delle attività di ordine psicologico-psicosociale Flessibilità nella gestione di problemi/aree “critiche” di ogni singolo caso – Distribuzione delle responsabilità
Team: fattori predittivi di buon funzionamento Quella condizione essenziale al buon adattamento dei pazienti e dei loro famigliari che abbiamo precedentemente definito come “competenza psicosociale” può essere considerata il corrispettivo della “competenza empatica” dell’operatore sanitario. Poiché il tema relativo all’empatia, quale requisito di buon funzionamento per qualsiasi professione d’aiuto, è già stato approfondito nella precedente relazione, qui sono sommariamente presentati i requisiti essenziali di un’efficace comunicazione “empatica”: Rispetto delle naturali diversità professionali e culturali, considerando che personalismi, narcisismi, eccessivo spontaneismo possono mortificare il senso di appartenenza Costante sforzo di porsi nella prospettiva degli altri, pur avendo ruoli, culture di riferimento, esperienze, esigenze ed opinioni diverse Attenta autovalutazione di quanto ciascuno è in grado di condividere dal punto di vista emotivo, senza recare danno a sé stesso e agli altri, mantenendo ad un livello accettabile l’equilibrio tra “distacco” e “coinvolgimento” emotivo Competenza psicosociale = Competenza empatica Rispetto delle naturali diversità professionali/culturali Costante sforzo di porsi nella prospettiva degli altri, pur avendo esigenze ed opinioni diverse Attenta autovalutazione di quanto ciascuno è in grado di condividere emotivamente
Team: fattori predittivi di buon funzionamento Come per i famigliari, anche gli operatori devono accettare dei limiti ed essere consapevoli dei propri bisogni Devono essere consapevoli di inevitabili limiti, “tensioni”, “confusioni” e di dover operare in una condizione individuale caratterizzata dal continuo intreccio fra cronica “tensione” emotiva e bisogni che spesso rimangono a livello “latente” (cioè, difficili da esplicitare). In particolare, è necessario considerare che: le esigenze ed i bisogni dei gravi cerebrolesi e delle loro famiglie sono tanto complessi e indefiniti da non poter essere immediatamente soddisfatti, bensì vanno attentamente analizzati al fine di individuare opportunità, tempi e modalità di intervento, attraverso un lavoro conoscitivo che consenta di distinguere i problemi che possono essere affrontati, gestiti e probabilmente risolti, da quelli che invece non possono esserlo Data questa inevitabile complessità contingente, sono da prevedere disfunzioni, intense emozioni, carenze di informazione, diffidenze, rivendicazioni ed esigenze non immediatamente comprensibili o condivisibili. Ogni professionista deve essere disponibile al confronto ed alla revisione dei contenuti delle proprie attività in termini di priorità, obiettivi ed efficacia delle scelte operate, abbandonando l’idea irrazionale che sia necessario essere amati da tutti gli utenti, oppure riscuotere sempre approvazione e simpatia presso colleghi e superiori Eventuali disaccordi o punti di vista differenti non devono trasformarsi in attacchi personali ed è altresì inopportuno inseguire l’egualitarismo e l’unanimità a tutti i costi Consapevolezza / Accettazione di limiti, difficoltà, … Problemi di ordine medico e psicosociale “umanamente” irrisolvibili Inevitabile complessità di esigenze/bisogni degli utenti disfunzioni, incomprensioni, diffidenze, intense emozioni, rivendicazioni, … Ricerca/approfondimento/esplicitazione dei bisogni individuali “latenti” e mediazione con le necessità “implicite” all’organizzazione multidisciplinare Disponibilità a descrivere/comunicare/confrontare/rivedere i contenuti delle attività in termini di priorità, obiettivi, efficacia delle scelte operate
Team: fattori predittivi di buon funzionamento Le attività in ambito clinico-riabilitativo, in particolare quelle di ordine psico-sociale, difficilmente possono essere ricondotte entro automatismi e prescrizioni standardizzate e “misurabili”. Per la loro intrinseca natura, infatti, non consistono soltanto nell’esecuzione seriale di singole prestazioni giustapposte, ma corrispondono piuttosto ad interventi necessariamente interdisciplinari, ciascuno con maggiore o minore “visibilità”, finalizzati al raggiungimento di obiettivi che devono essere di volta in volta individuati e costantemente ri-precisati. Pertanto, si rende necessaria una sorta di integrazione tra la cultura psicosociale e il codice tipico della cultura sanitaria, essenzialmente positivista e, in quanto tale, tendente a legittimare soprattutto le scelte formalizzabili e le procedure misurabili. D’altra parte, i professionisti che aderiscono a codici culturali di tipo sociale, mi riferisco in particolare gli psicologi, dovrebbero impegnarsi ad attenuare quella naturale tendenza “ideologica” ad attribuirsi l’esclusività della competenza sulle questioni che riguardano le relazioni interpersonali. Peraltro, vi è da considerare che, spesso, la figura dello psicologo all’interno dell’équipe riabilitativa, un ruolo non chiaramente definito e, di conseguenza, possono verificarsi conflitti più o meno latenti con altre figure professionali che operano in settori per molti aspetti affini ed altrettanto poco differenziati (penso, ad esempio, all’area della diagnostica e riabilitazione neuropsicologica). In definitiva, nessuno può ritenersi in possesso di un sapere definitivo. Al contrario, ciascuno può essere portatore di conoscenze da condividere, nonché di preoccupazioni, interessi, curiosità e aspirazioni che devono fungere da stimolo al lavoro di gruppo. Dunque, il terreno di incontro tra il codice sanitario e il codice psicosociale è dato dalla capacità dei singoli professionisti di: riconoscere/accettare che vi possano essere diversi punti vista, incomprensioni e conflitti da affrontare ipotizzare/intuire che si possa operare in senso dialogico senza eccessivi tecnicismi o necessità di ricorrere ad assunti o schemi operativi precostituiti esigere il riconoscimento e la validazione di un ruolo organizzativo chiaramente definito all’interno del gruppo di lavoro Identità di gruppo: elaborazione/condivisione di codici, conoscenze, preoccupazioni, curiosità, aspirazioni, ... Inefficaci organizzazioni sanitarie ispirate a codici culturali di tipo “amministrativo-gerarchico” fondate su: “rigida” divisione del lavoro e dei ruoli professionali valutazione delle attività/prestazioni dei singoli in base a rigorose “misurazioni” dello scostamento da standard prestabiliti Inopportune/sterili contrapposizioni tra differenti codici culturali di riferimento: cultura sanitaria scelte formalizzabili, procedure misurabili cultura psicosociale umanistica, oblativa , meno “visibile”
Potere decisionale ad équipe ristrette e multidisciplinari Team: fattori predittivi di buon funzionamento La funzione-guida di una leadership in grado di garantire un efficiente “sistema curante” si rivela di peculiare importanza, in quanto l’attività assistenziale non può essere circoscritta alla “cura” dei problemi di tipo strettamente medico-infermieristico, ma deve estendersi ad una più globale “presa in carico” della persona e le difficoltà organizzative percepite da ciascun operatore possono riguardare una serie di ambiti, quali: la distribuzione e la sostenibilità dei carichi di lavoro l’incertezza e l’anonimato di sentirsi minuscole parti dell’ingranaggio di organizzazioni fortemente burocratizzate ed identificate in base a codici di tipo esclusivamente “sanitario-amministrativo” il riconoscimento e la comprensione di eventuali necessità di chiarificazione di ruoli e responsabilità la soluzione di conflitti “latenti” In questo sistema assistenziale tanto complesso, difficilmente la funzione di “potere” può essere esercitata e garantita da un unico leader, per quanto esso si identifichi in una persona efficiente, autorevole, carismatica e competente. Semmai, il leader deve assumere il ruolo di coordinatore-mediatore-collante, delegando il potere decisionale ad équipe ristrette e rappresentative delle diverse professionalità. Leadership in grado di favorire e garantire un efficiente “sistema curante” Equa distribuzione e sostenibilità dei carichi di lavoro Chiarificazione di ruoli e responsabilità Contenimento di incertezze/impotenza/anonimato dell’essere minuscole parti di complicati ingranaggi burocratici Attenzione verso eventuali conflitti/incomprensioni e bisogni “latenti” Potere decisionale ad équipe ristrette e multidisciplinari
Équipe ristretta = laboratorio artigiano a conduzione familiare con spiccato senso di appartenenza L’équipe ristretta - per molti aspetti gestionali paragonabile ad un laboratorio artigiano a conduzione familiare - risulta tanto più efficiente, produttiva e competitiva quanto più è in grado di sviluppare il senso di appartenenza dei singoli partecipanti - e il suo buon funzionamento dipende da una serie di caratteri strutturali e “affettivi”, quali: Solida coesione, ovvero, capacità di contenere-contrastare eventuali tentativi di disaggregazione operati sia dall’interno che dall’esterno e capacità di garantire la continuità nel tempo dell’identità del gruppo nonostante i possibili avvicendamenti (pensionamenti, trasferimenti, nuovi ingressi, ecc.) Autonomia decisionale discussa e approvata, in modo da neutralizzare prevaricazioni e collisioni tra le varie discipline e professionalità coinvolte Autosufficienza e sviluppo di capacità di auto-mutuo-aiuto nella gestione di difficoltà e conflitti, la cui soluzione non deve essere sistematicamente demandata a “specialisti” esterni e solo in via eccezionale possono essere ammesse supervisioni o consulenze su questioni specifiche Operatività che consente di trasformare le decisioni in fatti concreti e, di conseguenza, in procedure innovative e attività stimolanti Autenticità, cioè, valorizzazione di critiche, commenti e proposte soltanto se comunicati o concordati nei tempi e nei luoghi opportuni (le riunioni prestabilite), onde evitare la creazione di sottogruppi o di pericolose alleanze Responsabilizzazione, ovvero: le decisioni e le deleghe sono affidate a chi partecipa attivamente sono resi possibili avvicendamenti nella gestione di nuove iniziative, ricerche e progetti previsti nel piano di lavoro, al fine di superare la sensazione di “anonimato” che può accompagnare la routine quotidiana Rigorosità nel fornire chiare indicazioni circa luoghi, tempi, modalità di esecuzione di ogni attività e suddivisione dei compiti, nel rispetto delle naturali diversità professionali e culturali di ciascuno Informazione e costante monitoraggio del “clima” del reparto Solidità : buona resilienza a momenti disaggreganti/destabilizzanti/“critici” Autonomia decisionale : escluse intrusioni di poteri non “legittimati” Autosufficienza : capacità di auto-mutuo-aiuto e di gestione “interna” dei conflitti Operatività : decisioni trasformate in fatti concreti e in attività stimolanti Autenticità : valore a critiche/commenti/proposte nei tempi /luoghi opportuni Responsabilizzazione : decisioni/deleghe affidate a chi partecipa attivamente rotazione nella gestione/responsabilità di progetti significativi Informazione : costante monitoraggio del “clima” del Reparto/Unità Operativa
indipendentemente da: “Formazione alla relazione” sostegno, supervisione, mentoring, tutoring, … Come è stato ampiamente affermato nelle diverse relazioni del Convegno, la complessità dell’attività assistenziale delle gravi patologie cerebrolesive si manifesta non soltanto dal punto di vista strettamente medico- infermieristico. Di fatto, anche il “clima” organizzativo e la qualità delle relazioni interpersonali all’interno del team di lavoro rappresentano elementi essenziali per l’efficace gestione dei progetti riabilitativi. Pertanto, si rende necessario sottolineare l’utilità di percorsi di “formazione alla relazione” quale strumento operativo a disposizione di qualsiasi professionista coinvolto, indipendentemente dal tipo di formazione accademica (psicologica, infermieristica, medica, etc.), dall’esperienza pratica acquisita, dal ruolo e ambito professionale (nursing, diagnostica, riabilitazione, presa in carico delle famiglie, etc.). Per qualsiasi professionista che operi in ambito clinico-riabilitativo delle gravi cerebrolesioni indipendentemente da: Tipo di formazione accademica Esperienza pratica acquisita Ruolo e ambito professionale Percorsi programmati Setting “ristretti” o “allargati”
Funzioni Sollecitazione dell’interesse ad indagare le dinamiche Le principali funzioni di tali percorsi formativi, in qualsiasi modalità essi vengano programmati (sostegno psicologico, supervisione, mentoring, tutoring, setting ristretti o allargati, etc.), possono essere sintetizzate nei termini seguenti: Sollecitazione dell’interesse ad indagare le dinamiche più profonde che sottendono le relazioni interpersonali e che, in conseguenza di prevedibili meccanismi di difesa intrapsichici, possono sfuggire alla consapevolezza dei singoli protagonisti Sviluppo di valide “capacità riflessive” quale imprescindibile condizione - per un’efficace e costruttiva attività assistenziale e - per il benessere psicologico dei singoli professionisti Potenziamento della conoscenza di sé (per quanto riguarda limiti e qualità individuali) e modificazione di possibili stereotipi e convincimenti irrazionali, quali elementi negativamente influenti sulla condivisione del carico emotivo Opportunità di ricevere: sostegno emotivo per fronteggiare la pressione psicologica intrinseca al lavoro di assistenza stimoli/sollecitazioni dal punto di vista professionale per ampliare l’orizzonte della competenza feedback sulla realtà circostante Sollecitazione dell’interesse ad indagare le dinamiche individuali più profonde Sviluppo di valide “capacità riflessive” Potenziamento della conoscenza di sé / Modificazione di possibili stereotipi e convincimenti irrazionali Opportunità di: sostegno emotivo/decompressione delle tensioni sollecitazione/stimolo di competenze professionali feedback dal contesto interdisciplinare
Ma se la comprendi bene, quasi certamente non lo vorrai fare Se non sei in grado di comprendere una persona fino in fondo, non potrai annientarla Ma se la comprendi bene, quasi certamente non lo vorrai fare Chesterton
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