Introduzione alle tecniche di laboratorio

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Introduzione alle tecniche di laboratorio Analisi dei Medicinali Introduzione alle tecniche di laboratorio

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Per i Sistemi Omogenei: Per i Sistemi Eterogenei: Si distinguono tecniche di separazione proprie dei sistemi omogenei e dei sistemi eterogenei: Per i Sistemi Omogenei: Estrazione Distillazione Cromatografia Elettroforesi Per i Sistemi Eterogenei: Filtrazione Centrifugazione

LA FILTRAZIONE La filtrazione è una tecnica usata in laboratorio, per due scopi: serve ad eliminare impurezze solide da un liquido o da una soluzione; Serve per separare un prodotto solido da una soluzione, nella quale precedentemente era precipitato o cristallizzato. I tipi di filtrazione usati sono due: Filtrazione per gravità; Filtrazione sotto vuoto.

La filtrazione per gravità La tecnica più comune è la filtrazione di una soluzione attraverso la carta da filtro situata in un imbuto, dove è la forza di gravità che spinge il liquido attraverso la carta. L’imbuto da usare deve essere a gambo corto e/o largo, perché riduce l’eventuale intaso dell’imbuto con la deposizione di materiale solido.

Filtrazione per gravità

Es. filtrando una soluzione calda di un prodotto solido, essa viene a contatto con l’imbuto più freddo e la soluzione si raffredda bruscamente diventando soprasatura, inizia la cristallizzazione. I cristalli si separano nel filtro e si depositano sulla carta da filtro, o intasano le pareti e il gambo dell’imbuto.

Si adottano quattro diversi sistemi per evitare l’intasamento dell’imbuto: Si mantiene costante la soluzione da filtrare, vicina al suo punto d’ebollizione; Si preriscalda l’imbuto versandovi solvente caldo prima della filtrazione, evitando che il vetro freddo provochi la cristallizzazione. Si mantiene a debole ebollizione il filtrato, riscaldandolo a bagnomaria. Si usa il filtro a pieghe per accelerare la filtrazione. filtrazione per gravità

Vengono utilizzati due tipi di filtri: Filtri a cono Filtri a pieghe Il filtro a cono Preparato dalla carta da filtro, è il sistema più semplice di filtrazione per gravità. Questo filtro è utile quando si deve raccogliere un solido che deve essere utilizzato successivamente, si può raschiare la carta per togliere il solido. Il solvente può formare uno strato a tenuta o tra la carta e la parete dell’imbuto o tra il gambo ed il collo della beuta, interrompendo la filtrazione, perché l’area non ha sfogo. Per evitarlo si inserisce un pezzo o un rotolino di carta da filtro, o si inserisce un filamento metallico tra il gambo dell’imbuto ed il collo della beuta, o si solleva l’imbuto dalla beuta.

preparazione di un filtro a cono

Filtro a pieghe Il filtro a pieghe aumenta la velocità di filtrazione: aumentando la superficie della carta attraversata dal solvente lascia entrare l’aria dai lati, mantenendo la pressione in equilibrio costantemente. Si inserisce un pezzetto o un fermaglio di carta tra l’imbuto e l’orlo del recipiente per evitare intasamento da parte del solvente.

preparazione di un filtro a pieghe

Carta da filtro Le carte da filtro si trovano in commercio con una porosità che può variare da fine, a media, a grossolana. La porosità è la misura delle particelle che possono attraversare la carta, le particelle piccole vengono trattenute dalla carta a bassa porosità ma non da quella fortemente porosa. La carta a grana fine trattiene particelle anche molto piccole ed ha una velocità molto bassa. La carta a grana grossolana aumenta la velocità di filtrazione ma non trattiene tutte le particelle.

filtrazione sotto vuoto

La beuta è collegata ad una fonte di vuoto, per cui la soluzione versata nell’imbuto viene risucchiata attraverso la carta da filtro. Si possono usare due tipi di imbuti per la filtrazione sotto vuoto: L’imbuto di Büchner serve per quantità grandi di precipitato L’imbuto di Hirsch è utilizzato per quantità minori di precipitato, è più piccolo ed ha le pareti inclinate, anche qui la carta da filtro deve coprire tutti i fori e non deve estendersi sulle pareti laterali.

Ideali per la filtrazione di soluzioni: non richiedono l'utilizzo di carta da filtro Elevata esistenza ai reagenti chimici più corrosivi Scelta molto ampia di diametro e di porosità del setto Imbuti ideali per quantità piccole di campione Con setto poroso in vetro borosilicato sinterizzato

Filtrazione sotto vuoto Materiale occorrente: beuta da vuoto, imbuto bukner, filtro di carta, adattatore (guarnizione), pompa da vuoto (ad acqua o meccanica)

La cristallizzazione

La cristallizzazione è quel fenomeno per cui una sostanza passa allo stato cristallino; è una metodica utilizzata per purificare ed isolare composti chimici. Consiste: in una SOLUBILIZZAZIONE, a caldo, in un solvente (o miscela di solventi) e poi PRECIPITAZIONE ripristinata per lento raffreddamento Tale processo viene usato come tecnica per: A. SEPARARE PIU’ SOSTANZE MESCOLATE; sfruttando i vari rapporti di solubilità delle sostanze nei diversi solventi. B. PURIFICARE LE SOSTANZE DA PICCOLE QUANTITA’ DI ALTRE SOSTANZE PRESENTI IN SOLUZIONI (IMPUREZZE); sfruttando la diversa solubilità (molto solubili o poco solubili) degli inquinanti, nei solventi, rispetto alle sostanze da purificare.

CRISTALLIZZAZIONE: purificazione di solidi  I composti organici solidi a temperatura ambiente vengono di solito purificati per cristallizzazione, che consiste nella dissoluzione della sostanza in un solvente (o miscela di solventi) caldo e successivo raffreddamento lento della soluzione con la formazione di un solido cristallino. Quasi tutti i solidi sono più solubili in un solvente caldo, meno in uno freddo: la cristallizzazione in soluzione si avvale di questo fatto. Se le impurezze presenti nella miscela solida originale si sono sciolte completamente e rimangono in soluzione dopo il raffreddamento, i cristalli così ottenuti dovrebbero teoricamente fornire un materiale puro. Oppure può accadere che le impurezze non si sciolgano a caldo nel solvente scelto e possono essere rimosse per filtrazione prima del raffreddamento della soluzione. Anche dopo che è stato cristallizzato, un solido può non essere puro. Perciò è importante determinare la purezza del campione: uno dei metodi più semplici consiste nel misurare il punto di fusione.

Figura. Le fasi di una purificazione per cristallizzazione caldo/freddo (nell’esempio si isola acido benzoico)

La tecnica della cristallizzazione in soluzione implica i seguenti passaggi: selezione di un opportuno solvente; dissoluzione del solido da purificare nel solvente scelto ad una temperatura prossima al punto di ebollizione di questo; decolorazione con carbone attivo, se necessario, per rimuovere le impurezze colorate e filtrazione della soluzione calda per allontanare le impurezze insolubili ed il carbone attivo; formazione di un solido cristallino dalla soluzione durante il raffreddamento; isolamento del solido purificato per filtrazione; essiccamento dei cristalli.

SOLUBILITA’ Il primo problema da affrontare per purificare un prodotto è scegliere il solvente adatto per l’operazione. In teoria la sostanza deve essere poco solubile a temperatura ambiente e molto solubile alla temperatura di ebollizione del solvente prescelto. Un buon solvente (o una miscela di solventi) deve avere per la sostanza da cristallizzare una curva solubilità/temperatura molto ripida.

La cristallizzazione caldo/freddo si basa sull’aumento di solubilità con la temperatura. E’ pertanto necessario scegliere un solvente che, nei confronti del composto da purificare, si comporti in modo ottimale, cioè tale che la solubilità aumenti considerevolmente con la temperatura. Si veda ad esempio l’andamento per l’acido benzoico in acqua (Figura). Le condizioni ideali consistono nella quasi totale insolubilità a T ambiente (o comunque alla minima temperatura operativa) e quasi totale solubilità alla massima T operativa (inferiore al Peb). Figura. Curva sperimentale solubilità / temperatura dell’acido benzoico in acqua.

SOLUBILTA’ La solubilità dei composti organici dipende dalla polarità sia del solvente che del soluto (la sostanza disciolta), e una regola empirica generale stabilisce che il “simile scioglie il simile”. Se il soluto è molto polare ci vorrà un solvente molto polare, e viceversa se il soluto è apolare ci vorrà un solvente apolare. Di norma i composti contenenti gruppi funzionali che possono formare legami idrogeno (ad es. –OH, NH2, -COOH,) sono più solubili nei solventi idrossilici come acqua o metanolo che non in solventi idrocarburici come benzene o esano (Tab. 3-1). La scelta del solvente è, quindi, il passaggio più critico in un processo di cristallizzazione perché da una scelta corretta dipende il recupero di un solido di alta qualità ed in buona quantità.

Solventi in ordine decrescente di polarità   H2O RCOOH RCONH2 ROH RNH2 RCOR RCOOR RX ROR ArH RH Acqua Acidi organici (acido acetico) Ammidi (N, N-dimetilformammide) Alcooli (metanolo, etanolo) Ammine (trietilammina, piridina) Aldeidi, chetoni (acetone) Esteri (acetato d’etile) Alogenuri (CH2Cl2  CHCl3  CCl4) Eteri (dietiletere) Aromatici (benzene, toluene) Alcani (esano, etere di petrolio)

CRITERI DI SCELTA DEL SOLVENTE Ø      il composto da purificare deve essere ragionevolmente solubile nel solvente caldo, e insolubile o quasi insolubile, nello stesso solvente a freddo. Ø      Le impurezze devono essere o completamente insolubili in quel solvente a ogni temperatura o almeno moderatamente solubili anche a freddo. Ø      Il solvente deve avere un punto di ebollizione sufficientemente basso da permetterne un facile allontanamento dai cristalli del prodotto. Ø      È opportuno che il punto di ebollizione del solvente sia inferiore al punto di fusione del solido da purificare. Ø      Il solvente non deve reagire chimicamente con la sostanza da purificare.

La scelta del solvente per la purificazione di sostanze non note o non ben studiate viene fatta saggiando diversi solventi su piccole quantità di prodotto, prima di eseguire l’operazione su tutto il materiale disponibile. Con composti noti, il solvente più adatto è già noto, e può venir ricavato consultando tabelle e manuali appositi.

Solventi comuni per cristallizzazioni   P. EBOLLIZ. (°C) P. CONGEL. SOLUBILE IN H2O INFIAMM. Acqua Metanolo Etanolo al 95% Ligroina Benzene# Cloroformio# Acido acetico Diossano# Acetone Etere dietilico Etere di petrolio Cloruro di metilene Tetracloruro di carbonio# 100 65 78 60-90 80 61 118 101 56 35 30-60 41 77 * 5 17 11 + - poco ++ Molti solventi sono altamente infiammabili e non devono mai essere riscaldati con una fiamma libera; piuttosto si deve fare uso di un bagno a vapore o di piastre riscaldanti. * Inferiore a 0°C (temperatura del ghiaccio) # Sospetto cancerogeno

MISCELE DI SOLVENTI Si possono utilizzare anche miscele di solventi se non si riesce a trovare un adatto solvente per un determinato prodotto. Coppie di solventi spesso usate sono: etere/etere di petrolio (o n-esano); cloroformio/etere di petrolio (o n-esano); cloruro di metilene/etere di petrolio (n-esano); acetone/etere; acetone/acqua; etanolo/acqua; metanolo/acqua. Si sceglie cioè un solvente in cui la sostanza è solubile e un secondo solvente in cui la sostanza è relativamente insolubile. Il composto viene disciolto nella minima quantità del primo (in cui è solubile) solvente bollente, poi si fa sgocciolare il secondo solvente, sempre mantenendo la miscela all’ebollizione, fino a che si nota un inizio di intorbidamento (precipitazione del prodotto); si chiarifica per aggiunta di una goccia o due del primo solvente. A questo punto la soluzione dovrebbe essere satura e per raffreddamento si separa il prodotto cristallino.

Le impurezze possono presentare la caratteristica di: Essere completamente insolubili anche dopo riscaldamento; Possono essere eliminate con la filtrazione a caldo Essere completamente solubili anche dopo raffreddamento; Possono essere allontanate insieme al solvente nella filtrazione dei cristalli Presentare solubilità simile a quella del prodotto da purificare; La sostanza può essere purificata per cristallizzazione solo se l’impurezza rappresenta una piccola frazione del solido totale. La sostanza desiderata cristallizzerà per raffreddamento ma l’impurezza no. Con tale procedimento si potranno avere delle rese inferiori per la perdita di prodotto nelle acque madri.

TECNICA E METODOLOGIA A. Dissoluzione B. Cristallizzazione indotta Trovare un solvente con una curva solubilità/temperatura ripida; Portare all’ebollizione il solvente prescelto; Sciogliere il solido nella minima quantità di solvente bollente; Se necessario, aggiungere carbone decolorante; Filtrare la soluzione calda con un filtro a pieghe; Lasciare raffreddare la soluzione; B. Cristallizzazione indotta Sfregare le pareti interne della beuta con una bacchetta di vetro; Inseminare la soluzione; Raffreddare la soluzione in un bagno a ghiaccio; C. Raccolta Raccogliere i cristalli per filtrazione sotto vuoto; Lavare i cristalli con una piccola quantità di solvente freddo; Continuare l’aspirazione finché i cristalli sono asciutti; D. Essiccamento Seccare i cristalli all’aria; Seccare i cristalli in un forno; Seccare i cristalli in un essiccatore a vuoto;

Filtrazione e cristallizzazione

ESPERIMENTO Purificazione di un composto organico per mezzo della cristallizzazione. L’ACETANILIDE Materiali: Becher da 200ml; Beuta da 250ml Bacchetta di vetro Imbuto a gambo lungo Carta da filtro Beuta da vuoto Piastra elettrica o becco Bunsen

Procedimento: Sciogliere cinque grammi di acetanilide grezza in una beuta usando la minore quantità possibile di acqua bollente; Lasciare riposare fino a temperatura ambiente: l’acetanilide precipiterà; Preriscaldare il filtro a pieghe facendo passare ripetutamente acqua calda: filtrare I cristalli bianchi possono essere raccolti in un Buchner e lavati con acqua fredda sotto vuoto.

CROMATOGRAFIA CENNI STORICI "scrittura con il colore“ Il termine cromatografia deriva dal greco e significa "scrittura con il colore“ La cromatografia è la più versatile fra le tecniche di separazione. Fu ideata nel 1906 dal botanico russo Mikhail Tswett nell’affrontare lo studio dei carotenoidi. Egli immerse foglie verdi in etere di petrolio e versò la miscela in un tubo di vetro (colonna) riempito di carbonato di calcio. Mentre la soluzione percolava attraverso la colonna, i vari componenti si spostavano a diverse velocità, dando luogo a una successione di bande orizzontali di diversi colori. In questo modo separò alcuni pigmenti delle piante.

CROMATOGRAFIA Tecnica di separazione basata sulla diversa affinità che i componenti di una miscela possono manifestare nei confronti di determinate sostanze o materiali. I vari componenti di una miscela tendono a ripartirsi in modo diverso tra due fasi. Una fase rimane fissa (la fase stazionaria), ed è generalmente un solido o un gel, un'altra fase, liquida o gassosa, (la fase mobile) fluisce su di essa trascinando con sé in quantità maggiore i componenti della miscela che le risultano più affini.

Si distinguono in base alla fase mobile eluente liquida (LC) o gassosa (GC). CROMATOGRAFIA LIQUIDA (LC) GAS-CROMATOGRAFIA (GC) Adsorbimento Liquido-Solido (TLC) gas cromatografia gas-solido GSC Ripartizione Liquido-Liquido (HPLC) gas cromatografia gas-liquido GLC Scambio Ionico Gel - filtrazione

CROMATOGRAFIA SU CARTA (strato sottile) SU COLONNA HPLC PER GEL FILTRAZIONE A SCAMBIO IONICO

Le fasi stazionarie più usate sono quelle POLARI CROMATOGRAFIA SU STRATO SOTTILE (THIN LAYER CHROMATOGRAPHY - TLC) materiale granulare omogeneo fatto aderire sotto forma di strato sottile su un supporto piano. L’insieme del supporto e della fase stazionaria viene chiamato LASTRINA. FASE STAZIONARIA normalmente scorre lungo la fase stazionaria per capillarità oppure per gravità. FASE MOBILE Le fasi stazionarie più usate sono quelle POLARI

FASI STAZIONARIE SOLIDE GEL DI SILICE E’ il materiale più usato. Sostanza amorfa e porosa è il prodotto di polimerizzazione dell’acido ortosilicico. Si ottiene per calcinazione a partire da una soluzione acida di silicato di sodio. La polimerizzazione dell’acido silicico, con eliminazione di acqua, porta alla formazione di granuli porosi sulla cui superficie sono presenti i siti attivi Si-OH. Scelta della fase mobile Fase stazionaria e fase mobile devono interferire il meno possibile fra di loro indipendentemente dalla natura delle sostanze da separare. I componenti della miscela da separare devono poter interagire con entrambe le fasi. Il campione deve essere molto solubile nell’eluente.

PROCEDURE OPERATIVE Il campione, disciolto in opportuno solvente, viene deposto sulla lastrina come MACCHIA (spot) o come STRISCIA, utilizzando opportuni capillari di vetro (volume variabile da 1 a 10 µL) o siringhe. La lastrina così allestita viene posta quindi all’interno della CAMERA DI ELUIZIONE, normalmente un recipiente di vetro di forma e volume opportuni dotato di coperchio a tenuta. La fase mobile (eluente) viene posta sul fondo del recipiente. Il grado di saturazione della camera è fondamentale per la buona riuscita della separazione cromatografica.

CROMATOGRAFIA SU CARTA o STRATO SOTTILE (TLC: Thin Layer Cromatography ) La cromatografia su carta permette di separare i componenti di una soluzione liquida. Essa sfrutta la differente capacità che hanno i componenti di aderire ad un mezzo poroso, come la carta da filtro, quando sono trascinati da un fluido, detto eluente (o effluente). Il sistema è ascendente o discendente: l’eluente liquido (la fase mobile) sale per capillarità sulla fase fissa solida (carta, silice o allumina supportata su vetro o alluminio); nel suo movimento ascensionale scioglie, e quindi stacca dall’interazione con la fase fissa, preferenzialmente le sostanze più solubili in esso, spostandole più in alto nella “lastrina”.

SVILUPPO ASCENDENTE E’ la tecnica più diffusa. La semina è realizzata lungo una linea parallela al bordo inferiore dalla lastrina, a circa 1 cm da esso. La lastrina viene quindi appoggiata verticalmente all’interno della camera, assicurandosi che il solvente non lambisca o ricopra gli spot di semina. L’eluente risale la lastrina per capillarità e viene fatto correre fino a circa 1 cm dal bordo superiore della lastrina. I tempi di eluizione variano da 20 minuti a qualche ora, dipendentemente dall’eluente.

SEPARAZIONE DELLA MISCELA Viene espressa come fattore di ritenzione assoluto (Rf) = Dcomposto / Dsolvente Rf dove: Dcomp= distanza percorsa da un componente Dsolv = distanza percorsa dal solvente

Rivelazione con raggi UV Rivelazione con reagenti chimici Quando lo sviluppo è completato, si estrae la lastrina dalla camera di eluizione, si indica il livello raggiunto dal fronte del solvente e si evapora l’eluente all’aria o con un phon. Per rendere visibili gli spots di sostanze non colorate possono essere utilizzate varie procedure: Rivelazione con raggi UV Rivelazione con reagenti chimici

RIVELAZIONE CON RAGGI UV Si irraggia la lastrina con lampade UV che emettono a 252 e 366 nm A) Reattivi di uso generale: VAPORI DI IODIO: sono specifici per composti che contengono doppi legami. H2SO4 in etanolo + riscaldamento: permette la carbonizzazione delle sostanze organiche con comparsa di spot scuri su fondo bianco. KMnO4: reattivo ossidante che porta alla formazione nel sito di reazione di macchie scure per la formazione di MnO2 B) Reattivi specifici (gruppi funzionali o classi di sostanze) NINIDRINA: per amminoacidi e zuccheri.

CARATTERISTICHE della TLC: 1) SPECIFICITA’ 2) RIPRODUCIBILITÀ 3) EFFICIENZA 4) RISOLUZIONE 5) CAPACITÀ

SPECIFICITA’ è la capacità di una tecnica analitica di separare una sostanza dagli altri componenti interferenti di una miscela, permettendone una identificazione inequivocabile e senza dubbi. La specificità di una analisi in TLC è legata alla mobilità cromatografica dei componenti la miscela, espressa dal fattore di ritenzione assoluto. L’adozione di differenti metodologie di rivelazione delle macchie (UV o chimica) rende la tecnica in esame ancora più specifica.

RIPRODUCIBILITA’ La riproducibilità dell’ Rf, a parità di fase stazionaria e mobile, non è elevata perché dipende da diversi fattori: omogeneità dello strato di fase stazionaria, che dipende sia dalle caratteristiche delle particelle, che devono essere il più uniformi possibile, che dalla tecnica di deposizione dello strato; spessore dello strato; per le analisi in TLC si utilizzano generalmente strati aventi spessore di circa 250 µm; temperatura: deve essere mantenuta costante per evitare variazioni delle proporzioni in miscele di eluenti, dovute al cambiamento della tensione di vapore dei solventi stessi; grado di saturazione della camera di eluizione; volume di semina della miscela da separare. Con strati di 250 µm i migliori risultati si ottengono seminando 5-10 µg di campione.

- CONDIZIONI SPERIMENTALI EFFICIENZA è la capacità del sistema cromatografico di mantenere compatta la macchia durante l’eluizione. Dipende da diversi fattori, alcuni dei quali sono: - GRANULOMETRIA della FS: è espressa dal diametro medio delle particelle e deve essere la più piccola possibile. - QUALITA’ DELL’IMPACCAMENTO della FS: lo strato sottile deve essere il più possibile uniforme e omogeneo. - MISCELA ELUENTE - CONDIZIONI SPERIMENTALI

La RISOLUZIONE è legata all’ EFFICIENZA e alla SPECIFICITÀ bassa buona bassa buona Efficienza bassa bassa elevata elevata Risoluzione insuff. buona insuff. elevata

CAPACITA’ EFFETTO BORDO Quantità di campione che può essere depositata sulla lastrina per ottenere una buona separazione. Quantità eccessive determinano infatti macchie di forme irregolari che possono rendere scarsa la separazione e/o equivoca l’identificazione dei componenti della miscela salita non uniforme della fase mobile dovuta alla non uniformità della fase stazionaria o alla cattiva ambientazione della camera di eluizione : Fronte del solvente

Cromatografia su colonna La cromatografia su colonna è un sistema analogo alla TLC, ma gravitazionale per cui le sostanze che “corrono” di più si trovano nel basso della colonna e vengono eluite per prime. Si tratta di una tecnica di ripartizione tra una fase solida ed una liquida.

CROMATOGRAFIA SU COLONNA La miscela dei composti da separare viene messa in cima ad una colonna di vetro cilindrico riempita di gel di silice. L’assorbente viene continuamente dilavato dal flusso di solvente. Questo flusso continuo estrarrà soluti dalla silice trascinandoli verso il basso con velocità diverse in dipendenza dalla loro affinità relativa per l’assorbente. Man mano che i componenti della miscela si separano, iniziano a formarsi bande che si spostano verso il basso. A questa fase segue la fase di eluizione, con questo termine intendiamo l’allontanamento dalla colonna e la raccolta delle sostanze separate mediante uno o più solventi.

ESCE PRIMA LA SOSTANZA VERDE MENO POLARE E DOPO QUELLA ROSSA PIU’ POLARE.

PARAMETRI CHE INFLUENZANO LA PREPARAZIONE di una cromatografia Scelta dell’ assorbente Scelta della polarità del solvente Dimensioni della colonna (lunghezza e diametro) in relazione alla quantità di materiale da cromatografare Velocità di eluizione, detta anche velocità di flusso