Conflitto e cambiamento sociale

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Conflitto e cambiamento sociale

Tre versioni della teoria del conflitto Teoria di Simmel-Coeser, interessata a costruire una teoria non marxiana del conflitto, che mostrasse allo stesso tempo la strutturalità quasi antropologica, della forma sociale “conflitto”. Teoria dei gruppi di potere di Dahrendorf: interessata a ridefinire la teoria marxiana del conflitto di classe, in modo da rendere conto delle dinamiche conflittuali e socio-politiche, tipiche delle società industriali avanzate. Teoria del cambiamento sociale: di ispirazione tematica weberiana, si interessa alle dinamiche conflittuali che conducono alla trasformazione (specie rivoluzionaria) delle società e dei regimi politici. - La teoria del conflitto, per quanto riguarda la maggior parte delle sue versioni, si concentra prevalentemente sui conflitti all’interno delle società (ma non alle guerre civili) che sono effettivamente la maggior parte dei conflitti.

La teoria di Simmel-Coser La storia della teoria del conflitto inizia nei primi anni del XX secolo, con l’opera del sociologo tedesco Simmel (interessato a costruire una teoria non marxiana del conflitto): Il conflitto non è l’opposto dell’ordine sociale. Il conflitto è una forma di interazione piuttosto intensa, che rinforza la coesione dei gruppi (a volte tenendo anche in piedi le società, come in quella delle caste indiana) e possiede un lato tanto distruttivo quanto creativo\generativo.

La teoria di Simmel-Coser Negli anni ’50 Coser riprende gli studi di Simmel, guardando al conflitto da due punti di vista: come un processo funzionale al mantenimento stesso dell’ordine sociale e dell’integrazione. Approfondendo la dinamica escalation\de-escalation.

La teoria di Simmel-Coser - Il conflitto è funzionale all’integrazione poiché: rinforza i confini di gruppo e l’identità (meccanismo del Nemico e del capro espiatorio). Porta ad una centralizzazione del gruppo. Conduce alla ricerca di alleati.

La teoria di Simmel-Coser Il conflitto muta nel tempo e può crescere o decrescere in intensità (escalation\de-escalation del conflitto). Per Simmel-Coser: Le parti in conflitto hanno l’interesse a limitare\auto-limitare la conflittualità, per evitare che la distruttività prenda il sopravvento e faccia venir meno l’oggetto stesso del contendere. Per Coser, fondamentale è la dinamica dei legami trasversali tra i gruppi. La ricerca successiva (in particolare la Peace Research) ha chiarito che: Il conflitto tende all’escalation quando si fronteggiano due avversari in possesso di tali risorse da far si che all’uso della forza dell’uno possa corrispondere la rappresaglia dell’altro; mentre, negli altri casi, sebbene la repressione crei de-legittimazione, essa conduce ad una momentanea de- Escalation. Tanto meno sono elevati i costi del conflitto tanto più dura l’escalation del conflitto (sino al limite di instaurare un vero e proprio sistema spiralizzato che si auto-rinforza).

Ralph Dahrendorf: gruppi di potere e mobilitazione del conflitto Egli ridefinì il concetto di classe non più nei termini marxiani della proprietà, ma in quelli del potere e, dunque, del conflitto di classe come conflitto di potere, dato che le previsioni marxiane non sembravano dare conto della realtà. Perché? In tutte le società (specie in quello industriali avanzate) esistono organizzazioni complesse; per sopravvivere e raggiungere i loro fini, queste organizzazioni si dividono, al loro interno, tra dirigenti (che danno ordini, hanno cioè potere) e diretti; questa distinzione, consente ai dirigenti di acquisire privilegi su tutte le altre dimensioni della stratificazione (ricchezza, prestigio ecc.). Dunque, la distinzione in classi e il conflitto di classe, ha il potere come dimensione originaria e generale. Nel XIX secolo potere e proprietà si sovrapponevano (Marx aveva dunque ragione). Dal XX secolo in poi, con lo sviluppo di un capitalismo organizzazionale, dominato da managers e burocrati, le due dimensioni divergono.

Ralph Dahrendorf: gruppi di potere e mobilitazione del conflitto In una società organizzazionale, che è anche sempre più pluralista (trasversalità delle appartenenze di gruppo) le possibili linee di conflitto nella società si moltiplicano e auto-limitano allo stesso tempo. I quasi-gruppo sono una serie di persone che condividono la stessa posizione nella stratificazione del potere (conflitto latente). Essi diventano gruppi quando si mobilitano per l’azione collettiva (conflitto manifesto). Il conflitto manifesto tende sempre ad essere un conflitto tra due parti, mentre gli altri soggetti sociali devono, entro certi limiti, scegliere da che parte stare.

Ralph Dahrendorf: gruppi di potere e mobilitazione del conflitto Quali sono le condizioni che consentono il passaggio dalla fase latente a quella manifesta? Condizioni tecniche: presenza di un leader e di un’ideologia. Condizioni politiche: libertà politica. Condizioni sociali: comunicazione tra i membri del gruppo, concentrazione spaziale, cultura simile.

Ralph Dahrendorf: gruppi di potere e mobilitazione del conflitto Conseguenze del conflitto (in termini di intensità, violenza e cambiamento sociale): Quanto meglio organizzati sono i gruppi di conflitto, tanto meno violento sarà il conflitto. La deprivazione assoluta conduce ad un conflitto più violento della deprivazione relativa. Tanto più violento è il conflitto tanto più veloce sarà il cambiamento sociale.

Ralph Dahrendorf: gruppi di potere e mobilitazione del conflitto Un’analisi della società contemporanea e del conflitto di classe: Il conflitto economico si separa da quello politico con la conseguenza che né il primo né il secondo tendono a divenire totali. Entrambi si istituzionalizzano e frammentano (trasversalità dei gruppi, interesse all’auto-limitazione). Le dinamiche del potere come la composizione della classe dominante\dirigente, è il risultato di scontri\incontri tra coalizioni di potere. Le élites politico-burocratiche (al governo) sono la parte più significativa delle classi dirigenti in una società industriale, mentre al loro interno esistono sempre uno o più gruppi economici con diritto di veto. Solo la permanenza al potere di una stessa élite politica può condurre a disattendere sistematicamente gli interessi diffusi a favore dei propri interessi di ceto: alla lunga ciò diviene insostenibile per l’aumento inusitato della conflittualità sociale.

Teoria del conflitto e del cambiamento sociale Il cambiamento è multidimensionale e interdipendente (nel senso che può avvenire a più livelli – economico, culturale ecc. - e ciascuno di essi si lega agli altri); Tuttavia: Questa versione della teoria conflittualista mette in luce come ogni forma di cambiamento avvenga attraverso conflitti, provochi cioè sempre contrasti, poiché ogni campo sociale è sempre attraversato da un’intrinseca politicità.

Teoria del conflitto e del cambiamento sociale Una teoria così impostata, al livello di cambiamento del sistema socio-politico (o cambiamento politico), dovrebbe spiegare (anche in un’ottica predittiva): Le condizioni in cui emergono diversi tipi di strutture (come la democrazia, il feudalesimo ecc.); Chi sono gli attori del conflitto (il “dramma” del cambiamento); Il tipo di eventi che sono più probabili e la loro sequenza tipica; Chi e che cosa vincerà in questa lotta (posta in gioco). Il focus principale di una teoria del cambiamento politico è stato spesso lo Stato (definito da violenza, legittimità, territorio) e i rapporti tra questo e le varie componenti sociali. Il cambiamento rivoluzionario è quello considerato più tipico e più importante.

Teoria del conflitto e del cambiamento sociale Teoria della mobilitazione (Tilly, Oberscahall): Il conflitto e il potere sono funzioni (in senso matematico) delle risorse a cui particolari gruppi di interesse possono attingere al fine di mobilitarsi per la lotta; Le principali condizioni di una mobilitazione politica sono: aspettative crescenti; concentrazione e organizzazione sociale pre-esistente; esposizione maggiore alla dinamicità della modernità e in particolare, dello sviluppo capitalistico.

Teoria del conflitto e del cambiamento sociale Le origini sociali della dittatura e della democrazia (Barrington Moore): La modernità politica non si esprime in modo monistico: sono esistiti almeno tre tipi di strutture politiche moderne, la democrazia, il socialismo di Stato e l’autoritarismo; Le condizioni che hanno prodotti ciascuna di esse si sono determinate nella fase di avvio della modernizzazione, in particolare nel rapporto tra i vari gruppi sociali (aventi una scelta principale e una secondaria sul tipo di governo) rispetto alla questione rurale; Sono 5 gli attori sociali che interagiscono tra loro in questo dramma: borghesia, proprietari terrieri, burocrati, contadini, operai.

Teoria del conflitto e del cambiamento sociale Le origini sociali della dittatura e della democrazia (Barrington Moore): Nel sistema instabile che si determina, un ruolo chiave lo hanno i proprietari terrieri e quale tipo di strategia adottano di fronte allo sviluppo del capitalismo: I proprietari diventano capitalisti e espellono i contadini = modello inglese; I proprietari diventano rentiers= modello francese, di una rivoluzione dagli esiti incerti (che può anche condurre al socialismo, come in Cina); I proprietari stanno sul mercato cercando di aumentare al massimo produttività e sfruttamento dei contadini= modello autoritario del Giappone (dopo la Restaurazione Meiji).

Teoria del conflitto e del cambiamento sociale La teoria di Theda Skocpol sviluppa quella di Moore, interessandosi al quando e perché scoppiano le rivoluzioni; i fattori da prendere in considerazione sono 3: Forza dello Stato indebolita da una guerra persa; Presenza di un’economia rurale ristagnante e percorsa da una molteplicità di squilibri; Presenza di un’élite intellettuale marginalizzata eppure in grado di mobilitarsi. La presenza di queste tre condizioni, rende più probabile il verificarsi di una cambiamento politico rivoluzionario.