L’osservazione in educazione

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Transcript della presentazione:

L’osservazione in educazione Prof. Angelo Lascioli Università di Verona

Vedere, guardare, osservare …

Seguono alcuni brani di Imbasciati A. e Lascioli A. Titolo: “Questioni epistemologiche”, in Compendio di Psicologia, Piccin, Padova 2005.

Oltre il “dato di fatto”: la crisi del positivismo Il positivismo (da positivo, ovvero che bada alla realtà, alla concretezza, lasciando da parte ipotesi senza fondamento) è un orientamento di pensiero che ha dominato la cultura occidentale nella seconda metà dell’Ottocento. Il principale esponente è stato il filosofo e sociologo francese A. Comte (1798-1857).

Caratteristiche del positivismo Caratteristica fondamentale del positivismo è l’ottimismo scientifico, fondato sostanzialmente su tre principi: l’infallibilità della scienza (considerata massimo stadio dell’evoluzione della conoscenza umana); la fiducia assoluta nella ragione e nel metodo scientifico (nell’accezione di strumento idoneo a descrivere i fatti così come essi sono, allo scopo di ricavarne leggi necessarie e universali); la credenza nella possibilità di estendere l’indagine scientifica della natura a tutti i campi d’indagine (compreso la vita umana e quindi anche la mente).

La fede positivistica A causare questa rivoluzione fu specialmente la fede in alcune importanti idee: l’unitarietà e regolarità dell’universo, l’esistenza di leggi universali e necessarie, la validità assoluta del metodo induttivo quale forma fondamentale di indagine della realtà empirica, la separabilità tra quantitativo e qualitativo nell’osservazione della natura, nonché la disgiunzione tra mente e corpo.

Il valore assoluto del “fatto” Oggetto di studio della scienza positivisticamente intesa è il fatto (ovvero ciò che è certo, determinato, stabilito o che è accertato dall'esperienza. Empiricità, oggettività, materialismo e metodo induttivo sono i capisaldi del positivismo, la cui concezione di scienza prevede non tanto la descrizione dei fenomeni quanto la spiegazione degli stessi, tramite leggi fornite di carattere deterministico e universale. Lo schema logico di questo metodo, di tipo esplicativo, è detto «nomologico-deduttivo con legge di copertura»: ciò che si deve spiegare (explanandum), sia esso un fatto singolo o una categoria di fatti o ricorrenze, è deducibile necessariamente da leggi generali (explanans), che implicano logicamente il fatto particolare da spiegare.

Elementi di criticità Partiamo innanzitutto dal nucleo della concezione positivistica, ovvero il principio secondo cui non si dà scienza se non del fatto, e chiediamoci se esiste un qualcosa di conoscibile come tale, cioè qualcosa che si presenta all’osservazione così come è realmente. Il buon senso induce a ritenere che tutto ciò che possiamo conoscere o osservare, non può che essere conosciuto e osservato da qualcuno che lo vuole conoscere e quindi, dal proprio punto di vista, lo osserva. È già evidente da questo semplice ragionamento che non è possibile venire a contatto con alcunché se non tramite una mediazione: se non altro quella degli organi di senso, e quindi della percezione, di colui che si pone nell’ottica di voler osservare qualcosa (e ciò è già un processo di selezione della realtà). La conoscenza quindi, in quanto atto di un soggetto intenzionato a conoscere, è intimamente connessa a questa soggettività che, come tale, è sospesa ai mezzi, agli scopi ed ai limiti con cui viene a realizzarsi.

Continua … Eppure, per quanto ciò possa apparire scontato, quando si parla di conoscenza scientifica non ci si avvede che anche in questo caso valgono questi limiti. Un esempio: secondo il senso comune, il termine obiettivo, se riferito ad un giudizio, evoca il significato di “giudizio ben ponderato, fondato su dati certi e quindi scientificamente valido”. Si tende quindi a dare per scontata la possibilità che la realtà, sotto la forma della conoscenza scientifica, si presenti al soggetto così qual è senza alcun tipo di mediazione.

Quindi? Ma allora, a cosa si deve fare riferimento quando si dice di alcunché che è qualcosa di oggettivo? E cosa intendere quando si dice che una certa indagine è obiettiva? Al di là di ogni possibile risposta non si può che fare sempre riferimento ad una soggettività oggettivizzante o obiettivizzante che, proprio a partire da se stessa, dai propri intenti e limiti, evidenzia il dato di ciò che le si pone contro.

A proposito di neutralità È infondata l’ipotesi che possa esistere un’osservazione “pura”, che permetta di conoscere un oggetto così come esso è, non contaminata né da colui che osserva né dallo strumento con cui la si compie. L’oggettività pura non esiste. Coloro che ritengono che conoscenza scientifica significhi conoscenza oggettiva (senza soggettività), incappano in un’illusione: la presunta neutralità dell’osservazione. Secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg, la relazione di osservazione è sempre contaminata, e tale contaminazione non é eliminabile né completamente prevedibile, e ciò impedisce sia l’esatta determinazione che la perfetta oggettivazione della realtà.

Ogni dato è “mediato” Esisterà sempre uno iato tra oggetto osservato e quello che postuliamo essere l’oggetto assoluto. A volte tale iato è evidente, altre volte esiguo e sottile: ma sempre incolmabile. In ogni processo conoscitivo ci sono sempre “strumenti”, in primis la mente dell’osservatore e il linguaggio con cui egli si può esprimere. Con “mente dell’osservatore” includiamo i suoi sensi: è infatti ingenuo pensare che la percezione mediata dagli apparati sensoriali sia “obiettiva”; la percezione è sempre un risultato di processi mentali e come tale non riproduce una realtà così come essa è ma ne media la conoscenza al soggetto. Ogni “dato” è sempre “mediato”.

In conclusione Possiamo pertanto dire che «le descrizioni osservative non aderiscono direttamente alle “cose” o agli eventi, ma sono piuttosto interpretazioni di cose e eventi, e dipendono, in quanto tali, da una struttura d’assunzioni propria di una determinata comunità linguistica» e culturale (Lanfredini 1995, p. 127): che, de facto, le condivide. Ciò impone di pensare l’oggetto scientificamente osservato non come un ob-iectum (cosa reale che sta di fronte all’osservatore) ma come un inter-iectum (entità che è il frutto della mediazione tra la cosa reale e gli apparati, gli strumenti e le tecniche teorico-metodologiche adottate per conoscerla).

Seguono alcune riflessioni sul significato dell’osservazione in educazione Vedi: Larocca F., “Lo sguardo pedagogico”, Azione mirata, FrancoAngeli, Milano 2003; Lascioli A., “La formazione educativa dell’operatore di comunità terapeutica: una ricerca sul campo”, Operativamente educativi, Ferrari A., Lascioli A., FrancoAngeli, Milano 2005.

Osservare l’educazione L’analisi dell’azione che educa, mette in evidenza il fatto che è proprio l’intenzione dell’educatore volta all’incremento di sviluppo umano dell’educando, a caricare di significati educativi i diversi segmenti che, nel loro insieme, costituiscono l’agire educativo. Inoltre, dal momento che ogni azione educativa si sviluppa all’interno di una relazione tra soggetti, e che la qualità di tale relazione diviene a sua volta variabile decisiva del successo dell’azione stessa, si evidenzia come l’intenzionalità dell’educatore debba per ovvie ragioni sapersi costituire all’interno della medesima relazione educativa, attraverso specifiche capacità di incontro con l’altro.

Continua… Nell’analisi dell’azione che educa, si evidenzia che l’intenzionalità educativa deve fare i conti non solo con la qualità della relazione, ma anche con la soggettività dell’educando che, se non per analogia, è per definizione ignota. Il “chi” e il “cosa” si sta educando, avviene che si scopra nel mentre si educa. E in questo caso è proprio l’azione che educa ciò che pone in evidenza all’educatore, come pure all’educando, l’oggetto stesso dell’agire educativo.