MARX (il Capitale: tendenze e contraddizioni del capitalismo) prof. Michele de Pasquale.

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MARX (il Capitale: tendenze e contraddizioni del capitalismo) prof. Michele de Pasquale

D-M-D' è la formula generale del capitale da dove nasce il plus-valore nella produzione industriale? con una parte del suo denaro il capitalista acquista materie prime e strumenti di produzione (fattori oggettivi della produzione) in cui il suo denaro sta come capitale costante, perché esso non s'accresce in valore nel processo produttivo con l'altra acquista forza-lavoro (fattore soggettivo della produzione), che rappresenta il suo capitale variabile, in quanto è proprio questo l'elemento che nell'attività produttiva produce eccedenza di valore: infatti nella merce ch'esso produce, riproduce se stesso e, in piú, dà plus-valore in che modo?

Poniamo che nelle condizioni medie di produzione la forza-lavoro di un operaio può essere impiegata per dodici ore giornaliere; il capitalista l'acquista per il suo valore d'uso, cioè per utilizzarla tutta. Tuttavia la paga secondo il suo valore di scambio; questo corrisponde a sei ore di lavoro: infatti basta il salario percepito per sei ore di lavoro perché l'operaio acquisti quei mezzi di sussistenza che gli consentono di riprodurre la sua energia lavorativa. Dunque il capitalista corrisponde il salario per sei ore. Le altre sei ore lavorate dall'operaio, e per le quali egli non percepisce salario, costituiscono per lui un plus-lavoro, e per il capitalista la fonte del plus-valore. Infatti, la merce prodotta in un giorno dall'operaio conterrà incorporato in sé - oltre al valore della materia prima e a quello corrispondente al consumo dei mezzi di produzione - il valore delle prime sei ore di lavoro, regolarmente retribuite, e un plus-valore corrispondente alle altre sei ore non retribuite. Quindi il capitale s'è accresciuto, perché quando la merce sarà venduta, il capitalista avrà recuperato il capitale investito, e si troverà in tasca il plus- valore, che, rileva Marx, è il frutto dello sfruttamento dell'operaio (Tortora, Le filosofie contemporanee)

il capitale convertito in mezzi di produzione si trasferisce con grandezza immutata nel prodotto [c]; dal capitale variabile [v] invece proviene il plusvalore [Pv] il cui saggio [s] è dato dalla formula s = Pv / v lestrazione di plusvalore dà origine al profitto: il profitto non è remunerazione del capitale totale, ma proviene dallo sfruttamento della parte variabile di esso. Il saggio di profitto [p] sarà dato dalla formula p = Pv / (c + v)

è possibile aumentare il saggio di plusvalore in due modi: aumentando la durata della giornata lavorativa (plusvalore assoluto) il capitalista dilatando la giornata lavorativa ricaverà altro plus-valore; ma tale dilatazione ha un limite che, per quanto variabile, è invalicabile; cioè oltre un certo numero di ore di lavoro, la forza- lavoro diventa scarsamente produttiva e, inoltre, l'operaio, nel tempo di riposo, non riesce a riprodurre l'energia lavorativa per il giorno seguente. Sembrerebbe allora che giunti a quel limite, non sia possibile ricavare altro plus-valore

aumentando la produttività del lavoro restando costante o diminuendo la durata della giornata lavorativa (plusvalore relativo) ad esempio, introducendo strumenti di lavorazione piú efficaci, facendo sì che il lavoratore, nello stesso tempo di lavoro, produca una quantità maggiore di merce; poiché la quantità maggiore di merci prodotta in un solo giorno ha un costo di produzione uguale a quello che precedentemente aveva una quantità minore di merci lavorate con i vecchi arnesi, allora ogni singola unità di merce avrà costo di produzione minore

per incrementare ulteriormente la produttività, il capitalista organizza in modo nuovo il lavoro dei suoi operai, introducendo la cooperazione, con cui la produzione capitalistica entra nella sua fase matura con essa nasce la manifattura, cioè un organismo produttivo in cui ogni singolo operaio è addetto ad una singola fase dell'intero ciclo produttivo della merce; la manifattura nasce unificando e coordinando nello stesso luogo il lavoro che prima diversi operai compivano, secondo il loro mestiere artigianale, in modo separato e indipendente, oppure dividendo in momenti distinti l'unico processo di lavorazione effettuato, prima. da ogni singolo operaio

nella manifattura domina la divisione del lavoro; ogni lavoratore compie un'operazione elementare; tecnicamente semplice, e solo quella la cooperazione moltiplica la forza produttiva dei singoli operai; infatti, ad esempio, tempi di produzione di una merce vengono depurati da tutti gl'intervalli improduttivi, necessari quando l'intero processo lavorativo era compiuto da un singolo operaio; pertanto la forza- lavoro viene utilizzata in modo piú intensivo; alla fine della giornata il capitalista troverà prodotte, col lavoro cooperativo, piú merci di quante ne otteneva prima senza cooperazione, con lo stesso numero di lavoratori

Marx si sofferma sulle condizioni di lavoro degli operai nella manifattura essi devono eseguire un lavoro piú intenso, soggetto a controllo rigoroso, per evitare pause improduttive; inoltre il loro lavoro è semplice, ripetitivo, per nulla inventivo, e quindi poco soddisfacente; peraltro, con la divisione del lavoro, non viene diviso solo il ciclo produttivo, ma anche il lavoratore stesso, il quale deve scindere in sé la limitata abilità richiestagli da tutto il resto della sua umanità, cioè dalle sue antiche competenze, dalle sue disposizioni naturali, dalla sua intelligenza, dalla sua immaginazione; col che egli, degradato nella sua personalità, finisce col dipendere sempre piú strettamente dai voleri e dagli obiettivi del capitalista

la manifattura si trasforma in industria meccanizzata con l'introduzione, nel ciclo di lavorazione, delle macchine, che sostituiscono sempre piú il dispendio di energia fisica e i vecchi arnesi di lavoro con esse aumenta notevolmente la quantità di merce prodotta nello stesso tempo con lo stesso numero di operai, ma il lavoratore subisce un'ulteriore degradazione; egli è solo un mezzo per far funzionare le macchine: è un loro servo; svalorizza la sua forza- lavoro fino all'estremo limite. Anche le operazioni da svolgere sono ridotte ad estrema semplicità, il che, unito al livello minimo dei salari, genera l'immissione, nel processo di produzione, anche della forza-lavoro delle donne e dei bambini, in concorrenza con quella degli uomini. Cosí si allarga il numero dei lavoratori e con ciò si allarga lo sfruttamento del lavoro, s'incrementa ulteriormente il plusvalore, e si amplia e s'intensifica il dominio sociale del capitale.

si configura un rapporto inevitabilmente conflittuale fra lavoratore e macchina, che è forma particolare del conflitto tra lavoratore e capitale la logica dell'uso capitalistico delle macchine (rendere piú produttiva la stessa quantità di forza-lavoro) comporta la progressiva intensificazione del lavoro sia mediante l'aumento della velocità dei macchinari, sia mediante l'ampliamento del volume del macchinario posto sotto il controllo del singolo operaio. Con le macchine, l'attività produttiva giunge al suo acme. Peraltro non convivono piú industrie e manifatture, perché i prezzi delle merci manifatturiere non possono esser competitivi con quelli delle merci industriali. Sembra, questa, una condizione paradisiaca per il capitalista.

il perseguimento del profitto genera un regime di concorrenza tra capitalisti per conquistare i mercati, inondati ormai di merci Per fronteggiare questa concorrenza si impone il rinnovamento tecnologico delle macchine; il che comporta una perdita temporanea per il capitalista che sostituisce il vecchio macchinario senza averlo utilizzato per tutto il tempo possibile. Inoltre l'acquisto di nuovo macchinario piú efficace muta la composizione organica del capitale investito; infatti il capitale costante aumenta, quello variabile diminuisce; e poiché quello variabile produce immediatamente plusvalore, la sua riduzione provoca la caduta temporanea del livello del profitto. Marx parla di una caduta tendenziale del saggio di profitto, cioè del rapporto tra plusvalore e tutto il capitale investito. Tuttavia il capitalista recupera presto questo svantaggio, facendo emigrare i propri capitali in zone ove i saggi di profitto sono piú vantaggiosi e, soprattutto, intensificando, proprio attraverso i nuovi macchinari, lo sfruttamento del lavoro del numero, ridotto forzosamente, degli operai occupati.

con l'incremento della produttività, aumenta la produzione globale di tutte le merci, che ormai saturano i mercati; i loro prezzi sono al minimo, ma non ci sono piú compratori; si è giunti cioè ad una fase in cui l'anarchia della produzione ha prodotto la crisi di sovrapproduzione, che comporta la necessità di operare una drastica riduzione del numero dei lavoratori attivi, perché si diminuisca la quantità di merci prodotte. Il capitale sembra in crisi, ma non muore; anzi esso risorge piú forte in virtú della stessa crisi. L'alternarsi di fasi critiche con fasi di ripresa - le fluttuazioni cicliche - è una costante dell'assetto capitalistico industriale. Nel regime di concorrenza le industrie piú deboli chiudono i battenti o falliscono; il loro capitale viene fagocitato da quello piú solido, che quindi, proprio con la crisi, si irrobustisce e giunge a un livello maggiore di prosperità.

si verifica un processo caratterizzato dalla progressiva concentrazione dei capitali attraverso la progressiva concentrazione delle imprese (le piú deboli vengono acquisite dalle piú forti) Contestualmente, in virtú dell'adeguamento tecnologico delle macchine, e per far fronte alla caduta del saggio di profitto s'allarga l'area dell'esercito industriale di riserva, cioè il numero dei lavoratori disoccupati a cui i capitalisti possono attingere forza-lavoro nel momento della ripresa produttiva; è un esercito che cresce sempre piú nella misura in cui, nella fase di incremento produttivo, i capitalisti introducono macchine piú perfezionate che sostituiscono sempre piú il lavoro muscolare dei lavoratori. Questo esercito svolge un doppio ruolo: nei momenti di crescita economica, in cui c'è maggior bisogno di forza-lavoro, con la concorrenza ch'esso esercita rispetto ai lavoratori occupati, ne frena l'ascesa salariale; nei momenti di stagnazione economica, la stessa concorrenza ch'esso esercita ne frena le rivendicazioni.

anche quando i salari dei lavoratori occupati son piú alti in senso assoluto (ma in realtà son cresciuti in modo piú contenuto rispetto al plusvalore prodotto), non si ferma il fenomeno della miseria crescente della società quanto piú l'industria si attrezza per l'incremento produttivo, con l'introduzione di nuove macchine, tanto piú si diffonde la miseria nella società; e non solo nel senso che aumenta il numero dei disoccupati, ma anche in quello che i salari, per quanto incrementati, non corrispondono all'aumento del costo della vita determinato, nelle fasi crescenti dell'attività economica, dall'innalzamento dei prezzi delle merci, divenute piú scarse sul mercato, per la riduzione produttiva conseguente alla crisi di sovrapproduzione. la miseria crescente della classe operaia porta alla polarizzazione della società in due classi antagoniste; per cui si acuiscono le contraddizioni della società borghese finché non si verifica l'espropriazione degli espropriatori, risultato necessario dello sviluppo interno della società capitalista