LA DINASTIA GIULIO - CLAUDIA Alla morte di Augusto i suoi successori presero il nome di IMPERATORE Rimanevano però il senato e l’esercito, con il cui potere ogni imperatore doveva fare i conti
Formalmente sotto Augusto Roma era rimasta una repubblica: Augusto non poteva nominare un suo successore (e non aveva figli maschi) Aveva un figlio adottivo Tiberio (figlio di Livia, della gens CLAUDIA, sposata da Augusto nel 38 a.C.): con l’adozione era entrato a far parte della gens JULIA (da qui viene la definizione di dinastia giulio – claudia)
Mentre Augusto era ancora in vita, a Tiberio furono date la tribunicia potestas e l'imperium proconsolare Quando Augusto morì (14 d. C.) Tiberio fu il suo successore. Regnò dal 14 d. C. al 37 d.C. Abile amministratore, lasciò le finanze romane in condizioni eccellenti In politica ESTERA si limitò alla difesa dei confini. In politica INTERNA, invece, entrò in conflitto col Senato: Tiberio era un conservatore e cercava di ottenere una vera collaborazione dai senatori che però erano ormai preoccupati solo di perdere i propri privilegi e lo ritenevano un ipocrita.
Si creò un clima di sospetto reciproco, che alla fine portò Tiberio a una continua attività di repressione di complotti veri o presunti, anche a causa dell'influenza del suo prefetto del pretorio, Seiano, che voleva succedergli. Seiano arrivò addirittura a far uccidere Druso, figlio di Tiberio, ma scoperto venne a sua volta condannato a morte. Disgustato, Tiberio si ritirò nella sua vIlla di Capri da dove continuò a regnare mandando lettere al senato, Morì nel 37 senza aver risolto il problema della sua successione.
CALIGOLA (37 – 41) Gli successe il pronipote Caio Cesare, chiamato Caligola dal nome delle calzature militari che indossava da bambino quando andava a trovare il padre Germanico negli accampamenti militari. Accolto con favore dal popolo di Roma, mostrò però subito comportamenti megalomani e tirannici: comminò condanne a morte senza processo, impose nuove tasse, sperperò il denaro pubblico pretese forme di omaggio religioso nei suoi confronti, divinizzando la figura dell'imperatore secondo gli usi orientali.
Questi suoi comportamenti alimentarono le congiure contro di lui, che le reprimeva spietatamente. Fu ucciso nel 41 da un ufficiale della guardia pretoria. Fu il primo a dare al governo imperiale anche la forma esteriore di potere assoluto, comportandosi da despota (dal greco despòtes, in origine il padrone di casa, poi sovrano con poteri assoluti. Oggi chiunque gestisca il potere in modo tirannico).
CLAUDIO (41 – 54) Successe a suo nipote Caligola, fu imperatore dal 41 al 54 Era un letterato distante dagli affari pubblici, forse per questo i pretoriani lo scelsero, ma fu un buon imperatore, attento alle finanze dello Stato. Rese province la Britannia, la Tracia e la Mauritania. Stabilì che l'aristocrazia gallica potesse ricoprire le più alte cariche dello Stato, nominando molti senatori gallici. Diede la cittadinanza romana a molti abitanti delle province orientali di cultura greca Dotò Roma di una efficiente struttura burocratica centrale, a capo della quale mise persone a lui legate, di solito liberti.
Negli ultimi anni, a causa di cattive condizioni mentali, cadeva in confusione e per questo i liberti e le persone a lui vicine acquisirono sempre maggior potere. I liberti, in particolare, si arricchirono molto vendendo raccomandazioni all'imperatore per l'acquisizione di cariche amministrative. Famoso anche per i suoi 4 matrimoni, in particolare gli ultimi due: Messalina, sua terza moglie, tentò un complotto contro di lui per sostituirlo con un suo amante, ma scoperta fu uccisa. Agrippina invece, sua quarta moglie, tramò contro di lui per far salire al potere suo figlio Enobarbo, adottato da Claudio nel 50 con il nome di Nerone. 4 anni dopo Claudio morì, forse avvelenato dalla stessa Agrippina.
NERONE (54 – 68) Salì al potere a 17 anni Subì l'influsso della madre Agrippina, del prefetto del pretorio Burro e del filosofo Seneca. In particolare spinto da quest'ultimo, tentò di governare in accordo con il Senato In seguito, però, governò in modo sempre più autoritario e personale, fece uccidere la madre, ed emarginò sempre più Seneca, tanto che alla fine lo costrinse ad uccidersi insieme ad altri letterati dopo un tentativo di congiura organizzato dalla nobiltà.
Cercò di ottenere il favore della plebe organizzando con i soldi pubblici giochi e spettacoli ed emanando provvedimenti fiscali a vantaggio dei ceti popolari. Causò così il dissesto finanziario dell'impero Dopo l'incendio che devastò Roma nel 64 d. C. si impegnò per trovare una sistemazione ai senzatetto e nella distribuzione di viveri. Anche se si sparse la voce che fosse stato Nerone a far appiccare il fuoco alla città per avere la terra su cui edificare la Domus aurea
Incolpò i cristiani, seguaci di una nuova religione nata da poco in Palestina e che aveva iniziato a diffondersi anche a Roma. Essi seguivano modi di vita e principi diversissimi da quelli tradizionali romani, quindi erano guardati da tutti con sospetto. Molti furono mandati a morte.
Gli storici di parte senatoria ci hanno tramandato un ritratto molto negativo di Nerone (ma anche degli altri primi imperatori, colpevoli di aver cancellato la repubblica) e lo stesso hanno fatto gli storici cristiani, che videro in Nerone l'inizio delle persecuzioni contro la loro religione Nerone tentò di trasformare il principato in una monarchia assoluta simile a quelle ellenistiche e orientali, che vedevano il potere accentrato nelle mani del sovrano; tornò per esempio ad esigere il tributo di onori divini. Anche Silla e Pompeo avevano fatto lo stesso nelle province orientali, ma Roma e l'occidente non vedevano questo tentativo di buon occhio.
I senatori gli erano ostili e lo stesso valeva per molti generali e per le province orientali, soprattutto perché sotto di lui ricominciarono i processi per lesa maestà (atti contro la sicurezza dello Stato) e aumentò la pressione fiscale verso le province. Quando Nerone partì per un viaggio verso la Grecia, 66, i suoi avversari lo criticarono per il suo eccessivo avvicinamento alle province orientali. Ci furono ribellioni in Spagna e Gallia. Quando nel 68 Nerone tornò a Roma il Senato, appoggiato dai pretoriani, lo dichiarò nemico pubblico. Per non essere catturato, si fece uccidere da uno schiavo.
Fece costruire una gigantesca statua dedicata al Sole, che però aveva le sue fattezze e fece edificare la Domus aurea, cioè casa d'oro, uno splendido palazzo imperiale, sul territorio colpito dall'incendio del 64 d. C. Era formata da edifici e giardini, ma ce ne è rimasta solo una piccolissima parte, dato che circa trent'anni dopo la sua costruzione fu colpita da un nuovo incendio che la devastò.