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Dai diritti civili ad Obama
La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo - La lotta dei neri per la conquista dei diritti civili e politici – Martin Luther King – MalcolmX – Obama Presidente Silvia Lezzi
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La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo e La Costituzione Italiana
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La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è un documento, firmato a Parigi, il 10 dicembre 1948, la cui redazione fu promossa dalle Nazioni Unite, perché essa avesse applicazione in tutti gli Stati membri. Scritta all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, in un clima di distruzione totale e di massima povertà, essa riflette le aspirazioni dell’umanità verso un futuro di prosperità, di dignità e di coesistenza pacifica. “Si tratta di un documento storico molto importante, in quanto, per la prima volta nella storia, proclama a livello planetario il concetto di dignità umana. Per la prima volta, infatti, si afferma che ogni persona, in qualunque Paese del mondo, può pretendere che venga rispettato il suo diritto alla vita, alla libertà, alla manifestazione del pensiero, alla fede religiosa, alla libertà di riunione e di voto, al lavoro, all’educazione. Si tratta di una serie di principi etico-politici, volti ad imporre all’uomo - per sua natura biologica egocentrico, aggressivo e teso a sopraffare gli altri – l’obbligo morale di rispettare l’altro come persona, uguale in dignità” (A. Cassese, giurista e primo presidente del Tribunale per l’ Ex Jugoslavia).
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La Dichiarazione è composta da un preambolo e da 30 articoli, che sanciscono i diritti individuali, civili, politici, economici, sociali, culturali di ogni persona. I diritti dell'uomo vanno, quindi, suddivisi in due grandi aree: I diritti civili e politici I diritti economici, sociali e culturali. Un breve riassunto dei 30 articoli che compongono la Dichiarazione: Tutti gli uomini sono liberi ed eguali No alle discriminazioni Diritto alla vita, alla libertà, alla sicurezza Condanna della schiavitù Nessuna tortura Riconoscimento di tali diritti in ogni luogo Uguaglianza di fronte alla legge Diritto di ricorso alla legge Nessuna detenzione ingiusta Diritto ad un equo giudizio
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11. Innocenza fino a prova di colpevolezza
12. Diritto alla privacy 13. Diritto di libertà di movimento 14. Diritto di asilo 15. Diritto alla cittadinanza 16. Diritto di matrimonio e famiglia 17. Diritto di proprietà 18. Libertà di pensiero 19. Libertà di opinione ed espressione 20. Diritto di riunione e associazione 21. Diritto di partecipazione politica 22. Sicurezza sociale 23. Diritto al lavoro 24. Diritto al riposo e allo svago (ferie) 25. Diritto al benessere (cure mediche,alimentazione, vestiario,maternità e infanzia) 26. Diritto all'istruzione 27. Diritti d'autore 28. Diritto a un ordine sociale che permetta la realizzaz. di tali diritti
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29. Responsabilità nei confronti della propria comunità
30. Nulla o nessuno può distruggere diritti e libertà ivi enunciati Anche La Costituzione Italiana si impegna a tutelare e garantire molti dei punti precedentemente elencati, fra i quali: L’uguaglianza dei cittadini nella piena realizzazione di sé stessi e dinanzi alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali (art. 3) La libertà personale (art. 13) La libertà di domicilio (art. 14) La libertà e la segretezza delle comunicazioni (art. 15) La libertà di circolazione e soggiorno (art. 16) La libertà di riunione e di associazione (artt. 17;18)
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La libertà di manifestazione del pensiero (art. 21)
La salute (art. 32) La cultura e l’istruzione (artt. 9;33) Il lavoro (art. 35) I sindacati (art. 39) Lo sciopero (art. 40)
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La lotta dei neri per la conquista dei diritti civili e politici (1954-1968)
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Prima di affrontare il discorso sulla lotta
dei neri per la conquista dei diritti civili, è necessario sottolineare che le discriminazioni, cui essi furono sottoposti nel corso della storia, affondano le proprie radici nello schiavismo, vale a dire, nella tratta dei neri d’Africa, perpetrata dagli Stati Europei e d’America per tutta l’epoca del colonialismo, fino all’abolizione del fenomeno, da datarsi intorno alla metà del XIX secolo. L'abolizione della schiavitù è stato un processo secolare. Oggi essa è una condizione formalmente illegale, anche in seguito all'adozione, presso le Nazioni Unite, della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, peraltro non completamente applicata in ogni nazione. (“Possiamo onorare degnamente la Dichiarazione solo quando i principi che essa ci ispira sono completamente applicati a tutti e in ogni dove” - Ban Ki-moon , Segretario Generale NU)
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Nel comporre il quadro delle forze spirituali che maggiormente contribuirono
a determinare la cultura della coesistenza pacifica, un peso fondamentale ebbero i valori del messaggio politico lanciato al mondo dal giovane presidente americano democratico John Fitzgerald Kennedy, eletto nel 1961. Richiamandosi esplicitamente alla grande lezione di Roosevelt in politica interna, Kennedy varò un vasto piano di assistenza sociale per sostenere i lavoratori e i ceti più disagiati e, allo stesso tempo, si impegnò in una nuova politica di integrazione dei neri, estendendone i diritti civili e abolendo le forme più pesanti di segregazione razziale (ghetti). Fu questo l’impulso forse più ricco di sviluppi della presidenza kennediana. Fino ad allora, i neri non godevano neanche dei diritti civili elementari e sopportavano condizioni di vita e di lavoro a dir poco umilianti.
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Nel primo periodo, la lotta dei neri fu condotta da una minoranza della
popolazione. Tuttavia, già nel 1959 (presidenza Eisenhower, 1952 – 1960), l’abolizione della segregazione razziale nelle scuole, decisa dalla Corte Suprema, aveva fatto salire le tensioni, soprattutto negli stati del sud, dove più forti erano le resistenze della popolazione bianca. In quegli stati erano più forti e radicate le convinzioni razziste da parte dei bianchi, tanto che tornò alla ribalta il famigerato Ku Klux Klan, macchiandosi di nuove spietate violenze. Nel 1960, nacquero fra i giovani di colore le prime organizzazioni studentesche non violente, che praticavano forme di protesta come il sit-in, poi divenute tipiche della contestazione giovanile.
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Studenti bianchi di molte università del nord si mobilitarono per
sostenere le lotte dei giovani di colore, organizzando “marce al sud”, con l’intenzione di proteggere e garantire l’esercizio dei diritti civili e politici della popolazione nera, contrastato invece dalla minoranza razzista anche con l’uso della violenza. L’acuirsi della questione razziale sancì il punto dolente del triennio kennediano. Infatti, l’agitazione di pochi all’epoca di Eisenhower (le rivendicazioni ebbero inizio nel 1954) divenne movimento di massa per la conquista dell’uguaglianza dei diritti durante l’amministrazione Kennedy. Molto famosa per la sua intensità e per il carico di violenza contro la popolazione nera fu la manifestazione di Birmingham del 1963. Di seguito, materiale fotografico sulla manifestazione.
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Pompe d’acqua ad alta pressione furono usate contro i
giovani manifestanti.
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Dimostranti in preghiera prima di essere arrestati.
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Cani- poliziotto attaccano i manifestanti non- violenti.
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Migliaia di uomini, donne, ragazzi, ragazze e bambini furono arrestati per
aver violato le leggi segregazioniste di Birmingham.
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Con le carceri piene, gli studenti che avevano partecipato alle dimostrazioni
furono rinchiusi in edifici di periferia.
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La testimonianza di Dannela Bryant, da “Civil Rights Movement: A Photographic
History” : “Ero molto, molto coinvolta. In quel momento non compresi quanto la situazione fosse pericolosa. L’unica cosa cui pensassi era che volevo la mia libertà, volevo poter andare ovunque desiderassi, come chiunque altro facesse.
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La copertina del libro sopra citato.
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Nell’estremo Sud il KKK operò col supporto esplicito di polizia e politici.
I genitori portarono i propri figli ai raduni del clan, per trasmettere alle nuove generazioni la lezione sull’odio e l’intolleranza.
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Rito
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Il KKK era stato fondato da ex militari dell'esercito degli Stati Confederati
d'America nel In seguito, ad esso si aggiunsero slavi, italiani, Irlandesi con la convinzione della supremazia della razza bianca su quella nera.
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Alle dimostrazioni sempre più numerose contro le discriminazioni si
opposero brutali interventi polizieschi, di singoli e di società segregazioniste, con episodi di violenza che indussero Kennedy, nel 1963, a presentare al Congresso una legge molto complessa per garantire il diritto di voto ai neri e assicurare ad essi la parità coi bianchi nei servizi pubblici e privati. Ma fu proprio in un’atmosfera di violenza creata dai razzisti più intransigenti che maturò l’assassinio di Kennedy, avvenuto a Dallas, nel Texas, il 22 novembre 1963, in circostanze non del tutto chiarite. In questo contesto, operò uno dei personaggi più emblematici delle rivendicazioni dei neri: MARTIN LUTHER KING.
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Martin Luther King (1929 – 1968)
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Gli antenati di M. L. King erano stati catturati con violenza inaudita
dai negrieri e portati dall'Africa in catene sul continente americano per esservi venduti nei mercati ai migliori offerenti. Milioni di neri, uomini e donne, venivano strappati alla loro terra e fatti schiavi per lavorare, fino allo stremo delle loro forze, nelle piantagioni di cotone. «Lavorare dall'alba al tramonto per un anno intero incatenato alla terra dai conti da pagare al magazzino della piantagione, scacciare questi pensieri con cattivo gin, dimenticare nell'estasi del canto e della preghiera... piangere, maledire se stesso per la propria viltà, essere lo zimbello dei giudici e dei poliziotti, finire col credere alla propria indegnità... e infine cedere, inchinarsi, strisciare, sorridere e odiare se stesso per il proprio servilismo e la propria debolezza».
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Questo era il tormento del nonno paterno di Martin Luther King,
James Albert, e di tutti i neri; esso era l'incubo che assillava i loro bambini, in casa e negli edifici fatiscenti della scuola, dove gli studenti di colore ricevevano un'istruzione di molto inferiore a quella dei bianchi. Nelle strade e nelle piazze delle città, si vedevano dappertutto cartelli con la scritta “solo per bianchi” e la vita dei neri si consumava, per lo più, nei ghetti sudici e sovrappopolati, privi di strutture e di servizi appena decenti. Qui Martin Luther King nacque, visse e cominciò a lottare fin dalla sua fanciullezza.
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Fin dall'infanzia, Martin Luther King dovette subire i traumi dei
bambini che scoprivano di essere diversi e discriminati in una società razzista. Aveva cinque anni, quando la madre dei suoi compagni bianchi proibì loro di giocare col piccolo Martin, perché “negro”. A otto anni, apprese dal padre, con dolore, la tragica fine della sua prediletta cantante Bessie Smith, celebre interprete di spirituals, canti di fede e di speranza degli schiavi delle piantagioni del Sud: ferita in uno scontro automobilistico, morì dissanguata perché rifiutata dagli ospedali per bianchi di Atlanta. Ancora impreparato a reagire, queste ed altre esperienze amare gli rimasero scolpite per sempre nell'animo.
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Era un periodo di rivolgimenti storici profondi e di portata
mondiale, come la II Guerra Mondiale, nella quale gli Stati Uniti entrarono il 17 dicembre 1941, e la conquista dell'indipendenza delle colonie europee in Africa, Asia e America. Martin Luther King fu affascinato dalla figura di Gandhi, dal quale apprese i principi della lotta non-violenta. Nel 1953 si laureò in filosofia a Boston e nel 1954 si trasferì, con la moglie Coretta Scott, a Montgomery, Alabama, per svolgervi il ministero di pastore della chiesa battista.
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La scintilla che diede inizio al Movimento per i Diritti Civili scoccò a
Montgomery, apparentemente, per un banale incidente. Sugli autobus della città le prime tre file di posti erano riservate ai bianchi, le altre potevano essere occupate da neri, solo in assenza di bianchi in piedi. Il pomeriggio del 10 dicembre 1955, un'impiegata nera, Rosa Parks, seduta dietro i posti riservati ai bianchi, rifiutò di alzarsi e cedere il posto, quando salirono alcuni viaggiatori bianchi: venne arrestata e portata in carcere. La notizia si diffuse rapidamente, gli esponenti e i pastori della comunità nera s'incontrarono e decisero subito di boicottare i mezzi pubblici di trasporto: proposero ai neri di non prendere più l'autobus e di recarsi al lavoro a piedi o con altro mezzo. L'esito apparve incerto, perché altre volte simili iniziative non avevano avuto successo.
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Intanto, Martin Luther King fu votato all'unanimità capo del
movimento. La mattina del 5 dicembre, tutti i neri andarono a lavorare a piedi, a dorso di mulo, su carri. Il boicottaggio fu totale fino al dicembre dell'anno successivo. 382 giorni durò la lotta tutt’ altro che facile e il movimento ottenne la sua prima vittoria: l'abolizione della segregazione sui mezzi pubblici di trasporto.
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Le reazioni dei bianchi furono violente.
La compagnia degli autobus aveva perso 40 milioni di dollari. Martin Luther King divenne il bersaglio di minacce d'ogni genere e venne arrestato. Il 30 giugno, mentre si trovava fuori fra la sua gente, un attentato dinamitardo gli distrusse la casa; la moglie e la figlia Yoki erano dentro, ma restarono fortunatamente illese. Martin Luther King era, ormai, il simbolo della «rivoluzione nera». Egli partecipò a manifestazioni di massa e a raduni, e venne spesso arrestato.
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Il movimento si estese ben presto a tutti gli Stati Uniti.
Il pellegrinaggio di preghiera a Washington del 17 maggio 1957 per il pieno diritto di voto ai neri fu una delle manifestazioni più importanti. Martin Luther King riuscì a convogliare le forze disgregate dei neri nella lotta non violenta, ma aveva anche oppositori che propugnavano il ricorso alla violenza contro il razzismo bianco (Black Panthers).
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Mentre si moltiplicavano i sit-in nei locali pubblici per bianchi e i
“viaggi della libertà” di bianchi e neri insieme in autobus attraverso gli Stati Uniti, Martin Luther King rispose ai detrattori: “Non possiamo in coscienza obbedire alle vostre leggi inique, perché la non cooperazione col male è un obbligo morale non meno della cooperazione col bene […] Mandate a mezzanotte i vostri sicari incappucciati nelle nostre case, pestateci e lasciateci quasi morti, e noi vi ameremo ancora. Ma siate certi che vinceremo con la nostra capacità di soffrire. Un giorno conquisteremo la libertà, non per noi stessi solo [...] e la nostra vittoria sarà anche vostra”.
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Nel 1963, centenario del proclama di Lincoln per l'affrancamento
degli schiavi, la battaglia non violenta dilagò in più di 800 città. La polizia si scagliò con ferocia sui dimostranti che cantavano “We shall overcome”. Sotto la pressione dell'opinione pubblica inorridita, il Governo dichiarò illegale la segregazione nei negozi e nei luoghi pubblici e decretò l'assunzione al lavoro per bianchi e neri su basi egualitarie.
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Arrestato, Martin Luther King
scrisse in cella d'isolamento una lettera rimasta famosa: “E’ facile dire: "aspettate". Ma quando avete visto una plebaglia inferocita linciare a volontà le vostre madri e i vostri padri [...] e i poliziotti pieni d'odio maledetto colpire e perfino uccidere impunemente i vostri fratelli e le vostre sorelle [...] Quando sentite la vostra lingua torcersi se cercate di spiegare alla vostra bambina di sei anni perché non può andare al luna- park, e vedete spuntarle le lacrime quando sente che è chiuso ai bambini neri [... ] Quando vi perseguita notte e giorno il fatto di essere nero, non sapendo mai che cosa vi può accadere; allora voi comprendete perché per noi è tanto difficile aspettare”.
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Il 28 agosto 1963 arrivò a Washington la marcia dei 250 mila per
chiedere l'approvazione della legge sulla parità dei diritti civili per bianchi e neri. Le telecamere di tutto il mondo erano puntate sulla marea di bianchi e di neri che cantavano e pregavano intorno al monumento a Lincoln, e ripresero quello che è stato definito il discorso profetico di Martin Luther King: “I HAVE A DREAM”.
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M. L. King pronuncia il suo discorso in occasione della marcia della pace
A Washington.
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M. L. King durante una marcia (in prima fila).
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17 giorni dopo la marcia su Washington, il KKK colpì ancora. Una bomba
venne fatta esplodere nella Chiesa Battista più frequentata di Birmingham, quella più vicina al movimento per i diritti civili, provocando la morte di quattro bambine e il ferimento o, addirittura, la menomazione di molti altri. Tra gli esecutori, anche due adolescenti bianchi dell’età di 13 anni.
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Le vittime : Addie Mae Collins (14) Cynthia Wesley (14) Carole Robertson (14) Denise McNair (11)
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Il successore di Kennedy, Johnson, ruppe con le esitazioni del passato.
Nel 1964, il presidente firmò il Civil Rights Act, che : Vietava le pratiche segregazioniste nei luoghi pubblici e nelle scuole; Per la prima volta, attribuiva agli organi federali efficaci poteri repressivi nei confronti dei trasgressori. Nello stesso anno il XXIV emendamento alla costituzione abolì ogni tassa d’iscrizione alle liste elettorali. La marcia pacifista e la figura di Martin Luther King ebbero risonanza in tutto il mondo. Le sue predicazioni e i suoi scritti vennero tradotti e letti in molti Paesi, tra cui l’ Italia.
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Il 14 ottobre 1964, M. L. King ricevette il premio Nobel per la pace
per aver fermamente e continuamente sostenuto il principio della non-violenza nella lotta razziale nel suo Paese.
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Nel 1965, Johnson fece approvare il Voting Right Act :
- Pur lasciando l’iscrizione alle liste elettorali all’iniziativa individuale, aggirava ogni restrizione escogitata dagli stati del Sud. - Come primo esempio di affirmative action (intervento positivo del governo a favore di un gruppo discriminato) la legge affidava direttamente a organi federali l’iscrizione degli elettori neri nelle contee dove partecipava alle elezioni presidenziali meno del 50% degli aventi diritto. La popolazione nera del Nord restava esposta alla disoccupazione prodotta dall’evoluzione tecnologica, che colpiva i gruppi sociali meno qualificati. Johnson organizzò stanziamenti notevoli ai piani di riaddestramento professionale.
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Fra il 1965 e il 1968, cicli di rivolte scossero i ghetti neri delle
grandi città: Los Angeles, Detroit, Harlem, Chicago, Cleveland, Washington. Spesso, esse diventarono delle vere e proprie battaglie, tanto da provocare l’intervento dell’esercito. Il 4 aprile 1968, M. L. King era con altri leader neri in una stanza dell'Hotel Lorraine a Memphis. Nel mirino dell'FBI, che cercava prove di ogni tipo (come connivenze con i marxisti) per metterlo in difficoltà, King fu assassinato a colpi d'arma da fuoco, su un balcone dell’hotel.
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Quel triste evento, indebolì l’ideale, il “sogno” di M. L. King, di
una collaborazione fra neri e bianchi. I giovani neri del Nord guardavano con favore ai nuovi movimenti, che si differenziavano ideologicamente e strategicamente da quello di M. L. King. Da ricordare il Black Power e il partito delle Black Panthers, che: Fecero propria la dottrina della rivoluzione armata Inserirono le battaglie dei neri americani nel contesto di un’unica grande guerra rivoluzionaria contro l’imperialismo in atto dall’America Latina all’Asia Sudorientale. In questo modo, il movimento nero andò a convergere con l’opposizione all’impegno militare nel Vietnam.
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Malcolm X ( )
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Tuttavia, già in precedenza, il gruppo radicale dei Black Muslims,
capeggiato da Malcolm X, aveva affermato la superiorità razziale dei neri, aveva proposto una propria variante dell’islamismo e aveva indicato il cristianesimo come una delle forme di asservimento mentale della popolazione nera. Malcolm X, pseudonimo di Malcolm Little (cognome assegnatogli dai padroni presso cui lavoravano i suoi genitori; in seguito, lo sostituì con la X, per rifiutare l’asservimento cui era stato sottoposto), aderì, inizialmente, al primo movimento dei musulmani neri, il quale aveva tra i suoi obiettivi politici quello di ottenere uno Stato per i Neri all’interno della Confederazione del Sud.
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In seguito, Malcolm X passò da posizioni di non violenza a
posizioni rivoluzionarie, miranti ad ottenere, attraverso una lotta armata, non i diritti civili, ma i diritti umani per gli afro-americani, considerando questa lotta come un momento della lotta dei popoli del Terzo Mondo oppressi dal colonialismo e dal neocolonialismo. Il radicalizzarsi del pensiero di Malcolm X provocò una rottura col Movimento e la fondazione dell’Organizzazione dell’unità afro- americana. Dal 1964, fece alcuni viaggi in Europa, Medio Oriente e Africa, per incontrare i governi non allineati, ed ebbe l'occasione per esprimere le sue idee, fra cui: 1 - una più stretta intesa con gruppi antisegregazionisti operanti nel Sud e nel resto del paese; 2 - il tentativo, sempre più sentito, di internazionalizzare il problema dei neri, cercando intese con paesi arabi, soprattutto africani, ed ex-colonie, per creare un fronte e un'azione comuni.
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Durante la visita al Cairo fu oggetto di un tentativo di
avvelenamento. Al suo rientro a New York, il 14 febbraio 1965, un attentato dinamitardo gli incendiò la casa, da cui si salvò con moglie e figlie. Il 21 febbraio avrebbe dovuto tenere una conferenza a New York. Aveva chiesto di tener lontani tutti i giornalisti e di non perquisire nessuno. Non fece neppure in tempo a iniziare il discorso, che tre uomini, seduti in prima fila, iniziarono a sparargli contro con fucili e pistole. Fu colpito da 16 proiettili di cui tre mortali.
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Dopo tanti anni di rivolta e, nonostante le intimidazioni dei bianchi
contro la popolazione nera continuassero, il razzismo di stato era destinato ad estinguersi. Già negli Anni Settanta, la stessa parola “nigger”, tarata di disprezzo razzista, sarebbe stata usata da non pochi bianchi con crescente imbarazzo o del tutto cancellata dal vocabolario, per essere sostituita da “black” o da “afro- americano”.
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Barack Obama
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“Yes We Can” è il motto che ha accompagnato tutta la campagna elettorale di Obama. Fu coniato nel 1972 da Cesar Chavez, sindacalista e leader dei diritti civili, durante le lotte per il salario dei braccianti agricoli. I più famosi cantanti di oggi hanno trasposto le parole di Obama in musica e “Yes We Can” è divenuto anche il titolo della canzone.
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Percorso. Il 4 novembre 2008 negli USA è l’ election day.
Una data molto sentita da milioni di sostenitori del candidato alla presidenza Barack Obama. A Chicago, i cancelli del Grant Park vengono aperti in anticipo: nell’aria c’è ottimismo, ma, allo stesso tempo, anche tanta ansia, voglia di sapere come andrà a finire. Se sarà possibile realizzare il sogno di un uomo di colore alla Casa Bianca, o se rimarrà solo un’allucinazione. Il palco montato nel prato, su cui Obama affronterà il discorso, sullo sfondo delle luci dei grattacieli, lascia comprendere che, anche per i servizi segreti, il candidato non è più semplicemente tale: due grandi vetrate antiproiettili proteggono il podio che Obama dovrà raggiungere in seguito.
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Durante il suo lungo percorso, Obama ha costruito una coalizione
grande, fatta di anziani che si preoccupano del futuro dei propri nipoti, ragazzi delle università, latinos, afroamericani che non andavano mai ai seggi, padri distrutti dalla crisi del lavoro, intellettuali dell’informatica, mamme che fanno fatica a portare avanti la propria famiglia, membri di una classe media che chiede di non perdere la casa e di poter tornare a sperare. Nelle file lunghissime ai seggi si trova chi non è mai andato a votare e che lo fa ora, per Obama. Perché crede in un cambiamento e vuole esserne parte. Ore dopo le chiusure dei seggi, arriva la notizia fatale per McCain: l’ Ohio, lo stato che nessun candidato repubblicano nella storia ha mai perso senza perdere anche la Casa Bianca, è andato ad Obama, che ha dimostrato una forza imponente, conservando tutti gli stati democratici della costa atlantica, strappando l’Ohio alla destra e respingendo il rischio di perdere la Pennsylvania, attraverso la campagna della Clinton.
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E’ una giornata vissuta da molti col cuore in gola e con i piedi
doloranti, trascinati nelle file per poter votare, di almeno 130 milioni che avevano voluto soffrire, per poter dire ai figli e ai nipoti “io c’ero”. Il testa a testa in Indiana, la terra dei contadini bianchi, in cui il KKK spadroneggiava, è già un gran segno e alimenta ancora di più le speranze. Sono state ventiquattr’ ore, quelle dalla mattina dell’ election day al verdetto finale, vissute negli Stati Uniti e da milioni oltre gli oceani non come un’elezione, ma come un’emozione, anzi, con la commozione di vedere una democrazia ritrovata. Tutti ricorderanno quel giorno, soprattutto quegli elettori afroamericani che hanno votato per dare corpo a qualcosa che i loro padri neppure avevano osato sognare oltre la retorica di M. L. King.
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Il 31 dicembre 1864, tutte le chiese nere d’America avevano aperto le
porte ai fedeli per una serata di preghiera: aspettavano quel primo gennaio 1865, quando sarebbe entrata in vigore la legge voluta da Abramo Lincoln che proclamava l’emancipazione degli schiavi. Anche la sera dell’election day molti luoghi di culto hanno rispettato la tradizione. La Ebenezer Baptist Church di Atlanta ha accompagnato con le preghiere i risultati del voto. Questo luogo è il più simbolico: da quel pulpito, negli Anni ’60, predicava il reverendo M. L. King e qui egli stesso è sepolto. L’uomo senza il quale tutto ciò non sarebbe stato possibile. Quella sera, i suoi tre figli hanno organizzato una funzione in memoria del padre dei diritti civili, nella speranza di vederne realizzato il Sogno.
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Perché, al di la della vittoria o della sconfitta, questo per i neri è un
momento storico. Il solo fatto che Obama sia arrivato a quel punto costituisce un evento incredibile. Tra i suoi sostenitori: Nelson Mandela, John Lewis (l’ultimo degli stretti collaboratori di King), Ted Kennedy (fratello minore di John e Bob Kennedy), Caroline Kennedy (figlia di John Kennedy, ha dichiarato che Obama le ricorda suo padre) Poi, finalmente, la notizia: è fatta, Obama ha vinto! Prima di uscire a salutare la folla in lacrime, Obama aspetta che McCain gli conceda la vittoria.
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Il saluto alla folla festeggiante del Grant Park, dopo la notizia della
vittoria
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Il Kenya, terra d’origine della famiglia paterna di Obama, che ha seguito l’election
day con megaschermi nelle piazze, festeggia dopo la notizia della vittoria
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Immagini del discorso
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Il discorso “Se ancora c’è qualcuno che dubita che l’America non sia un luogo nel quale tutto è possibile, che ancora si chiede se il sogno dei nostri padri fondatori è tuttora vivo in questa nostra epoca, che ancora mette in dubbio il potere della nostra democrazia, questa notte ha avuto le risposte che cercava. […] Questa vittoria va ai milioni di americani che si sono adoperati come volontari e hanno dimostrato che un governo del popolo, fatto dal popolo e per il popolo non è sparito dalla faccia di questa terra.”
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Copertine
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Approfondimenti. Nessun uom0 politico ha mai raccolto in Europa più consensi di Barack Obama. Le più importanti nazioni europee hanno accolto la vittoria di Obama non solo come segno di cambiamento, ma come una svolta dai pregiudizi di sempre. E’ sorprendente la quantità di elettori del Vecchio Continente che, se ne avessero avuta la possibilità, avrebbero votato per Obama. Si tratta di elettori di destra e di sinistra, per la prima volta uniti in un consenso impressionante e che fa ragionare. Il caso della Francia, ritenuta per tradizione antiamericana, ne è un esempio (l’84% dei cittadini è a favore di Obama). Avrebbe votato per Obama l’82% dei tedeschi, il 74% degli inglesi, il 72% degli spagnoli. Nella Corea del Sud, in Giappone, in Australia, in Indonesia e, addirittura, nei Paesi Arabi i consensi sono notevoli. Per questo, Obama rappresenta una novità da più punti di vista: quello dei consensi, quello razziale, quello politico.
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I viaggi di Obama A Parigi con Sarkozy
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Londra - A Downing Street incontra Gordon Brown
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A Berlino, vicino la Colonna della Vittoria
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Proprio a Berlino, Obama ha pronunciato questo discorso:
“Dobbiamo abbattere tutti i muri che ancora dividono i popoli e le razze : quelli fra Paesi ricchi e poveri, tra nativi e immigrati, tra cristiani, musulmani ed ebrei. Non possiamo permetterci di essere divisi. Nessuna nazione può affrontare le sfide del futuro da sola.[…]Non vi parlo da candidato americano, ma da cittadino degli Stati Uniti e del mondo. Non assomiglio agli americani che hanno parlato qui prima di me, la mia storia personale è diversa: mia madre veniva dall’America profonda del Kansas, mio padre lasciò il Kenya e viaggiò verso Ovest per cercare libertà e opportunità e scommettere su un mondo migliore. Ho scelto Berlino perché questa città, più di tutte le altre, conosce il significato della libertà”.
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La questione razziale. Negli USA, il razzismo rimane, purtroppo, un problema ancora vivo e attuale. Allarmato dal ritorno della questione razziale nella campagna elettorale, che stava facendogli perdere parte dell’elettorato bianco, Obama ha esternato uno dei discorsi più importanti del suo percorso. Ha chiesto di non nascondere tale problema, ma di affrontarlo per costruire un Paese unito. “Ho fratelli, sorelle, nipoti, zii e cugini di ogni razza e colore, sparpagliati su tre continenti. E’ una storia che ha fatto entrare nel mio Dna l’idea che l’America è più che la somma delle sue parti, che, da molti, siamo davvero uno. […] Occorre guardare in faccia la realtà e riconoscere che i problemi razziali esistono. […] Bisogna lavorare per poter creare quel Paese in cui tutti gli uomini sono uguali, di cui parlava la Dichiarazione d’Indipendenza firmata 221 anni fa. […] Non sono così ingenuo da pensare che un presidente possa risolvere secoli di tensioni. Ma il senso della mia candidatura è quello di continuare il cammino delle generazioni precedenti. Non saremo mai perfetti, ma siamo perfettibili”.
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La grave attualità del problema è testimoniata da una tentata strage,
organizzata in Tennessee da due neonazi bianchi e sventata dalla sicurezza nazionale americana. I due visionari avevano progettato di svaligiare un’armeria e dotarsi di un arsenale per massacrare Obama e fare strage di ragazze e ragazzi neri in una scuola del Tennessee. Un programma spaventoso, in una nazione dove l’assassinio politico ha segnato la storia dei grandi e rivoluzionari movimenti civili : da Abramo Lincoln, ucciso perché aveva fatto affrancare gli schiavi, a Martin Luther King, ucciso per il suo Sogno.
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20 gennaio 2009 – Obama Day (Giuramento e Insediamento)
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Canta l’inno.
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Conclusione. Al di là delle paure, della crisi economica e dei problemi internazionali e con la consapevolezza che nessuno possa far effettivamente miracoli, l’elezione di Obama resta, in ogni caso, un evento storico. Quello che è successo oggi è, sicuramente, una conseguenza della lotta condotta da Martin Luther King: può essere considerata la vittoria del suo credo, della sua volontà di ottenere con metodi pacifici, diritti civili per gli afroamericani. L’elezione di Obama è la prova che il celebre Sogno può essere realizzato. La lunga marcia per uscire dai ghetti della Virginia del Nord, iniziata decenni fa, finisce, dopo 40 anni, a Washington D.C.
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Ma non solo: la vittoria del senatore Barack potrebbe rappresentare
il simbolo di una società americana maturata. Per i neri americani è la conferma che la lotta pacifica per i propri diritti ha raggiunto il proprio obiettivo. Essa deve, inoltre, costituire un messaggio per tutte le società moderne. Soprattutto in giorni, come questi, in cui si arranca affrontando la questione degli stranieri. Come già sottolineato, il pericolo di uno scontro razziale non è sfatato. In alcuni settori della società americana, le tensioni provocate dall’elezione di Obama possono essere profonde. Per molti bianchi, vedere un nero alla Casa Bianca è inaccettabile.
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Basta pensare al fatto che, dopo i recenti arresti di membri di gruppi
razzisti, sono stati triplicati gli uomini dei servizi segreti, dediti alla sicurezza del neo- presidente.
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Commento personale. (Silvia Lezzi)
Sarebbe, tuttavia, un peccato lasciarsi travolgere dalle ansie, dalle paure. Le aspettative sono tante, è vero. E al neo- presidente eletto spetta un carico di lavoro e di responsabilità non indifferente. Nel contesto di un indagine storica sulle lotte e le sofferenze della popolazione nera per la conquista di diritti, che nessuno avrebbe dovuto negare ai propri simili, differenti solo per colore, non si può far di meglio che gioire per una svolta storica significativa: la rivalsa di una minoranza, dopo decenni di torture, umiliazioni, sfruttamenti e gratuita crudeltà. Gioire per quanti avrebbero desiderato esserci, ma sono divenute le vittime e i simboli di un movimento per ottenere qualcosa che tutti gli esseri umani, indistintamente, dovrebbero vedersi riconosciuto sin dalla propria venuta al mondo.
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Con la convinzione sacrosanta che non esistono vite di serie A e
di serie B, ma semplicemente VITE: uguali, con i medesimi diritti e doveri, con la medesima facoltà di realizzarsi secondo la propria vocazione, ma, soprattutto, con la medesima necessità di poter affermare che “libertà” non è solo un sostantivo, ma una condizione di cui nessun proprio pari può privarle. C’è chi afferma che si tratti di mera utopia, chi spera che, un giorno, si possa concretamente realizzare un mondo che garantisca ad ognuno la possibilità di effettuare una scalata sociale, senza che alcuna strada venga preclusa in base alla razza o al colore. Si è ancora lontani da tutto ciò. Questo è evidente. Ma un passo in avanti è stato fatto e le acque sono state smosse. Silvia Lezzi
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