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ANNIVERSARIO DELL’UNITÀ D’ITALIA

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Presentazione sul tema: "ANNIVERSARIO DELL’UNITÀ D’ITALIA"— Transcript della presentazione:

1 ANNIVERSARIO DELL’UNITÀ D’ITALIA
1 5 ANNIVERSARIO DELL’UNITÀ D’ITALIA

2 Le figure maschili più influenti dal risorgimento ai nostri giorni

3 Risorgimento italiano
L’Italia liberale L’Italia nella 1° guerra mondiale L’Italia nella 2° guerra mondiale Il ventennio fascista L’Italia repubblicana

4 RISORGIMENTO ITALIANO
Con il termine “Risorgimento” la storiografia si riferisce al periodo della storia d'Italia durante il quale la nazione italiana conseguì la propria unità nazionale, riunendo in un solo nuovo Regno gli stati preunitari. Ma se uno Stato italiano non era mai esistito, una nazione italiana si era formata nel corso dei secoli, a partire dal Medioevo. Nel senso che si era sviluppata un’identità culturale italiana (linguistica e religiosa) e la consapevolezza di un comune interesse economico. Vittorio Alfieri ( ) fu il primo scrittore che diede inizio a quel filone letterario e politico risorgimentale sviluppatosi nei primi decenni del XIX secolo, che intendeva proporre, attraverso le sue opere, il passaggio da ideali letterari a politici. Il Risorgimento viene compreso da taluni storici fra il proclama di Rimini (1815) e la breccia di Porta Pia, da parte dell'esercito italiano (20 settembre 1870), mentre da altri, fra i primi moti costituzionali del e la proclamazione del Regno d'Italia (1861). Questo periodo fu un susseguirsi di grandi proteste e scontri, tra cui i famosi moti del 1848, i quali portarono alla mutazione continua dei confini degli stati presenti nella penisola italica fino al riconoscimento dell’Unità, avvenuto il 17 marzo 1861. Tra i sostenitori di questo ideale si vennero a creare due correnti di pensiero: la prima, definita moderata, sosteneva il raggiungimento dell’unificazione nazionale tramite il coinvolgimento dei sovrani, mentre la seconda, detta democratica, puntava alla nascita di uno Stato di tipo repubblicano, con la sola forza del popolo. Personaggi I Moderati I Democratici Mappa

5 I MODERATI Cesare Balbo Giuseppe Mazzini Vincenzo Gioberti
Massimo D’Azeglio

6 I DEMOCRATICI Giuseppe Garibaldi Camillo Benso Conte di Cavour Carlo
Cattaneo

7 Cesare Balbo Cesare Balbo (Torino, 21 novembre 1789 – Torino, 3 giugno 1853) fu uomo politico, storico e letterato. Risentì, nella sua formazione mentale e morale, delle tendenze dell'epoca napoleonica. Tornato a Torino da Firenze con alcuni amici fondò, nel 1804, l'Accademia dei Concordi, nella quale, coltivando gli studi, cresceva anche l'amore per la patria. La caduta di Napoleone allontanò, per vari anni, Balbo dalla vita politica e nel 1817 seguì il padre in Spagna. E' proprio in questo periodo che, attraverso gli studi storici, si forma il suo ideale politico: l'Italia liberata dal dominio austriaco per opera di casa Savoia. Nel si unì al gruppo dei liberali che frequentavano Carlo Alberto, presso il quale Balbo fu moderatore: se questo lo incitò all'indipendenza della patria, dall'altra parte lo esortò a non garantire la costituzione senza il consenso del re. Nel 1844 pubblicò a Parigi l'opera "Le speranze d'Italia" all'interno della quale oltre a criticare il programma di Gioberti, illustra le proprie tesi. Gioberti aveva segnato senz'altro un passo avanti nella preparazione dell'opinione pubblica al compimento dell'unificazione: esso però non chiariva a sufficienza quale parte avrebbe avuto l'Austria nella nuova confederazione. Le possibilità erano due: o l'Austria vi sarebbe entrata, e in tal caso avrebbe preteso il primo posto e rafforzato così il suo predominio in Italia; oppure ne sarebbe stata esclusa, ma allora, insieme all'Austria, sarebbero rimaste fuori dalla confederazione importanti regioni: quali la Lombardia e le Venezie. Il ragionamento formulato da Balbo era giusto e coglieva uno dei punti deboli del programma d’unificazione: un'operazione così importante e complessa non poteva infatti compiersi senza l'indipendenza del Lombardo-Veneto. Anche Balbo, dunque, mirava alla realizzazione di una federazione nell'ambito della quale doveva essere riservata al papato una funzione moderatrice e al Piemonte un compito predominante.

8 Giuseppe Mazzini Giuseppe Mazzini (Genova, 22 giugno 1805 – Pisa, 10 marzo 1872) è considerato un politico e filosofo molto importante nella storia italiana in quanto con le sue idee ha contribuito alla nascita di uno stato unitario. Per questo si parla di Mazzini come di uno dei padri della patria. All'età di 14 abbandonato presto gli studi medici per iscriversi a Legge. Dopo i moti del 1821, Mazzini ha iniziato a sviluppare l'idea che era necessario lottare per la libertà della patria. Nel 1826 ha scritto il saggio letterario "Dell'amor patrio di Dante", che è stato pubblicato nel Il 6 aprile 1827 si è laureato in Diritto civile e diritto canonico ed è diventato membro della Carboneria. A causa della sua attività rivoluzionaria è dovuto fuggire in Francia, dove ha dato vita, nel 1831, alla Giovine Italia, associazione politica che aveva come obiettivo quello di riunire gli stati italiani un una sola repubblica e liberare il popolo italiano dagli invasori stranieri. In seguito ha fondato altri movimenti politici con lo scopo di liberare ed unificare altri stati europei: la Giovine Germania, la Giovine Polonia e la Giovine Europa. Nel 1868 si è trasferito a Lugano e nel 1870, dopo aver ottenuto l'amnistia, è rientrato in Italia per dedicarsi all'organizzazione di nuovi moti popolari. Il 14 agosto è stato arrestato a Palermo ed è stato condotto nel carcere militare di Gaeta. Esiliato nuovamente, è poi riuscito a rientrare a Pisa il 7 febbraio 1872, dove morì poco dopo. Il suo pensiero politico era animato da una profonda ispirazione religiosa. Secondo Mazzini, infatti, era nella coscienza del popolo che si manifestava potentemente la volontà di Dio e ad ogni popolo Dio aveva affidato direttamente una missione per il progresso generale dell'Umanità. Tutti i popoli hanno quindi il diritto di libertà e quando sono oppressi, è loro supremo dovere quello di riconquistare la loro patria anche attraverso la rivoluzione. Proprio per questo il popolo italiano doveva adempiere alla propria missione e lottare contro l'Austria per la liberazione dei popoli oppressi e la creazione di una nuova Europa unita e democratica. La libertà e l'indipendenza di una nazione si raggiungono infatti attraverso il sacrificio e l'opera concorde di tutto il popolo. Mazzini ha quindi proclamato che fosse condizione necessaria per l'esistenza e il progresso di una nazione l'Unità, mentre l'unica forma legittima di governo fosse la Repubblica nella quale si esprimeva in tutta la sua pienezza la volontà del popolo.

9 Vincenzo Gioberti Vincenzo Gioberti (Torino, 5 aprile 1801 – Parigi, 26 ottobre 1852) si laureò nel 1823 in teologia e nel 1825 fu ordinato sacerdote. Nel 1834 spedì al giornale mazziniano, la «Giovine Italia», una lettera in cui faceva professione di repubblicanesimo. Arrestato ed esiliato, visse a Parigi e a Bruxelles dal 1834 al 1845. Nel 1843 pubblicò «Del primato morale e civile degli italiani» in cui promuoveva una soluzione federalista del problema nazionale italiano sotto la protezione del papa. L'opera ebbe grande risonanza e con Pio IX sembrò che la politica vaticana si orientasse nella direzione indicata da Gioberti. Rientrato a Torino, venne coinvolto nella direzione politica del Regno di Sardegna. La firma dell'armistizio Salasco (9 agosto 1848) e l'interruzione della guerra con l'Austria lo colsero di sorpresa. A metà dicembre del 1848 ebbe l'incarico di presiedere un nuovo ministero, in cui fu anche a capo degli Esteri. Nel discorso programmatico del 16 dicembre definì il proprio governo con l'appellativo di “democratico” e manifestò l'intenzione di riprendere la guerra interrotta e di promuovere una Costituente federativa italiana. Ciò provocò, dopo le elezioni del 22 gennaio 1849, la sollevazione del Parlamento sardo, nel quale sedeva una folta rappresentanza della Sinistra. Il governo si spaccò e Gioberti il 21 febbraio rassegnò le dimissioni, con gran sollievo del sovrano. Gioberti, che aveva preso a tessere relazioni con vari personaggi della vita politica francese e inglese, tra cui Alexis de Tocqueville, reagì con la consueta irruenza, troncò ogni rapporto ufficiale con il Regno sardo dimettendosi da deputato, da ministro e da inviato straordinario, inoltre manifestò a chiare lettere il suo pessimismo sulla situazione italiana ed espresse il suo distacco dal Piemonte anche con la decisione di ritrarsi in un esilio volontario. Nel 1851 diede alle stampe «Del rinnovamento civile d'Italia»: la sua seconda grande opera politica. Il pensiero politico di Gioberti, al di là dei contingenti insuccessi, ebbe grande rilevanza nell'azione risorgimentale e costituisce uno dei momenti più elevati del pensiero politico italiano.

10 Massimo D’Azeglio Massimo Taparelli d'Azeglio  (Torino, 24 ottobre 1798 – Torino, 15 gennaio 1866) è stato un politico, patriota, pittore e scrittore italiano. Per via dell'occupazione napoleonica, Massimo fu costretto a vivere per qualche anno a Firenze. Qui ricevette un'educazione severa, studiando presso le Scuole Pie di Via Larga. Dopo la caduta di Napoleone, i Taparelli tornarono a Torino, dove Massimo cominciò a interessarsi di politica attraverso il Re Carlo Alberto, con approccio liberale moderato. Sincero patriota italiano, cosciente delle grandi differenze tra i vari regni d'Italia e deciso a rispettare i sovrani legittimi, fu contrario ad un'unificazione a sola guida piemontese e auspicava la creazione di una confederazione di stati sul modello dell'Unità tedesca. Fu duramente attaccato per questo dai mazziniani (e successivamente anche da Gramsci) e definito da Cavour suo "empio rivale“. Divenne primo ministro del Regno di Sardegna, dal 1849 al 1852, in uno dei momenti più drammatici della storia del paese (in seguito alla sconfitta subita dall'Austria) al termine della Prima guerra d'Indipendenza. Sarà senatore del Regno di Sardegna dal 1853. L'11 luglio 1859 ebbe l'incarico di costituire un governo provvisorio a Bologna, dopo la cacciata delle truppe pontificie. Il 25 gennaio 1860 venne nominato Governatore della Provincia di Milano, carica che tenne fino al 17 marzo 1861, allorquando fu nominato prefetto Giulio Pasolini. Sposò poi la fidanzata Giulia, figlia di Alessandro Manzoni, ma l'unione non fu del tutto felice. Durante gli ultimi anni di vita, trascorsi sul Lago Maggiore, si dedicò alla stesura delle sue memorie, pubblicate postume con il titolo “I miei ricordi” nel 1867. Massimo D'Azeglio morì a Torino nel 1866, e le sue spoglie sono conservate nella parte storica del Cimitero monumentale di Torino.

11 Giuseppe Garibaldi Giuseppe Garibaldi (Nizza, 4 luglio 1807 – Isola di Caprera, 2 giugno 1882) è stato un generale, patriota e condottiero italiano, nonché uno dei principali artefici dell’unità d’Italia, insieme a Camillo Benso Conte di Cavour. Intorno agli anni Trenta del 1800 Garibaldi si interessa alla politica ed in particolare ai movimenti patriottici europei ed italiani, di cui condivide l’idea di libertà ed indipendenza. Nel 1836, lo spirito di giustizia e la voglia di avventura che ha Garibaldi lo portano a farlo arrivare a Rio de Janeiro, dove il futuro Eroe dei due mondi decide di combattere per i movimenti d’indipendenza Sud Americani. Tornato in Italia nel 1848, assiste ai moti di indipendenza e, sfruttando le nozioni acquisite in Sudamerica, non si tira indietro, infatti nel 1849 è tra gli artefici della difesa della Repubblica Romana insieme a Mazzini, Pisacane, Mameli e Manara. Grazie alla sua esperienza riesce ad essere l'anima delle forze repubblicane durante i combattimenti contro i francesi alleati di Papa Pio IX. Con questa formazione armata Garibaldi partecipa, nel 1859, alla Seconda Guerra di Indipendenza. Riesce ad ottenere molti successi, ma l'armistizio di Villafranca lo costringe ad interrompere le sue iniziative. Insoddisfatto del risultato della Guerra d’Indipendenza, nel 1860 Giuseppe Garibaldi prepara un’impresa storica, la cosiddetta “spedizione dei Mille”. Il generale salpa con i suoi volontari da Quarto il 6 maggio 1860 e attraversando il Tirreno sbarca a Marsala cinque giorni dopo. In poco tempo Garibaldi sbaraglia l’esercito borbonico di stanza in Sicilia, liberando l’isola. Le sue vittorie così repentine creano molte preoccupazioni soprattutto tra i potenti francesi, alleati dello Stato papale, possibile prossimo bersaglio dell’armata garibaldina. Così, il 26 ottobre Vittorio Emanuele si fa incontro a Garibaldi alla testa del suo esercito. I due si incontrano a Vairano, lì il generale dona tutti i territori conquistati al re sabaudo. Allo scoccare della Terza Guerra di Indipendenza, Garibaldi si rimette al comando dei Reparti Volontari, combattendo nel Trentino e riuscendo ad ottenere importanti vittorie. Sfortunatamente l’armistizio tra piemontesi e austriaci lo costringe a rinunciare ai territori conquistati. Divenne famosa la sua risposta agli ordini dei piemontesi: "Obbedisco". Garibaldi non si arrende e nel 1867 è nuovamente a capo di una spedizione per liberare Roma. I francesi, venuti in difesa del Papa e meglio armati, riescono a battere i garibaldini nella cittadina di Mentana, un paese alle porte di Roma. Torna così a Caprera, senza più partecipare alle lotte per l’unificazione dell’Italia. Nella sua amata isola resterà, a parte una comparsa nella guerra Franco Prussiana nel 1871, fino alla sua morte.

12 Carlo Cattaneo Carlo Cattaneo (Milano, 15 giugno 1801 – Castagnola-Cassarate, 6 febbraio 1869) è stato un patriota, filosofo, politico federalista e scrittore italiano. Cattaneo viene ricordato per le sue idee federaliste impostate su un forte pensiero liberale e laico. All'alba dell'Unificazione italiana, Cattaneo era sostenitore di un sistema politico basato su una confederazione di stati italiani, sullo stile della Svizzera. Cattaneo è più concreto di Giuseppe Mazzini, è un figlio dell'illuminismo, in lui è forte la fede nella ragione che si mette al servizio di una vasta opera di rinnovamento della società. La sua attività di pubblicista cominciò ben presto a procurargli dei problemi con il governo austriaco di Milano, a causa della sua idea di conquista graduale di riforme politiche e civili che ridessero al Lombardo-Veneto l'indipendenza. In verità Cattaneo, oltre ad aver serratamente criticato il programma di Gioberti, non fu contrario a lasciare l'Austria nel Lombardo-Veneto, a patto che concedesse riforme liberali. L'obiettivo principale del suo programma, che precisò meglio solo dopo il 1848, era la fondazione di tante repubbliche da unire in una Federazione. Non era favorevole, a differenza di Mazzini, ad una Repubblica unitaria e temeva che l'accentramento avrebbe sacrificato l'autonomia dei Comuni, delle regioni e delle zone più povere, soprattutto il Mezzogiorno. Il raggiungimento di una vera libertà e di una reale indipendenza era possibile, secondo lo storico ed economista milanese, solo attraverso l'educazione delle masse lavoratrici e l'eliminazione delle grandi ingiustizie sociali, delle troppo marcate differenze tra ricchi e poveri. Il progresso umano non deve essere individuale ma collettivo, attraverso un continuo confronto con gli altri. La partecipazione alla vita della società è un fattore fondamentale nella formazione dell'individuo: il rinnovamento può avvenire solo attraverso il confronto collettivo. Secondo Cattaneo anche la libertà economica necessitava di uguaglianza di condizioni, le disparità ci sarebbero state solo dopo che tutti avrebbero avuto la possibilità di confrontarsi.

13 Camillo Benso Conte di Cavour
Camillo Paolo Filippo Giulio Benso (Torino, 10 agosto 1810 – Torino, 6 giugno 1861), fu politico e patriota italiano. Cavour da giovane fu ufficiale dell'esercito, ma lasciò la vita militare nel 1831 e per quattro anni viaggiò in Europa, studiando particolarmente gli effetti della rivoluzione industriale in Gran Bretagna, Francia e Svizzera e assumendo i princìpi economici, sociali e politici del sistema liberale britannico. La fondazione, nel dicembre 1847, del quotidiano "Il Risorgimento" segnò l'avvio del suo impegno politico: solo una profonda ristrutturazione delle istituzioni politiche piemontesi e la creazione di uno Stato territorialmente ampio e unito in Italia avrebbero, secondo Cavour, reso possibile il processo di sviluppo e crescita economico-sociale da lui promosso. L'ostacolo principale gli derivò dal fatto di non godere della simpatia dei settori estremi del Parlamento, in quanto la sinistra non credette alle sue intenzioni riformatrici, mentre per le Destre egli fu addirittura un pericoloso giacobino: un rivoluzionario demolitore di tradizioni ormai secolari. In politica interna mirò innanzitutto a fare del Piemonte uno Stato costituzionale, ispirato ad un liberismo misurato e progressivo, nel quale è la libertà a costituire la premessa di ogni iniziativa. Convinto che i progressi economici sono estremamente importanti per la vita politica di un paese, Cavour si dedicò ad un radicale rinnovamento dell'economia piemontese. Il progressivo consolidamento politico, economico e militare, spinse Cavour verso un'audace politica estera, capace di far uscire il Piemonte dall'isolamento. Il primo passo da fare fu quello di imporre il problema italiano all'attenzione europea e a ciò Cavour mirò con tutto il suo ingegno: Il 21 luglio 1858 incontrò Napoleone III a Plombières dove furono gettate le basi di un'alleanza contro l'Austria. Ritornato alla presidenza del Consiglio Cavour riescì comunque ad utilizzare a proprio vantaggio la momentanea freddezza nei rapporti con la Francia, quando di fronte alla Spedizione dei Mille e alla liberazione dell'Italia meridionale poté ordinare la contemporanea invasione dello Stato Pontificio. L'abilità diplomatica di Cavour nel mantenere il consenso delle potenze europee e la fedeltà di Giuseppe Garibaldi al motto "Italia e Vittorio Emanuele" portano così alla proclamazione del Regno d'Italia, il giorno 17 marzo 1861.

14 SUCCEDE IL 48 Il 1848 è ricordato come periodo di grandi crisi e rivolte. In Italia, come in tutta Europa, sono sempre più frequenti i moti indipendentisti. Al momento dello scoppio delle rivolte, nel nostro Paese, la configurazione degli stati era così divisa. Le prime proteste si ebbero quando alla morte di Gregorio XVI, a capo dello stato della Chiesa, successe Pio IX; il quale, nonostante fosse di idee moderate, concesse riforme di stampo liberale: come concedere l’amnistia ai detenuti politici, aprire anche ai laici la Consulta di Stato e abolire, in parte, la censura preventiva sulla stampa. Con un effetto a catena tutta la penisola fu spinta da iniziative riformatrici. Come lo stato della Chiesa anche il regno di Sardegna e il granducato di Toscana concessero alcune riforme, mentre nel regno delle sue Sicilie ogni tentativo fu represso. Proprio a causa della rigidezza di Ferdinando II, sorsero proteste da Palermo a Napoli tanto da costringere il sovrano a concedere la Costituzione. (Clicca per ingrandire) Successivamente sia la Toscana che il regno di Sardegna concessero le costituzioni (Statuto Albertino). Il 17 marzo Venezia fu proclamata Repubblica e il giorno dopo toccò a Milano con le famose “5 giornate”, in cui il comandante austriaco Radetzky fu costretto ad arretrare. I sovrani presenti nella penisola italiana a questo punto furono intimoriti dalla creazione delle repubbliche e per evitare l’iniziativa indipendentistica Carlo Alberto di Sardegna, seguito da Leopoldo II, Ferdinando II e dal papa Pio IX, presero le redini della guerra d’indipendenza. Poco alla volta però i sovrani abbandonarono il conflitto, in primis il papa, minacciato dalla cattolicissima Austria di uno scisma. La guerra divenne sostanzialmente una questione regia; rimase infatti solo Carlo Alberto ad ostacolare l’esercito austriaco, che ebbe definitivamente la meglio a Custoza (23-25 luglio). Dopo la firma dell’armistizio (Vigevano, 8 agosto 1848) ripresero le proteste patriottiche in tutta la penisola, tanto da costringere sia Pio IX che Leopoldo II a ritirarsi a Gaeta, mentre Carlo Alberto, dopo un’ulteriore sconfitta a Novara (23 marzo 1849), abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Piano Piano tutte le repubbliche si sgretolarono.

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16 L’Italia Liberale Mappa
Dopo l’Unità d’Italia, con la proclamazione di Vittorio Emanuele II come primo Re del Paese, si verificò la necessità della creazione di un governo al fine di compiere il desiderio di una vera e propria identificazione nazionale. Si impose in quel momento la cosiddetta Destra Storica, i cui rappresentanti erano i moderati “eredi” di Cavour. La loro missione era ardua e per compierla dovettero affrontare non pochi problemi, tra i quali: il brigantaggio, il pareggio di bilancio, a causa dei debiti bellici, e la conquista di Roma (lo stato pontificio era infatti presidiato dall’esercito francese). Nonostante la Destra Storica riuscì nei suoi intenti, i modi utilizzati non furono premiati e il governo cadde sotto pesanti divisioni interne. Il potere fu così affidato ad Agostino Depretis, primo leader della Sinistra Storica, il quale si volle occupare di importanti aspetti sociali, come l’eliminazione dell’alfabetismo, l’abolizione delle tasse imposte dalla Destra e l’allargamento del suffragio elettorale. Dopo la morte di Depretis subentrò Francesco Crispi. Costui con il consenso di Umberto I, nuovo sovrano dello Stato, si investì di diverse cariche per creare uno Stato forte. Successivamente a causa però di certe scelte in politica estera-coloniale, venne preferito alla guida del governo Giovanni Giolitti. Mappa

17 Vittorio Emanuele II Vittorio Emanuele II di Savoia (Torino, 14 marzo 1820 – Roma, 9 gennaio 1878) fu l'ultimo re di Sardegna (dal 1849 al 1861) e il primo re d'Italia (dal 1861 al 1878). A causa del mantenimento dello Statuto Albertino venne nominato: “Re galantuomo”, appellativo con cui è ricordato tutt'oggi. Egli, insieme al primo ministro Camillo Benso conte di Cavour, portò a compimento il Risorgimento nazionale e il processo di unificazione italiana. Per questi avvenimenti viene indicato come "Padre della Patria“. Dopo la sconfitta di Custoza e l'abdicazione di suo padre Carlo Alberto, gli storici piemontesi cominciarono a costruire la leggenda di Vittorio Emanuele II; il quale, animato da sentimenti patriottici e per la difesa delle libertà costituzionali, si oppose fieramente alle richieste di abolizione dello Statuto Albertino, promosse da Radetzky. Il nuovo Re aveva le idee molto chiare, tant’è che Il 29 marzo 1849 si presentò davanti al Parlamento per pronunciare il giuramento di fedeltà e il giorno successivo lo sciolse, indicendo nuove elezioni. Le elezioni furono “troppo democratiche" in quanto esprimevano il rifiuto della pace che il Re aveva già firmato con l'Austria. Vittorio Emanuele sciolse nuovamente il parlamento, per fare in modo che i nuovi eletti avessero ideali più concreti. Il nuovo parlamento risultò composto per due terzi da moderati e il 9 gennaio 1850 il trattato di pace con l'Austria venne ratificato. Giuseppe Garibaldi, spinto dell’idea di conquistare l’Italia intera, per annetterla al regno di Sardegna, e da accordi segreti con lo stesso Vittorio Emanuele, voleva annettere anche lo Stato Pontificio, sotto custodia francese. Intercettate le truppe di Garibaldi, a Teano, ci fu la famosa consegna delle terre conquistate a Vittorio Emanuele, che fu così considerato primo Re d’Italia.

18 Agostino Depretis Agostino Depretis (Mezzana Corti, 31 gennaio 1813 – Stradella, 29 luglio 1887) è stato un politico italiano. Convinto seguace di Giuseppe Mazzini, nel 1848 viene eletto deputato divenendo il maggior esponente della sinistra parlamentare ed avversario della politica di Cavour. Rivedute successivamente le proprie posizioni, si allinea a quelle governative e nel 1859 riceve la nomina di governatore di Brescia.  L'anno successivo è inviato da Cavour in Sicilia, quale prodittatore con l'incarico di promuoverne l'annessione dell'Italia meridionale al Regno di Sardegna; ma i suoi dissensi con Francesco Crispi lo inducono a rinunciare al mandato. Rientrato a Torino, Depretis si oppone, in linea con le posizioni di Mazzini, alla cessione di Nizza (che dal 1388 era appartenuta al Piemonte) e della Savoia alla Francia di Napoleone III. Dopo il decesso di Cavour viene chiamato alla carica di ministro dei Lavori Pubblici durante il primo governo Rattazzi (1862) e di ministro della Marina e delle Finanze nel secondo governo Ricasoli (1866). Morto Rattazzi, Agostino Depretis diviene leader della sinistra e si fa trovare pronto, alla caduta della Destra storica, a formare il primo governo di sinistra del Regno d'Italia. Nel 1882, con il sostegno di Marco Minghetti e Ruggero Bonghi, apre le porte alla Destra, varando quel comportamento che tanto avrebbe caratterizzato negativamente la politica italiana nei decenni a detto "trasformismo". Con il nuovo assetto di governo attua la perequazione fondiaria, le convenzioni ferroviarie e aderisce alla Triplice Alleanza.  Nel 1887 torna sui suoi passi escludendo dal governo i rappresentanti della Destra e richiamando a farne parte gli estromessi Zanardelli e Crispi. Quest'ultimo gli succederà dopo la morte, avvenuta all'età di 74 anni. 

19 Francesco Crispi Francesco Crispi (Ribera, 4 ottobre 1818 – Napoli, 12 agosto 1901) è stato un patriota e politico italiano. Laureatosi in legge alla fine del 1845 si trasferì a Napoli dove esercitò l’avvocatura facendo da tramite fra gli ambienti liberali della capitale e quelli siciliani. Scoppiata la rivoluzione a Palermo (12 gennaio 1848), fece parte del Comitato di guerra e fu nella Camera dei Comuni uno dei capi dell’estrema Sinistra democratica e autonomista. Crispi ebbe parte decisiva nell’indurre Garibaldi alla Spedizione dei Mille. Di essa fu la principale mente politica, esercitando la funzione di Segretario di Stato di Garibaldi e battendosi per rinviare l’annessione delle regioni meridionali al Piemonte, fino a che Garibaldi non avesse potuto completare l’impresa con la liberazione di Roma e Venezia. Da ciò derivarono i violenti contrasti con il moderatismo cavouriano e con la Destra. Convinto che ormai la monarchia fosse divenuta il simbolo di unità e massima ispiratrice del nuovo sentimento nazionale, si allontanò gradatamente da Mazzini, fino a sostenere nel 1864 che "la monarchia ci unisce, la repubblica ci dividerebbe" e a dichiarare nel 1865 di aderire al regime sabaudo, pur rimanendo nelle file della Sinistra. Dopo la caduta della Destra divenne presidente della Camera con i governi della Sinistra, ma nello stesso tempo guidò l’opposizione al ministro Depretis insieme a Zanardelli e Cairoli. Nel 1887 ritornò al governo prima come ministro agli Interni, poi come presidente del Consiglio ed infine ministro degli Esteri. Un incidente parlamentare (l’affermazione che la Destra storica aveva condotto una "politica servile" verso gli stranieri) bastò per abbattere nel 1891 Crispi, ma alla fine del 1893 fu richiamato al potere in un momento molto drammatico, quando in Sicilia scoppiarono i moti dei Fasci. La successiva emanazione di leggi dirette contro il movimento socialista gli sollevò contro tutte le sinistre. A questa situazione egli cercò di rispondere con una politica coloniale di prestigio che portasse alla conquista dell’Etiopia ma il disastro di Adua lo costrinse a dimettersi.

20 Umberto I Umberto I (Torino, 14 marzo 1844 – Monza, 29 luglio 1900) fu Re d'Italia dal 1878 al Figlio di Vittorio Emanuele II, primo re d' Italia e di Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena, divenne erede al trono dopo la nascita del Regno d'Italia il 17 marzo 1861. Molti erano i problemi da affrontare per il secondo sovrano d'Italia: l'ostilità del Vaticano, che, dopo la morte di papa Pio IX e l'elezione di Leone XIII, continuava a disconoscere il Regno d'Italia. Appena salito al trono, Umberto I predispose subito un tour nelle maggiori città del Regno al fine di mostrarsi al popolo e guadagnare almeno una parte della notorietà di cui aveva goduto il padre durante il Risorgimento. Per quanto riguarda la politica nazionale, Umberto I affiancò l'operato del governo di Francesco Crispi nel suo progetto di rafforzamento interno dello stato. È durante il suo regno che si definisce la figura del Presidente del Consiglio (1890): infatti non presiedeva il Consiglio dei ministri, ma si limitava a ricevere il presidente dopo le riunioni di gabinetto e firmare i provvedimenti del ministero. Il 22 aprile 1897, il sovrano subì un secondo attentato da parte di Pietro Acciarito. L'anarchico si mescolò tra la folla che salutava l'arrivo di Umberto I presso l'ippodromo delle Capannelle a Roma, e si buttò verso la sua carrozza armato di coltello. Il re notò tempestivamente l'attacco e riuscì a schivarlo rimanendo illeso. Gli fu invece fatale l’attentato del 29 luglio In quest’occasione tra la folla riuscì a farsi largo Gaetano Bresci che, con tre colpi di revolver, ferì mortalmente il sovrano al cuore.

21 Giovanni Giolitti Giovanni Giolitti (Mondovì, 27 ottobre 1842 – Cavour, 17 luglio 1928) è stato un politico italiano, più volte presidente del Consiglio dei Nel 1860 si laureò in legge, iniziando così la sua carriera burocratica. Lavorò per vent'anni come deputato per Dronero che rappresentò per il resto della vita, dopo tutti questi anni, e fatta grande esperienza in materia finanziaria, divenne ministro del Tesoro sotto il governo di Crispi (1889) e primo ministro nel 1892. A causa dello scandalo della Banca Romana nel 1893, Giolitti fu costretto a dimettersi dal suo incarico. Sei anni dopo, quando tutto si fu calmato, Giolitti tornò al governo come ministro degli Interni, sotto il governo di Zanardelli, fu in questo periodo che dominò particolarmente la politica italiana. Con la sua politica progressista Giolitti si guadagnò l'appoggio dei socialisti moderati, e grazie a lui i lavoratori migliorarono le proprie condizioni economiche. Questo importante personaggio politico non fu ne dalla parte del clericalismo, ne da quella dell'anticlericalismo, per lui la Chiesa e lo stato furono due cose diverse, ognuno doveva andare per la propria strada e non doveva mai incontrarsi. Grazie a questo, ottenne l'appoggio sia dei cattolici che dei socialisti, ma nonostante questo la Destra e la Sinistra lo consideravano dalla parte del clericalismo. Dopo tutti questi anni al governo iniziò il suo declino, furono due i principali fatti che causarono la sua decadenza: la conquista della Libia e il suffragio universale maschile. Alla fine nel 1914 si dimise definitivamente e un anno dopo l'Italia entrò in guerra, la sua vita però non finì qui: con la sua calma riuscì a risolvere gravi problemi derivati dall'occupazione delle fabbriche durante la guerra e stipulò il Trattato di Rapallo nel 1920, che descriveva i rapporti che ci dovevano essere tra Italia e Juglosavia. Nonostante tutti questi successi, però non riuscì a opporsi davanti alla creazione del Partito Popolare e del fascismo. Giolitti raccolse tutte le sue memorie in un libro che chiamò “Memorie della mia vita” (1922), esse ci forniscono molte informazioni sul periodo storico in cui visse.

22 Pio IX Papa Pio IX (Senigallia, 13 maggio 1792 – Roma, 7 febbraio 1878) è stato il 255º vescovo di Roma, Papa della Chiesa cattolica e 163° ed ultimo sovrano dello Stato Pontificio ( ). Il suo pontificato, di 31 anni, 7 mesi e 23 giorni, rimane il più lungo della storia della Chiesa cattolica, dopo quello di san Pietro. È stato proclamato beato nel 2000. Il primissimo provvedimento che prese un mese dopo la sua elezione (che avvenne il 16 giugno 1846) fu la concessione dell'amnistia il 16 luglio 1846 per i reati politici. Nei successivi due anni del suo pontificato governò lo Stato Pontificio con una progressiva apertura alle richieste liberali della popolazione e concedendo, il 14 marzo 1848, la costituzione dello "Statuto fondamentale pel governo temporale degli Stati della Chiesa" che istituiva due Camere ed il Sacro Collegio dei Cardinali presieduto dal Papa. Fu l'epoca delle grandi riforme dello Stato Pontificio: la Consulta di Stato, il Ministero liberale, la libertà di stampa e la libertà agli Ebrei, la Guardia Civica, l'inizio delle ferrovie e la creazione del Municipio di Roma. Promosse inoltre la costituzione di una Lega doganale tra gli Stati italiani preunitari, che rappresentò il più importante tentativo politico-diplomatico dell'epoca volto a realizzare l'unità d'Italia per vie federali. Durante le Cinque giornate di Milano, il Ministero Romano, sull'esempio del Granduca di Toscana e del Re di Napoli, spedì al fronte un corpo di soldati regolari comandati dal generale Giovanni Durando ( ) fratello del generale Giacomo Durando insieme ad un gruppo di volontari comandati dal generale Andrea Ferrari. Lo Stato Pontificio si trovò di fatto impegnato in una guerra contro l'Austria per l'indipendenza italiana. Ma il 13 aprile 1848 una speciale commissione cardinalizia impose lo sganciamento del Papa dal movimento patriottico italiano. Pio IX, con l'Allocuzione papale al Concistoro dei cardinali del 29 aprile 1848, mise in evidenza le motivazioni della posizione del Papa che, come capo della Chiesa universale ed allo stesso tempo capo di uno stato italiano, non poteva mettersi in guerra contro un regno cattolico.

23 Ferdinando II Ferdinando Carlo Maria di Borbone (Palermo, 12 gennaio 1810 – Caserta, 22 maggio 1859) fu re del Regno delle Due Sicilie dall'8 novembre 1830 al 22 maggio 1859. Governò dapprima con molta moderazione e saggezza: concesse infatti amnistie e riforme, cambiò ministri e richiamò persino ufficiali murattiani. Inaugurò la prima ferrovia italiana (Napoli-Portici, 1839), diede incremento alla marina mercantile (ebbe tra le sue navi il primo battello italiano a vapore in regolare servizio di linea) riformò quella militare ed allacciò Napoli alla Sicilia perfino con una pionieristica rete telegrafica. Nel 1832 sposò Maria Cristina di Savoia, che morì il 30 gennaio 1836 pochi giorni dopo aver dato alla luce Francesco Gennaro, che diverrà, in seguito, Francesco II. Al ritorno da un viaggio in Italia, Austria e Francia, nel 1837 sposò Maria Teresa, figlia dell'Arciduca Carlo d'Austria-Lorena. Tuttavia, gelosissimo della propria indipendenza (una eredità già presente nel padre), finì col chiudersi in un isolamento diplomatico che doveva rivelarsi, a lungo andare, assai dannoso anche sul piano economico (crisi degli zolfi, 1840). Fu così strettamente legato al più rigido assolutismo. Nel 1837 infatti, fece reprimere con disumana severità la rivolta costituzionalista ed autonomista della Sicilia e, nel 1844, fece fucilare i Fratelli Bandiera. Il suo regno durò fino al 1859, vigilia della guerra d'indipendenza Italiana. Morì a Caserta dopo una malattia durata quattro mesi, mentre era in corso la guerra franco-piemontese contro l'Austria. Lasciava il suo trono al primogenito ventitreenne Francesco II, duca di Calabria.

24 Radetzky Josef Radetzky (Sedlčany, 2 novembre 1766 – Milano, 5 gennaio 1858), è stato un feldmaresciallo austriaco. Nobile boemo, fu a lungo governatore del Lombardo-Veneto. Con un servizio nell'esercito austriaco durato oltre settant'anni, per le sue vittorie militari contro Napoleone e, soprattutto, contro Carlo Alberto e i patrioti italiani, è ricordato in Austria come eroe nazionale, in Italia come il simbolo stesso dell'occupazione austriaca. Dopo essersi distinto nella campagna contro i Turchi del , negli anni successivi prese parte alle campagne contro la Francia rivoluzionaria e napoleonica, operando nelle battaglie sul suolo italiano. Caduto Napoleone, Radetzky, che dal novembre 1814 aveva anche preso parte ai lavori del congresso di Vienna come esperto militare. La sua personalità gli permise di esercitare una profonda influenza anche sul piano politico, dove si mostrò ostile al movimento nazionale italiano, sostenendo la necessità di una politica repressiva, approvata dagli ufficiali del suo stato maggiore e dalle autorità di polizia di Milano e Venezia. L'insurrezione delle Cinque giornate nel marzo costrinse Radetzky a ordinare il 22 marzo l'evacuazione di Milano e ad effettuare una difficile ritirata attraverso la Lombardia. Il successo della manovra e l'arrivo di grossi rinforzi dall'Austria crearono le premesse per il successivo ritorno offensivo delle truppe imperiali, culminato nella battaglia di Custoza (25 luglio 1848). Radetzky diede, pochi mesi dopo, una nuova prova delle sue elevate capacità militari: ripresa la guerra, nel marzo 1849, egli riuscì a battere nuovamente le truppe sarde a Novara (23 marzo), imponendo l'armistizio, sulla base degli accordi presi nel colloquio con Vittorio Emanuele II. Nominato governatore generale del Lombardo-Veneto e comandante della 2a armata, il vecchio feldmaresciallo esercitò fino al 1857 uno stretto controllo politico-militare su circa un terzo del territorio italiano, sottoponendolo a un pesante regime militare. Collocato a riposo nel febbraio 1857, rimase a Milano scegliendo come sua dimora la Villa Reale ai giardini pubblici, dove si spense il 5 gennaio Mentre in Austria Radetzky fu ed è considerato un eroe nazionale e uno dei massimi condottieri di ogni tempo, in Italia la stampa risorgimentale lo presentò chiaramente sempre sotto una luce negativa.

25 Carlo Alberto Carlo Alberto (Torino Oporto 1849) detto "il Magnanimo" fu conte di Barge, settimo Principe di Carignano e Re di Sardegna dal 1831 al 1849. Figlio di Carlo Emanuele di Savoia e di Albertina Maria Cristina di Sassonia, ricevette la prima educazione a Ginevra e compì i suoi studi a Parigi, dove subì l'influsso delle idee politiche francesi. Rientrato a Torino, dopo la caduta di Napoleone, e la restituzione del Piemonte alla casa di Savoia, non condivise l'impostazione reazionaria data da Vittorio Emanuele. Una volta assunta la reggenza, dopo l'abdicazione di Vittorio Emanuele I e, data la lontananza del nuovo re Carlo Felice, concesse agli insorti la costituzione di Spagna che essi reclamavano (14 marzo), ma subito dopo fu sconfessato da Carlo Felice e costretto ad abbandonare il Piemonte. Dopo che Carlo Felice non volle riceverlo a Modena, Carlo Alberto si ritirò per qualche tempo a Firenze, finché l'Austria decise di appoggiare la sua successione al trono di Sardegna. Per non perdere questo diritto, Carlo Alberto fu costretto ad impegnarsi con Metternich a non modificare il regime assoluto ristabilito in Piemonte e partecipò alla spedizione francese che voleva reprimere la rivoluzione liberale in Spagna (1823). Morto Carlo Felice, Carlo Alberto poté finalmente succedergli (1831) e, nonostante una lettera di incitamento inviatagli da Mazzini, Carlo Alberto iniziò una politica assolutista e reazionaria, la cui espressione maggiore fu la quella della cospirazione diretta dalla “Giovine Italia” ( ). Nel 1848 Carlo Alberto entrò in guerra contro l'Austria, scossa dalle rivoluzioni di Vienna e di Milano, ma la campagna, dopo un inizio fortunato, prese un andamento sfavorevole e si chiuse con la grave sconfitta di Custoza (25 luglio). Carlo Alberto, temendo di vedere le idee repubblicane trionfare nel proprio Stato, chiamò dapprima al potere Gioberti (dicembre 1848) e successivamente (12 marzo 1849) ruppe l'armistizio con l'Austria anche per sottrarsi alla rinnovata accusa di tradimento che gli rivolgevano i patrioti. Ma la ripresa della guerra si concluse quasi subito con la disfatta di Novara (23 marzo 1849), che provocò la sua abdicazione a favore del figlio Vittorio Emanuele II. Carlo Alberto si recò allora in esilio in Portogallo, dove morì alcuni mesi più tardi.

26 Leopoldo II Leopoldo II d' Asburgo-Lorena (Firenze, 3 ottobre 1797 – Roma, 28 gennaio 1870) fu il penultimo granduca di Toscana e l'ultimo granduca regnante de facto. Figlio secondogenito del granduca Ferdinando III di Toscana e di Maria Luisa di Borbone-Napoli, visse la sua prima giovinezza in Germania, dove il padre si era rifugiato dopo l'invasione napoleonica. Divenne principe ereditario "in pectore" del Granducato di Toscana nel 1800, alla morte del fratello maggiore Francesco Leopoldo. Nel 1814 rientrò a Firenze e nel 1824 succedette al padre continuandone la politica e intraprendendo vaste opere di pubblica utilità. Promosse, nel 1828, i lavori di bonifica della Maremma, ampliò la rete stradale della Toscana, sostenne la costruzione di linee ferroviarie e cercò di rilanciare l'industria siderurgica e le manifatture. Favorì lo svolgimento dei Congressi degli scienziati italiani di Pisa (1839) e di Firenze (1841); inaugurò la Tribuna di Galileo e fece ripubblicare le opere dello scienziato pisano. La sua politica liberale, che lo condusse a riformare la legge sulla libertà di stampa e a concedere nel 1847 la Costituzione, ebbe però una brusca svolta in coincidenza con i moti rivoluzionari che percorsero l'Italia nel 1848. Nel 1849 Leopoldo II abolì la Costituzione e seguì la politica di Vienna. Nel 1852 giunse a ristabilire la pena di morte per gli attentati contro il governo e la religione. Nel 1859, allo scoppiare della Seconda Guerra d'Indipendenza, una "rivoluzione" pacifica lo costrinse ad abdicare e ad andare in esilio in Austria. Morì a Roma, dove si era recato nel 1869.

27 L’Italia nella prima guerra mondiale
E' il terzo anno della prima guerra mondiale e, il 24 ottobre del 1917, le forze austro-tedesche sfondarono il fronte dell’Isonzo a nord, accerchiando a Caporetto la Seconda Armata Italiana, comandata dal Generale Pietro Badoglio, dando origine a quella che passerà alla storia come la battaglia di Caporetto. L'esercito austro-tedesco avanzò per 150 km in direzione della Pianura Padana, raggiungendo Udine in 4 giorni. La battaglia vide l'esercito italiano subire ingenti perdite umane e materiali: soldati si diedero ad una ritirata scomposta, mentre civili scapparono dalle zone invase. La disfatta di Caporetto provocò il crollo dell’intero fronte. La ritirata si fermò solo l’11 novembre dello stesso anno, sulla Linea del Piave. In seguito alla disfatta, Luigi Cadorna venne sostituito dal Generale Armando Diaz. Gli austro-tedeschi chiusero l’anno con le offensive sul Piave, sull’Altipiano di Asiago e sul Monte Grappa. Gli austriaci si fermano in attesa della primavera del 1918, per sferrare un ulteriore attacco che li portò ad occupare la pianura veneta. La Battaglia del Piave, svoltasi dal 15 al 23 giugno del 1918, vide l’Italia resistere all’assalto austriaco. Agli inizi di ottobre, sferrò a sua volta un’offensiva, anche se in condizioni climatiche pessime. Il 3 novembre i soldati italiani entrano a Trento, mentre i bersaglieri sbarcano a Trieste. Il giorno seguente la guerra dell’Italia giunse al termine. La battaglia di Caporetto rappresenta l’evento chiave della guerra italiana. Coinvolse il fronte interno facendo riemergere i vecchi contrasti e le polemiche tra neutralisti ed interventisti. Costrinse a rivedere la strategia offensiva, a riorganizzare l’economia di guerra su basi più solide. Si trattò inoltre di una sconfitta che, oltre alle conseguenze militari, portò anche alla formazione di un nuovo governo. Mappa

28 Luigi Cadorna Luigi Cadorna (Pallanza, 4 settembre 1850 – Bordighera, 21 dicembre 1928) è stato un generale e politico italiano. Figlio di Raffaele, comandante del piccolo corpo che nel 1870 conquistò Roma unendola all'Italia, Luigi Cadorna era asceso ai vertici militari nell'anteguerra, nominato Capo di Stato maggiore dell'esercito, con ampi poteri. L'impostazione politica della guerra italiana, voluta dalla destra conservatrice di Salandra e Sonnino e dalla Corona, trovò consenziente Cadorna che vedeva in essa grandi possibilità di successo per l'esercito. Quando il governo abbandonò la neutralità per l'intervento, Cadorna, ora capo del Comando Supremo, intese fermamente mantenere quest'impostazione ed anzi volle accentuare l'autonomia del comando militare dal potere politico e civile, anche dopo che (nel 1916) al rigido presidente del consiglio Antonio Salandra era succeduto il più accomodante governo di unione nazionale di Boselli. Coerente a quest'impostazione generale fu la tattica militare voluta da Cadorna, fatta di "spallate" contro le trincee austriache, tanto poderose militarmente quanto sanguinose per i soldati (verso i quali in genere il "generalissimo" mostrava di avere scarsa considerazione) e povere di risultati. Fermo nella sua tattica nonostante le critiche, il Comando Supremo e lo stesso Cadorna si fecero poi cogliere del tutto impreparati a Caporetto, quando gli Austriaci e i Tedeschi sfondarono nell’ottobre 1917 le linee italiane facendone arretrare il fronte. Nel dopoguerra, anche per parare le accuse, Cadorna si trovò schierato con la Destra oltranzista. Il fascismo poi lo nominò "maresciallo d'Italia".

29 Armando Diaz Armando Vittorio Diaz (Mercato San Severino, 5 dicembre 1861 – Roma, 29 febbraio 1928) è stato un generale italiano, capo di Stato Maggiore del Regio Esercito durante la prima guerra mondiale, ministro della guerra e maresciallo d'Italia. Nominato Duca della Vittoria alla fine della guerra. Avviato giovanissimo alla carriera militare, Diaz fu allievo dell'Accademia militare d'artiglieria di Torino, dove divenne ufficiale. Nel 1914, alla dichiarazione di intervento dell'Italia nella prima guerra mondiale, Luigi Cadorna lo nominò maggior generale, con incarico al Corpo di Stato Maggiore come addetto al comando supremo del reparto operazioni. Questo breve periodo prima di Caporetto gli valse la medaglia d'argento al valor militare per una ferita riportata alla spalla. La sera dell'8 novembre 1917 fu chiamato, con Regio Decreto, a sostituire Luigi Cadorna nella carica di capo di Stato Maggiore dell'esercito italiano. Recuperato quello che rimaneva dell'esercito italiano dopo la disfatta di Caporetto, organizzò la resistenza sul monte Grappa e sul fiume Piave. Memore della esperienza nello Stato Maggiore di Cadorna, decentrò molte funzioni ai sottoposti, riservandosi un ruolo di controllo. Nell'autunno del 1918 guidò alla vittoria le truppe italiane, iniziando l'offensiva il 24 ottobre, con lo scontro tra 55 divisioni italiane contro 60 austriache. Il piano non prevedeva attacchi frontali, ma un colpo concentrato su un unico punto - Vittorio Veneto - per spezzare il fronte nemico. Iniziando una manovra diversiva, Diaz attirò tutti i rinforzi austriaci lungo il Piave, che il nemico credeva essere il punto dell'attacco principale, costringendoli all'inazione per la piena del fiume. Nella notte tra il 28 e 29 ottobre, Diaz passò all'attacco, con teste di ponte isolate che avanzavano lungo il centro del fronte, facendo allargare le ali per coprire l'avanzata. Il fronte dell'esercito austriaco si spezzò, innescando una reazione a catena ingovernabile. Il 30 ottobre l'esercito italiano arrivò a Vittorio Veneto, mentre altre armate passarono il Piave e avanzarono, arrivando a Trento il 3 novembre. Il 4 novembre 1918 l'Austria capitolò, e per la storica occasione Diaz stilò il famoso Bollettino della Vittoria, in cui comunicava la rotta dell'esercito nemico ed il successo italiano.

30 Pietro Badoglio Pietro Badoglio (Grazzano Monferrato, 28 settembre 1871 – Grazzano Badoglio, 1 novembre 1956) è stato un militare e politico italiano, maresciallo d'Italia, senatore e Capo del Governo dal 25 luglio 1943 all'8 giugno 1944. Divenne uno dei più stretti collaboratori del maresciallo Diaz come sottocapo di Stato Maggiore dell'esercito. Nonostante le critiche di cui fu oggetto, allora e poi, continuò a occupare posti di grande responsabilità. Il 15 novembre 1935 assunse il comando supremo delle forze impegnate nella guerra d'Etiopia, e condusse rapidamente a termine la campagna fino all'entrata delle truppe italiane in Addis Abeba (maggio 1936). Nominato viceré d'Etiopia e duca di Addis Abeba, ritornò in Italia come un trionfatore. Alla vigilia del secondo conflitto mondiale fu contrario all'entrata in guerra, ciononostante mantenne le funzioni di capo di Stato Maggiore generale, negoziando l'armistizio con la Francia. Il 25 luglio 1943, il re Vittorio Emanuele III lo chiamò a formare il ministero dopo l'arresto di Mussolini. Nei quarantacinque giorni di governo fino all'8 settembre, mantenne un contegno ambiguo tenendo a bada i Tedeschi e negoziando al tempo stesso con gli Alleati un armistizio poi firmato a Cassibile (3 settembre) e reso inaspettatamente noto il pomeriggio dell'8 settembre 1943, su pressione del generale Eisenhower. Allora Badoglio si ritirò con il re a Brindisi, emanando ordini confusi e contraddittori di fronte all'inevitabile reazione tedesca, mentre il paese cadeva nel caos. Il 13 ottobre 1943 dichiarò guerra alla Germania, dopo aver firmato a Malta un secondo armistizio (29 settembre: 'armistizio lungo'). Dopo la liberazione di Roma, fu sostituito (giugno 1944) da Ivanoe Bonomi, capo del CLN, e si ritirò a vita privata. Badoglio non seppe unire al brillante passato militare altrettanta abilità politica, allorché si trovò a reggere la nazione in un momento difficilissimo; queste stesse difficoltà, peraltro, contribuirono a rendere più gravi e drammatiche le conseguenze delle sue esitazioni e dei suoi errori.

31 Pietro Badoglio Pietro Badoglio (Grazzano Monferrato, 28 settembre 1871 – Grazzano Badoglio, 1 novembre 1956) è stato un militare e politico italiano, maresciallo d'Italia, senatore e Capo del Governo dal 25 luglio 1943 all'8 giugno 1944. Divenne uno dei più stretti collaboratori del maresciallo Diaz come sottocapo di Stato Maggiore dell'esercito. Nonostante le critiche di cui fu oggetto, allora e poi, continuò a occupare posti di grande responsabilità. Il 15 novembre 1935 assunse il comando supremo delle forze impegnate nella guerra d'Etiopia, e condusse rapidamente a termine la campagna fino all'entrata delle truppe italiane in Addis Abeba (maggio 1936). Nominato viceré d'Etiopia e duca di Addis Abeba, ritornò in Italia come un trionfatore. Alla vigilia del secondo conflitto mondiale fu contrario all'entrata in guerra, ciononostante mantenne le funzioni di capo di Stato Maggiore generale, negoziando l'armistizio con la Francia. Il 25 luglio 1943, il re Vittorio Emanuele III lo chiamò a formare il ministero dopo l'arresto di Mussolini. Nei quarantacinque giorni di governo fino all'8 settembre, mantenne un contegno ambiguo tenendo a bada i Tedeschi e negoziando al tempo stesso con gli Alleati un armistizio poi firmato a Cassibile (3 settembre) e reso inaspettatamente noto il pomeriggio dell'8 settembre 1943, su pressione del generale Eisenhower. Allora Badoglio si ritirò con il re a Brindisi, emanando ordini confusi e contraddittori di fronte all'inevitabile reazione tedesca, mentre il paese cadeva nel caos. Il 13 ottobre 1943 dichiarò guerra alla Germania, dopo aver firmato a Malta un secondo armistizio (29 settembre: 'armistizio lungo'). Dopo la liberazione di Roma, fu sostituito (giugno 1944) da Ivanoe Bonomi, capo del CLN, e si ritirò a vita privata. Badoglio non seppe unire al brillante passato militare altrettanta abilità politica, allorché si trovò a reggere la nazione in un momento difficilissimo; queste stesse difficoltà, peraltro, contribuirono a rendere più gravi e drammatiche le conseguenze delle sue esitazioni e dei suoi errori.

32 IL VENTENNIO FASCISTA Mappa
Il fascismo è un'ideologia politica sorta in Italia nel XX secolo principalmente per iniziativa di Benito Mussolini alla fine della prima guerra mondiale. È un movimento di carattere nazionalista, autoritario e totalitario, ma tale ideologia è definita ed è interpretata come un movimento allo stesso tempo rivoluzionario e reazionario, sebbene la sua natura prevalente sia tuttora oggetto di controversia. Il 23 giugno 1919 si insediò il governo di Francesco Saverio Nitti, sostituendo il dimissionario Vittorio Emanuele Orlando, dopo le delusioni seguite ai trattati di pace. Le politiche intraprese da Nitti sollevarono un fortissimo malcontento, soprattutto fra militari, reduci congedati e nazionalisti. Il 19 settembre 1919, Gabriele d'Annunzio ruppe gli indugi e alla testa di reparti ammutinati del Regio Esercito marciò su Fiume dove instaurò un governo rivoluzionario con l'obiettivo di affermare l'unione all'Italia del comune carnero. Questa azione fu immediatamente esaltata dal movimento fascista, anche se Mussolini non offrì alcun reale appoggio alla causa dei legionari. I risultati elettorali non garantirono al paese la stabilità. L'iniziativa politica dunque rimase nelle mani dei movimenti sindacali rappresentati dalle leghe socialiste e popolari che lanciarono una escalation di scioperi e occupazioni, storicamente nota come "Biennio rosso“. La direzione velleitaria e confusa delle occupazioni, che aveva mostrato l'incapacità delle forze politiche più radicali a sviluppare una reale e progressiva azione rivoluzionaria, fu immediatamente chiara a molti politici, in particolar modo a Antonio Gramsci e a Giolitti, subentrato al secondo governo Nitti. Nei primissimi mesi del Governo Mussolini venne anche istituito il Parco Nazionale del Gran Paradiso, grazie alla donazione, fatta nel 1919 allo stato italiano, della riserva di caccia reale da parte di Vittorio Emanuele III. Il 30 maggio 1924 il deputato socialista Giacomo Matteotti prese la parola alla Camera contestando i risultati delle elezioni. Il 10 giugno 1924 Matteotti venne rapito e ucciso. Mappa

33 Benito Mussolini Benito Mussolini (Predappio, 29 luglio 1883 – Giulino di Mezzegra, 28 aprile 1945) è stato un politico, giornalista e dittatore. Nel dopoguerra fondò il movimento fascista (23 marzo 1919), nel 1922 dopo la marcia di Roma il Re lo incaricò di formare il nuovo governo e nel 1924 consolidò il suo potere grazie anche al risultato delle elezioni. Il discorso alla camera (3 gennaio 1925) e le misure adottate di seguito (le leggi fascistissime) sconvolsero la struttura liberale dello stato italiano: nacque il culto del Duce. Nel 1939 scoppiò la guerra, ma cercò di non entrare subito nel conflitto, dichiarando la "non belligeranza“. Si decise solo quando la vittoria tedesca sembrava a portata di mano, ovviamente non fu così e il fallimento prima della guerra parallela (intendeva combattere contro l'Inghilterra impegnadola in fronti diversi da quelle tedeschi), poi anche di quella a fianco della Germania, oltre allo sbarco alleato effettuato in Sicilia il 10 luglio, diedero il pretesto al Gran Consiglio del Fascismo di approvare un ordine del giorno contro di lui era il 24 luglio del Dopo l’arresto e la deportazione, fu portato prima a Ponza poi alla Maddalena infine al Gran Sasso, dove venne liberato e portato in Germania dai paracadutisti tedeschi, pochi giorni dopo l'armistizio del governo italiano (8 settembre 1943). Mussolini ritornò nel nord Italia per fondare la Repubblica Sociale Italiana (o Repubblica di Salò) che cercava di far rivivere il mito fascista, ma ormai era tardi e anche la Germania dava segni di cedimento. Negli ultimi mesi di guerra lo si vide raramente in pubblico, una volta crollata la linea gotica pensò di rifugiarsi a Milano, ma temendo la cattura fuggì verso Como per poi andare in Svizzera, nonostante fosse vestito da soldato in una colonna di tedeschi in ritirata venne riconosciuto ad un posto di blocco partigiano che dopo un sommario processo venne fucilato (28 aprile 1945). Il suo corpo venne esposto in piazza a Milano assieme alla compagna e alcuni gerarchi fascisti, poi dopo numerose traversie venne sepolto a Predappio.

34 Antonio Gramsci Nato ad Ales il 22 gennaio 1891, Antonio Gramsci visse una infanzia ostacolata da problemi di famiglia e di salute. La sua esperienza universitaria ebbe luogo a Torino, dopo aver vinto una borsa di studio, ma a causa di problemi di salute non riuscì a rimanere al passo con gli esami e perdette la borsa di studio, e, a causa dei conseguenti problemi economici, dovette abbandonare la carriera universitaria. Lasciata l'università si dedicò al giornalismo da socialista , ma senza firmare, inizialmente, articoli. Poi , nel 1919, fondò con Tasca e Terracini il settimanale , e poi dal 1921 quotidiano, "ORDINE NUOVO". A Livorno, nel '21 ci fu la scissione dei socialisti riformisti e la costituzione del P.C. d'I. Lenin lo nominò al II congresso internazionale comunista ( '20 ) e nel '21 Gramsci viene mandato in Russia, dove approfondì la conoscenza riguardo alla lotta ideologica e al problema dell'egemonia. In Italia intanto si fanno numerosi arresti di oppositori politici. Quando Gramsci torna in Italia, nel '24 esce il 1° numero dell'Unità e poco dopo nel '26 viene arrestato, nonostante godesse dell'immunità parlamentare dovuta all'elezione in Veneto. A partire dal '29 nel carcere di Turi scrive " I quaderni dal carcere", che contengono studi sulla complessa realtà storica ed elaborazioni teoriche riguardo a temi di carattere politico, sociale, culturale. Ritiene che la classe operaia necessiti della figura di un intellettuale organico, che educhi le masse e, attraverso un partito egemone, conduca la classe operaia e contadina ad assumere il ruolo di classe dirigente. In Italia, Gramsci notò che l' intellettuale non fu’ portavoce della cultura popolare. Il Risorgimento fu infatti il movimento di una èlite intellettuale e borghese che non coinvolse il popolo poiché non promosse una letteratura nazional-popolare che impedì il legame tra l'intellettuale e masse, tra cultura e tessuto sociale. Possiamo ricavare notizie riguardo agli aspetti più personali della sua vita dalle toccanti "Lettere dal carcere " nelle quali Gramsci descrive le sue ultime giornate e le sue, sempre peggiori condizioni di salute. Infatti Gramsci morì di tubercolosi il 27 Aprile del 1937, proprio il giorno prima della sua effettiva scarcerazione.

35 Giacomo Matteotti Giacomo Matteotti nacque il 22 maggio 1885 a Fratta Polesine, un piccolo paese non distante da Rovigo. Tra massimalisti e riformisti, Giacomo scelse i secondi e come rappresentante di questa corrente divenne consigliere in una decina di comuni, Sindaco di Villamarzana del 1912 e di Boara Polesine dal 1914, guidò poi l’opposizione socialista nel Consiglio provinciale di Rovigo. I vertici del partito si accorsero di lui in occasione del congresso dei comuni socialisti tenutosi a Bologna nel 1916 e, nello stesso anno, Matteotti fu eletto segretario. Matteotti fu in prima linea nella lotta del Partito Socialista per tentare di impedire la carneficina. Anche tra le forze di sinistra c’era chi aveva spinto per la guerra, vedendo in essa l’opportunità di lottare contro i governi reazionari. Matteotti non cadde in questo equivoco e pagò in prima persona il suo strenuo impegno antibellicista, scontando una condanna a trenta giorni di reclusione. Comprese il fascismo fin da subito. Per molti il Partito dei Fasci da combattimento era uno dei tanti movimenti post bellici, che crescevano nel malcontento e nella frustrazione degli ex combattenti. Così il vecchio partito liberale lasciava correre le violenze, evitava che l’esercito o la polizia intervenissero durante le spedizioni punitive che i fascisti compivano contro i giornali, contro le cooperative di mutuo soccorso, contro chi manifesta e scioperava. Gli industriali che si erano arricchiti con la guerra, gli agrari del nord, trovarono così in esso quella mano forte che poteva fermare i movimenti popolari. Ma Matteotti, fin dal suo nascere, fu un critico intransigente del fascismo, comprendendone il pericolo e la carica eversiva. Per questo fu duramente perseguitato e costretto a lasciare la sua regione già dal 1921. La crisi in cui l’Italia versava si rifletteva anche nei partiti di sinistra. Nell’ottobre 1922, dopo la scissione tra massimalisti e riformisti, Matteotti divenne segretario del nuovo Psu, impostandone la linea politica come lotta ad oltranza contro il fascismo. Nel 1924 in Parlamento denunciò i brogli ed il clima di violenza nel quale si era espressa l’ultima consultazione elettorale. Il 10 giugno dello stesso anno venne rapito e ucciso da sicari fascisti. Il suo corpo venne ritrovato il 16 agosto successivo nei dintorni di Roma.

36 Francesco saverio nitti
Francesco Saverio Nitti nacque a Melfi (Potenza) il 19 luglio del 1868 da una famiglia della piccola borghesia di provincia. Nel 1883 si trasferì a Napoli dove frequentò il liceo e, dal 1892, fu professore di economia politica all'Università di Napoli. Nitti concentrò la sua attività di uomo politico e di studioso sui problemi economici e sociali del Mezzogiorno e sulle questioni di politica tributaria e finanziaria che egli considerava il principale ostacolo ad un equilibrato sviluppo tra Nord e Sud del paese. Dal 1911 al 1914 ricoprì l'incarico di ministro dell'agricoltura, industria e commercio nel quarto gabinetto Giolitti. Nel 1917, dopo la disfatta di Caporetto, entrò a far parte del gabinetto Orlando, con la carica di ministro del tesoro. Fu presidente del consiglio nel In questi stessi anni partecipò alle conferenze di Londra, Parigi e Sanremo, nel corso delle quali si batté per un ritorno alla normalità nei rapporti internazionali e per la ripresa dei rapporti commerciali con la Russia sovietica. Fu oppositore del fascismo; nel novembre 1923, in seguito all'assalto delle squadre fasciste alla sua abitazione romana, decise di lasciare l'Italia. Dal giugno del 1924 al dicembre del 1925 visse a Zurigo, poi, fino al 1943 in Francia, svolgendo un intensa attività antifascista. Qui, nell'agosto del 1943 venne prelevato dalla sua abitazione dalle SS e fu deportato in Tirolo. Nel maggio del 1945 venne liberato dall'esercito francese e nel luglio rientrò in Italia. Candidato dell'Unione democratica nazionale, alle elezioni del 2 giugno 1946 fu eletto all'Assemblea costituente; successivamente nel 1952 fu promotore di un ampio movimento democratico e, in occasione delle elezioni amministrative di Roma del 1952, fu alla testa della Lista cittadina. Morì il 20 febbraio 1953.

37 Vittorio Emanuele III Il terzo Re d'Italia Vittorio Emanuele III di Savoia nasce a Napoli il giorno 11 novembre 1869 e regnerà sovrano in Italia dal 1900 al Sarà noto come "Re soldato“ per la sua costante e assidua presenza al fronte durante la prima guerra mondiale. Vittorio Emanuele III salì al trono dopo l'assassinio del padre Umberto I (29 luglio 1900). Appoggia l'iniziativa coloniale intrapresa da Giolitti con lo sbarco in Libia e l'annessione delle isole egee del Dodecaneso. Con la pace di Losanna, l'Impero Ottomano riconosce all'Italia il possesso della Tripolitania e della Cirenaica. Nella prima guerra mondiale il Re sostiene la posizione inizialmente neutrale dell'Italia. E' molto meno favorevole rispetto al padre per ciò che riguarda la Triplice Alleanza (l'Italia ne faceva parte con Germania ed Impero Austro-Ungarico) ed è ostile all'Austria. Le vantaggiose offerte che giungono dall'Intesa (Francia, Gran Bretagna e Russia), formalizzate nel Patto di Londra, inducono Vittorio Emanuele ad abbandonare la Triplice Alleanza. Dopo la disfatta di Caporetto, il Re destituisce Luigi Cadorna, al suo posto pone Armando Diaz. L'8 novembre 1917, al Convegno di Peschiera, convince gli scettici Primi Ministri Alleati che la volontà dell'Italia è quella di resistere, e che lo Stato Maggiore Italiano è determinato a fermare l'avanzata nemica sul Piave: getta di fatto le basi per la vittoria di Vittorio Veneto del novembre successivo. La vittoria italiana porta al ricongiungimento col Trentino e Trieste, ed all'annessione dell'Alto Adige, dell'Istria, di Zara e di alcune isole della Dalmazia. Nel 1922 affida a Benito Mussolini l'incarico di formare un nuovo governo. Tra il 1940 e il 1941 avvengono le prime sconfitte all’estero che, con la sconfitta nella seconda battaglia di El Alamein nel novembre 1942 porta nel giro di pochi mesi all'abbandono totale dell'Africa. Il Gran Consiglio del Fascismo, il 25 luglio 1943, vota contro il supporto alla politica di Mussolini. Vittorio Emanuele lo fa arrestare nominando in sua vece Pietro Badoglio, che il 3 settembre firma un armistizio con gli Alleati. L'esercito si ritrova allo sbando sotto i colpi delle numerose unità tedesche, inviate in Italia all'indomani della caduta di Mussolini. Screditato per l'appoggio fornito alla dittatura fascista, il 9 maggio 1946 Vittorio Emanuele III abdica in favore del figlio Umberto II di Savoia. Meno di un mese dopo, il 2 giugno 1946, un referendum istituzionale porrà fine alla monarchia a favore della forma repubblicana dello Stato italiano. Vittorio Emanuele muore il 28 dicembre 1947 esule ad Alessandria d’Egitto.

38 Gabriele D’Annunzio Gabriele D'Annunzio nacque a Pescara nel 1863 da famiglia benestante. Già in giovane età si fece notare come poeta, la prima opera che pubblicò mentre era studente, fu una raccolta di versi dal titolo Primo vere. Dopo aver preso la licenza liceale a Prato s'iscrisse all'università di Roma, ma non completò mai gli studi. A Roma invece frequentò i salotti bene della società romana e gli ambienti letterari più in vista. Durante il periodo romano, oltre che a dare "scandalo" per il suo modo di vivere e le sue numerose relazioni, lavorò anche presso diversi giornali e scrisse Il piacere. Allo scoppio della guerra rientrò in Italia dal suo breve "esilio" parigino e divenne accesso interventista e in seguito partecipò al conflitto distinguendosi per numerose azioni ardite tra cui quella del 1916 in cui fu ferito a un occhio che poi perse. Tra il 1919 e il 1921 in aperta polemica con il governo italiano occupo militarmente Fiume e costituì la repubblica da lui presieduta la "Reggenza italiana del Carnaro" che fu fatta cadere da Giolitti nel In seguito il fascismo cui il poeta si avvicinò (ricordiamo la sua visione politica reazionaria, aristocratica e antidemocratica) lo isolò e il poeta trascorse i suoi ultimi anni sul lago di Garda dove morì per emorragia celebrare nel 1938. Le correnti culturali che più influenzarono D'Annunzio furono il Simbolismo e il Decadentismo inoltre il poeta accolse la teoria, però in chiave antidemocratica, del superuomo desunta da Nietzsche. Recentemente la complessa produzione culturale di D'Annunzio (il poeta s'interessò di teatro, cinema, musica e tutto quello che di nuovo stava emergendo nel panorama culturale del Novecento) è oggetto di studio dalla critica contemporanea che ha riconosciuto l'influenza del poeta su tutte le correnti poetiche successive (ricordiamo a livello formale l'introduzione di D'Annunzio del verso libero).

39 L’Italia nella IIa guerra mondiale
Il 10 giugno 1940 l'Italia entrò nella seconda guerra mondiale come alleata della Germania, contro Francia e Regno Unito. Nel 1941 fu dichiarata guerra all'Unione Sovietica e agli Stati Uniti d'America. Mussolini, confortato dagli schiaccianti successi della Germania di Adolf Hitler, credeva in una guerra lampo risolta in breve tempo a favore dell'alleato tedesco, assieme al quale avrebbe potuto sedere al tavolo dei vincitori. In realtà le difficoltà delle truppe italiane e le ingenti forze a disposizione dell'alleanza nemica, portarono non poche sconfitte all'esercito regio. I primi scontri ebbero luogo sulle Alpi, contro la Francia, ormai annientata dai tedeschi, che portò allo stato fascista italiano la sola conquista di una piccola striscia nel sud del Paese. Nello stesso momento lo stato maggiore fascista concentrò le sue mire espansionistiche in Grecia, pensando di non trovare alcuna resistenza. Ma tra novembre e dicembre del 1941 i Greci, aiutati anche dagli inglesi, passarono all'azione e costrinsero gli italiani a ritirarsi in Albania. Successivamente i tedeschi si impossessarono dell'area balcanica, concedendo allo stato fascista di mettere nominalmente a capo dello stato croato un rappresentante di casa Savoia. Nel 1942 le operazioni italiane si concentrarono in Unione Sovietica e Africa. In entrambi i fronti, grazie alle truppe tedesche, si ebbero frequenti successi. La situazione peggiorò poi con l'avvicinarsi dell'inverno, infatti Mussolini non si era curato di rafforzare l'equipaggiamento delle truppe italiane che nel dicembre 1942 subirono pesanti sconfitte, seguite dalla ritirata. Le sconfitte sia sul fronte africano che su quello russo causarono in Italia vari scioperi e un calo di consensi nei confronti del fascismo e di Mussolini. Il 24 luglio 1943 si riunì il Gran Consiglio del Fascismo e il mattino seguente il duce venne sfiduciato e arrestato. Vittorio Emanuele III decise quindi di sostituirlo a capo del governo con Pietro Badoglio, che annunciò il proseguimento della guerra a fianco dei tedeschi, ma contemporaneamente stava trattando l'armistizio con gli Alleati, che venne firmato il 3 settembre e reso pubblico l'8. Il giorno successivo avvenne la fuga del re Vittorio Emanuele III e di Badoglio, che lasciarono Roma per recarsi in Puglia, sotto la protezione di inglesi e americani. L'annuncio dell'armistizio provocò la reazione tedesca, le cui truppe occuparono gran parte dell'Italia, catturando molti soldati italiani e, il 12 settembre, liberando Mussolini, che venne incaricato di formare un nuovo regno nel nord Italia. Il Paese si trovò così diviso in due: il Regno del Sud a fianco degli alleati contro la Germania e la Repubblica Sociale Italiana (RSI), formata dai reduci fascisti. Continua… Mappa

40 L’Italia nella IIa guerra mondiale
In questo quadro drammatico, nacquero però le prime formazioni di partigiani, che soprattutto nel centro-nord diedero vita al primo nucleo dell'Italia libera. Il 22 gennaio 1944 gli anglo-americani, sbarcarono nell'Italia centrale, nella zona compresa tra Anzio e Nettuno, con lo scopo di aggirare le forze tedesche e di liberare Roma. Il 24 marzo i nazisti compirono l'eccidio delle Fosse Ardeatine, massacro eseguito a Roma ai danni di 335 civili italiani, come atto di rappresaglia per un attacco eseguito da partigiani contro le truppe germaniche ed avvenuto il giorno prima in via Rasella. Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime, e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, è diventato l'evento simbolo della rappresaglia nazista durante il periodo dell'occupazione. Nel maggio 1944 si accrebbe la sottomissione della RSI nei confronti della Germania nazista, con l'annessione del Trentino-Alto Adige, della provincia di Belluno e di Tarvisio al Terzo Reich. Il 5 giugno 1944, il giorno dopo la liberazione di Roma, Vittorio Emanuele III nominò il figlio Luogotenente Generale del Regno in base agli accordi tra le varie forze politiche che costituivano il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), che prevedevano di «congelare» la questione istituzionale fino al termine del conflitto. Grazie agli approvvigionamenti ottenuti nell'inverno tra il 1944 ed il 1945 in primavera gli alleati poterono lanciare l'offensiva contro l'esercito tedesco portando gli alleati alla liberazione: il 21 aprile 1945. L'arrivo degli alleati a Milano fu anticipato dalla insurrezione partigiana proclamata dal CLN il 25 aprile, questa data sarà poi scelta come festività nazionale per ricordare la liberazione. Le truppe nazi-fasciste capitolarono il 29 aprile 1945, ed il 2 maggio il comando tedesco firmò a Caserta la resa delle sue truppe in Italia e per procura anche la resa formale dei reparti della RSI. Nell'aprile del 1945 le forze nazi-fasciste vennero sconfitte anche con il contributo dei partigiani, formati da ex-militari sbandati dopo l'armistizio ma anche da donne, ragazzi ed anziani, e col supporto delle popolazioni, che costò spesso gravi massacri per rappresaglia da parte delle forze occupanti. La fine della guerra vide l'Italia in condizioni critiche: i vari combattimenti e bombardamenti aerei avevano ridotto molte città e paesi in macerie, le principali vie di comunicazione erano interrotte, il territorio era occupato dalle truppe angloamericane, ad eccezione dell'area triestina che venne occupata dai partigiani per sei mesi, ritirandosi solo a seguito di un ultimatum alleato. Il numero di italiani morti a causa della guerra fu molto elevato: sono stimati tra  e morti. …Ritorna Mappa

41 Verso la seconda Repubblica…
PRIMA REPUBBLICA Dopo la fine della guerra in Italia l'elevatissimo scontento popolare, soprattutto nell'Italia settentrionale, nei confronti della monarchia fece sì che il referendum istituzionale del 2 giugno1946 sancisse la fine della monarchia e la nascita della Repubblica Italiana; per la prima volta in Italia, anche la donne ebbero il diritto al voto. Il 1° gennaio 1948 entrò in vigore la nuova costituzione. Il 10 febbraio 1947 il governo De Gasperi firmò per l'Italia il nuovo trattato di pace con le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale. Con l'entrata in vigore della nuova costituzione, Enrico De Nicola, fino a quel momento capo provvisorio dello stato divenne per alcuni mesi il primo presidente della repubblica italiana, sostituito in seguito dall'economista Luigi Einaudi. Anche grazie agli aiuti economici provenienti dagli USA, l'Italia iniziò la ricostruzione materiale di case e industrie danneggiate durante il conflitto cominciando a riprendersi economicamente: fu il "miracolo economico“. Negli anni settanta, alcuni dei movimenti politici si estremizzarono e degenerarono nel terrorismo rosso (le Brigate Rosse), accompagnato da quello nero (i gruppi neofascisti) caratterizzando quelli che furono chiamati gli anni di piombo. L’8 dicembre 1970 ci fu un tentativo di colpo di stato da parte dell’strema destra e organizzato da gruppi neofascisti capitanati da Junio Valerio Borghese; l’obiettivo del golpe era il rapimento di diversi esponenti del governo e il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Nell’estrema sinistra, invece, rimasero tristemente celebri le Brigate Rosse, gruppi terroristici che rapirono e uccisero diversi esponenti politici tra cui il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, proprio mentre il Presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, tentava di far nascere un nuovo governo. Come se non bastasse nel corso del biennio i movimenti mafiosi fecero sentire tutta la propria forza arrivando a sfidare attraverso una serie di attentati la forza dello stato. Ciò avvenne attraverso vari attentati prima nel 1992 contro i giudici simbolo della lotta alla mafia, ovvero Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che morirono in due tragici attentati. Nello stesso periodo le inchieste interessarono anche il fenomeno Mani Pulite, in cui diversi esponenti politici, tra cui il celebre Presidente del Consiglio Benedetto Craxi, furono coinvolti nello scandalo di Tangentopoli. Sotto il peso delle accuse i principali partiti di governo di sciolsero e così il vecchio stato crollò con le elezioni del marzo 1994 che decretarono la fine della Prima Repubblica e l'inizio della Seconda Repubblica. Verso la seconda Repubblica… Mappa

42 Alcide De Gasperi Nato il 3 Aprile 1881 a Pieve Tesino (Trento), Alcide De Gasperi è stato un protagonista della ricostruzione politica ed economica dell'Italia dopo la seconda guerra mondiale e leader dei governi di centro formatisi a partire dal Dato che alla sua nascita il territorio trentino apparteneva ancora all'Impero austro-ungarico (anche se di lingua italiana), è proprio nella vita politica austriaca che il giovane De Gasperi inizia a muovere i primi passi di quella che fu una lunga e fortunata carriera politica. Nel 1905 entra a far parte della redazione del giornale "Il Nuovo Trentino" e, divenutone il direttore, appoggia il movimento che auspicava la riannessione del Sud Tirolo all'Italia. Deciso avversario del fascismo, De Gasperi viene imprigionato nel 1926 per la sua attività politica. Fu uno dei pochi leader popolari a non accettare accordi col regime benché fosse stato, nel 1922, favorevole alla partecipazione dei popolari al primo gabinetto Mussolini. Dopo l'omicidio Matteotti, l'opposizione al Duce è ferma e risoluta anche se coincide con il ritiro dalla vita politica attiva a seguito dello scioglimento del P.I.P. ed al ritiro nelle biblioteche vaticane per sfuggire alle persecuzioni del fascismo. Durante la seconda guerra mondiale De Gasperi contribuisce alla fondazione del partito della Democrazia Cristiana, che eredita le idee e l'esperienza del Partito Popolare. De Gasperi non è tanto un uomo d'azione, quanto un "progettista" politico che alla fine della guerra mostra di avere le idee chiare sulla parte da cui stare, l'occidente anticomunista. Dopo il crollo della dittatura del Duce viene nominato ministro senza portafoglio del nuovo governo. Ricopre la carica di ministro degli Esteri dal dicembre 1944 al dicembre 1945, quando forma un nuovo gabinetto. In qualità di presidente del consiglio, carica che manterrà fino al luglio del 1953, De Gasperi favorisce e guida una serie di coalizioni di governo, composte dal suo partito e da altre forze moderate del centro. Contribuisce all'uscita dell'Italia dall'isolamento internazionale, favorendo l'adesione al Patto Atlantico (NATO) e partecipando alle prime consultazioni che avrebbero condotto all'unificazione economica dell'Europa. Opera principale della politica degasperiana fu proprio la politica estera e la creazione della futura Unione Europea. Un'idea europeista che nasceva nell'ottica di una grande opportunità per l'Italia per superare le proprie difficoltà. Lo statista trentino muore a Sella di Valsugana il 19 agosto 1954, appena un anno dopo l'abbandono della guida del governo.

43 Aldo Moro Aldo Moro (Maglie, Lecce, Roma 1978) fu principalmente politico italiano. Laureato in giurisprudenza, divenne nel 1941 ordinario di diritto penale all'università di Bari. Si fece presto conoscere negli ambienti politici cattolici dapprima come presidente della FUCI, e poi del movimento laureati cattolici. Deputato dal 1946, si affermò come l'uomo più indicato per risolvere i contrasti interni tra le correnti in cui era divisa la DC, contrasti accentuati soprattutto in seguito all'apertura verso i socialdemocratici. Cercò quindi di guidare la DC nel suo periodo più travagliato e di far prevalere una linea di apertura verso i socialisti. Nel dicembre 1963, come presidente del consiglio diede vita al primo ministero di centro-sinistra, con la partecipazione diretta del PSI. Promosse una politica di riforme e fece approvare il piano di programmazione economica, ma incontrò ostacoli frapposti dal suo stesso partito. Diresse la politica italiana fino al 1968, presiedendo tre governi: , , Nel maggio 1968 l'uscita dei socialisti dalla coalizione lo costrinse alle dimissioni, Moro si propose, quindi, come leader della sinistra democristiana e nell'estate 1969 tornò a impegni di governo, fino al giugno 1972. Presidente del consiglio fino al 1976 (quarto e quinto governo Moro) e quindi della DC, intervenne a favore del suo partito in occasione dello scandalo “Lockheed”, con un discorso da più parti criticato per l'intransigente difesa dei dirigenti democristiani coinvolti nella vicenda. Principale artefice del nuovo corso politico, venne rapito il 16 marzo 1978 da un commando delle Brigate rosse e il suo cadavere fu ritrovato a Roma il 9 maggio successivo.

44 Luigi Einaudi Luigi Einaudi nasce a Carrù, in provincia di Cuneo, il 24 marzo 1874. Giornalista e studioso di finanza, dal 1896 collabora con il quotidiano La Stampa per poi passare, nel 1900, al Corriere della Sera. Dal 1908 dirige la rivista "Riforma Sociale". Nel 1912 elabora una nuova teoria finanziaria, presentata nel saggio "Concetto di reddito imponibile e sistema di imposte sul reddito consumato". Nel 1919 Einaudi è nominato senatore del Regno su indicazione di Giovanni Giolitti. In questa veste, sono gli anni direttamente successivi alla Prima guerra mondiale, Einaudi è tra i più accesi critici di ogni forma di socialismo di Stato nella vita economica. Dapprima guarda con favore il programma economico del movimento fascista, ma già prima della marcia su Roma del '22 inizia ad avere qualche perplessità che lo porterà, nel 1927, a dimettersi da collaboratore del Corriere della Sera, ormai legato alle idee e alle iniziative del regime mussoliniano. Nel 1935 le autorità fasciste fanno chiudere la rivista "Riforma Sociale" e, l'anno seguente, Einaudi fonda la "Rivista di storia economica", che sarà pubblicata fino al '43. Dopo la Liberazione del 25 luglio, Einaudi diviene rettore dell'università di Torino, ma con la nascita della Repubblica di Salò deve lasciare l'incarico e ripiegare in Svizzera. Nel dicembre '44 è a Roma e il 5 gennaio 1945 è nominato governatore della Banca d'Italia. Nel 1946 è eletto deputato all'Assemblea Costituente per il Partito Liberale Italiano, e il 31 maggio 1947 Alcide De Gasperi lo chiama a far parte del suo quinto governo come vicepresidente e ministro del Bilancio. Da ministro, Einaudi sostiene un'idea economica di libero mercato e la stabilizzazione della lira attraverso una politica di restrizione del credito. Il 10 maggio 1948 diviene presidente della Repubblica: è il primo capo dello Stato eletto dal Parlamento della Repubblica, divenendo poi, una volta scaduto il mandato il 25 aprile 1955, senatore a vita. Negli anni del governo e della presidenza si lega parecchio a De Gasperi, al quale riconosce formidabili qualità umane e di statista, sostenendone l'ambizioso e difficile obiettivo dell'unità europea. Luigi Einaudi muore il 30 ottobre 1961 a Roma.

45 Junio Valerio Borghese
Junio Valerio Borghese (Artena, 6 giugno 1906 – Cadice, 26 agosto 1974) fu un militare e politico italiano, membro della nobile famiglia Borghese. Si fa onore durante la Seconda Guerra Mondiale a bordo del sommergibile Sciré, affondando numerose imbarcazioni alleate: per questo ottiene una medaglia d'Oro. Il 1 maggio 1943 è nominato comandante della Decima Flottiglia Mas, reparto d'elite della Marina italiana. Il carisma di Borghese e il suo prestigio spingono molti volontari ad arruolarsi nella Decima e questo provoca invidia e preoccupazione nei comandi militari della Rsi, i quali temono un colpo di stato di Borghese ai danni di Mussolini. Con una scusa il Duce lo convoca e lo tiene per una settimana agli arresti. Per pressione dei tedeschi Borghese è liberato, ma la sua autonomia è ridotta. Dopo quattro anni di carcere è di nuovo libero grazie all'amnistia del 18 febbraio Aderisce al Movimento Sociale Italiano, nel quale ricopre l'incarico di presidente onorario dal 1951 al 1954. Si mantiene nell'ambiente del reducismo continuando ad intrattenere stretti rapporti con ex-repubblichini e vertici delle Forze Armate fino a fondare nel 1967 un suo partito: il Fronte Nazionale d'espirazione estremista, che raccolse il consenso di molti movimenti extraparlamentari di destra. Fin dal 1969 Borghese organizza un colpo di Stato con l'appoggio di generali dell’esercito, guardie forestali e i militanti di Avanguardia Nazionale ed altri movimenti extraparlamentari. Il piano consiste nell'occupazione del Ministero degli Interni, del Ministero della Difesa, delle sedi RAI e dei mezzi di telecomunicazione (radio e telefoni) e la deportazione degli oppositori presenti nel Parlamento. Nei piani c'era anche il rapimento del Capo dello Stato Giuseppe Saragat e dell'assassinio del capo della Polizia, Angelo Vicari. A tutto questo sarebbe stato accompagnato un proclama ufficiale alla nazione, che Borghese stesso avrebbe letto dagli studi RAI occupati. Quando il piano è già in azione Borghese ordina l'immediato annullamento. Le motivazioni di Borghese per quest'improvviso ordine a poche ore dall'attuazione effettiva del piano non sono ancora certe, si parla di un intervento della massoneria che avrebbe annunciato il venir meno di appoggi internazionali. Il 18 marzo 1971 la magistratura di Roma emette mandati di arresto con l'accusa di usurpazione dei poteri dello stato e cospirazione per Borghese e altri congiurati. In seguito al fallimento del golpe, Borghese si rifugia in Spagna dove, non fidandosi della giustizia italiana, che nel 1973 revoca l'ordine di cattura, rimane fino alla morte.

46 Giuseppe Saragat Giuseppe Saragat (Torino, 19 settembre 1898 – Roma, 11 giugno 1988) è stato un politico e diplomatico italiano, quinto Presidente della Repubblica Italiana. Socialista del filone riformista ed umanitario, si nutrì della cultura politica di Filippo Turati, divenendo così esponente di primo piano del Partito Socialista Unitario, il partito nato dalla scissione del PSI, del quale Giacomo Matteotti era segretario. Durante il ventennio fascista emigrò in Francia, Austria e Svizzera, stringendo con il socialista Pietro Nenni un'alleanza politica che porterà alla riunificazione di PSI e PSU con il Movimento di Unità Proletaria, dando così vita al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP). Questo fu anche il periodo in cui Saragat entrò in contatto con molti autorevoli esponenti dell’Austromarxismo che teorizzarono la conciliabilità del pensiero di Marx con la socialdemocrazia. Tornò in patria nel 1943 per combattere contro la Repubblica di Salò: arrestato e consegnato alle autorità tedesche in seguito alla repressione voluta dal generale Enrico Adami Rossi, venne rinchiuso nel carcere romano di Regina Coeli, dove divide la cella con un altro futuro presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Riuscì ad evadere, insieme a Pertini, grazie a un gruppo di partigiani che falsificarono un ordine di scarcerazione e si trasferì a Milano, dove lavorò per il partito socialista. Fu Ministro senza portafoglio nel 1944 durante il governo Bonomi II, nel 1945 fu ambasciatore d'Italia a Parigi per un brevissimo periodo. Nelle elezioni politiche del 1948 si scagliò contro il Fronte Democratico Popolare, l'alleanza social-comunista. In quelle consultazioni ottenne poco più del 7% dei voti alla Camera dei deputati e circa il 4,1% al Senato. Più volte vicepresidente del Consiglio nei governi De Gasperi, fu anche ministro degli Esteri dal 1963 al 1964 e si schierò a favore della formula politica del centro-sinistra. Il 28 dicembre del 1964 fu eletto Presidente della Repubblica italiana al 21º scrutinio, grazie anche ai voti decisivi dei socialisti e dei comunisti. Socialista liberale, Saragat viene oggi considerato il padre della dottrina socialdemocratica italiana: era convinto che la socialdemocrazia potesse essere politicamente un valore aggiunto e che avrebbe potuto avere una posizione elettoralmente egemonica, come del resto avveniva nei paesi del nord-Europa.

47 Giulio Andreotti Giulio Andreotti nasce a Roma il 14 gennaio 1919.
Dopo diversi incarichi affidatagli da Pio XII, egli collabora alla fondazione della Democrazia Cristiana, al fianco di Alcide De Gasperi. Dopo la liberazione di Roma, divenne delegato nazionale dei gruppi giovanili della Democrazia Cristina e nel 1945 fece parte della Consulta Nazionale. Deputato Dell'Assemblea Costituente nel 1946, è stato confermato in tutte le successive elezioni della Camera dei Deputati, dove è stato eletto, per la dodicesima volta, nel E' stato anche eletto per due volte al Parlamento Europeo (Italia Centrale e Nord-Est). Il 1° giugno 1991 il Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, lo ha nominato Senatore a vita. Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dal quarto all'ottavo governo De Gasperi tra il 1947 e il 1953, mantenne tale incarico col successivo governo Pella, sino al gennaio In seguito ha ricoperto numerosi incarichi di governo: Interno, Finanze, Tesoro, Difesa, Industria, Bilancio ed Esteri. E' stato Presidente del Consiglio dei Ministri dal febbraio 1972 al giugno 1973, dal luglio 1976 al giugno 1979 e dal 1989 al Presidente dei deputati della D.C. dal dicembre 1968 al febbraio 1972, ha presieduto per tutta l'ottava legislatura la Commissione Affari Esteri della Camera. Accuse e sospetti gli sono stati rivolti a proposito delle sue relazioni Cosa Nostra, la Chiesa cattolica e con alcuni individui legati ai più oscuri misteri della storia repubblicana. Tali voci hanno certamente danneggiato la sua immagine pubblica: come s'è visto nel 1992, quando, scaduto il mandato del dimissionario Francesco Cossiga come Presidente della Repubblica, la candidatura di Andreotti sembrava destinata ad avere la meglio finché, durante i giorni delle votazioni di maggio, la strage di Capaci orientò la scelta dei parlamentari verso Oscar Luigi Scalfaro. Attualmente è membro della Commissione Affari Esteri del Senato, direttore del mensile “Trenta Giorni” e presidente del Centro Studi Ciceroniani e della Casa di Dante di Roma.

48 Bettino Craxi Benedetto Craxi nasce a Milano il 24 febbraio del 1934.
I primi anni della sua attività politica si svolgono fra il partito e la FGS, la federazione giovanile socialista, entrambi filocomunisti. Già da allora Craxi combatte contro la dipendenza del PSI nei confronti dell’alleato più forte. E al congresso di Venezia del 1957 vota per il segretario Pietro Nenni che vuole portare il PSI al governo con la DC. In quella sede, quando ha 23 anni, Craxi entra nel comitato centrale del partito. Ma la strada è ancora lunga e le correnti del partito socialista non sono unanimi nel sostenere il segretario e la politica del centro sinistra. Al Congresso del 1959 Nenni riesce ad ottenere la maggioranza dei voti del PSI che si incammina verso il centro sinistra. All’inizio degli anni Sessanta Craxi inizia a consolidare il suo ruolo nel PSI. Nel 1961 diventa assessore del comune di Milano, nel 1964 entra nella segreteria provinciale milanese e nel 1965 nella direzione del partito. Tre anni dopo, alle elezioni politiche del 1968, viene eletto deputato di un partito in difficoltà. Le elezioni del 1968, infatti, hanno segnato la sconfitta del PSU, il partito socialista unificato, nato nel 1966 dalla fusione dei socialisti con i socialdemocratici. Se Nenni e Saragat ne sono gli artefici, Craxi ne è uno dei sostenitori più convinti: la costruzione di un partito socialdemocratico, che tolga spazio e consensi al PCI, resta al centro del suo progetto politico. Nelle 1976 il segretario De Martino dichiara la fine del governo di centro sinistra: è la più grave sconfitta del PSI. Si arriva così all’elezione di Craxi che a molti sembra una soluzione temporanea, ma in realtà comincia a conquistare il partito. Nel 1978, Craxi è uno dei pochi leader politici schierati apertamente a favore delle trattative con le Brigate Rosse per liberare Moro ad ogni costo inasprendo i già difficili rapporti con i comunisti. All’inizio degli anni Ottanta, Craxi cambia costumi e contenuti alla politica italiana, e riesce ad avere un peso politico decisamente maggiore di quello che gli garantiscono i consensi elettorali. Con poco più del 10 % dei voti degli italiani, alle elezioni del 1983, il PSI di Craxi è, di fatto, l’arbitro del sistema politico e per questo riesce ad imporre alla DC la Presidenza del Consiglio che, per la prima volta nella storia della repubblica, va ad un socialista. La fine della sua stagione politica inizia il 17 febbraio del 1992 quando a Milano i giudici della procura indagano sugli scandali delle tangenti avranno pienamente coinvolto il suo partito. Morì il 19 gennaio del 2000 a Hammamet, dove risiedeva, secondo i suoi sostenitori come esule, secondo altri come latitante.

49 Giovanni Falcone Paolo Borsellino
Falcone e Borsellino: due nomi, un solo luogo del nostro immaginario collettivo, a testimonianza di una tragedia che ha colpito tutti, un intero popolo. E' difficile scindere questo binomio, impossibile parlare di Giovanni, senza immediatamente ricordare Paolo. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano uniti in vita, legati da un “mestiere” che per loro era missione: liberare la società civile dall'oppressione della mafia. Come accade per quanti diventano simbolo contro la loro stessa volontà, essi sono ricordati come eroi soltanto per aver voluto esercitare il diritto di affermare le proprie idee, per aver rifiutato la via facile del compromesso e del quieto vivere. La loro fine, orribile e tragica, li ha fusi insieme. Fu di Giovanni Falcone l’idea di avvalersi dei “pentiti” nella lotta contro la mafia, in un momento in cui nessuno osava soltanto pensare all’eventualità che uno strumento rivelatosi essenziale contro il terrorismo potesse risultare praticabile in tale ambito. Falcone portò in Italia Buscetta, un pentito che doveva aprire la strada al ripensamento di tanti altri boss. Bastò questo per segnare la strada, l'esito del primo maxiprocesso fu una disfatta per Cosa Nostra. Fu forse allora che Falcone e Borsellino firmarono la loro condanna a morte. Cosa Nostra capì che non ci poteva essere convivenza tra i propri interessi e i due magistrati che masticando il palermitano, capivano il linguaggio cifrato dei mafiosi e si muovevano perfettamente a loro agio tra ammiccamenti, sguardi, segni apparentemente innoqui, bugie e tragedie imminenti. Per questo dialogando coi collaboratori, riuscirono ad ottenerne la loro fiducia, offrendo in cambio la semplice “parola d'onore” che avrebbe fatto tutto il possibile per aiutarli. La storia della vita e della morte di questi due eroi siciliani non lascia spazio a dubbi e ambiguità. Giovanni e Paolo non erano molto amati neppure nelle stanze che contano: essere loro collaboratore voleva dire rischiare la vita. Dopo la loro morte, avvenuta a causa di due attentati, essi restano tutt’ora il simbolo della lotta alla mafia e della volontà del cittadino di vivere secondo i principi sani della democrazia. Paolo Borsellino

50 SECONDA REPUBBLICA Mappa
Nel caos politico derivato dalla disintegrazione dell'ordine precedente emergeva un nuovo partito costituito dall'imprenditore Silvio Berlusconi, Forza Italia, che si poneva come alternativa al vecchio sistema pur inglobando alcuni dei suoi protagonisti, e otteneva un forte successo alle elezioni del 1994, con due distinte coalizioni, al Nord con la Lega Nord, e al Centro Sud con il MSI (non ancora Alleanza Nazionale). In questa fase, definita "Seconda Repubblica", si consolida il principio del bipolarismo e l'alternanza fra i governi dei due schieramenti di centrosinistra e centrodestra: dal 1996 al 2001 i governi dell'Ulivo, dal 2001 al 2006 quelli della Casa delle Libertà e dal 2006 quello dell'Unione, una nuova coalizione dei partiti di centro-sinistra. Con le nuove elezioni indette dopo la caduta del governo dell'Unione, in quel momento presieduto da Romano Prodi, il 13 e il 14 aprile 2008 sale al potere la coalizione di centro-destra, composta dal PdL (Popolo della Libertà, risultato della lista unica di candidati tra FI, AN e altri partiti minori), dalla Lega Nord, di Umberto Bossi. All'opposizione vi sono solo la coalizione tra Partito Democratico, al cui vertice troviamo Pier Luigi Bersani, Italia dei Valori e Unione di Centro. Per la prima volta nella storia dell'Italia repubblicana non sono presenti in parlamento rappresentanti dei partiti socialisti e comunisti. Ad oggi la situazione pare molto complicata: la crisi verificatasi nel settembre del 2009 si sta trascinando in tutto il mondo e le ripercussioni sono sotto gli occhi di tutti. A dimostrazione di ciò i fatti di cronaca degli ultimi mesi riportano notizie sul malcontento della popolazione verso il mondo politico, accusato di fare i propri interessi economici ed aver accantonato gli ideali della democrazia. Mappa

51 Romano Prodi Il Presidente Romano Prodi è nato a Scandiano (Reggio Emilia) nel 1939. Dal novembre 1978 al marzo 1979, Romano Prodi è stato Ministro dell'Industria. Dal novembre 1982 all'ottobre 1989, è stato presidente dell'Istituto per la Ricostruzione Industriale. Sotto la sua presidenza, l'Istituto ha attraversato una fase di profondo risanamento, impostando anche il processo di trasformazione e preparando le imprese alla privatizzazione. Richiamato alla guida dell'Istituto nel maggio 1993, Romano Prodi ha condotto in porto la privatizzazione di importanti aziende, quali il Credito Italiano e la Banca Commerciale Italiana. Nel febbraio 1995 ha fondato la coalizione dell'Ulivo, che lo ha designato come suo candidato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri in occasione delle elezioni politiche. Queste, svoltesi nell'aprile del 1996, hanno visto l’Ulivo prevalere sulla coalizione di centro-destra: così, nel maggio 1996, il Presidente della Repubblica affidava a Prodi l'incarico di formare il nuovo governo. Il Governo Prodi è rimasto in carica sino all'ottobre 1998, conseguendo l'obiettivo di portare l'Italia nel gruppo di testa dei paesi aderenti all'Euro. Divenuto Presidente de l’Unione nel 2005 e indicato alla guida della coalizione di centrosinistra dalle Primarie dell’ottobre 2005, è stato capolista dell’Ulivo alle elezioni politiche del 9 e 10 aprile 2006 che vinse uno scarto inferiore ai voti. Con tale situazione il governo andò in minoranza in alcune votazioni, anche nel caso di voto di fiducia. Fu decisivo talvolta il voto dei Senatori a vita; per questo il partito della Casa delle Libertà aprì una polemica sulla prerogativa da assegnare agli stessi. Il secondo governo Prodi affronta così diverse crisi, culminate nella mancanza del voto di fiducia il 23 gennaio del 2008 e le successive dimissioni da Presidente del Consiglio, il giorno successivo.

52 Pier Luigi Bersani Pier Luigi Bersani nasce il 29 settembre 1951 a Bettola, comune montano della valle del Nure in provincia di Piacenza. Dopo una breve esperienza da insegnante, si dedica completamente alla attività amministrativa e politica. Viene eletto consigliere regionale dell'Emilia-Romagna. Ne diventerà il presidente il 6 luglio 1993. Riconfermato alla presidenza nell'aprile del 1995, si dimetterà nel maggio del 1996 quando sarà nominato Ministro dell'Industria dal Presidente del Consiglio Romano Prodi. Dal 23 dicembre 1999 al giugno 2001 Pierluigi Bersani ricopre la carica di Ministro dei Trasporti. Nel novembre 2001, Pier Luigi Bersani è membro della Segreteria nazionale e viene nominato responsabile economico del partito. Nel 2004 è eletto Parlamentare europeo nella circoscrizione Nord-Ovest. Nel 2005 dopo il congresso di Roma succede a Bruno Trentin alla guida della Commissione Progetto dei Ds con il compito di coordinare le linee-guida del programma elettorale dei Democratici di sinistra in vista delle elezioni politiche. Dopo la vittoria dell'Unione nel maggio 2006, Bersani è il ministro dello Sviluppo economico. Tra i protagonisti della nascita del Partito Democratico, dal novembre 2007 è nel Coordinamento nazionale del Pd. Dopo le dimissioni di Walter Veltroni dalla guida del Pd nel febbraio del 2009, Bersani viene indicato come uno dei possibili successori. Le redini del Partito Democratico vengono prese in mano da Dario Franceschini (vice segretario in carica); Bersani si candida per diventare segretario del Pd in vista delle primarie che si tengono nell'autunno del 2009. E' lui ad essere eletto nuovo leader del partito.

53 Silvio Berlusconi Silvio Belrusconi nasce il 29 settembre 1936 a Milano da una famiglia borghese. Non fa il servizio militare e subito inizia la sua professione d'imprenditore nel settore dell'edilizia. Dal 1969 al 1979 si occupa del progetto e della costruzione di "Milano 2", cui segue la realizzazione di "Milano 3" e del centro commerciale "Il Girasole". Nel 1974 inizia la sua avventura nel mondo della TV privata, in un condominio di Milano 2 nasce la tv via cavo Telemilano 58, che passerà poi all'etere col nome di Canale 5. Nel 1975 nasce Fininvest di cui Berlusconi ne diventerà di fatto Presidente nel 1979. Nel gennaio 1994 Silvio Berlusconi annuncia il suo ingresso in politica: si dimette da tutte le cariche ricoperte nel Gruppo Fininvest e fonda Forza Italia, partito che dal nulla in soli tre mesi arriverà a superare il 20 per cento dei consensi alle elezioni politiche; alleato con il partito Alleanza nazionale di Gianfranco Fini, la Lega Nord di Umberto Bossi e il Ccd di Pierferdinando Casini e Clemente Mastella. Dopo aver vinto le elezioni politiche del 27 marzo diventa presidente del Consiglio. Il 22 dicembre è costretto a dimettersi in seguito alla mozione di sfiducia della Lega Nord, che non condivide più vari punti della sua politica. Nel 1996 si ricandida ma questa volta perde, vince il candidato dell'Ulivo: Romano Prodi. Il 15 maggio del 2001 vince le elezioni alla guida della Casa delle Libertà e torna alla presidenza del Consiglio. Durante il secondo semestre del 2003 ricopre la carica di Presidente del Consiglio dell'Unione Europea in quanto capo del governo italiano. Le elezioni del 2006 sono caratterizzate da una forte incertezza perdurata fino al termine dello scrutinio delle schede e si risolve con una leggera prevalenza della coalizione di centrosinistra capeggiata da Romano Prodi, che vince le elezioni. Dal 16 al 18 novembre 2007 Berlusconi ha organizzato una petizione popolare per richiedere elezioni anticipate, con l'obiettivo di raccogliere almeno 5 milioni di firme. Forte di questa cifra il 18 novembre durante un comizio in piazza San Babila a Milano annuncia lo scioglimento di Forza Italia e la nascita del Popolo della Libertà. Nelle elezioni del 14-15/04/08 Silvio Berlusconi trionfa con il Pdl, divenendo il nuovo presidente del consiglio, tutt’ora in carica.

54 Umberto Bossi Umberto Bossi nasce a Cassano Magnago, in Provincia di Varese, il 19 settembre del 1941. Negli anni Settanta si avvicina alle idee dell’autonomismo e inizia ad impegnarsi attivamente in politica. Agli inizi degli anni Ottanta, dopo aver abbandonato gli studi poco prima di ottenere la laurea, insieme a Giuseppe Leoni e Roberto Maroni, fonda la Lega Lombarda, di cui viene nominato Segretario. Nel 1989, decide che è giunto il momento di creare un grande Movimento federalista. Grazie alla sua volontà, riesce ad ottenere l’unione delle varie leghe regionali presenti allora in alcune Regioni del Nord. Così, il 4 dicembre 1989, nasce la Lega Nord della quale è nominato Segretario Federale, carica che ricopre tutt’ora. Nel 1987 viene eletto per la prima volta Senatore. Successivamente, nelle elezioni del 1992, 1994, 1996, 2001 e è eletto deputato. A seguito della elezione del 2001, entra a far parte del secondo Governo Berlusconi come Ministro senza portafoglio per le “Riforme Istituzionali e la Devoluzione”, incarico che ricoprirà dal 10 giugno 2001 al 18 luglio 2004. E’ eletto al Parlamento europeo nelle elezioni del 12 e 13 giugno A causa delle disposizioni legislative che stabiliscono la incompatibilità tra le cariche di parlamentare europeo e parlamentare nazionale o componente del Governo, il 18 luglio del 2004 decide di dimettersi dalla carica di Ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione e da quella di deputato, per andare ad occupare il seggio di Bruxelles. Punti fermi della sua battaglia politica sono il federalismo e la devoluzione, la lotta contro la burocrazia, contro lo statalismo e il centralismo e contro l’immigrazione clandestina. Grazie alle sue idee innovative e rivoluzionarie, il Segretario Federale della Lega Nord on. Umberto Bossi diventa il grande protagonista della vita politica italiana. In occasione delle elezioni regionali del 2000 viene sottoscritto l’accordo che, prevedendo la devoluzione di poteri dallo Stato alle Regioni, pone le basi per la riforma federalista. Nel 2001 viene ritrovata intesa tra la Lega Nord e il Polo delle Libertà, che si uniscono nella Casa delle Libertà, coalizione che vince le elezioni politiche il 13 maggio 2001. Nel 2008, in previsione delle elezioni politiche anticipate del 13 e 14 aprile, la Lega Nord ottiene il riconoscimento della propria specificità e della forte identità territoriale.


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