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Facoltà di Economia “G. Fuà” Università Politecnica delle Marche Facoltà di Economia “G. Fuà” Università Politecnica delle Marche Roberto Esposti1 Evoluzione.

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1 Facoltà di Economia “G. Fuà” Università Politecnica delle Marche Facoltà di Economia “G. Fuà” Università Politecnica delle Marche Roberto Esposti1 Evoluzione delle filiere agroalimentari â Caratteristiche salienti del sistema agroalimentare italiano â Nuove tendenze del consumo â Ruolo e strategie della GDO

2 Roberto Esposti 2 Iniziamo con la definizione: Per sistema agro-alimentare si intende l’insieme di attività (cioè imprese e settori) tra di loro collegate da rapporti commerciali e che contribuiscono alla creazione del valore del prodotto alimentare come, infine, giunge sulla tavola del consumatore. E’, in sostanza, tutto ciò che interviene tra “field” (il campo coltivato) e “fork” (la forchetta, la tavola del consumatore). 1. Caratteristiche salienti del sistema agro-alimentare italiano

3 Roberto Esposti 3 La composizione di questo sistema varia perciò nel tempo e nello spazio, in virtù del cambiamento di tecnologie e comportamenti di consumo. L’agricoltura è, però, di fatto l’unico settore irrinunciabile in qualsiasi forma tale sistema prenda. Oggi, si tende a considerare il sistema alimentare come composto da questi macro-settori: - Produzione di mezzi tecnici per l’agricoltura (fertilizzanti, mangimi, ecc.) - Agricoltura - Industria alimentare - Distribuzione al consumo - Ristorazione collettiva

4 Roberto Esposti 4 Quanto è “grande” questo sistema? Secondo i dati del 2006, la dimensione economica di questo sistema è di circa 229 miliardi di €; un valore corrispondente al 15,5% dell’intero PIL italiano. Corrisponde perfettamente alla quota della spesa totale delle famiglie italiane per consumi alimentari. Il 15,5% ca è la misura del peso dell’agroalimentare in Italia sia per creazione di ricchezza che per quota sulla spesa delle famiglie.

5 Roberto Esposti 5 Quanto era “grande” 10 anni prima? Nel 1995, la dimensione economica di questo sistema era di circa 268.300 miliardi di lire, corrispondente a circa 139 miliardi di €Lire. Il confronto intertemporale, però, è reso difficile sia dal tasso di inflazione cumulatosi nel frattempo sia dall’inappropriata conversione €/Lire prima del 1998. Rimane il fatto, però, che nel 1995 tale valore corrispondeva al 15% dell’intero PIL italiano. Nel decennio, perciò, il sistema è cresciuto come il resto dell’economia nazionale e la quota è rimasta pressoché inalterata (solo un piccolo aumento dello 0,5%). Si consideri, tuttavia, che sulla spesa familiare, nel 1995 la quota dei consumi alimentari era il 17,6%. Il sistema ha perciò perso d’importanza nei consumi delle famiglie ma non nella creazione di ricchezza nazionale.

6 Roberto Esposti 6 Come si ripartisce la torta? E’ interessante chiedersi nelle tasche di chi vanno questi 229 miliardi di €, cioè come si distribuisce la creazione del valore del prodotto alimentare tra coloro che contribuiscono a “costruirlo”. Però: La distribuzione del valore non è un “giudizio di valore” Esso dipende, certo, da quantità e qualità dei servizi aggiunti, ma anche dal grado di efficienza e (soprattutto) dal potere di mercato dei vari settori interagenti nel sistema agro- alimentare.

7 Roberto Esposti 7 Nel 2006, agli agricoltori è andato il 11,9% della torta: Il resto della “torta” è stato prevalentemente diviso tra: - Commercio e distribuzione, con il 39% -Servizi di ristorazione, con il 14,9% - Industria alimentare, con il 10,6% Al trade, quindi, cioè distribuzione commerciale + ristorazione, è andato circa il 54% del valore complessivo creato

8 Roberto Esposti 8 Nel 1995 agli agricoltori andava (in mld di Lire) il 18,2% della torta: Il resto della “torta” era allora così diviso: - Commercio e distribuzione (che in questo caso include anche i servizi di ristorazione, quindi l’intero comparto trade), con il 47,3% - Industria alimentare, con il 15,1%

9 Roberto Esposti 9 Il Valore Aggiunto (VA) è un indicatore efficace della creazione di valore di un settore. Esso, infatti, è calcolato sottraendo al come valore della produzione il costo dei mezzi tecnici acquistati per realizzarla. Il VA dell’agricoltura italiana, misurato a prezzi correnti, è rimasto pressoché costante dal 2001. Quello dell’industria alimentare è invece cresciuto significativamente ma, comunque, riposizionandosi su livelli simili ai quelli della fine degli anni ‘90 Il VA dell’agricoltura italiana: 2002: 30.797 mio€ 2003: 30.882 mio€ 2004: 31.894 mio€ 2005: 28.761 mio€ 2006: 27.192 mio€

10 Roberto Esposti 10 Misurato a prezzi costanti, il VA consente di confrontare anni differenti in termini di quantità prodotte, indipendentemente, quindi, dai movimenti dei prezzi. Il VA agricolo italiano a prezzi costanti nel 2003, per esempio, è pressoché uguale ai livelli del 1993, cioè di dieci anni prima.

11 Roberto Esposti 11 Questa “stagnazione” nella creazione di valore, quindi, è dovuta all’arresto della crescita quantitativa che aveva caratterizzato, invece, i decenni precedenti. A ciò, però, non ha corrisposto una crescita della componente di prezzo. Questa sì è sì verificata, ma non a vantaggio del prodotto agricolo, né di quello trasformato, bensì del prodotto venduto al dettaglio.

12 Roberto Esposti 12 La formazione del valore nel sistema agro- alimentare tende, quindi, gradualmente a spostarsi verso i “servizi” a valle, quelli più vicini al consumatore Sia la componente agricola che quella industriale faticano a difendere la propria quota nella creazione del valore. Le ragioni, pur con le differenze del caso, sono in realtà comuni ai due settori. Cerchiamo, quindi, di vederci più chiaro

13 Roberto Esposti 13 La “Filiera” è un concetto utile per comprendere la formazione e la distribuzione del valore nei numerosi e articolati passaggi del prodotto alimentare “dal campo alla tavola”. Definizione di Filiera: Insieme degli agenti e delle operazioni che concorrono alla formazione ed al trasferimento di un prodotto (o di un gruppo di prodotti) allo stadio finale di utilizzazione.

14 Roberto Esposti 14 Come esempio, si consideri che la principale (e più complessa) filiera agroalimentari è probabilmente la Filiera Lattiero-Casearia. In Italia, nel 2004, la sola industria alimentare ha fatturato 13,5 miliardi di € nel comparto lattiero-caseario. Se ci limitiamo alla sola sub-Filiera del Latte Fresco, questi sono i soggetti ed i passaggi da considerare: 1. Produttore di mangime-foraggio 2. Allevatore 3. I primi acquirenti 4. I centri di raccolta 5. I centri di standardizzazione 6. I trasportatori 7. Le aziende di trattamento e confezionamento

15 Roberto Esposti 15 Le strategie e le pratiche di gestione della filiera (ormai largamente note come Supply Chain Management) costituiscono i fattori chiave di creazione e distribuzione del valore lungo i passaggi della filiera stessa. A tal proposito due sembrano oggi i fattori critici di successo: - La logistica - La rintracciabilità Entrambi riguardano la corretta gestione dei flussi tra le imprese ed i soggetti della filiera

16 Roberto Esposti 16 La Logistica concerne la gestione efficiente dei flussi fisici dei prodotti, al fine di minimizzare i costi e massimizzare il valore del prodotto finale. Si pensi, per esempio, ai livelli organizzativi richiesti dalla cosiddetta “Catena del freddo”. La Rintracciabilità, invece, concerne la gestione efficace dei flussi informativi connessi al prodotto tra i soggetti della filiera. Tali flussi informativi, a differenza di quelli fisici, sono bi- direzionali cioè si muovono sia dal “produttore al consumatore” che viceversa.

17 Roberto Esposti 17 Nel compiersi di questi flussi sia fisici che informativi, la creazione e la distribuzione del valore lungo la filiera dipende sostanzialmente da due fattori: - La capacità di un soggetto della filiera di minimizzare i costi (di produzione e di transazione) per unità di prodotto, quindi la sua efficienza ( Lean Supply Chain ) - La capacità di un soggetto della filiera di “imporre” un prezzo di vendita più elevato od un prezzo di acquisto più basso, cioè il suo potere di mercato

18 Roberto Esposti 18 Lean Supply Chain? Uno dei maggiori problemi delle filiere agro-alimentari italiane è la loro eccessiva pesantezza-frammentazione (inefficienza) Fonte: Anania

19 Roberto Esposti 19 La dimensione economica è un elemento decisivo per entrambi gli aspetti. Grandi dimensioni di impresa consentono economie di scala e maggiori investimenti in innovazione che aumentino l’efficienza produttiva Consentono anche, però, di esercitare un maggiore potere di mercato limitando il numero di soggetti venditori (Oligopolio e Monopolio) e compratori (Oligopsonio e Monopsonio)

20 Roberto Esposti 20 Dal questo punto di vista, il sistema agroalimentare, non solo in Italia, presenta una situazione particolarmente critica: -Tantissimi produttori agricoli di piccole e piccolissime dimensioni - Molte industrie alimentari di dimensione medio- piccola, anche se variabile per settore e zona - Poche e grandi imprese della Distribuzione Organizzata (o Grande Distribuzione Organizzata, GDO) In Italia: -Aziende agricole: 2,5 milioni (censimento 2000) - Imprese industria alimentare: 70 mila (2003) - Supermercati: 7358 (2003) - Ipermercati: 569 (2003) - Quota di mercato dei primi 6 gruppi della GDO (Mecades, Coop Italia, ESD Italia, Rinascente/Intermedia, Gruppo Carrefour, Conad) = 75,6%

21 Roberto Esposti 21 A livello mondiale l’asimmetria è ancora più evidente

22 Roberto Esposti 22 E’ comprensibile, perciò, che il potere di mercato cresca muovendosi lungo la filiera dal “campo” alla “tavola”. Di conseguenza anche il valore creato tende a distribuirsi a favore dei soggetti detentori di questo potere. Successivamente si tornerà con maggiore dettaglio sul ruolo della ruolo della GDO e sulle strategie da questa perseguite per sfruttare ed incrementare tale potere.

23 Roberto Esposti 23 Tuttavia, non si tratta di un processo inevitabile. Esso può essere contrastato da parte dei soggetti a “monte” della GDO mediante due strategie in parte complementari: - La differenziazione produttiva - La riduzione della dimensione della filiera, cioè dei soggetti coinvolti, in particolare by-passando i soggetti capaci di esercitare maggiore potere di mercato (filiere corte)

24 Roberto Esposti 24 La differenziazione del prodotto può realizzarsi in due modi: - In senso orizzontale, cioè aumentando la varietà dei prodotti in commercio anche mediante l’introduzione di nuovi marchi (o brand) con relative politiche commerciali (o strategie di branding) - In senso verticale, cioè incrementando la qualità dei prodotti esistenti mediante una classificazione, o “gradazione”, della qualità stessa (o grading)

25 Roberto Esposti 25 Queste due diverse strategie richiedono adeguati investimenti perché tale differenziazione sia effettivamente creata e, soprattutto, comunicata al cliente/consumatore: - Investimenti nella creazione, diffusione e controllo dello standard qualitativo, nel caso del grading - Investimenti in promozione e pubblicità (o advertising), nel caso del branding L’entità di tali investimenti sono tali per cui la differenziazione del prodotto non sia alla portata delle piccole dimensioni di impresa, anche laddove vi siano tutti i requisiti e le potenzialità.

26 Roberto Esposti 26 Ciò rende la differenziazione produttiva una soluzione che, piuttosto che consentire alle imprese agricole e agroindustriali di recuperare potere di mercato, è oggi molto adottata proprio dalla GDO per rafforzare il suo potere di mercato - La GDO è in grado di impostare forti strategie di branding (si pensi allo sviluppo delle private labels) - La GDO è in grado di imporre standard qualitativi a monte, cioè ai fornitori, sovrapponendosi e scavalcando quelli che i fornitori stessi vorrebbero darsi (è il fenomeno dell’affermazione dei private standards) Di questi aspetti si parlerà più nel dettaglio in seguito.

27 Roberto Esposti 27 E’ pur vero, tuttavia, che le strategie di differenziazione, soprattutto nel senso del grading, hanno consentito anche alle imprese agricole ed agroindustriali di piccole dimensioni ma elevati livelli qualitativi, di recuperare potere di mercato. E’ il caso, in particolare, dell’affermazione degli standard di certificazione dei prodotti biologici, dei prodotti con denominazione di origine o di standard auto-imposti di sicurezza o eticità (per esempio, i prodotti GM-free, i prodotti del commercio equo e solidale, ecc.).

28 Roberto Esposti 28 Soprattutto in questi segmenti in cui la differenziazione verticale (cioè qualitativa) ha avuto successo, può risultare vincente per piccole imprese agricole ed agroindustriale scegliere di operare solo o anche in Filiere corte, quindi senza ricorre alle intermediazioni commerciali e, in primo luogo, delle GDO. Per filiera corta si intende l’insieme di modalità organizzative della filiera finalizzate a ridurre ai minimi termini canale commerciale tra produttore e consumatore fino al contatto diretto.

29 Roberto Esposti 29 Le modalità oggi praticabili dalle imprese agricole ed agroindustriali per stabilire una relazione diretta con il consumatore sono numerose. Si va dalla vendita diretta in azienda, ai mercati rionali (farmers’ markets), alla vendita on-line (cioè via internet), al punto vendita in un centro commerciale (es. distributori automatici del latte), alla piccola rete di punti vendita in franchising, al catering diretto, ai gruppi di consumatori organizzati (o gruppi di acquisto), alla fornitura diretta a mense pubbliche o aziendali, e altro ancora.

30 Roberto Esposti 30 Commercio internazionale e ruolo dell’Italia Le filiere agroalimentari sono ormai internazionali o globali poiché nella realizzazione del prodotto finale coinvolgono, ormai, soggetti di paesi diversi e lontani, a partire dalla produzione agricola per arrivare alla GDO. La creazione e divisione del valore lungo la filiera è, quindi, creazione e divisione del valore (e del lavoro) tra paesi.

31 Roberto Esposti 31 La distribuzione del valore precedentemente analizzato tra componenti della filiera, soprattutto rispetto al crescente predominio della GDO, ora si traduce in una distribuzione internazionale del valore e, di conseguenza, in specializzazione internazionale dei paesi in varie componenti della filiera ed in filiere specifiche. In particolare, l’Italia mostra debolezza in tal senso in almeno due delle macro-componenti della filiera.

32 Roberto Esposti 32 Circa la produzione agricola, soffre la concorrenza di paesi emergenti vicini (per esempio dell’area del Mediteranno) e lontani (per esempio, il Sud America). Per quanto riguarda il Trade, invece, forte e crescente è la presenza di grandi gruppi stranieri (per esempio di Francia e Germania), mentre è scarsa la presenza della nostra grande GDO all’estero. Più forte sembra la posizione della nostra industria alimentare sebbene, in realtà, tra i grandi gruppi del settore a livello mondiale nessuno è italiano e proprio nelle grandi dimensioni, l’industria agro- alimentare nazionale ha mostrato negli ultimi anni i maggiori segnali di crisi (casi Parmalat, Cirio, ecc.)

33 Roberto Esposti 33 La bilancia agroalimentare italiana, cioè il saldo tra prodotti agricoli e alimentari importati ed esportati nei vari comparti, dimostra con chiarezza le difficoltà che l’Italia sta attraversando nel difendere la propria porzione di creazione di valore nell’ambito delle filiere globali. Tale bilancia, infatti, è in rosso sia per quanto riguarda i prodotti agricoli che per quelli trasformati, ed è una voce negativa rilevante nella bilancia commerciale complessiva italiana. Bilancia commerciale italiana, in milioni di €, 2007: AGRICOLTURA: - Import: 10290 - Export: 4943 - Saldo: -5347 (Saldo normalizzato = -35%) INDUSTRIA ALIMENTARE: - Import: 20868 - Export: 18633 - Saldo: -2235 (Sn = -5,7%) TOTALE SALDO AGROALIMENTARE: -7581 (Sn = -14%) TOTALE SALDO COMMERCIALE ITALIA: -4705 (Sn = -0,5%)

34 Roberto Esposti 34 Il dato della bilancia commerciale agricola è più preoccupante perché, sebbene strutturale, non sembra migliorare. Inoltre, le difficoltà cominciano a riguardare anche comparti in cui il paese dovrebbe essere più forte (come nel caso dell’ortofrutta) Invece il deficit per i prodotti trasformati, anch’esso strutturale, sta migliorando negli ultimi anni. In questo modo, la bilancia agroalimentare complessiva rimane sostanzialmente stabile (in miglioramento nell’ultimo anno) SALDO COMMERCIALE NORMALIZZATO: CONFRONTO 2001-2004-2007

35 Roberto Esposti 35 Tuttavia, in nostri prodotti trasformati soffrono delle debolezze dei comparti a valle e a monte: - Non trovano una GDO nazionale capace di veicolarli con forza sui mercati esteri; si pensi al ruolo che hanno le private labels quali Auchan e Carrefour per portare sui mercati internazionali la produzione agro-alimentare francese. - Faticano ad approvvigionarsi da una agricoltura che arranca nella competizione globale e, spesso, ricorrono a prodotto estero anche nel realizzare un prodotto il cui principale punto di forza, teorico, è la sua qualità e tipicità o, meglio, il suo essere Made in Italy.

36 Roberto Esposti 36 Nel complesso, nello scenario globale, l’Italia mostra difficoltà evidente a sviluppare le proprie potenzialità. Per esempio, nel 2004, la quota italiana delle esportazioni agro-alimentari mondiali è stata del 4%, all’ottavo posto della classifica, persino dopo il Belgio: Quote sull’export agro-alimentare mondiale, 2004: - Stati Uniti: 10,2% - Francia: 7,9% - Olanda: 7,4% - Germania: 6,9% - Brasile: 4,6% - Spagna: 4,5% - Belgio: 4,5% - Italia: 4%

37 Roberto Esposti 37 Del dato italiano, circa un quinto (cioè il 20%) del valore delle esportazioni è dato dal solo vino, e buona parte è comunque costituito dal cosiddetto Made in Italy alimentare, cioè da prodotti di elevata qualità e tipici della nostra tradizione alimentare e gastronomica. Anche su questo, però, non sfruttiamo le potenzialità: se il “vero” Made in Italy alimentare vale circa 15 miliardi di € sui mercati mondiali, i prodotti imitativi valgono addirittura 56 miliardi di €!

38 Roberto Esposti 38 In realtà, come mostrato da questo grafico, la situazione italiana su questi scenari internazionali è differenziata secondo la filiera che si vuole considerare. SALDO COMMERCIALE NORMALIZZATO PER ALCUNI COMPARTI AGRICOLI, 2004- 2007

39 Roberto Esposti 39 L’Italia sembra, dunque, destinata a divenire sempre più un paese trasformatore nell’ambito della divisione del lavoro che si sta affermando nelle filiere globali. Va ricordato che questa è sempre stata una caratteristica vincente del sistema agro-alimentare nazionale: la grande qualità dei prodotti trasformati. Tuttavia, nei nuovi scenari, ciò non sembra più sufficiente se non riesce a garantirsi maggior forza rispetto alla GDO a sua volta ormai globalizzata, e se non riesce a mantenere forte il vincolo con la “sua” base produttiva agricola a sua volta esposta a forti e crescenti pressioni competitive globali.

40 Roberto Esposti 40 Fonte: Istat, Inea 2. Nuove tendenze: gusti, tecnologie e comportamenti del consumatore Vs. ’85 22,9% Vs. ’94 18,6% Vs. ’04 15,4% Vs. ’85 77,1% Vs. ’94 81,4% Vs. ’04 84,6% Secondo i dati del 2007, le famiglie italiane spendono ogni anno circa 141 miliardi di € per l’acquisto di bevande ed alimenti. Ciò corrisponde al 15,6% sul totale dei consumi delle famiglie.

41 Roberto Esposti 41 Osservando l’evoluzione di questi consumi nel tempo, risulta molto evidente che, anche se la spesa per beni alimentari aumenta in termini assoluti, la sua quota sul totale dei consumi è in diminuzione: era il 23% circa 20 anni fa, poco meno del 19% dieci anni fa. Da alcuni anni questo “scivolamento” sembra essersi arrestato e la quota si è ormai stabilizzata intorno al 15%. In effetti, corrisponde a quella osservata in altri paesi ad analogo grado di sviluppo quali il Giappone (circa 16%), Francia (14%), Germania (12%). Solo negli USA si registra una quota decisamente più bassa (circa 7%).

42 Roberto Esposti 42 In prima battuta, potremo semplicemente ricondurre questa tendenza alla Legge di Engel, cioè la tendenziale perdita di rilevanza dei consumi alimentari nella spesa delle famiglie. Accanto a questo elemento di portata storica e che, probabilmente, ha in buona parte esaurito il suo corso, vanno però letti altri processi più articolati e complessi che riguardano l’evoluzione degli stessi consumi alimentari delle famiglie.

43 Roberto Esposti 43 Infatti, oltre all’acquisto diretto di generi alimentari, le famiglie spendono parte del proprio reddito anche per i servizi di ristorazione. Questa spesa, legata al consumo alimentare fuori casa, risulta in costante aumento sia in valore assoluto che in termini relativi e compensa la perdita di peso dei consumi alimentari diretti (vedi tabella). Nel 2007 le famiglie italiane hanno speso 67,7 miliardi di € per servizi di ristorazione, cioè il 7,5% dei propri consumi totali, il 48% rispetto agli acquisti alimentari. Tali percentuali erano rispettivamente 3% e 18% nel 1995. Fonte: Istat, Inea

44 Roberto Esposti 44 In realtà, quindi, l’evoluzione più importante dei consumi alimentari in Italia, così come in tutti gli altri paesi ad economia avanzata, non è solo e tanto la loro perdita di “quota” sui consumi totali, ma soprattutto il cambiamento nella natura di tale spesa: non tanto si spende meno quanto, piuttosto, si spende in modo diverso. Vari sono i fenomeni rilevanti di questo cambiamento “in qualità” dei consumi alimentari. Uno di questi, già evidenziato, fa riferimento alla maggior rilevanza dei consumi extra-domestici. Altri, più o meno collegati a questo, risultano altrettanto rilevanti.

45 Roberto Esposti 45 In particolare, un secondo elemento assai indicativo è il cambiamento della composizione della spesa per generi alimentari in Italia, come mostrato nel grafico. Fonte: Istat, ACNielsen

46 Roberto Esposti 46 Nell’arco di 20 anni la composizione della spesa è significativamente cambiata:  I consumi proteici si sono diversificati: meno carne e più pesce  Si riduce il consumo di oli e grassi e si ridistribuisce a favore di quelli di origine vegetale, soprattutto olio di oliva  Si consolida la centralità dei cereali nella dieta  Si rafforza la spesa per frutta e verdura

47 Roberto Esposti 47 Va peraltro ricordato che composizione della spesa e dieta sono cose distinte. Infatti, la spesa può mutare in composizione in virtù del cambiamento del rapporto tra i prezzi dei prodotti, pur rimanendo la dieta (cioè le quantità consumate) costante, e viceversa.

48 Roberto Esposti 48 Perciò, è utile distinguere i movimenti in prezzo e quantità come in tabella: Fonte: Inea

49 Roberto Esposti 49 Nell’ultimo decennio si nota effettivamente una riduzione del consumo di carne e bevande alcoliche in quantità, ma anche di frutta. Per questi due ultimi prodotti, come anche per gli ortaggi, l’aumento nella composizione della spesa è in realtà da attribuire ad una crescita dei prezzi superiore alla media degli altri prodotti. Forte è l’aumento nella dieta di pesce e derivati dei cereali; in quest’ultimo caso, il dato si riflette in modo meno evidente sulla composizione della spesa in virtù di un andamento dei prezzi inferiore alla media. Da notare anche il significativo aumento dei consumi di acque minerali e soft drinks.

50 Roberto Esposti 50 I mutamenti della dieta, tuttavia, non eliminano la specificità italiana in tal senso. La prevalenza, cioè, della cosiddetta dieta mediterranea ed in particolare dei consumi di cereali e derivati, frutta e verdura. Confrontati con quelli di un paese dalla tipica dieta continentale, la Germania (vedi tabella) i consumi italiani, nonostante gli aggiustamenti evidenziati, si mostrano stabilmente differenti a favore dei suddetti prodotti. Fonte: Inea Consumo annuo (kg pro-capite) in Italia e Germania di alcuni prodotti

51 Roberto Esposti 51 Al di là dell’evoluzione della dieta, va enfatizzato che la composizione della spesa alimentare cambia anche in virtù del cambiamento nei rapporti tra prezzi dei prodotti. La diversa evoluzione è espressione di diversi e articolati fenomeni che richiamano la struttura dei mercati, il diverso grado di competizione internazionale, la complessità delle filiere. Soprattutto, però, è da ricondurre alla crescente quantità di servizi che vengono aggiunti ai prodotti e che, quindi, ne motivano un innalzamento del prezzo superiori alla media. Un esempio tipico è costituito dai cosiddetti ortaggi di “quarta gamma” i quali hanno certamente indotto una maggiore crescita dei prezzi nel comparto ortofrutta.

52 Roberto Esposti 52 Ortaggi di quarta gamma: ortaggi freschi mondati, lavati, tagliati e confezionati in vaschette o buste pronti all'uso

53 Roberto Esposti 53 Ciò che spiega tale aggiunta di servizi è il tentativo di dare soddisfazione a nuovi e crescenti bisogni del consumatore, siano essi reali o indotti. Nuovi bisogni che si associano anche alla segmentazione della domanda alimentare per classi di età, per genere, per cultura ed etnia, ecc., oltre che, ovviamente, per reddito. Quindi, non più un consumatore indistinto ma tante diverse tipologie di consumatore, ognuna con le sue esigenze.

54 Roberto Esposti 54 Per esempio, la differenziazione del consumatore per età assume crescente rilevanza. La popolazione anziana (oltre i 64 anni) aumenta. Non solo questi consumatori hanno spesso esigenze particolari, ma sono anche coloro che spendono di più il loro reddito per consumi alimentari. Fatto 100 la spesa alimentare media, in Italia una persona con oltre 64 anni spende 118, quella con meno di 35 spende 76.

55 Roberto Esposti 55 Allo stesso tempo, però, anche tra giovani e giovanissimi si caratterizzano nuovi segmenti. Anche se spendono mediamente meno per alimenti, cresce il bisogno di alimenti particolari. Tra gli adolescenti, il 17% dei maschi segue una particolare alimentazione a causa di allergie o condizioni di sovrappeso o sottopeso. Tale percentuale sale al 24% tra le femmine. Sempre tra gli adolescenti, una “buona alimentazione” viene considerata la cosa più importante per la salute (28% delle risposte) prima ancora dell’attività fisica (26%) o dell’igiene (15%).

56 Roberto Esposti 56 Si possono sintetizzare queste tendenze in tre grandi direzioni di evoluzione del consumo: - Naturalità: crescente ricerca di prodotti sicuri dal punto di vista sanitario, nutrizionale e organolettico in quanto tipici, a denominazione di origine, biologici - Funzionalità: crescente ricerca di alimenti che svolgano una funzione precisa rispetto alle funzionalità dell’organismo e ad esigenze particolari dello stesso e della dieta - Convenienza: crescente ricerca di alimenti che producano risparmi di denaro e/o di tempo nella preparazione e consumo. Sempre più i consumatori formano il proprio paniere combinando prodotti che soddisfano tali esigenze.

57 Roberto Esposti 57 In una recente indagine condotta da Federalimentare e ISMEA, è stata analizzata l’evoluzione dei consumi alimentari della famiglie italiane ripartendoli in tre Panieri: - Paniere Qualità: riguarda i prodotti con elevati requisiti di Naturalità. - Paniere Time-saving: riguarda i prodotti con elevati requisiti di Funzionalità e Convenienza. - Paniere Indifferenziato: riguarda quei prodotti per così dire “tradizionali”, cioè in cui non si riscontrano né specifici requisiti di naturalità, né di funzionalità- convenienza

58 Roberto Esposti 58 La tabella sottostante evidenzia come la quota di spesa spettante al paniere indifferenziato è ancora prevalente (circa il 90%), mentre il restante 10% viene suddiviso, quasi egualmente, tra i due panieri differenziati. Si noti, però, come la quota di questi ultimi aumenta chiaramente andando da Sud a Nord, a testimoniare che questi panieri tendono ad acquisire più importanza laddove prevalgano comportamenti di consumo più vicini ai canoni dell’Europa continentale. Si può anche ritenere che il Nord anticipi mutamenti che ulteriormente interesseranno, nel prossimo futuro, l’intero territorio nazionale. Fonte: Ismea-ACNielsen Ripartizione % della spesa per paniere (2003)

59 Roberto Esposti 59 In effetti, al di là della quota al momento limitata, i panieri “differenziati” mostrano negli ultimi anni maggiore capacità di crescita (vedi tabella). Rispetto a quello indifferenziato, entrambi mostrano una maggiore crescita in valore ed una minore diminuzione della quantità, diminuzione generalizzata in quanto il dato non considera la crescita dei consumi fuori casa. Interessante anche la dinamica dei prezzi. Forte è la crescita del Paniere Time-saving, mentre per quello Qualità la crescita dei prezzi è inferiore agli altri due. Questo dato mostra con chiarezza quanto sia rilevante, nella dinamica dei prezzi, la presenza di servizi aggiuntivi di funzionalità-convenienza rispetto all’incremento, vero o presunto, dei requisiti di naturalità. Fonte: Ismea-ACNielsen Dinamica della spesa alimentare per panieri (var. % 2003-2000)

60 Roberto Esposti 60 Va anche ricordato che il diverso comportamento dei panieri è anche dovuto alla diversa composizione. Al fatto che, per esempio, nel Paniere Time-saving siano maggiormente presenti prodotti con dinamica fortemente positiva in quantità e prezzo, per es. i soft drink (vedi grafico). Fonte: Ismea-ACNielsen Dinamica dei consumi alimentari (var. % 2003-2000)

61 Roberto Esposti 61 In effetti, prodotti con requisiti di funzionalità e convenienza tendono a collocarsi nel segmento dei prodotti trasformati, prevalentemente acquistati nella rete della GDO, mentre quelli con requisiti di naturalità mostrano maggiore presenza di prodotti freschi o debolmente trasformati, con una presenza ancora significativa del piccolo dettaglio. Per esempio nel periodo 2003-2000 la crescita della spesa per il paniere Time-saving nel canale Iper+Supermercati è stata del 22% circa; quella del Paniere Qualità dell’11%, cioè la metà. Quindi, le diverse dinamiche dei panieri non sono solo espressione dell’evoluzione di gusti e bisogni dei consumatori, ma anche della loro diversa presenza in segmenti maggiormente in crescita del comparto agroalimentare, cioè quello dei prodotti trasformati e della vendita presso la GDO (ed in particolare le private labels).

62 Roberto Esposti 62 A testimonianza di ciò, recentemente Federalimentare ha riportato dati relativi alla distribuzione del fatturato dell’industria alimentare, cioè relativamente ai prodotti trasformati (vedi figura). Solo il 65% di tale spesa è attribuibile a prodotti tradizionali. Il resto è distribuito tra prodotti a forte connotato di naturalità (biologici e denominazioni protette) e a forte connotato di funzionalità e convenienza (nuovi prodotti e “tradizionale evoluto”, cioè prodotti tradizionali con nuovi servizi aggiunti, per esempio i “sughi pronti”). Si noti che quest’ultimo gruppo riguarda ben il 25% della spesa. Fonte: Federalimentare Quote di fatturato per tipologia di prodotto trasformato (2004)

63 Roberto Esposti 63 L’emergere di nuovi bisogni, segmenti e comportamenti di domanda, si accompagna quindi all’emergere di nuovi prodotti o nuovi modi di proporre sul mercato prodotti tradizionali. In effetti, il grado di innovatività del comparto agroalimentare, la capacità di assecondare l’evoluzione sempre più rapida e articolata della domanda alimentare, è un dato solo di recente emerso, o comunque riconosciuto. Recenti, cioè, sono l’attenzione e l’enfasi poste sulle potenzialità di innovazione tecnologica del comparto, anche perché quest’ultimo è ancora oggi considerato un settore tradizionale, low-tech e quindi, con limitato dinamismo tecnologico.

64 Roberto Esposti 64 In effetti, l’industria alimentare è un settore tipicamente a bassa intensità di ricerca, cioè con un basso rapporto tra spese in ricerca e fatturato. Ciò è vero in gran parte dei paesi industriali ove i settori cosiddetti high-tech, cioè con elevata intensità di ricerca come il farmaceutico, tendono ad avere un valore almeno cinque volte superiore a quello dell’industria alimentare. La bassa propensione alla ricerca di quest’ultima, peraltro, è ancora maggiore in Italia, paese caratterizzato da una tendenziale minore intensità di ricerca in tutti i settori (vedi tabella) Intensità di ricerca % in alcuni settori e paesi

65 Roberto Esposti 65 La propensione innovativa del comparto alimentare, tuttavia, non si manifesta attraverso forte intensità di ricerca. L’innovazione in questo ambito, infatti, non richiede tanto grandi investimenti in ricerca (laboratori, scienziati e ricercatori, ecc.) quanto piuttosto un continuo processo di adeguamento, di upgrading del prodotto alle nuove esigenze del consumatore. La presenza di una forte propensione innovativa, quindi, è meglio rappresentata dal numero di nuovi prodotti alimentari che ogni anno vengono messi in commercio.

66 Roberto Esposti 66 L’ USDA (United States Department of Agriculture) registra annualmente il numero di nuovi prodotti immessi sul mercato statunitense dal comparto agro-alimentare: Fonte: USDA

67 Roberto Esposti 67 Come mostra la figura, nel decennio 1990-2000, ogni anno è stato immesso sul mercato USA un numero variabile tra 13.000 e 23.000 nuovi prodotti. Parte sono prodotti non-food, cioè non destinati all’alimentazione umana ma per lo più pet-food (cioè alimenti per animali domestici). Un’altra piccola parte, però crescente, sono nuovi prodotti registrati come biologici o all natural, classificazione corrispondente ai nostri requisiti di naturalità e tipicità. Anche questi sono prodotti nuovi nel senso che non erano precedentemente presenti sul mercato nonostante abbiano, probabilmente, un contenuto di nuova tecnologia limitato o nullo.

68 Roberto Esposti 68 In Italia (2006) è la stessa cosa: - Numerosissime e crescenti “referenze” - Alta mortalità dei nuovi prodotti Fonte: Anania

69 Roberto Esposti 69 Innovazione in questo comparto significa, dunque, in primo luogo proporsi al consumatore con un nuovo prodotto, capace di soddisfare un nuovo bisogno o, in maniera nuova, vecchi bisogni (o di convincere il consumatore in tal senso). Almeno apparentemente, spesso ciò non si accompagna a rilevanti innovazioni nel processo produttivo, né a contenuti tecnologici sostanzialmente nuovi del prodotto stesso.

70 Roberto Esposti 70 Allo scopo questi nuovi prodotti vengono spesso così distinti:  prodotti one-of-a-kind: prodotti realmente nuovi sia per l’impresa che per il mercato (quindi, per il consumatore)  prodotti me-too: prodotti nuovi solo per l’impresa, dal momento che sono imitativi di altri già immessi sul mercato e conosciuti dal consumatore  prodotti line-extensions: prodotti di fatto non nuovi né per l’impresa né per il mercato, ma che estendono-modificano alcune caratteristiche non fondamentali di prodotti pre-esistenti

71 Roberto Esposti 71 Sempre con riferimento ai dati statunitensi, si è stimato che dei molti nuovi prodotti alimentari immessi sul mercato, il 78% è costituito in realtà da line extensions. Solo il 22% costituito da prodotti nuovi per le imprese che le realizzano, quindi new brands. Di questi nuovi prodotti con nuovi nomi, però, solo il 14% è costituito davvero da prodotti nuovi per il mercato (one-of-a-kind), il resto sono prodotti imitativi (me-too).

72 Roberto Esposti 72 Peraltro, in questo flusso intenso e continuo di nuovi prodotti, si registra anche una forte mortalità, cioè la percentuale di prodotti che non supera il periodo di un anno di permanenza sul mercato. La mortalità è stimata a ben il 72% per le new brands e al 55% per le line-extensions, per le quali la pre-esistenza del nome del prodotto e la relativa fidelizzazione del consumatore, evidentemente, costituisce maggiore garanzia di sopravvivenza.

73 Roberto Esposti 73 Pur in questo fermento innovativo connotato da molti tentativi ed errori (trials and errors) e da relativamente pochi prodotti davvero innovativi, emergono comunque alcune tendenze destinate a segnare notevolmente lo sviluppo futuro del comparto, proprio in relazione alla combinazione tra nuove tecnologie e nuovi bisogni.

74 Roberto Esposti 74 Una prima tendenza è la nascita di nuovi segmenti del mercato in virtù della comparsa di tipologie di prodotto davvero nuove nel modo in cui soddisfano i bisogni del consumatore.

75 Roberto Esposti 75 Esempio classico è la nascita del mercato del Cibo Funzionale (o Functional Food), cioè alimenti realizzati per esercitare, oltre alla tradizionale funzione alimentare, anche una (presunta) funzione nutrizionale-terapeutica. Si parla, perciò, anche di Phood Market (combinazione tra i termini Food, cibo, e Pharma, cioè settore farmaceutico)

76 Roberto Esposti 76 Tale segmento è in forte crescita, soprattutto negli USA (vedi figura), ma anche nei paesi dell’Europa Centro-settentrionale, e riguarda in particolare il comparto dei soft-drink e dei derivati del latte (in primo luogo, yogurt), sebbene tenda ad espandersi anche ad altri tipi di prodotti, per esempio prodotti da forno. Evoluzione del consumo di Cibo Funzionale negli USA (in miliardi di $)

77 Roberto Esposti 77 Una seconda tendenza è quella della capacità di offrire una crescente varietà di prodotti alimentari, sempre più orientati verso specifici segmenti di domanda, anche quelli fortemente caratterizzati in termini di naturalità e tipicità. Tale possibilità viene anche detta Produzione Modulare o Modularità, cioè la possibilità di realizzare un prodotto combinando “moduli” e l’esistenza di un architettura- interfaccia per combinare i moduli in modo efficace ed efficiente

78 Roberto Esposti 78 La produzione modulare dunque permette:  Sviluppo più rapido e meno costoso di nuovi prodotti  Numero di nuovi prodotti (varietà) di molto ampliato  Complessità dei prodotti notevolmente aumentata: decoupling tasks, design freedom, continous upgrading

79 Roberto Esposti 79 In prospettiva futura, la possibilità di incrementare il grado di modularità anche nella produzione agroalimentare, accentuerà alcune delle tendenze già presenti. In particolare, il grande numero di nuovi prodotti immessi in commercio, alla ricerca del gradimento di segmenti sempre più specifici e particolari del consumo alimentare. Al limite, potrà rendere possibile anche in questo comparto la Mass Customization cioè la produzione di massa, su larghissima scala, di prodotti e servizi però individualizzati, su misura.

80 Roberto Esposti 80 La realizzazione di prodotti sempre più “costruiti” su esigenze specifiche, persino individuali, ma comunque per un vasta platea di consumatori, costituisce l’orizzonte di riferimento per interpretare le tendenze future. Rispetto a tale orizzonte, infatti, interpretiamo da un lato la recente tendenza alla immissione di tanti nuovi prodotti, sebbene spesso con vita breve, dall’altro il tentativo nascente di sfruttare anche in questo comparto, di solito considerato tradizionale dal punto di vista tecnologico, le grandi rivoluzioni tecnologiche del nostro tempo, in particolare, biotecnologie, nanotecnologie e ICT (Information and Communication Technologies). NANOCHITARRA!

81 Roberto Esposti 81 La Grande Distribuzione Organizzata (GDO) costituisce oggi la componente-chiave del sistema agro-alimentare nazionale e globale. La componente, cioè, che di fatto ne guida gli sviluppi mediante le sue scelte strategiche. Le implicazioni, le incertezze e le inquietudini rispetto a queste tendenze sono numerose. Soprattutto, notevoli sono le possibili conseguenze in termini di strategie delle imprese di questo comparto e di struttura stessa del mercato. 3. Ruolo e strategie della GDO nel sistema agroalimentare

82 Roberto Esposti 82 Definizione: DO: indica la “Distribuzione Organizzata”, cioè forme distributive di tipo associativo o cooperativo presenti su tutto il territorio nazionale, o parte di esso, sotto forma di imprese diverse, anche con piccole superfici di vendita, ma che agiscono sotto un’unica insegna e coordinate da una sede nazionale (per esempio SIGMA, CRAI, ecc.). GD: indica la Grande Distribuzione, cioè quel tipo di imprese distributrici che sotto forma di unica impresa agiscono su tutto il territorio nazionale o larga parte di esso, di solito su superfici di vendita medio-grandi (per esempio Esselunga, Carrefour, Auchan, ecc.). La GDO indica l’insieme di queste due forme ma anche, come vedremo, la crescente tendenza delle due ad integrarsi in gruppi, partnership, strategie comuni.

83 Roberto Esposti 83 La ragione per cui la GDO ha assunto questo ruolo-chiave è principalmente costituita dal progressivo cambiamento dei comportamenti di acquisto dei prodotti alimentari da parte dei consumatori. In tutti i paesi a sviluppo avanzato, come mostra il grafico, la quota principale degli acquisti alimentari viene realizzata presso le superfici di vendita della GDO. L’Italia, sebbene si sia mossa con ritardo rispetto a questa tendenza, non fa eccezione. Quota di mercato per tipologia di superficie commerciale in Europa

84 Roberto Esposti 84 A questo cambiamento radicale e, per certi versi epocale, dei comportamenti di acquisto non poteva non corrispondere un altrettanto forte cambiamento nei rapporti di forza nelle filiere agro-alimentari. La GDO, infatti, costituisce l’intermediario pressoché obbligato (per oltre l’80% degli acquisti) tra il produttore agricolo od industriale ed il consumatore. Con il tempo, quindi, ha cercato di sviluppare strategie finalizzate a massimizzare i vantaggi di questa posizione favorevole di intermediazione.

85 Roberto Esposti 85  Farms: 2,5 millions (2000 Census)  Food industry firms: 70K (2003)  Supermarkets: 7358 (2003)  Hypermarkets: 569 (2003)  Market share top 5 Retailers - Italy = 30% - France and UK = 55% - Sweden = 90%

86 Roberto Esposti 86 In primo luogo, la GDO ha accompagnato, e in parte generato, questa concentrazione degli acquisti presso le proprie superfici di vendita, attraverso un progressivo ed incessante processo di razionalizzazione. In particolare in Italia, ancora negli anni ’80 la rete dei supermercati era costituita da superfici medio-piccole e da catene operanti solo su scala nazionale e, più spesso, su una limitata scala regionale o locale. Una realtà, quindi, molto frammentata, strutturalmente debole e con forti elementi di inefficienza.

87 Roberto Esposti 87 Negli ultimi due decenni, però, diversi processi di ristrutturazione, tra di loro interrelati, hanno progressivamente interessato i paesi europei e successivamente l’Italia (prima del Nord e poi del Centro-Sud). Questi fenomeni si sono tutti mossi nella direzione di un crescente potere di mercato della GDO rispetto agli altri comparti delle filiere agro-alimentari. Si possono così sintetizzare: - Il progressivo affermarsi della Grande Distribuzione - La de-territorializzazione - La concentrazione - L’ internazionalizzazione

88 Roberto Esposti 88 La crescita della Grande Distribuzione La GDO è ormai sempre più caratterizzata da operatori nazionali e internazionali presenti con grandi superfici commerciali, gli ipermercati. La superficie degli ipermercati per abitante è aumentata in Italia del 327% dal 1992 al 2003, mentre l’aumento è “solo” del 67% per i supermercati. Se ne contano circa 600 oggi in Italia, erano 28 vent’anni fa (nel 1986).

89 Roberto Esposti 89 Come si vede dal grafico, al Nord-Ovest la superficie di vendita degli ipermercati è ormai analoga a quella dei supermercati, mentre è ancora in ritardo al Centro e al Sud dove, però, si registra la maggior crescita della superficie per abitante nel periodo 1992-2003 (+680% e 545%, rispettivamente). SUPERFICIE DI VENDITA IN SUPERMERCATI E IPERMERCATI (2003)

90 Roberto Esposti 90 De-territorializzazione L’avvento degli ipermercati corrisponde, in realtà, all’affermazione di catene o gruppi di dimensione almeno nazionale e ciò, a sua volta, ha prodotto un ulteriore cambiamento di struttura. Infatti, fino agli anni ’80, soprattutto in Italia, la DO aveva un forte connotato territoriale. Era, cioè, caratterizzata da realtà commerciali che non superavano il contesto locale, regionale o, al massimo, interregionale.

91 Roberto Esposti 91 Il territorio nazionale, quindi, era diviso in aree controllate da poche o anche singole catene, complessivamente, però, di piccola dimensione. Tale caratteristica si sta progressivamente esaurendo. Delle prime 16 catene della GDO in Italia, solamente 5 non coprono tutto il territorio nazionale:  Esselunga e Agorà, assente al Sud e Isole  Lombardini, assente al Centro  Il Gigante e Bennet, assenti sia al Centro che al Sud e Isole

92 Roberto Esposti 92 Concentrazione La de-territorializzazione avviene sia per la progressiva riduzione ed eventuale scomparsa di alcune imprese operanti solo su scala locale o, più spesso, per processi di fusione o acquisto (Acquisitions and Mergers) da parte di gruppi più grandi. Ne consegue, cioè, la progressiva riduzione delle catene e dei gruppi operanti sul territorio nazionale o, comunque, la concentrazione di gran parte del volume di affari in un numero limitato di operatori. Nel lucido successivo si riportano le prime catene e gruppi della GDO operanti sul territorio nazionale e che concentrano i quattro quinti del mercato. Si può apprezzare che, sebbene le catene rimangano numerose, in realtà i primi 7 gruppi controllano l’80% del mercato.

93 Roberto Esposti 93 Distribuzione Organizzata Il canale Distribuzione Organizzata è composto dai seguenti Gruppi: AGORA' CONAD CRAI C3 GRUPPO PICK UP INTERDIS MDO SELEX COMMERCIALE SIGMA SINTESI SISA ALTRI INDIPENDENTI Grande Distribuzione Il canale Grande Distribuzione è composto dai seguenti Gruppi: BENNET COOP ITALIA ESSELUNGA GRUPPO CARREFOUR GRUPPO INTERMEDIA GRUPPO REWE IL GIGANTE AUCHAN RINASCENTE

94 Roberto Esposti 94

95 Roberto Esposti 95 Fonte: Anania Il C4 supera il 45% (di poco inferiore al 50%)… …ma meno di altri paesi (attenzione: le due figure non sono confrontabili)

96 Roberto Esposti 96 Internazionalizzazione L’ultima fase di questo complesso e continuo processo di ristrutturazione, non necessariamente la finale, consiste nel progressivo affermarsi di gruppi o imprese o partnership internazionali. Le modalità di internazionalizzazione possibili, però, sono differenti. Modalità tutte attualmente impiegate nel territorio nazionale da gruppi stranieri della GDO, mentre, al contrario, le imprese della nostra GDO fanno fatica ad essere presenti in altri paesi, in ciascuna delle diverse modalità.

97 Roberto Esposti 97 Fonte: Anania E l’Italia?

98 Roberto Esposti 98 Le forme possibili dell’internazionalizzazione sono le seguenti: - Imprese di grandi dimensioni capaci di aprire superfici commerciali in più paesi, oltre quello di origine (per esempio, Auchan e Carrefour). - Imprese straniere che acquistano imprese o gruppi nazionali e, in questo modo, cominciano ad operare nel relativo territorio (per esempio, il Gruppo Carrefour) - Fusione o partnership di gruppi o catene di diverse nazioni a formare conglomerati capaci di agire in più contesti nazionali (per esempio, l’alleanza tra la nostrana Conad ed il gruppo cooperativo francese Leclerc, con cui Conad sta cercando di entrare nel canale Iper ove finora è stata assente)

99 Roberto Esposti 99 Potere di mercato e strategie In realtà, i processi evolutivi evidenziati non sono, in sé, le ragioni che hanno portato al crescente potere di mercato della GDO rispetto agli altri comparti delle filiere agro-alimentari. Piuttosto, sono questi fattori di struttura che hanno reso possibile una serie di strategie commerciali innovative che hanno radicalmente mutato i rapporti di filiera e, queste sì, generato forte potere di mercato.

100 Roberto Esposti 100 In estrema sintesi, tali strategie commerciali sono finalizzate a conquistare potere di mercato nelle due direzioni: - Verso il consumatore, alla ricerca di posizioni fortemente oligopoliste mediante la creazione delle private labels - Verso i fornitori, alla ricerca di posizioni fortemente oligopsoniste o, persino, monopsoniste mediante global sourcing, standard privati e buyers’ alliances

101 Roberto Esposti 101 Private labels (o Marche Private) Per private labels si intendono quei prodotti recanti il marchio di una catena della GDO e commercializzati esclusivamente nei propri punti vendita, sebbene normalmente realizzati da terzi. Il marchio, quindi, non si riferisce a chi concretamente produce il bene, ma a chi lo commercializza. Il produttore finisce quindi per realizzare un prodotto senza marchio, senza una sua “individualità”. Presenza delle Private Labels sul mercato italiano (non solo agro-alimentare) nel 2005: Fatturato: 3744 milioni di € - 79% Supermercati - 21% Ipermercati - 57% del fatturato al Nord, 15% al Sud Quota sul mercato: 11,6% Crescita nell’ultimo anno: - In quantità: +6,6% (+3,6% per le Marche Industriali) - In valore: +5,4% (+ 2,7% per le Marche Industriali)

102 Roberto Esposti 102 Negli Usa e nei paesi europei la presenza di questi prodotti è superiore a quanto non si osservi in Italia. Questo anche perché in questi paesi troviamo grandi catene della GDO che mostrano un forte grado di penetrazione delle rispettive private labels, come si evidenzia nella tabella a fianco. Grado di penetrazione delle private labels in alcune delle principali catene europee Market Penetration of PL: - Italy > 10% - USA > 15% - France > 20% - Germany > 25% - Continental Europe  25% - UK > 45%

103 Roberto Esposti 103 Fonte: Anania Una lenta ma inesorabile(?) crescita?

104 Roberto Esposti 104 Insieme ai settori del Pet-Care e Cura della Casa, il comparto agroalimentare è tra quelli più interessati dal fenomeno, soprattutto nell’ambito dei prodotti del “Fresco” e del “Freddo”, come mostrato dalla tabella. Nell’ambito agro-alimentare, peraltro, le private labels si sono progressivamente distinte in due categorie, le Marche Insegna e le Marche Premium, e due diverse strategie, le strategie Monobranding e Multibranding Grado di penetrazione delle private labels in alcuni settori merceologici

105 Roberto Esposti 105 Le Marche Insegna sono semplicemente le Marche Private che recano il nome della catena che le vende nei suoi punti di vendita, senza ulteriori elementi di caratterizzazione. Le Marche Premium sono marche con nomi diversi da quello della catena ma comunque vendute esclusivamente nelle sue superfici commerciali e caratterizzanti prodotti con requisiti particolari; per esempio prodotti tipici (Sapori e Dintorni di Conad), prodotti biologici (Bio Auchan di Auchan), prodotti a basso prezzo (Fidel di Esselunga).

106 Roberto Esposti 106 Le Marche Insegna occupano l’85% del mercato delle private labels, anche perché alcune catene della GDO realizzano solo queste (Monobranding). Altre catene, invece, realizzano entrambe (Multibranding) come, per esempio, nel caso di Conad (Conad, Sapori e Dintorni, Bio Conad).

107 Roberto Esposti 107 L’avvento delle private labels ha avuto alcune importanti conseguenze: 1.Ha progressivamente costretto molte imprese industriali agro- alimentari (e agricole), a divenire semplici sub-fornitori, meri esecutori senza un proprio marchio e una propria strategia commerciale, con una forte competizione interna (tra i diversi sub-fornitori). 2.Ha progressivamente trasferito nelle “mani” della GDO il controllo della progettazione del prodotto, della sua promozione commerciale, della stessa innovazione (il branding).

108 Roberto Esposti 108 3.Ha consentito di ridurre la dipendenza della GDO dai grandi marchi industriali (es. Barilla-Mulino Bianco) potendoli sostituire con marchi propri, così incrementando il potere contrattuale nei loro confronti. 4.Ha consentito alla GDO di porre sul mercato un gamma di beni alimentari (e non solo) molto vasta, fuori dalla portata di qualsiasi impresa industriale alimentare, e con grandi capacità di modulare le strategie commerciali (per esempio, le campagne promozionali).

109 Roberto Esposti 109 Global sourcing L’avvento delle private labels ha, a sua volta, favorito un’altra strategia, questa rivolta principalmente ai fornitori. Anche grazie alle Marche Private, la GDO ha conquistato una grande libertà di manovra nell’approvvigionamento del prodotto alla ricerca delle condizioni migliori (soprattutto, il costo più basso). Il prodotto, spesso indifferenziato, può provenire da fornitori di qualsiasi area geografica e, soprattutto, così facendo questi fornitori possono essere facilmente messi in competizione e sostituiti tra loro.

110 Roberto Esposti 110 Questo è ciò che si intende oggi per Global Sourcing (o Approvvigionamento Globale), chiaramente favorito dal crescente potere della GDO e dalle sue conseguenti strategie, ma anche dall’apertura commerciale internazionale, dal progresso tecnico, in particolare nei trasporti e nelle comunicazioni.

111 Roberto Esposti 111 Global sourcing e private standards Un effetto di questa grande possibilità di approvvigionamento, è quello di consentire alla GDO di imporre ai potenziali fornitori i propri standard qualitativi. Invece di dover scegliere tra pochi fornitori, ognuno con un prodotto con le sue proprie caratteristiche, oggi la GDO può mettere in competizione molti fornitori “obbligandoli” a realizzare un prodotto omogeneo, con le caratteristiche codificate dalla stessa GDO. Si tratta dei cosiddetti private standards, cioè quegli standard qualitativi che la GDO impone ai propri fornitori per il mantenimento del rapporto commerciale.

112 Roberto Esposti 112 Gli standard privati tendono a trasferire gli oneri del controllo qualitativo sui fornitori, i quali si vedono imporre protocolli a cui si devono attenere (benchmarking). Al contrario, consentono alla GDO di ridurre i cosiddetti costi di transazione (di controllo, legali, di logistica, ecc.), nonché i costi connessi al cambiamento dei rapporti di fornitura. Inoltre, nonostante si tratti di standard B2B (Business-to- Business), la GDO cerca di farne anche un uso promozionale presso il consumatore in termini di credibilità ed affidabilità, soprattutto rispetto ad aspetti di sicurezza e di tracciabilità alimentare.

113 Roberto Esposti 113 Questi standard, oggi, tendono ad imporsi su scala internazionale (per esempio, a livello europeo, EurepGAP, Brc, Ifis) anche grazie all’azione di network di imprese della GDO che cercano di armonizzare i propri standard introducendo dei Minimum Quality Standard comuni.

114 Roberto Esposti 114 Queste tendenze hanno due conseguenze importanti:  imporre una forte omologazione nelle forniture, riducendo la varietà e le possibilità di scelta e, quindi, inducendo forte omologazione nei consumi;  sostituire progressivamente la dimensione pubblica dello standard (lo standard normativo) con quella privata, imposta dalla GDO. Il primo è di solito nazionale, il secondo è sempre più spesso internazionale; quindi in un contesto di internazionalizzazione dei mercati, il secondo tende a prevalere sul primo.

115 Roberto Esposti 115 Buyer power e Buyers’ alliances Per Buyers’ Alliances si intendono quegli accordi B2B tra operatori della GDO per operare come compratore unico (il buyer) rispetto ad uno o più fornitori. Queste strategie, sebbene anch’esse finalizzate spesso a ridurre i costi di transazione, si traducono in un ulteriore aumento del potere dei compratori (il buyer power), cioè della GDO, e, quindi, in ulteriore forte pressione competitiva e selettiva sui fornitori agricoli ed industriali.

116 Roberto Esposti 116 Esempio: In un piccolo paese africano più gruppi della GDO possono accordarsi per operare con un unico buyer di banane. Questo unico buyer opera da monopsonista anche se, di fatto, per più acquirenti. Così, se il buyer decide di abbandonare un fornitore od una zona del paese, quest’ultima perde in realtà un intero gruppo di clienti della GDO.

117 Roberto Esposti 117 Veniamo ora al alcune considerazioni di sintesi. La GDO è oggi un operatore dominante nelle filiere agro-alimentari ma anche un vettore di straordinarie potenzialità. In particolare, la penetrazione dei prodotti agro-alimentari italiani nei mercati esteri passa oggi attraverso due possibili strategie prevalenti: - Accordi con la GDO straniera - Penetrazione della GDO italiana all’estero che faccia da “traino” al prodotto nazionale. Su entrambi questi aspetti, però, mostriamo rilevanti ritardi.

118 Roberto Esposti 118 Come si vede nella tabella a fianco, l’Italia esporta i suoi prodotti agro- alimentari soprattutto in Germania, Francia ed USA. Ebbene, nell’ambito della UE (quindi, Germania e Francia) la nostra GDO è debole mentre, al contrario, molto forte è quella di Germania e Francia (per esempio, Carrefour, Auchan e Leclerc, da tempo operanti in Italia, sono tutte francesi). Questi operatori, però, tendono ancora a fornirsi in buona parte da produttori nazionali mentre i nostri prodotti faticano ad affermarsi in queste reti commerciali. Export agro-alimentare italiano nel 2005 – Primi tre paesi di destinazione

119 Roberto Esposti 119 Certamente, in molti casi si può far leva sul Made in Italy per aumentare il grado di penetrazione, ma i prodotti imitativi sono tanti e forti, spesso proprio veicolati dalla GDO straniera. Quest’ultimo problema è ancora più forte fuori dalla UE, per esempio negli USA, dove a maggior ragione la nostra GDO è assente, ed i rapporti di penetrazione nella loro GDO sono difficili anche per problemi di standard tecnici e qualitativi.

120 Roberto Esposti 120 Al contrario la loro GDO “sfrutta” il Made in Italy per imporre sui propri ed altrui mercati prodotti imitativi realizzati all’interno. Serve, quindi, uno sforzo combinato di:  internazionalizzazione della nostra GDO  penetrazione dei nostri prodotti nella GDO straniera  difesa del Made in Italy presso la GDO


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