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Workshop: Scienza e metodo Laboratori Nazionali del Gran Sasso, 10-11 ottobre 2013 Fabio Minazzi (Ordinario di Filosofia teoretica, Dipartimento di Scienze.

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1 Workshop: Scienza e metodo Laboratori Nazionali del Gran Sasso, 10-11 ottobre 2013 Fabio Minazzi (Ordinario di Filosofia teoretica, Dipartimento di Scienze Teoriche ed Applicate Università degli Studi dell’Insubria - Varese Direttore scientifico del Centro Internazionale Insubrico “C. Cattaneo” e “G. Preti”) Il problema del metodo scientifico da Galileo ad Einstein

2 Scienza e predittività Un’inquietante domanda di Elisabetta II, regina d’Inghilterra, ai blasonati e famosi economisti della London School of Economics: «sono nella più importante scuola al mondo di economia? Come mai nessuno di voi ha previsto l’attuale crisi economica?»

3 Ippocrate e il Prognostikon Nella scienza antica l’importanza della previsione fu affermata ed accentuata solo nell’ ambito delle ricerche mediche da un autore come Ippocrate (Prognostikon, I)

4 La definizione galileiana «La cognizione di un solo effetto acquistata per le sue cause ci apre l’intelletto ad intendere ed assicurarsi d’altri effetti senza bisogno di ricorrere all’esperienza» (Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze[1638]).

5 La definizione humeana «Essendo costretti dalla consuetudine a trasferire il passato al futuro, in tutte le nostre inferenze, quando il passato si è manifestato del tutto regolare e uniforme, noi aspettiamo l’avvenimento con la massima sicurezza e non lasciamo posto per qualche supposizione contraria» (Inquiry Concerning Human Understanding, VI, [1748])

6 La formula comtiana «Scienza, donde previsione; previsione, donde azione» (Cours de philosophie positive, 1830, I, p. 51)

7 La definizione hertziana «Il più diretto e in un certo senso il più importante problema che la nostra consapevole conoscenza della natura ci rende capaci di risolvere è l’anticipazione degli eventi futuri, sicché poi possiamo ordinare le nostre faccende presenti in accordo con tali antifipazioni» (Prinzipien der Mechanik [1894]).

8 La definizione di Peirce «Nell’induzione non è il fatto previsto che in qualche misura necessiti la verità dell’ipotesi o la renda probabile. Ma è il fatto che esso è stato previsto con successo e che è un campione scelto a caso di tutte le previsioni che possono essere basate sull’ipotesi e che costituiscono la verità pratica di essa» (Collected Papers, p. 6527).

9 La definizione carnapiana: la previsione ridotta alla spiegazione «La natura di una previsione è la stessa, rispetto alla conferma e all’attestazione, di quella di un enunciato circa un evento presente non direttamente da noi osservato, per es., circa un processo che ora è in corso nell’interno di una macchina o un evento politico in Cina» (Testability and Meaning [1953], p. 87).

10 La definizione quineana: la spiegazione ridotta alla previsione Quine afferma di ritenere che lo schema concettuale della scienza costituisce uno strumento per prevedere l’esperienza futura alla luce dell’esperienza passata (From a Logical Point of View, II, 6)

11 La definizione hempeliana Per Hempel esiste una identità strutturale (o di simmetria) tra spiegazione e previsione, nel senso «che ogni spiegazione adeguata è potenzialmente una previsione e, inversamente, ogni previsione adeguata è potenzialmente una spiegazione» (Aspects of Scientific Explanation, 1965, p. 367).

12 La posizione popperiana Dopo aver sostenuto che tutte le scienze teoretiche (incluse anche quelle sociali) sono scienze di previsione, Popper distingue nettamente tra previsione scientifica e profezia storica: «le previsioni ordinarie della scienza sono condizionali. Esse asseriscono che certi mutamenti (per esempio della temperatura dell’acqua in un bollitoio) sarà accompagnato da altri cambiamenti (per esempio il bollire dell’acqua)» (Conjectures and Refutations, 1965, p. 339).

13 La definizione reichenbachiana Reichenbach usa il termine post-vedibilità [post- dictability] per indicare la possibilità di determinare «i dati passati in termini di osservazioni date» (Philosophic Foundations of Quantum Mechanics, 1944, p. 13)

14 Galileo Galilei (1564-1642)

15 1.1 La dimensione concettuale della scienza: a) Galileo «Ma tornando al mio trattato del moto, argomento ex suppositione sopra il moto, in quella maniera diffinito; siché quando bene le conseguenze non rispondessero alli accidenti del moto naturale de' gravi descendenti, poco a me importerebbe, siccome nulla deroga alla dimostrazione di Archimede il non trovarsi in natura alcun mobile che si muova per linee spirali. Ma in questo sono io stato, dirò così, avventurato, poiché il moto dei gravi et i suoi accidenti rispondono puntualmente alli accidenti dimostrati da me del moto da me definito» (Galileo Galilei, lettera a G. Battista Baliani del 7 gennaio 1639).

16 1.1 La dimensione concettuale della scienza: a) Galileo «Salviati: Adunque, tuttavolta che in concreto voi applicate una sfera materiale ad un piano materiale, voi applicate una sfera non perfetta a un piano non perfetto; e questi dite che non si toccano in un punto. Ma io vi dico che anco in astratto una sfera immateriale, che non sia perfetta, può toccare un piano immateriale, che non sia piano perfetto, non in un punto, ma con parte della sua superficie; talché sin qui quello che accade in concreto, accade nell’istesso modo in astratto: e sarebbe ben nuova cosa che i computi e le ragioni fatte in numeri astratti non rispondessero poi alle monete d’oro e d’argento e alle mercanzie in concreto» (Dialogo, seconda giornata).

17 1.1 La dimensione concettuale della scienza: a) Galileo «Ma sapete, signor Simplicio, quel che accade? Si come a voler che i calcoli tornino sopra i zuccheri, le sete e le lane, bisogna che il computista faccia le sue tare di casse, invoglie ed altre bagaglie, così, quando il filosofo geometra vuol riconoscere in concreto gli effetti dimostrati in astratto, bisogna che diffalchi gli impedimenti della materia; che se ciò saprà fare, io vi assicuro che le cose si riscontreranno non meno aggiustatamente che i computi aritmetici. Gli errori dunque non consistono né nell’astratto né nel concreto, né nella geometria o nella fisica, ma nel calcolatore, che non sa pare i conti giusti» (Dialogo, seconda giornata, corsivo mio).

18 1.1 La dimensione concettuale della scienza: a) Galileo «[…] non posso trovar termine all’ammirazion mia, come abbia possuto in Aristarco e nel Copernico far la ragione tanta violenza al senso, che contro a questo ella si sia fatta padrona della loro credulità» (Dialogo, terza giornata).

19 Albert Einstein (1879-1955)

20 1.2 La dimensione concettuale della scienza: b) Einstein Albert Einstein, lettera del 7 maggio 1952, indirizzata a Maurice Solovine (1875-1958)

21 Ludwig Wittgenstein (1889-1951)

22 2. Wittgenstein: la scienza quale totalità degli enunciati veri «La totalità delle proposizioni vere è la scienza naturale tutta (o la totalità delle scienze naturali» (Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus [1922], 4. 11). «D'una risposta che non si può formulare non può formularsi neppure la domanda. L'enigma non v'è. Se una domanda può porsi, può anche avere una risposta» (L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, 6.5).

23 3. Wittgenstein: la razionalità quale inferenza deduttiva «nella logica non possono mai esservi sorprese» (L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, 6. 1251). «Se una proposizione appartiene alla logica si può calcolare, calcolando le proprietà logiche del simbolo» (L. Wittgenstein, Tractatus logico- philosophicus, 6. 126).

24 4. Wittgenstein: la ragione quale calcolo algoritmico «Noi sentiamo che, persino nell'ipotesi che tutte le possibili domande scientifiche abbiano avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure sfiorati. Certo, allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta» (L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, 6. 52).

25 Martin Heidegger (1889-1976)

26 5. Heidegger: ogni oggettivazione del reale è un calcolare «Reale è ciò che si può misurare» (Max Planck). «L'affermazione di Max Planck, però, è vera solo perché esprime qualcosa che appartiene all'essenza della scienza moderna, e non solo della moderna scienza della natura. Il catturante-assicurante procedere di ogni teoria del reale è un calcolare. Non dobbiamo evidentemente intendere questo termine nel senso ristretto dell'operare con numeri. Calcolare, nel senso ampio ed essenziale, significa: tener conto di una cosa, cioè prenderla in considerazione; contare su una cosa, cioè aspettarsela. I questo modo ogni oggettivazione del reale è un calcolare, sia che insegua, attraverso la spiegazione causale, le conseguenze di determinate cause, sia che attraverso la morfologia essa si faccia un'idea delle cose, sia che si assicuri un certo contesto di connessioni ordinate nei suoi fondamenti» (Martin Heidegger, Scienza e meditazione, [1953], in Saggi e discorsi, p. 36).

27 6. Heidegger: la natura quale «inaggirabile» «La rappresentazione scientifica non può mai racchiudere l'essenza della natura, perché l'oggettività della natura è fin da principio solo uno dei modi in cui la natura si pro- spetta. La natura rimane così, per la scienza fisica, l'inaggirabile [das Unumgangliche]». (M. Heidegger, Scienza e meditazione, [1953] in Saggi e discorsi, p. 39). «Lo stato di cose che domina l'essenza della scienza, cioè della teoria del reale, è l'inaccessibile inaggirabile che passa costantemente inosservato [das stets übergangene unzugängliche Unumgängliche]» (M. Heidegger, Scienza e meditazione, [1953], in Saggi e discorsi, p. 42).

28 7. Heidegger: die Wissenschaft denkt nicht «Die Wissenschaft denkt nicht: la scienza non pensa. Non pensa perché - in conseguenza del suo modo di procedere e dei suoi strumenti - essa non può pensare; pensare, intendiamo, nel modo in cui pensano i pensatori. Che la scienza non sia in grado di pensare non è per nulla una difetto, ma un vantaggio. […] Il rapporto della scienza con il pensiero è autentico e fruttuoso solo quando l'abisso che separa scienza e pensiero diventa visibile e se ne riconosce l'insuperabilità. Non c'è un ponte che conduca dalla scienza al pensiero; l'unico passaggio possibile è il salto. Il luogo dove questo salto ci conduce non è solo l'altro lato dell'abisso, ma una regione totalmente diversa» (M. Heidegger, Che cosa significa pensare? [1952], in Saggi e discorsi, p. 88).

29 8. La scienza non pensa, calcola: è mera tecnica Secondo questo modo di intendere la scienza quest’ultima sarebbe allora riducibile ad un procedimento meramente algoritmico: poste certe premesse se ne ricavano alcune conseguenze. Quindi: a) la scienza è mera tecnica; b) la scienza non è cultura. Esempio: nel Dizionario dei filosofi contemporanei della Bompiani, curato da Pier Aldo Rovatti, la voce Einstein, Albert è illustrata in 12 righe, mentre quella di Eco, Umberto con una pagina intera.

30 Immanuel Kant (1724-1804)

31 9. Kant: la scienza pensa «Di quando in quando si odono delle lamentele sulla superficialità del modo di pensare del nostro tempo e sulla decadenza della scienza approfondita. Tuttavia io non vedo come le scienze, il cui fondamento è bene stabilito, ad esempio la matematica, la fisica, ecc. meritino minimamente questo rimprovero; esse mantengono piuttosto l'antica fama di profondità e nel caso della fisica anzi la superano addirittura. Ebbene, proprio il medesimo spirito potrebbe mostrarsi efficace anche in altre specie di conoscenza, se soltanto ci si fosse preoccupati, prima di ogni altra cosa, di rettificare i loro principi. In mancanza di ciò, indifferenza e dubbio, ed infine una critica rigorosa, sono piuttosto dimostrazioni di un modo approfondito di pensare. La nostra epoca è la vera e propria epoca della critica, cui tutto deve sottomettersi. La religione mediante la sua santità e la legislazione mediante la sua maestà vogliono di solito sottrarsi alla critica. Ma in tal caso esse suscitano contro di sé un giusto sospetto e non possono pretendere una stima incondizionata, che la ragione concede soltanto a ciò che ha potuto superare il suo esame libero e pubblico» (Immanuel Kant, Critica della ragion pura [1781], p. 9).

32 10. Kant: qual è il significato della conoscenza scientifica? le leggi scientifiche sono «sorde et inesorabili» (Galileo), idest, universali e necessarie; ma David Hume ha insegnato che un nesso empirico non può mai costituire la base di un giudizio di necessità; ma allora su che cosa si basa la necessità delle leggi scientifiche? che cosa giustifica la portata conoscitiva della scienza? quale può essere il vero fondamento del ragionamento scientifico?

33 11. Kant e la trascendentalità «Chiamo trascendentale ogni conoscenza che in generale si occupa non tanto di oggetti, quanto invece del nostro modo di conoscere gli oggetti, nel senso che tale modo di conoscenza dev'essere possibile a priori. Un sistema di siffatti concetti potrebbe chiamarsi filosofia trascendentale» (I. Kant, Critica della ragion pura [1781], p. 43). Il fondamento del conoscere coincide dunque con le condizioni di ogni conoscenza possibile: ogni conoscenza instaura una propria “ontologia regionale" (E. Husserl), una propria “ontogenesi” (G. Bachelard), un proprio “universo di discorso” e un proprio ambito concettuale, dotandosi di un proprio linguaggio, di proprie, determinate, categorie, di propri metodi di inferenza, di propri metodi di controllo, verificazione e falsificazione, etc., etc.

34 12. Conseguenze della «rivoluzione copernicana» a) la filosofia è meta-riflessione e passa ad un piano analitico, mentre l'orientamento naturale è sospeso; b) la razionalità si configura come una funzione di integrazione critica del reale e come un'unità ideale di integrazione critica di molteplici dati empirici; c) l'oggetto-del-conoscere non è più un dato o un presupposto, ma è solo il contenuto del conoscere. Il che configura due precisi orizzonti di riferimento: 1) centralità dell'analisi e di una ragione meta-riflessiva; 2) configurazione di un realismo empirico.

35 13. Un nuova immagine della razionalità umana Per parlare della razionalità umana Kant distingue due differenti piani o livelli, quello del Verstand e quello della Vernunft: «se l'intelletto è una facoltà di dare unità alle apparenze mediante le regole, la ragione è allora la facoltà di dare unità alle regole dell'intelletto, in base ai principi. Perciò la ragione non si rivolge mai direttamente all'esperienza, o ad un qualche oggetto, ma si indirizza all'intelletto, per dare a priori, mediante concetti, un'unità alle molteplici conoscenze di esso: tale unità può chiamarsi unità della ragione, ed è di natura del tutto differente dall'unità che può essere prodotta dall'intelletto» (I. Kant, Critica della ragion pura [1781], p. 239).

36 14. Una nuova concezione della realtà: il realismo empirico «L'idealista trascendentale è dunque un realista empirico: egli concede alla materia, intesa come apparenza, una realtà che non ha bisogno di essere dedotta, ma viene piuttosto percepita immediatamente. […] Nel nostro sistema queste cose esterne - ossia la materia - in tutte le loro figure ed in tutti i loro mutamenti, non sono altro se non semplici apparenze/fenomeni, cioè rappresentazioni contenute in noi, della cui realtà noi diveniamo immediatamente coscienti» (I. Kant, Critica della ragion pura [1781], p. 233).

37 15. Il trascendentalismo e il neo- realismo della tarda scolastica Kant e i neo-realisti della tarda scolastica: Buridano e la sua scuola, Nicola d'Autrecourt, Marsilio di Inghen, Gregorio da Rimini, etc.; L'intenzionalità della tradizione aristotelico-scolastica e il problema del significato dei termini categorematici e sincategorematici; significatio  significato concettuale suppositio  denotazione cane  eidos, il modello perfetto (soluzione realista) cane  astrazione ricavata per induzione (soluzione nominalista) cane  suppositio pro significato ultimato // non ultimato (soluzione neorealista) significato quale proiezione intenzionale che può essere “riempita” in modo più o meno completo [il cane effettivo, in carne ed ossa, sta ai cani ideali, come un progetto architettonico sta all'edificio costruito, in calce e pietra]

38 Edmund Husserl (1859-1938)

39 16. Kant ed Husserl a) morfé-intenzionali noetici che investono i dati iletici e li rendono intenzionali: gli elementi sensoriali riempiono un significato e diventano significanti; il trascendentalismo costituisce una trama definita di collegamenti b) le funzioni categoriali sono forme intenzionali che si collocano a differenti livelli, a vari gradi di formalismo.

40 17. Una nuova concezione dell'oggettività della conoscenza a) differenza critica tra essere e fenomeno: «l'oggettività fisica riposa su un'interazione fra l'oggetto e lo strumento di misura»: il fenomeno costituisce una realtà relazionale per definizione; b) il passaggio da una concezione descrittiva ad una concezione prescrittiva della conoscenza: «l'oggettività consiste nell'imporre un ordine di legalità ai fenomeni empirici»; un fatto esiste solo quando è giuridicamente/fisicamente qualificato; c) presenza della componente eidetico-costituitiva: «la dimensione prescrittiva, normativa e giuridica, fa dell'oggetto un sistema di regole eidetico-costitutive» d) nuovo concetto dell'oggettività: «l'oggettività non ha più nulla a che vedere con la tradizionale ontologia metafisica. Le condizioni epistemiche sono, al contempo, condizioni di osservabilità ed elementi intrinseci costitutivi di ogni fenomeno».

41 18. Come liberare le potenzialità del trascendentale? Il trascendentale è un dispositivo mediante il quale si costituisce l'oggettività, attraverso il quale un fenomeno diventa oggettivo; l'oggettività è meta-empirica proprio perché normativa: è una conversione dell'alterità dell'essere nelle norme edidetico- costitutive dell'oggetto; per questa ragione la logica trascendentale è sperimentale: perché l'oggetto regionale è il correlato degli atti sperimentali, l'operatività funge come base per la legalizzazione operativa.

42 Giulio Preti (1911-1972)

43 21. La tradizione del razionalismo critico neoilluminista Il razionalismo critico ha avuto il pregio e l'originalità di mettere in relazione la dimensione oggettiva della conoscenza con la sua storicità intrinseca: come storicizzare l'apriori formale della ragione? Come concepire un apriori storico e relativo? «Si tratta di un trascendentalismo storico-oggettivo, che rileva le forme costruttive dei vari universi di discorso attraverso l'analisi storico-critica dei linguaggi ideali che fungono da modello a questi universi, dalle regole di metodo che si sono imposte storicamente e ancora vigono nel sapere, etc. Insomma, si tratta di un'Ontologia trascendentale (o, meglio, di ontologie trascendentali) che non pretende di cogliere le forme e strutture di un Essere in sé, ma vuole determinare il modo (i modi) in cui la categoria dell'essere è in atto nella costruzione, storicamente mobile e logicamente convenzionale (arbitraria), delle regioni ontologiche da parte del sapere scientifico (in particolare) e della cultura (in generale)» (Giulio Preti, Saggi filosofici, [1976], vol. I, p. 486).

44 22. Una nuova architettonica: sapere, dovere, speranza Che cosa posso conoscere? a) ordine descrittivo ed esplicativo dell'oggettività scientifica e della verità cognitiva: il sapere; Che cosa devo fare? b) ordine prescrittivo e giuridico della correttezza etica e delle regole normative: il dovere; Che cosa mi è lecito sperare? c) ordine autoriflessivo dell'emancipazione e dell'autenticità: la speranza. La crisi della ragione si radica nella riduzione della tricotomia critica ad una dicotomia caricaturale. Occorre costruire una nuova architettonica basata sulla solidarietà sistemica tra i tre differenti ordini architettonici.

45 23. L'elogio della tecnica e il suo valore culturale «Largo campo di filosofare a gl'intelletti specolativi parmi che porga la frequente pratica del famoso arsenale di voi, Signori Veneziani, ed in particolare in quella parte che mecanica si domanda; atteso che quivi ogni sorte di strumento e di machina vien continuamente posta in opera da numero grande d'artefici, tra i quali, e per l'osservazioni fatta da i loro antecessori, e per quelle che di propria avvertenza vanno continuamente per se stessi facendo, è forza che ve ne siano de i peritissimi e di finissimo discorso» (Galileo Galilei, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, 1638, I, p. 11).

46 Carlo Cattaneo (1801-1869)

47 24. Cattaneo: il prisma del pensiero nasce dal lavoro «noi non possiamo afferrare lo spirito umano, non possiamo scrutarne l'essenza, non possiamo conoscerlo se non in quanto si manifesta con li atti suoi e le sue elaborazioni. Se lo assumiamo quale la tradizione di molti secoli, ossia l'educazione, l'ha reso in noi, ci avventuriamo a mutilarne le sue abitudini primitive, a confondere ciò ch'è essenziale in lui con ciò ch'è variabile e fortuito. È dunque mestieri studiarlo in quante più situazioni e più diverse si possa. Quando avremo contemplato il poliedro ideologico nel massimo numero delle innumerevoli sue facce, allora i tratti communi ad esse tutte ci segneranno la sua natura fondamentale e costante; li altri indicheranno il variato campo della sua perfettibilità. Ora codesti tratti stanno sparsi nelle istorie, nelle leggi, nei riti, nelle lingue; e da questo terreno tutto istorico ed esperimentale deve surgere l'intera cognizione dell'uomo, la quale indarno si cerca nelle latebre della solitaria coscienza. Lo studio dell'individuo nel senso dell'umanità, l'ideologia sociale, è il prima che decompone in distinti e fulgidi colori l'incerta albedine dell'interiore psicologia» (Carlo Cattaneo, Su la “Scienza Nuova” di Vico, «Il Politecnico», II, settembre 1939, fasc. IX, pp. 256-7).

48 25. Sapere, libertà e speranza Il pensiero nasce dal lavoro: le scintille del pensiero nascono dall’attrito con la resistenza della realtà; La conoscenza costituisce l’altro nome della libertà: l’incremento della conoscenza è dilatazione della libertà, l’ampliamento della libertà è premessa per l’approfondimento della conoscenza; La speranza costituisce il motore di un vario processo di incivilimento in cui, costantemente, conoscenza e libertà si intrecciano storicamente.

49 escatologia  eros  teleologia


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