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Il Seme dell’Universo Donato a Gaia dall’amoreUniversale.

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Presentazione sul tema: "Il Seme dell’Universo Donato a Gaia dall’amoreUniversale."— Transcript della presentazione:

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4 Il Seme dell’Universo

5 Donato a Gaia dall’amoreUniversale

6 Avanza con un clic

7 Cosa ci nasconde ancora la nostra Terra? Resti di antichi templi di antiche civiltà, bisogna ancora cercare e soprattutto esaminare ogni tipo di testimonianza, ogni tipo di documento per comprendere la nostra natura. Molti uomini del passato hanno raccontato di terre fantastiche, di civiltà oggettivamente e culturalmente avanzate, ma poco rimane a noi di questo.. Bisogna far chiarezza e soprattutto far luce ad antichi misteri che avvolgono l’umanità da tantissimo tempo. Di seguito, una testimonianza di quando abitatori evoluti di altri mondi, si manifestavano liberamente ai popoli primitivi terrestri.

8 Seguito del volume tre Seguito del volume tre

9 Chi ha costruito Nan Madol? Giochi del ma-jong con blocchi di basalto Un altro sistema preistorico di gallerie Sarcofaghi di platino? Le inquietanti capacità dell'incantatore di draghi Alla ricerca di isole senza ritorno Come è nata la Nuova Zelanda Apparecchi per il volo singolo prodotti in serie Leggende polinesiane Come si può sbagliare nello studio dei miti Geodi naturali o artificiali? Come possono i "poveri" indigeni del Pacifico essere in realtà tanto ricchi? SAKAO, l'LSD del Pacifico. Chi ha costruito Nan Madol? Giochi del ma-jong con blocchi di basalto Un altro sistema preistorico di gallerie Sarcofaghi di platino? Le inquietanti capacità dell'incantatore di draghi Alla ricerca di isole senza ritorno Come è nata la Nuova Zelanda Apparecchi per il volo singolo prodotti in serie Leggende polinesiane Come si può sbagliare nello studio dei miti Geodi naturali o artificiali? Come possono i "poveri" indigeni del Pacifico essere in realtà tanto ricchi? SAKAO, l'LSD del Pacifico.

10 Il più grande agglomerato della Micronesia è quello delle Caroli- ne, con oltre 500 isole e una superficie com­plessiva di 1340 km 2. Ponape, 504 km 2, è la più vasta isola dell'arcipelago, tre volte più grande del Liechtenstein e all'incirca con lo stesso numero di abitanti: 18.000 individui. Il clima è tropicale; Ponape è, per la maggior parte, montuosa e inabitabile; tutt'attorno a essa si stende una cintura di isole e isolotti e di scogliere coralline. Una delle più pic­cole di esse, di appena 0,44 km 2, si chiama, secondo quan­to riporta l'atlante internazionale, Temuen.

11 A Temuen si trovano le grandiose rovine di Nan Madol, le cui colossali strutture occupano quasi intera­mente la superficie dell'isola che a esse deve la sua fama. Nel linguag- gio comune Nan Madol ha infatti del tutto sostituito il vero nome dell'isola di Temuen. Le rovine della città risalgono a tempi antichissimi; una precisa datazione non è però an- cora stata fatta; la prove- nienza dei costruttori non è meno misteriosa.

12 Ecco le date storicamente accertate che si riferiscono a Ponape e agli isolotti satelliti: 1595 Il portoghese Pedro Fernandes de Qui- ros sbar­ca con la San Jeronimo a Temuen. I primi bianchi metto­ no piede sull'isola e vedono le rovine di Nan Madol. 1686: L'intero gruppo di isole divengono possedimen­to spagnolo e vengono denominate Caroline in onore del re Carlo II. 1826: Scampato da un naufragio, l'irlandese James O'Connell ap- proda sull'isola: viene accolto molto amiche­volmente dai suoi abitanti e sposa un'indigena. 1838: Da quest'anno gli annali dell'isola riportano no­tizia di varie visite di bianchi. 1851: Gli indigeni massacrano l'equipaggio di una na­ve inglese. Una spedizione punitiva getta Ponape in un bagno di sangue. 1880: Missionari di varie religioni, tutti dotati di una buona dose di fanatismo, irrompono come sciami di ca­vallette.

13 Bruciano tavole di iscrizioni, testimonianze della storia antichis- sima dell'isola, vietano l'esercizio delle tra­dizioni ataviche, co- struiscono chiese e cappelle. 1889: La Spagna vende Ponape e il gruppo delle iso­le vicine (Ma- riane e Palau) all'impero tedesco. 1910: Gli abitanti dell'arcipelago uccidono missionari e impiegati governativi. Soltanto pochi bianchi sfuggono al massacro. 1911: L'incrociatore tedesco Emden cannoneggia l'isola; i ribelli sono sottomessi, i loro capi impiccati. 1919: Le Caroline, compresa Ponape, passano sotto il mandato del Giappone. 1944: Durante la battaglia del Pacifico, gli Americani occupano l'arcipelago. 1947: Le isole sono territorio di amministrazio­ne fiduciaria degli USA. Come si vede da questo breve riassunto, gli avveni­menti di cui furono teatro le Caroline sono piuttosto tru­culenti.

14 Un fatto però è certo: le misteriose rovine di Nan Madol esisteva- no già molto tempo prima dell'arrivo dei bianchi, nel 1595. Per tutto ciò che riguarda i fatti avve­nuti prima di questa data dobbiamo basarci sulle leggen­de, infinitamente più antiche, che riguardano Nan Madol. Dopo aver trascorso più di una settimana nell'inferno caldo e umido di Nan Madol con rotella metrica, appa­recchi fotografici e bloc-notes, posso soltanto sorridere stancamente pensando a tutte le interpretazioni finora tentate di queste leggende. Preferisco attenermi alla let­tera delle leggende stesse, perché il loro contenuto è più plausibile dell'interpretazione che ne viene data. Quando, con un Boeing 727 della Continental Airli­nes Air Micronesia, scesi su Ponape, non immaginavo quali traversie, ma neppure quali eccezionali esperienze mi attendessero.

15 Noleggiai un piccolo canotto a motore, non più gran­de di una ca- noa indigena, e mi avventurai lungo i canali ricoperti di vegeta- zione tropicale che separano le innu­merevoli isole le une dalle altre. Il caldo era opprimente e l'aria così umida che pareva di non poterla respirare. Con i miei due accompagnatori indigeni, passai oltre molti isolot- ti, finché, davanti a noi... ecco Nan Madol. L'isola non è diversa da tutte le altre. Ma, appena messo piede sul suolo, ci si trova in presenza di imponenti testi­monianze di una storia antichissima; non si può essere preparati a un tale incontro: sembra di sprofondare nel passato; è come se un abisso ci si aprisse davanti per farci dare un'occhiata, fermandolo, all'infinito flusso del tempo.

16 La pianta delle costruzioni è sempre chiaramente ri­conoscibile nel caos delle macerie. Come nel gioco del ma-jong ci sono mol- tissime travi di pietra sovrapposte, accatastate, appoggiate le une sulle altre; un gioco da giganti, però: i "pezzi" sono blocchi di basalto che pesano molte tonnellate. Alcuni studiosi di petrografia so­stengono che si tratta di lava so- lidificata; facendo una pa­ziente analisi statistica dei vari blocchi, ho constatato che tutte le travi hanno sezione esagonale o otta- gonale e lun­ghezza quasi costante. Presso la costa settentrionale di Ponape si trovano ef­fettivamente giacimenti di basalto colon- nare: gli elemen­ti usati a Nan Madol sono però troppo regolari, troppo accuratamente squadrati per sembrare frutto del lavoro della natura. Il materiale di base può essere stato la lava solidifi­ cata ma, sulla struttura originale, si è sovrapposto un la­voro accurato di rifinitura.

17 Non sono però sicuro che il luogo di provenienza sia proprio Po- nape: non riesco infatti a immaginare un mez­zo e un procedim- ento adatto al trasporto di questi bloc­chi colossali attraverso il labirinto di canali, sommerso dalla vegetazione. Un trasporto via terra è da escludere: anche oggi nell'isola maggiore esistono po- chissime strade che passino all'interno, perché la giungla inva- dente ob­bligherebbe a una manutenzione onerosissima. Non si deve inoltre trascurare la quotidiana inonda­zione dovuta ai rovesci torrenziali di pioggia che, ren­dendo impraticabile il terreno, consigliano comunque di scegliere la via dell'acqua per qualsiasi spostamento. Supponendo anche che esistesse un tem- po una specie di valico alpino per superare le montagne al centro di Ponape, una volta raggiunte, dopo l'erta salita e la ripida disc- esa, le spiagge sudorientali dell'isola, si sarebbero do­vuti imbar- care su qualche mezzo i blocchi per portarli fi­no a Temuen.

18 Sul posto mi si diedero spiegazioni contrastanti: i mas­si sarebbe- ro stati, secondo alcuni, trasportati su zattere, mentre, secondo un altro studioso, gli indigeni avrebbero legato i pezzi di basalto sotto le loro canoe, sfruttando la diminuzione del peso provocata dalla spinta idrostatica sui corpi immersi!! Inutile confutare un'idea tanto assur­da. Il trasporto su zattere si presenta in linea di massima plausibile, ma torniamo un attimo a considerare il lavoro nella sua interezza: prima il trasporto diffi- cilissimo via terra, poi questo trasbordo attraverso il braccio di mare... Veramente un opera da titani e in gran parte assurda. Perché infatti scegliere Temuen e non un'altra isola più vicina o la stessa Ponape? Tra le rovine mi sono messo a contare come un for­sennato i blocchi che compongono la sola costruzione prin- cipale: su una lunghezza di 60 m ci sono 1082 travi; la pianta è quadrata e complessivamente i pezzi sono 4782.

19 Per ottenere il terrapieno centrale di questa costru­zione devono essere stati impiegati (non è difficile fare un calcolo del volume) almeno 32.000 blocchi; e questa non è che una delle costruzioni di Nan Madol!... In tutta l'isola di Temuen esistono grandi opere di canalizzazione, tombe, vari passaggi coperti, un muraglio­ne lungo complessivamente 860 m e alto in vari punti più di 14 m nonché molti locali a pianta rettangolare o quadrata. Dal grande terrapieno dell'edificio principale scendono ampie scalinate interrotte da terrazze, tutte co­struite con blocchi di ba- salto ben squadrati. Al corpo principale sono connessi vari piccoli e pic­colissimi locali, come le stanze di servizio di un palazzo. Complessivamente i recinti e i locali a pianta regolare sono più di ottanta. L'ipotesi del trasporto per terra e per mare incomin­cia ad apparirmi davvero insostenibile.

20 Quando fu costruita Nan Madol, certamente molti secoli fa, forse Ponape era molto popolosa, comunque l'iso­la non può aver ospi- tato molti abitanti di più di quelli che ospita ora, diciamo 20- 25.000 persone, tanto per fis­sare le idee. Il lavoro nella cava non era certamente dei più leggeri e molti individui dovevano esser- vi impegnati; notevole doveva essere anche il numero delle per- sone adi­bite al trasporto via terra (è probabile che non esistes- sero animali da soma, la cui utilità, nell'intrico del­la boscaglia, è comunque discutibile); un altro piccolo esercito deve essersi oc- cupato del carico delle zattere o delle canoe; infine molte perso- ne hanno naturalmente atteso ai vettovagliamenti, raccogliendo frutti dalle pal­me e dagli altri alberi e pescando.

21 (qui prospera tuttora l'albero del pane) Tenendo conto di questi dati, si vede come già il trasporto di 4-5 blocchi al gior- no possa essere stata un'im­presa sensazio- nale. Poiché sicuram- ente i diritti e gli inte- ressi dei lavoratori non erano allora tute- lati da sinda­cati, pos- siamo assumere che l'anno lavorativo con- tasse 365 giorni;

22 facciamo un paio di molti- plicazioni: 1500­/2000 bloc- chi all'anno, a voler esage- rare! Dunque il solo trasp- orto del materiale per le varie costruzioni, che pos­ sono comprendere 300.000-400.000 blocchi, avrebbe ri­chiesto un paio di secoli! La logica si oppone a queste cifre. Ma serve ancora la logica comune per valutare un‘- opera come Nan Madol? La dimensione "umana" ha ancora un suo significato?

23 Nan Madol non è una bella città e sicuramente non lo è mai stata. La struttura monumentale ha una sua mae­stà, ma tutto ciò che ha attinenza con la decorazione (bas­sorilievi, sculture,) sembra essere stato rigorosamente bandito, quasi che si sia ricercata una superiore austera dignità nelle strutture nude e imponenti. Il contrasto con le costruzioni proprie delle isole del Pacifico è notevole: in genere infatti tutti gli edifici sono, in quest'area, so- vraccarichi di decorazioni, sia che siano adibiti al culto, sia che siano palazzi o fortificazioni. Le spartane, spoglie muraglie sem- brano escludere qualsiasi destinazione "normale": no, qui non si sono adorati gli dei, non si sono riveriti sovrani... È possibile che si tratti di una gigantesca opera difensiva? Le terrazze e le scale che quasi invitano a salire, a entrare, escludono questa ipotesi. Ma ecco, vale la pena di soffermarsi su questa strutturazione che sembra quasi guidare chi sbarca sul­l'isola verso ilcentro: in mezzo a una struttura quadran­golare si apre il "pozzo". Nan Madol non è una bella città e sicuramente non lo è mai stata. La struttura monumentale ha una sua mae­stà, ma tutto ciò che ha attinenza con la decorazione (bas­sorilievi, sculture,) sembra essere stato rigorosamente bandito, quasi che si sia ricercata una superiore austera dignità nelle strutture nude e imponenti. Il contrasto con le costruzioni proprie delle isole del Pacifico è notevole: in genere infatti tutti gli edifici sono, in quest'area, so- vraccarichi di decorazioni, sia che siano adibiti al culto, sia che siano palazzi o fortificazioni. Le spartane, spoglie muraglie sem- brano escludere qualsiasi destinazione "normale": no, qui non si sono adorati gli dei, non si sono riveriti sovrani... È possibile che si tratti di una gigantesca opera difensiva? Le terrazze e le scale che quasi invitano a salire, a entrare, escludono questa ipotesi. Ma ecco, vale la pena di soffermarsi su questa strutturazione che sembra quasi guidare chi sbarca sul­l'isola verso il centro: in mezzo a una struttura quadran­golare si apre il "pozzo".

24 Questo è il nome tradizionale di un'apertura che non è certamen- te un vero pozzo ma piuttosto lo sbocco all'aperto di un cunicolo. Oggi la cavità è piena d'acqua fino a quasi due me­tri dal bordo. Un altro particolare è di grande interesse: le costruzioni sembra- no essere più estese dell'isola; sono facilmente visibili, sotto la superficie dell'oceano, i mu­raglioni che proseguono nel bassof- ondo delle lagune; l'oc­chio poi li perde perché la profondità aum- enta di colpo ma non sembra che le strutture si interrompano. La presenza dell'imbocco di una galleria sembra dav­vero ingiu- stificabile: dove poteva condurre una galleria?Su Temuen non esistono sbocchi e, in ogni caso, l'isola è tanto piccola che un passaggio sotterraneo da un capo all'altro non può certamente aver avuto uno scopo pra­tico. Forse anche la galleria, come le costruzioni di su­perficie, prosegue sotto il mare? Questo è il nome tradizionale di un'apertura che non è certamen- te un vero pozzo ma piuttosto lo sbocco all'aperto di un cunicolo. Oggi la cavità è piena d'acqua fino a quasi due me­tri dal bordo. Un altro particolare è di grande interesse: le costruzioni sembra- no essere più estese dell'isola; sono facilmente visibili, sotto la superficie dell'oceano, i mu­raglioni che proseguono nel bassof- ondo delle lagune; l'oc­chio poi li perde perché la profondità aum- enta di colpo ma non sembra che le strutture si interrompano. La presenza dell'imbocco di una galleria sembra dav­vero ingiu- stificabile: dove poteva condurre una galleria? Su Temuen non esistono sbocchi e, in ogni caso, l'isola è tanto piccola che un passaggio sotterraneo da un capo all'altro non può certamente aver avuto uno scopo pra­tico. Forse anche la galleria, come le costruzioni di su­perficie, prosegue sotto il mare?

25 Nel libro Der masslose Ozean [L'Oceano immenso] di Herbert Rittlinger, l'esploratore che percorse tutto il Pacifico durante i suoi viaggi, è riportata una tradizio­ne locale secondo cui Ponape e le isole satelliti sareb­bero state, molte migliaia di anni fa, il centro di un regno glorioso e potente. Le notizie su questo favo­loso regno si diffusero e raggiunsero il continente: mer­canti e pescatori di perle cinesi vennero qui e in- trapre­sero una sommaria esplorazione delle rovine, non trascur- ando la parte sommersa. Ma veniamo appunto alla descrizione, da Rittlinger riportata fedelmente, di quello che gli antichi sommozzatori videro...

26 Camminando sul fondo, lungo strade perfettamente conservate e coperte di conchiglie e coralli essi avrebbero raggiunto numerosi edifici: grandi sale simili a magazzini, case d'abitazione nelle cui pareti erano incastrate tavole di pietra scol­pite, e ovunque colon- ne, monoliti... Più tardi, durante il periodo in cui le Caroline fu­rono giapponesi, vennero intraprese esplorazioni coscien­ziose con mezzi moderni. Le leggende furono ancora una volta confermate: il fondo marino poteva fornire grandi quantità di perle ma anche metalli preziosi evidentemente provenienti dai tesori della leggendaria capitale. La "casa dei morti'', la costruzione principale di tutto il comples- so è forse il mausoleo di un re leggendario, Chau-te-Laur, o forse contiene più tombe.

27 I palombari giapponesi dissero però di aver trovato sul fondo sarco­faghi perfettamente intatti perché rivestiti di platino. Queste bare, impermeabili anche dopo un lungo soggior­no sotto- marino, devono però essere state distrutte, se è vero che dalle esplorazioni subacquee i palombari ritor­navano con grossi pezzi del prezioso metallo bianco. In realtà tra i principali articoli di esportazione del­l'isola di Pona- pe, in quel periodo, figurano: copra, vani­glia, sagù, madreperla, ma soprattutto platino! L'estrazione del platino dal fondo marino sarebbe sta­ta praticata dai giapponesi fino al giorno in cui, mal­ grado le tecniche moderne impiegate, due palombari non riemer- sero dalle profondità misteriose. Poi scoppiò la guerra e alla fine di questa i giapponesi dovettero andar­sene.

28 Rittlinger conclude il suo resoconto con questo commento: "Pro- babilmente le informazioni che si pos­sono avere dagli indigeni, intessute come sono di leggen­de centenarie, non sono del tutto attendibili, ma i re­perti di platino su un'isola le cui rocce non ne conten­gono affatto, restano un fatto reale e inspiegabile". Le ultime esplorazioni, più o meno interessate, risal­gono dunque a prima del 1939. Io non credo personalmente alla storia dei sar- cofagi di metallo o addirittura di platino: pilastri di basalto esa- gonali o ottagonali, come quelli che ho sott'occhio, possono, nel- l‘incerta visibilità sottomarina, essere stati scambiati per bare: resta però il fatto, controllabile an­che sulla base di rapporti eco- nomici, che il Giappone ha esportato platino da Ponape fin dall‘- inizio del suo man­dato, nel 1919. Da dove poteva provenire il metallo? Rittlinger conclude il suo resoconto con questo commento: "Pro- babilmente le informazioni che si pos­sono avere dagli indigeni, intessute come sono di leggen­de centenarie, non sono del tutto attendibili, ma i re­perti di platino su un'isola le cui rocce non ne conten­gono affatto, restano un fatto reale e inspiegabile". Le ultime esplorazioni, più o meno interessate, risal­gono dunque a prima del 1939. Io non credo personalmente alla storia dei sar- cofagi di metallo o addirittura di platino: pilastri di basalto esa- gonali o ottagonali, come quelli che ho sott'occhio, possono, nel- l‘incerta visibilità sottomarina, essere stati scambiati per bare: resta però il fatto, controllabile an­che sulla base di rapporti eco- nomici, che il Giappone ha esportato platino da Ponape fin dall‘- inizio del suo man­dato, nel 1919. Da dove poteva provenire il metallo?

29 Se anche i sarcofagi non sono in realtà mai esistiti, si deve pre- star fede alle descrizioni, fatte dai palombari, di case, strade, magazzini; che Nan Madol "continui" sott'acqua è evidente: co- me dicevo, anche senza immer­gersi, si vedono trasparire sotto il pelo dell'acqua mura e lastricati. E al centro, in mezzo a tutte le costruzioni e acces­sibile da ogni lato, il misterioso "pozzo". Tutto sembra suggerire che Nan Madol fosse l'in­gresso maestoso ma austero di un sistema di gallerie sot­terranee. No, non si trat- ta della leggendaria Atlantide: qui nulla è stato sommerso da ca- taclismi naturali; le strutture sono state tutte pianificate e forse anche quelle che si affondano nel mare corrispondono al proget- to ori­ginale. In ogni caso se cedimenti vi sono stati, si deve ess- ere trattato di cose di poco conto: Nan Madol appare ancora con la pianta e la disposizione che aveva quando fu costruita.

30 Si deve tener presente che anche a Kusaie, un'altra isola delle Caroline, esistono "ruderi" analoghi a questi, anche se meno im- ponenti. Forse veramente Nan Madol era la capitale di un grande regno e su altre isole esiste­vano città secondarie o tributarie. Che cosa narrano le leggende che ci sono state tra­mandate a proposito di Nan Madol? Forse nella traspo­sizione mitica si riesc- ono a cogliere frammenti di fatti reali svoltisi all'epoca della sua costruzione. Gli studiosi K. Masao Hadley, Pensile Lawrence e Carole Jencks han­no raccolto molto materiale durante una lunga perma­nenza nell'isola, senza riuscire a dare però al contenuto una interpreta- zione plausibile. L'edificio principale (la "casa dei morti") viene in­dicato, in una leggenda, come "Tempio della Sacra Co­lomba".

31 Ancora tre secoli fa il sommo sacerdote Nanu­sunsap avrebbe percorso con una barca i vari canali tra le isolette e una colomba (il dio delle colombe) era nella barca, di fronte a lui; il sacerdote doveva guardare la colomba negli occhi senza distogliere lo sgu- ardo e, quan­do l'uccello ammiccava, egli doveva a sua volta am- mic­care. Un rituale così strano da sembrare comico. Le leggende dicono però che originariamente il sim­bolo della divinità di Nan Madol non sarebbe stata la colomba, ma un drago che sputava fuoco. La figura del drago è anche al centro di altre noti­zie legg- endarie che riguardano l'origine dell'isola e dei suoi monumenti. La madre del drago avrebbe infatti sca­vato i canali con il suo po- deroso soffio, facendo così sor­gere le varie isolette. Il drago disponeva di una specie di assistente, un mago, cui erano note alcune formule magiche:

32 Con una si potevano far volare i blocchi di ba­salto dall'isola mag- giore a quella appena tagliata a pezzi dal fiato della madre-drago e con un'altra si poteva ac­catastarli in bell'ordine; tutto quindi senza che occor­resse disturbare gli isolani per chiedere mano d'opera. Secondo un'interpretazione piuttosto semplicistica il drago sar- ebbe in realtà stato un grande coccodrillo. Per quanto mi risulta in nessuna di queste isole esistono coc­codrilli; bisogna spostarsi almeno fino alla Nuova Guinea o fino alle Filippine per trovarne. Comunque non si vede perché un coccodrillo sperduto a 5000 km da casa avreb­be sentito il bisogno di costruire mura ciclopiche e gal­lerie subacquee. Esistono anche altre leggende sulla fondazione di Nan Madol e sulla sua storia oltre a quella della colomba e a quella del drago. Per ora limitiamoci a queste.

33 In fraterna amicizia a cura di:

34 Segue nell’integrazione n° 4 (clicca) (clicca) (Attivare le Macro per aprire il documento)


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