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PubblicatoLeandro Masi Modificato 9 anni fa
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Il Seme dell’Universo
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Donato a Gaia dall’amoreUniversale
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Cosa ci nasconde ancora la nostra Terra? Resti di antichi templi di antiche civiltà, bisogna ancora cercare e soprattutto esaminare ogni tipo di testimonianza, ogni tipo di documento per comprendere la nostra natura. Molti uomini del passato hanno raccontato di terre fantastiche, di civiltà oggettivamente e culturalmente avanzate, ma poco rimane a noi di questo.. Bisogna far chiarezza e soprattutto far luce ad antichi misteri che avvolgono l’umanità da tantissimo tempo. Di seguito, una testimonianza di quando abitatori evoluti di altri mondi, si manifestavano liberamente ai popoli primitivi terrestri.
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Seguito del volume tre Seguito del volume tre
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Chi ha costruito Nan Madol? Giochi del ma-jong con blocchi di basalto Un altro sistema preistorico di gallerie Sarcofaghi di platino? Le inquietanti capacità dell'incantatore di draghi Alla ricerca di isole senza ritorno Come è nata la Nuova Zelanda Apparecchi per il volo singolo prodotti in serie Leggende polinesiane Come si può sbagliare nello studio dei miti Geodi naturali o artificiali? Come possono i "poveri" indigeni del Pacifico essere in realtà tanto ricchi? SAKAO, l'LSD del Pacifico. Chi ha costruito Nan Madol? Giochi del ma-jong con blocchi di basalto Un altro sistema preistorico di gallerie Sarcofaghi di platino? Le inquietanti capacità dell'incantatore di draghi Alla ricerca di isole senza ritorno Come è nata la Nuova Zelanda Apparecchi per il volo singolo prodotti in serie Leggende polinesiane Come si può sbagliare nello studio dei miti Geodi naturali o artificiali? Come possono i "poveri" indigeni del Pacifico essere in realtà tanto ricchi? SAKAO, l'LSD del Pacifico.
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Il più grande agglomerato della Micronesia è quello delle Caroli- ne, con oltre 500 isole e una superficie complessiva di 1340 km 2. Ponape, 504 km 2, è la più vasta isola dell'arcipelago, tre volte più grande del Liechtenstein e all'incirca con lo stesso numero di abitanti: 18.000 individui. Il clima è tropicale; Ponape è, per la maggior parte, montuosa e inabitabile; tutt'attorno a essa si stende una cintura di isole e isolotti e di scogliere coralline. Una delle più piccole di esse, di appena 0,44 km 2, si chiama, secondo quanto riporta l'atlante internazionale, Temuen.
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A Temuen si trovano le grandiose rovine di Nan Madol, le cui colossali strutture occupano quasi interamente la superficie dell'isola che a esse deve la sua fama. Nel linguag- gio comune Nan Madol ha infatti del tutto sostituito il vero nome dell'isola di Temuen. Le rovine della città risalgono a tempi antichissimi; una precisa datazione non è però an- cora stata fatta; la prove- nienza dei costruttori non è meno misteriosa.
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Ecco le date storicamente accertate che si riferiscono a Ponape e agli isolotti satelliti: 1595 Il portoghese Pedro Fernandes de Qui- ros sbarca con la San Jeronimo a Temuen. I primi bianchi metto no piede sull'isola e vedono le rovine di Nan Madol. 1686: L'intero gruppo di isole divengono possedimento spagnolo e vengono denominate Caroline in onore del re Carlo II. 1826: Scampato da un naufragio, l'irlandese James O'Connell ap- proda sull'isola: viene accolto molto amichevolmente dai suoi abitanti e sposa un'indigena. 1838: Da quest'anno gli annali dell'isola riportano notizia di varie visite di bianchi. 1851: Gli indigeni massacrano l'equipaggio di una nave inglese. Una spedizione punitiva getta Ponape in un bagno di sangue. 1880: Missionari di varie religioni, tutti dotati di una buona dose di fanatismo, irrompono come sciami di cavallette.
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Bruciano tavole di iscrizioni, testimonianze della storia antichis- sima dell'isola, vietano l'esercizio delle tradizioni ataviche, co- struiscono chiese e cappelle. 1889: La Spagna vende Ponape e il gruppo delle isole vicine (Ma- riane e Palau) all'impero tedesco. 1910: Gli abitanti dell'arcipelago uccidono missionari e impiegati governativi. Soltanto pochi bianchi sfuggono al massacro. 1911: L'incrociatore tedesco Emden cannoneggia l'isola; i ribelli sono sottomessi, i loro capi impiccati. 1919: Le Caroline, compresa Ponape, passano sotto il mandato del Giappone. 1944: Durante la battaglia del Pacifico, gli Americani occupano l'arcipelago. 1947: Le isole sono territorio di amministrazione fiduciaria degli USA. Come si vede da questo breve riassunto, gli avvenimenti di cui furono teatro le Caroline sono piuttosto truculenti.
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Un fatto però è certo: le misteriose rovine di Nan Madol esisteva- no già molto tempo prima dell'arrivo dei bianchi, nel 1595. Per tutto ciò che riguarda i fatti avvenuti prima di questa data dobbiamo basarci sulle leggende, infinitamente più antiche, che riguardano Nan Madol. Dopo aver trascorso più di una settimana nell'inferno caldo e umido di Nan Madol con rotella metrica, apparecchi fotografici e bloc-notes, posso soltanto sorridere stancamente pensando a tutte le interpretazioni finora tentate di queste leggende. Preferisco attenermi alla lettera delle leggende stesse, perché il loro contenuto è più plausibile dell'interpretazione che ne viene data. Quando, con un Boeing 727 della Continental Airlines Air Micronesia, scesi su Ponape, non immaginavo quali traversie, ma neppure quali eccezionali esperienze mi attendessero.
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Noleggiai un piccolo canotto a motore, non più grande di una ca- noa indigena, e mi avventurai lungo i canali ricoperti di vegeta- zione tropicale che separano le innumerevoli isole le une dalle altre. Il caldo era opprimente e l'aria così umida che pareva di non poterla respirare. Con i miei due accompagnatori indigeni, passai oltre molti isolot- ti, finché, davanti a noi... ecco Nan Madol. L'isola non è diversa da tutte le altre. Ma, appena messo piede sul suolo, ci si trova in presenza di imponenti testimonianze di una storia antichissima; non si può essere preparati a un tale incontro: sembra di sprofondare nel passato; è come se un abisso ci si aprisse davanti per farci dare un'occhiata, fermandolo, all'infinito flusso del tempo.
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La pianta delle costruzioni è sempre chiaramente riconoscibile nel caos delle macerie. Come nel gioco del ma-jong ci sono mol- tissime travi di pietra sovrapposte, accatastate, appoggiate le une sulle altre; un gioco da giganti, però: i "pezzi" sono blocchi di basalto che pesano molte tonnellate. Alcuni studiosi di petrografia sostengono che si tratta di lava so- lidificata; facendo una paziente analisi statistica dei vari blocchi, ho constatato che tutte le travi hanno sezione esagonale o otta- gonale e lunghezza quasi costante. Presso la costa settentrionale di Ponape si trovano effettivamente giacimenti di basalto colon- nare: gli elementi usati a Nan Madol sono però troppo regolari, troppo accuratamente squadrati per sembrare frutto del lavoro della natura. Il materiale di base può essere stato la lava solidifi cata ma, sulla struttura originale, si è sovrapposto un lavoro accurato di rifinitura.
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Non sono però sicuro che il luogo di provenienza sia proprio Po- nape: non riesco infatti a immaginare un mezzo e un procedim- ento adatto al trasporto di questi blocchi colossali attraverso il labirinto di canali, sommerso dalla vegetazione. Un trasporto via terra è da escludere: anche oggi nell'isola maggiore esistono po- chissime strade che passino all'interno, perché la giungla inva- dente obbligherebbe a una manutenzione onerosissima. Non si deve inoltre trascurare la quotidiana inondazione dovuta ai rovesci torrenziali di pioggia che, rendendo impraticabile il terreno, consigliano comunque di scegliere la via dell'acqua per qualsiasi spostamento. Supponendo anche che esistesse un tem- po una specie di valico alpino per superare le montagne al centro di Ponape, una volta raggiunte, dopo l'erta salita e la ripida disc- esa, le spiagge sudorientali dell'isola, si sarebbero dovuti imbar- care su qualche mezzo i blocchi per portarli fino a Temuen.
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Sul posto mi si diedero spiegazioni contrastanti: i massi sarebbe- ro stati, secondo alcuni, trasportati su zattere, mentre, secondo un altro studioso, gli indigeni avrebbero legato i pezzi di basalto sotto le loro canoe, sfruttando la diminuzione del peso provocata dalla spinta idrostatica sui corpi immersi!! Inutile confutare un'idea tanto assurda. Il trasporto su zattere si presenta in linea di massima plausibile, ma torniamo un attimo a considerare il lavoro nella sua interezza: prima il trasporto diffi- cilissimo via terra, poi questo trasbordo attraverso il braccio di mare... Veramente un opera da titani e in gran parte assurda. Perché infatti scegliere Temuen e non un'altra isola più vicina o la stessa Ponape? Tra le rovine mi sono messo a contare come un forsennato i blocchi che compongono la sola costruzione prin- cipale: su una lunghezza di 60 m ci sono 1082 travi; la pianta è quadrata e complessivamente i pezzi sono 4782.
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Per ottenere il terrapieno centrale di questa costruzione devono essere stati impiegati (non è difficile fare un calcolo del volume) almeno 32.000 blocchi; e questa non è che una delle costruzioni di Nan Madol!... In tutta l'isola di Temuen esistono grandi opere di canalizzazione, tombe, vari passaggi coperti, un muraglione lungo complessivamente 860 m e alto in vari punti più di 14 m nonché molti locali a pianta rettangolare o quadrata. Dal grande terrapieno dell'edificio principale scendono ampie scalinate interrotte da terrazze, tutte costruite con blocchi di ba- salto ben squadrati. Al corpo principale sono connessi vari piccoli e piccolissimi locali, come le stanze di servizio di un palazzo. Complessivamente i recinti e i locali a pianta regolare sono più di ottanta. L'ipotesi del trasporto per terra e per mare incomincia ad apparirmi davvero insostenibile.
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Quando fu costruita Nan Madol, certamente molti secoli fa, forse Ponape era molto popolosa, comunque l'isola non può aver ospi- tato molti abitanti di più di quelli che ospita ora, diciamo 20- 25.000 persone, tanto per fissare le idee. Il lavoro nella cava non era certamente dei più leggeri e molti individui dovevano esser- vi impegnati; notevole doveva essere anche il numero delle per- sone adibite al trasporto via terra (è probabile che non esistes- sero animali da soma, la cui utilità, nell'intrico della boscaglia, è comunque discutibile); un altro piccolo esercito deve essersi oc- cupato del carico delle zattere o delle canoe; infine molte perso- ne hanno naturalmente atteso ai vettovagliamenti, raccogliendo frutti dalle palme e dagli altri alberi e pescando.
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(qui prospera tuttora l'albero del pane) Tenendo conto di questi dati, si vede come già il trasporto di 4-5 blocchi al gior- no possa essere stata un'impresa sensazio- nale. Poiché sicuram- ente i diritti e gli inte- ressi dei lavoratori non erano allora tute- lati da sindacati, pos- siamo assumere che l'anno lavorativo con- tasse 365 giorni;
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facciamo un paio di molti- plicazioni: 1500/2000 bloc- chi all'anno, a voler esage- rare! Dunque il solo trasp- orto del materiale per le varie costruzioni, che pos sono comprendere 300.000-400.000 blocchi, avrebbe richiesto un paio di secoli! La logica si oppone a queste cifre. Ma serve ancora la logica comune per valutare un‘- opera come Nan Madol? La dimensione "umana" ha ancora un suo significato?
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Nan Madol non è una bella città e sicuramente non lo è mai stata. La struttura monumentale ha una sua maestà, ma tutto ciò che ha attinenza con la decorazione (bassorilievi, sculture,) sembra essere stato rigorosamente bandito, quasi che si sia ricercata una superiore austera dignità nelle strutture nude e imponenti. Il contrasto con le costruzioni proprie delle isole del Pacifico è notevole: in genere infatti tutti gli edifici sono, in quest'area, so- vraccarichi di decorazioni, sia che siano adibiti al culto, sia che siano palazzi o fortificazioni. Le spartane, spoglie muraglie sem- brano escludere qualsiasi destinazione "normale": no, qui non si sono adorati gli dei, non si sono riveriti sovrani... È possibile che si tratti di una gigantesca opera difensiva? Le terrazze e le scale che quasi invitano a salire, a entrare, escludono questa ipotesi. Ma ecco, vale la pena di soffermarsi su questa strutturazione che sembra quasi guidare chi sbarca sull'isola verso ilcentro: in mezzo a una struttura quadrangolare si apre il "pozzo". Nan Madol non è una bella città e sicuramente non lo è mai stata. La struttura monumentale ha una sua maestà, ma tutto ciò che ha attinenza con la decorazione (bassorilievi, sculture,) sembra essere stato rigorosamente bandito, quasi che si sia ricercata una superiore austera dignità nelle strutture nude e imponenti. Il contrasto con le costruzioni proprie delle isole del Pacifico è notevole: in genere infatti tutti gli edifici sono, in quest'area, so- vraccarichi di decorazioni, sia che siano adibiti al culto, sia che siano palazzi o fortificazioni. Le spartane, spoglie muraglie sem- brano escludere qualsiasi destinazione "normale": no, qui non si sono adorati gli dei, non si sono riveriti sovrani... È possibile che si tratti di una gigantesca opera difensiva? Le terrazze e le scale che quasi invitano a salire, a entrare, escludono questa ipotesi. Ma ecco, vale la pena di soffermarsi su questa strutturazione che sembra quasi guidare chi sbarca sull'isola verso il centro: in mezzo a una struttura quadrangolare si apre il "pozzo".
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Questo è il nome tradizionale di un'apertura che non è certamen- te un vero pozzo ma piuttosto lo sbocco all'aperto di un cunicolo. Oggi la cavità è piena d'acqua fino a quasi due metri dal bordo. Un altro particolare è di grande interesse: le costruzioni sembra- no essere più estese dell'isola; sono facilmente visibili, sotto la superficie dell'oceano, i muraglioni che proseguono nel bassof- ondo delle lagune; l'occhio poi li perde perché la profondità aum- enta di colpo ma non sembra che le strutture si interrompano. La presenza dell'imbocco di una galleria sembra davvero ingiu- stificabile: dove poteva condurre una galleria?Su Temuen non esistono sbocchi e, in ogni caso, l'isola è tanto piccola che un passaggio sotterraneo da un capo all'altro non può certamente aver avuto uno scopo pratico. Forse anche la galleria, come le costruzioni di superficie, prosegue sotto il mare? Questo è il nome tradizionale di un'apertura che non è certamen- te un vero pozzo ma piuttosto lo sbocco all'aperto di un cunicolo. Oggi la cavità è piena d'acqua fino a quasi due metri dal bordo. Un altro particolare è di grande interesse: le costruzioni sembra- no essere più estese dell'isola; sono facilmente visibili, sotto la superficie dell'oceano, i muraglioni che proseguono nel bassof- ondo delle lagune; l'occhio poi li perde perché la profondità aum- enta di colpo ma non sembra che le strutture si interrompano. La presenza dell'imbocco di una galleria sembra davvero ingiu- stificabile: dove poteva condurre una galleria? Su Temuen non esistono sbocchi e, in ogni caso, l'isola è tanto piccola che un passaggio sotterraneo da un capo all'altro non può certamente aver avuto uno scopo pratico. Forse anche la galleria, come le costruzioni di superficie, prosegue sotto il mare?
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Nel libro Der masslose Ozean [L'Oceano immenso] di Herbert Rittlinger, l'esploratore che percorse tutto il Pacifico durante i suoi viaggi, è riportata una tradizione locale secondo cui Ponape e le isole satelliti sarebbero state, molte migliaia di anni fa, il centro di un regno glorioso e potente. Le notizie su questo favoloso regno si diffusero e raggiunsero il continente: mercanti e pescatori di perle cinesi vennero qui e in- trapresero una sommaria esplorazione delle rovine, non trascur- ando la parte sommersa. Ma veniamo appunto alla descrizione, da Rittlinger riportata fedelmente, di quello che gli antichi sommozzatori videro...
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Camminando sul fondo, lungo strade perfettamente conservate e coperte di conchiglie e coralli essi avrebbero raggiunto numerosi edifici: grandi sale simili a magazzini, case d'abitazione nelle cui pareti erano incastrate tavole di pietra scolpite, e ovunque colon- ne, monoliti... Più tardi, durante il periodo in cui le Caroline furono giapponesi, vennero intraprese esplorazioni coscienziose con mezzi moderni. Le leggende furono ancora una volta confermate: il fondo marino poteva fornire grandi quantità di perle ma anche metalli preziosi evidentemente provenienti dai tesori della leggendaria capitale. La "casa dei morti'', la costruzione principale di tutto il comples- so è forse il mausoleo di un re leggendario, Chau-te-Laur, o forse contiene più tombe.
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I palombari giapponesi dissero però di aver trovato sul fondo sarcofaghi perfettamente intatti perché rivestiti di platino. Queste bare, impermeabili anche dopo un lungo soggiorno sotto- marino, devono però essere state distrutte, se è vero che dalle esplorazioni subacquee i palombari ritornavano con grossi pezzi del prezioso metallo bianco. In realtà tra i principali articoli di esportazione dell'isola di Pona- pe, in quel periodo, figurano: copra, vaniglia, sagù, madreperla, ma soprattutto platino! L'estrazione del platino dal fondo marino sarebbe stata praticata dai giapponesi fino al giorno in cui, mal grado le tecniche moderne impiegate, due palombari non riemer- sero dalle profondità misteriose. Poi scoppiò la guerra e alla fine di questa i giapponesi dovettero andarsene.
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Rittlinger conclude il suo resoconto con questo commento: "Pro- babilmente le informazioni che si possono avere dagli indigeni, intessute come sono di leggende centenarie, non sono del tutto attendibili, ma i reperti di platino su un'isola le cui rocce non ne contengono affatto, restano un fatto reale e inspiegabile". Le ultime esplorazioni, più o meno interessate, risalgono dunque a prima del 1939. Io non credo personalmente alla storia dei sar- cofagi di metallo o addirittura di platino: pilastri di basalto esa- gonali o ottagonali, come quelli che ho sott'occhio, possono, nel- l‘incerta visibilità sottomarina, essere stati scambiati per bare: resta però il fatto, controllabile anche sulla base di rapporti eco- nomici, che il Giappone ha esportato platino da Ponape fin dall‘- inizio del suo mandato, nel 1919. Da dove poteva provenire il metallo? Rittlinger conclude il suo resoconto con questo commento: "Pro- babilmente le informazioni che si possono avere dagli indigeni, intessute come sono di leggende centenarie, non sono del tutto attendibili, ma i reperti di platino su un'isola le cui rocce non ne contengono affatto, restano un fatto reale e inspiegabile". Le ultime esplorazioni, più o meno interessate, risalgono dunque a prima del 1939. Io non credo personalmente alla storia dei sar- cofagi di metallo o addirittura di platino: pilastri di basalto esa- gonali o ottagonali, come quelli che ho sott'occhio, possono, nel- l‘incerta visibilità sottomarina, essere stati scambiati per bare: resta però il fatto, controllabile anche sulla base di rapporti eco- nomici, che il Giappone ha esportato platino da Ponape fin dall‘- inizio del suo mandato, nel 1919. Da dove poteva provenire il metallo?
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Se anche i sarcofagi non sono in realtà mai esistiti, si deve pre- star fede alle descrizioni, fatte dai palombari, di case, strade, magazzini; che Nan Madol "continui" sott'acqua è evidente: co- me dicevo, anche senza immergersi, si vedono trasparire sotto il pelo dell'acqua mura e lastricati. E al centro, in mezzo a tutte le costruzioni e accessibile da ogni lato, il misterioso "pozzo". Tutto sembra suggerire che Nan Madol fosse l'ingresso maestoso ma austero di un sistema di gallerie sotterranee. No, non si trat- ta della leggendaria Atlantide: qui nulla è stato sommerso da ca- taclismi naturali; le strutture sono state tutte pianificate e forse anche quelle che si affondano nel mare corrispondono al proget- to originale. In ogni caso se cedimenti vi sono stati, si deve ess- ere trattato di cose di poco conto: Nan Madol appare ancora con la pianta e la disposizione che aveva quando fu costruita.
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Si deve tener presente che anche a Kusaie, un'altra isola delle Caroline, esistono "ruderi" analoghi a questi, anche se meno im- ponenti. Forse veramente Nan Madol era la capitale di un grande regno e su altre isole esistevano città secondarie o tributarie. Che cosa narrano le leggende che ci sono state tramandate a proposito di Nan Madol? Forse nella trasposizione mitica si riesc- ono a cogliere frammenti di fatti reali svoltisi all'epoca della sua costruzione. Gli studiosi K. Masao Hadley, Pensile Lawrence e Carole Jencks hanno raccolto molto materiale durante una lunga permanenza nell'isola, senza riuscire a dare però al contenuto una interpreta- zione plausibile. L'edificio principale (la "casa dei morti") viene indicato, in una leggenda, come "Tempio della Sacra Colomba".
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Ancora tre secoli fa il sommo sacerdote Nanusunsap avrebbe percorso con una barca i vari canali tra le isolette e una colomba (il dio delle colombe) era nella barca, di fronte a lui; il sacerdote doveva guardare la colomba negli occhi senza distogliere lo sgu- ardo e, quando l'uccello ammiccava, egli doveva a sua volta am- miccare. Un rituale così strano da sembrare comico. Le leggende dicono però che originariamente il simbolo della divinità di Nan Madol non sarebbe stata la colomba, ma un drago che sputava fuoco. La figura del drago è anche al centro di altre notizie legg- endarie che riguardano l'origine dell'isola e dei suoi monumenti. La madre del drago avrebbe infatti scavato i canali con il suo po- deroso soffio, facendo così sorgere le varie isolette. Il drago disponeva di una specie di assistente, un mago, cui erano note alcune formule magiche:
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Con una si potevano far volare i blocchi di basalto dall'isola mag- giore a quella appena tagliata a pezzi dal fiato della madre-drago e con un'altra si poteva accatastarli in bell'ordine; tutto quindi senza che occorresse disturbare gli isolani per chiedere mano d'opera. Secondo un'interpretazione piuttosto semplicistica il drago sar- ebbe in realtà stato un grande coccodrillo. Per quanto mi risulta in nessuna di queste isole esistono coccodrilli; bisogna spostarsi almeno fino alla Nuova Guinea o fino alle Filippine per trovarne. Comunque non si vede perché un coccodrillo sperduto a 5000 km da casa avrebbe sentito il bisogno di costruire mura ciclopiche e gallerie subacquee. Esistono anche altre leggende sulla fondazione di Nan Madol e sulla sua storia oltre a quella della colomba e a quella del drago. Per ora limitiamoci a queste.
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In fraterna amicizia a cura di:
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