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Poesia dall’Ottocento al Novecento

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Presentazione sul tema: "Poesia dall’Ottocento al Novecento"— Transcript della presentazione:

1 Poesia dall’Ottocento al Novecento
Armando Rotondi Letteratura Italiana Università di Napoli “L’Orientale” a.a

2 Scapigliatura L’origine del termine: libera traduzione dal francese "bohême“. Si fa risalire al 1862, al romanzo di Carlo Righetti, in arte Cletto Arrighi, La Scapigliatura e il 6 febbraio. In realtà Arrighi aveva già usato il vocabolo "Scapigliati" in una prima redazione del romanzo, apparsa su l’Almanacco de "Il Pungolo" per il 1858 e nel romanzo Gli ultimi coriandoli, del 1857. Il termine era precedentemente in uso e appare in una lettera, parzialmente inedita, indirizzata nel 1855 ad Ippolito Nievo, e in cui si trova un elenco di poeti scapigliati veneti e lombardi.

3 Scapigliatura Ribelli alla egemone cultura manzoniana di cui avvertivano tuttavia il fascino Ricettivi alla suggestione di nuove correnti straniere e alla poesia del simbolo e del mistero Anticipatori di mode, antiborghesi, irreligiosi ed anticlericali, dissacratori ironici della tradizione e attratti dal nascente realismo Humus fertile in mezzo alle brigate di giovani chiassosi che a Milano frequentavano caffè e osterie periferiche. A Milano la cultura positivista fioriva, fortificata dalla secca e scientifica prosa del "Politecnico" di Carlo Cattaneo Ancora vive le tracce della grande tradizione illuministica Nascente borghesia imprenditoriale, sulle ali di una idea di progresso civile ed economico, attuava un nuovo modello urbanistico di città tentacolare. gusto del macabro, del demoniaco, dell’orrido, una moda che culminò nel romanzo Fosca di Tarchetti, dove la scomposizione estrema della carne e dello spirito, in una donna orrenda, sono l’esatto contrario della visione di una casta ed eterea fanciulla romantica.

4 Scapigliatura L'idea di un'arte totale – un'arte, cioè, capace di legare in maniera inedita e feconda le modalità comunicative delle diverse singole arti: letteratura (prosa e poesia), pittura e scultura, musica, teatro – appare centrale nelle formulazioni di poetica del gruppo scapigliato Molti autori della Scapigliatura milanese appaiono attivi su più fronti: da un Emilio Praga e un Camerana pittori a un Arrigo Boito musicista, a un Camillo Boito architetto. Giuseppe Rovani: "Seguendo la storia del pensiero e del progressivo incivilimento, è del più alto interesse l'osservare il simultaneo cammino delle Tre Arti sorelle, l'arte della parola, la plastica e la tonica, le quali, come le Grazie, si tengono indissolubilmente avvinte. Dappertutto, dove la civiltà è penetrata e dove continua il suo corso, noi vediamo svolgersi le fasi del pensiero sotto alla triplice manifestazione". Carlo Dossi: "Fra le prove della fraternità delle tre arti (letteraria, figurativa, musicale) ce n'è una storica. La scrittura, espressione dell'arte letteraria, era in origine plastica e pittura (scrittura geroglifica o letteratura rebus). Più tardi, la scrittura rappresentò, invece del segno, il suono (scrittura fonetica) donde il legame colla musica. – La scrittura è la più antica delle arti plastiche".

5 Scapigliatura La poetica degli Scapigliati appare anticipare istanze avanguardistiche e novecentesche, mentre per altri essa sembra strettamente legata ai modelli e alle forme della tradizione romantica.   La 'ribellione' dei suoi esponenti non sembra proiettata verso il futuro, tesa a cogliere, in positivo, prospettive di sviluppo. Sogna l'arte dell'avvenire, ma in realtà si rivolge a quella del passato. "Ideale" coincide con l'orizzonte di quella cultura romantica all'interno della quale questi autori si erano formati. Più che di avanguardia si potrebbe forse parlare di ‘retroguardia'. "Noi siamo i figli dei padri ammalati“ (Preludio, poesia-manifesto di Emilio Praga). La malattia è il Romanticismo, ma si tratta di un morbo ereditario, che i genitori hanno trasmesso alla prole. Di certo Romanticismo, gli Scapigliati riprendono il motivo della scissione e dell'opposizione reale-ideale, seppure aggiornato. Se la realtà è quella fredda, arida e insulsa della borghesia affarista intenta alla moneta, il poeta scapigliato immagina che l'unica soluzione possibile sia quella di rinchiudersi in un mondo idealizzato di arte e di bellezza: Anticipa il Decadentismo wildiano e dannunziano Appare, per gli Scapigliati, quale ulteriore variante del motivo romantico della fuga dal reale. Rispetto all'eroe romantico, protagonista attivo di un dramma (sentimentale o politico che sia), il personaggio scapigliato compare quale vittima passiva di una realtà ostile o di una donna più forte di lui, al punto da essere capace di vampirizzarlo (Il giovane poeta e la donna-vampiro di Achille Torelli).

6 Scapigliatura Fecondi i rapporti con il Romanticismo o Preromanticismo nordico: Novalis, Hoffmann, Heine, Büchner, Keats. Lo spiritualismo, il misticismo, il simbolismo, il solipsismo, il ribellismo che si trovano in alcuni di questi autori si ripresenteranno nei modelli più vicini di Baudelaire, Verlaine, Rimbaud e Mallarmé La scienza contemporanea non manca di essere presente, nei testi dei poeti scapigliati, con i suoi protagonisti (medici, anatomisti, scienziati), con le sue pratiche (esperimenti, dissezioni di cadaveri, malattie e patologie di varia natura) e con i suoi luoghi (laboratori, ospedali, teatri e musei anatomici). Molti sono i personaggi di medici (si pensi, per la narrativa, a Tarchetti: Storia di una gamba, Un osso di morto, Fosca).

7 Decadentismo Definizione di un d. ‘storico’, ravvisabile soprattutto, per quanto riguarda l’Italia, nel vistoso fenomeno dannunziano e riconducibile quindi ai diffusi atteggiamenti estetizzanti della fine del XIX secolo Dibattuto è stato il problema della definizione di un d. inteso in senso più ampio, quale fenomeno, cioè, della storia della cultura da collegare a una profonda crisi dei valori tradizionali. Usato polemicamente da B. Croce in antitesi al valore positivo rappresentato dal classicismo carducciano Il termine d. è stato poi adoperato dalla stessa critica di ispirazione crociana senza più alcuna connotazione negativa Una sfumatura negativa venne riacquistando nella critica di orientamento marxista del secondo dopoguerra, la quale ha visto nel fenomeno del d. una conseguenza della fuga nell’irrazionale con cui la borghesia nella sua fase declinante avrebbe cercato di reagire alla propria stessa crisi In questa prospettiva, alla letteratura del d. doveva contrapporsi quella del realismo.

8 Decadentismo La fortuna del D. come categoria critico-letteraria è un fenomeno soprattutto italiano, a fronte di una presenza assai modesta nel panorama storiografico delle altre letterature europee. In Francia, per es., il termine Décadence designa esclusivamente il movimento nato ed esauritosi nel ventennio finale del XIX sec., e ben distinto da quello dei Symbolistes Nei Paesi anglosassoni Decadence suona come sinonimo di Aestheticism, di Fin de siècle, ed è spesso sostituito dalla formula The 1890s, gli anni in cui operarono O. Wilde e i suoi sodali; in Germania il D. è generalmente considerato, per la sua tecnica impressionistica, anello di congiunzione fra Naturalismo e Simbolismo; in Russia il Dekadentstvo costituì solo una tendenza della temperie innovatrice manifestatasi tra il 1890 e il 1917, e oggi nel suo complesso denominata Modernismo. Lo stesso termine in uso per definire il rinnovamento verificatosi nel segno del Simbolismo, tra il 1896 e il 1914, nelle aree di lingua spagnola.

9 Decadentismo “Civiltà della crisi”
Critica marxista propose una lettura sociologica D. apparve espressione della "decadenza" della società borghese, di cui condivideva la "reazione spiritualistica nei confronti dell'ultima manifestazione progressiva del pensiero borghese dell'Ottocento, il positivismo, e del più avanzato tentativo di arte realistica, il verismo" (C. Salinari, Miti e coscienza del decadentismo italiano, 1960, p. 9). Scrittori guidati da "cattiva coscienza" nell'elaborazione di utopie mistificanti quali il "santo" (Fogazzaro), il "fanciullino" (G. Pascoli), o il "superuomo" (G. D'Annunzio), e quanti invece reagirono scandagliando con lucida consapevolezza l'alienazione dell'uomo moderno (I. Svevo e L. Pirandello). Denominatori comuni della scoperta dell'inconscio come istinto e dell'identificazione di Io e Mondo Condizioni entro cui l'individualismo "diventa solitudine, smarrimento, contemplazione sgomenta del pullulare senza direzione delle pulsioni istintuali" (Il Decadentismo, 1972, pp. 14-15) In campo artistico "smarrimento delle coordinate logiche di tempo, spazio, causalità" (p. 34), con conseguente liquidazione del Naturalismo e nascita del Simbolismo

10 Decadentismo ‟In un primo momento, quello più o meno ‛estetico', il decadentismo propone l'arte come forma privilegiata di conoscenza nei confronti di qualsiasi altra forma gnoseologica. Nella difesa dell'autonomia del fatto artistico, il decadentismo arriva al rifiuto totale di ogni concezione mimetica [...]. Su questa strada si arriva a limiti di astrattizzazione completa. [...] La disgregazione della personalità classica, intesa come equilibrio di doti sensitive morali ed intellettuali, ha portato a un diffuso aumento della temperatura emotiva e ad una specie di ‛scoppio' della sensualità: naturalmente qui si intende ‛sensualità' in senso larghissimo (è quasi lo stesso che ‛inconscio') come complesso di pulsioni istintive che si affermano autonome al di là delle costrizioni moralistiche e intellettualistiche, oppure entrano in conflitto con esse" (lettera del Gioanola a Mario Praz).

11 Decadentismo Idea di angoscia – Spleen (Baudelaire)
Lo spleen è una sensazione di indefinibile angoscia, che invade l’animo, gettandolo nello sconforto e nell’insofferenza per tutto ciò che lo circonda. Insopportabile e mortale, esso si nutre delle più varie situazioni e assume manifestazioni diverse, sempre comunque riconducibili al senso di inutilità del vivere. Nello Spleen di Parigi Baudelaire mette in atto la tecnica delle corrispondenze e delinea situazioni diverse accomunate dal senso di angoscia, per ricreare il cupo tormento del suo animo. Particolarmente significativa a questo fine l’adozione di un vocabolo straniero (spleen invece che ennui), che meglio esprime il senso indefinibile (ineffabile) di straniamento e insofferenza che nasce dal trovarsi immerso in una realtà mortificante Auerbach: elemento caratteristico della sensibilità decadente, disperazione non riconducibile ad alcuna causa concreta.

12 Decadentismo ‟La grande ‛malattia' decadente è la nevrosi, cioè il perturbamento della sfera emotiva fino ai limiti del patologico [...]. Decadentismo dunque come decadenza, come moderno barocco, come corruzione del romanticismo? Ma è un giudizio insostenibile [...]. Certo il decadentismo non è un'età di valori, non ci sono proposte positive e costruttive: il suo fondamento è il rifiuto, la protesta, la dissacrazione. Ma la sua mira è l'autenticità, la rivelazione, al di là di tutte le sovrastrutture culturali, moralistiche, intellettualistiche, mitologiche, tutte più o meno ipocritamente consolatorie, del volto vero dell'uomo, quello della nostra epoca, almeno, così minacciato nella sua integrità e originalità esistenziale da tutte le spinte alienanti della così detta ‛civiltà"' (v. Gioanola, 1972, p. 40). ‟povero, confuso, esasperato animale mondano" (‟the poor muddled maddened mundane animal") di The age of anxiety di Auden

13 Crepuscolarismo Il termine crepuscolare - Giuseppe Antonio Borgese, quei poeti che avevano certi elementi in comune, al fine di conferirgli una collocazione storica: la modestia dei temi il tono sommesso e prosastico della lingua e dello stile; lì definì "poeti crepuscolari". l’estremo momento, il "crepuscolo" della poesia moderna italiana, la quale sembrava spegnersi "in un mite e lunghissimo crepuscolo". Successivamente tale termine fu usato per definire un gruppo di poeti fioriti nel primo quindicennio del ‘900, che, senza costituire una vera e propria scuola, crearono una particolare poesia dai colori spenti (simili a quelli della penombra crepuscolare), caratterizzata da uno stato d’animo ombroso (umbratile) ed estenuato, da una tematica modesta, da uno stile volutamente trasandato e prosastico. Con i crepuscolari incomincia la nuova poesia del ‘900, essi si pongono (insieme ai futuristi) in piena rottura con la tradizione e, investiti dalla complessa spiritualità del Decadentismo, operano nella poesia un profondo cambiamento di contenuto e di forme.

14 Crepuscolarismo La poesia crepuscolare è una delle manifestazioni in Italia del Decadentismo. La crisi di tutti i grandi ideali ottocenteschi e l’incapacità di sostituirli con altri per il diffuso scetticismo, generarono un senso di aridità spirituale, di sfiducia, di stanchezza e di angoscia esistenziale. Mentre i poeti crepuscolari cercano di superare l’angoscia esistenziale con l’attaccamento alle piccole cose, perché sono le sole che danno loro il senso della concretezza.

15 Crepuscolarismo La poetica dei crepuscolari esprime la crisi della civiltà romantica e positivistica, che determinò l’abbandono della poesia civile, patriottica e morale. La poesia cessa di essere di tipo dantesco, ossia uno strumento di educazione e di esortazione come era diventata durante l’800, e torna ad essere di tipo petrarchesco, un mezzo di confessione e di analisi del proprio mondo interiore. Il poeta crepuscolare ha un senso della vita così stanco e sfiduciato che non ha ideali da proporre né miti da celebrare, perché non ha più fede in nulla; perciò rinuncia ad ogni impegno, civile, politico e sociale. Il poeta crepuscolare arriva anche a vergognarsi di essere poeta. Muta la figura del poeta, che da vate (Pascoli) o eroe (D’Annunzio) diviene cantore della propria pena. Le radici della poetica crepuscolare si trovano nella poetica del "Fanciullino" del Pascoli, nel principio, in essa contenuto, della poeticità insita nelle cose. Il poeta non inventa nulla, ma scopre nelle cose la poesia che c’era prima e ci sarà dopo di lui. Pascoli sovraccaricava le cose di allusioni simboliche, i poeti crepuscolari, invece, rinunciano a questa posa di poeta – veggente e contemplano cose, persone e situazioni nella loro realtà nuda e squallida. La poesia crepuscolare è lirico - descrittiva ma anche lirico – rievocativa degli anni dell’infanzia e del piccolo mondo antico della borghesia ottocentesca con i suoi salotti decrepiti adorni di "buone cose di pessimo gusto" (Gozzano), ricordate con struggente tristezza e nostalgia, ma anche con una punta di ironia. La forma della poesia crepuscolare è usuale (ordinaria), discorsiva, prosastica e tuttavia scaltra e controllatissima. Si tratta di una poesia certamente non grande, ma suggestiva e sincera, importante dal punto di vista storico sia come testimonianza della crisi del nostro secolo, sia come segno di una poesia nuova. Gozzano: La signorina Felicita, ovvero la Felicità (vagheggiamento delle gioie sane e semplici della provincia) e L’amica di nonna Speranza (descrizione degli interni borghesi, vera e propria stampa dell’Ottocento romantico).

16 Avanguardia Il termine "avanguardia", mutuato dal lessico militare, è stato utilizzato per la prima volta in ambito artistico da Baudelaire (1864) per ribattezzare ironicamente il gruppo degli scrittori francesi di estrazione democratico-liberale. Nel Novecento l'espressione (avanguardie storiche) si riferisce a quei movimenti artistici e letterari che hanno avuto origine in molte capitali europee tra il 1905 e il 1930, con l'intento di opporsi ai valori estetici di fine Ottocento, sovvertendone forme, temi e convenzioni. Le avanguardie storiche nascono proprio dalla presa di coscienza del mutamento delle condizioni in cui si colloca la produzione artistica e intellettuale e dalla contemporanea riorganizzazione dei rapporti tra mercato e arte. L'avanguardia, infatti, si oppone all'idea che l'opera d'arte possa essere ridotta a merce dal modello capitalistico borghese, inserita in un processo di replicabilità che ne annulli i presupposti di originalità e libertà espressiva. La contrapposizione al modello capitalistico viene attuata attraverso la produzione di oggetti artistici che si collocano provocatoriamente contro i parametri imposti dal mercato e soprattutto dal gusto dominante del pubblico.

17 Walter Benjamin, Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, 1935
Nella “premessa” è presentato come una raccolta di “tesi sopra le tendenze dello sviluppo dell’arte nelle attuali condizioni di produzione”.  In apertura del saggio Benjamin cita un passo di un breve testo di Paul Valéry ( ) , “La conquete  de l’ubiquité”, pubblicato nel 1931 nella raccolta Pièce sur l’art.  In questo testo Valéry si interroga sui mutamenti in atto nella nozione stessa di arte – nelle tecniche artistiche, nella concezione della creazione, nella riproduzione e trasmissione delle opere – in seguito all’incremento stupefacente del nostro “potere di azione sulle cose”.  La futura diffusione di nuovi mezzi di comunicazione analoghi alla radio e al telefono avrebbe presto consentito, secondo Valéry, di “trasportare o ricostituire in ogni luogo il sistema di sensazioni – o più esattamente, il sistema di eccitazioni – provocato in un luogo qualsiasi da un oggetto o da un evento qualsiasi”.  Nel caso dell’arte, ciò avrebbe significato la possibilità per le opere di avere una sorta di “ubiquità” , ossia di divenire delle “fonti” o “origini” i cui effetti potrebbero essere avvertiti ovunque.  La possibilità di sganciare la fruizione dell’opera d’arte dall’hic et nunc della sua collocazione materiale o della sua esecuzione per renderla accessibile nel momento spirituale più favorevole e fecondo. Presupposto la grande diffusione della fotografia e del cinema nei primi decenni del secolo e il lavoro di sperimentazione condotto su queste due forme espressive da avanguardie artistiche come il dadaismo, il surrealismo o il costruttivismo.  Benjamin conferisce però alla propria analisi una valenza esplicitamente politica, in quanto nelle nuove forme di produzione e trasmissione dell’arte messe in atto da cinema e fotografia vede la possibilità di liberare l’esperienza estetica dal sostrato religioso-sacrale che ne accompagnava la fruizione da parte della borghesia, impedendo l’instaurazione di un nuovo rapporto tra l’arte e le masse. 

18 Una riflessione sulla riproducibilità dell’opera d’arte non può non partire dalla constatazione che, “in linea di principio”, l’opera d’arte è sempre stata riproducibile”.  La riproduzione intesa come imitazione manuale di disegni, quadri o sculture è sempre stata parte integrante della pratica artistica, dell’apprendimento e della messa in circolazione delle opere. Nel caso della musica,poi, l’opera stessa esiste innanzitutto come ri-esecuzione .   Ciò che interessa a Benjamin , però, non è la riproduzione intesa in questo senso bensì la riproduzione tecnica delle opere d’arte, qualcosa che nella storia si è manifestato progressivamente nelle pratiche della fusione del bronzo, del conio delle monete, della silografia e della litografia come riproduzione della grafica e, soprattutto, della stampa come riproducibilità tecnica della scrittura.  Con l’invenzione della fotografia e del cinema, la riproducibilità del visibile attinge a una dimensione nuova, sganciandosi ulteriormente dal condizionamento della manualità e velocizzandosi enormemente. 

19 La tesi centrale del saggio di Benjamin risiede nell’affermazione che nella riproduzione fotografica di un’opera viene a mancare un elemento fondamentale : “l’hic et nunc dell’opera d’arte, la sua esistenza unica e irripetibile nel luogo in cui si trova”.  Nell’unicità della collocazione spazio-temporale dell’opera risiede il fondamento della sua autenticità e della sua autorità come “originale”, ossia la sua capacità di assumere il ruolo di testimonianza storica. Il “declino”, il “venir meno” dell’aura (Verfall der Aura) determinato dall’avvento dei mezzi di riproduzione tecnica delle opere, sarebbe il sintomo, secondo Benjamin , di un più vasto mutamento “nei modi e nei generi della percezione sensoriale”: a ogni periodo storico corrispondono infatti determinate forme artistiche ed espressive correlate a determinate modalità della percezione, e la storia dell’arte deve essere accompagnata da una storia dello sguardo.  In L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica Benjamin constata come nella società a lui contemporanea, mediante la diffusione dell’informazione e delle immagini, tenda ad affermarsi sempre più un’esigenza di avvicinamento, alle cose e alle opere. Fine dell’aura significa fine di quell’intreccio tra lontananza, irripetibilità e durata che caratterizzava il nostro rapporto con le opere d’arte tradizionali, e avvento di una fruizione dell’arte basata sull’osservazione fugace e ripetibile di riproduzioni. Originariamente, le opere d’arte erano parte inscindibile di un contesto rituale, prima magico e poi religioso. a loro autorità e autenticità, la loro aura, era determinata proprio da questa appartenenza al mondo del culto.  In forme secolarizzate, l’atteggiamento rituale e culturale nei confronti dell’arte sarebbe poi trapassato nelle forme profane del culto della bellezza, che nasce nel Rinascimento e dura fino alle ultime derive del Romanticismo.  L’avvento della riproducibilità tecnica: possibilità di emancipare l’arte rispetto all’ambito del rituale: venendo meno i valori dell’unicità e dell’autenticità, si apre la possibilità di conferire all’arte una nuova valenza politica, al valore cultuale (Kultwert) dell’opera si sostituisce progressivamente il valore espositivo (Ausstellungswert). Il discorso benjaminiano sulla fine dell’aura non è quindi riconducibile a una forma di nostalgia, bensì è un tentativo di individuare le potenzialità ancora non del tutto esplicitate della riproducibilità. 

20 Futurismo Il futurismo, a partire dal suo manifesto inaugurale pubblicato da Filippo Tommaso Marinetti ( ) sul giornale francese «Le Figaro» il 20 febbraio 1909, è sicuramente il capostipite di tutte le avanguardie storiche. Il nome viene scelto come esplicita rottura con il passato in favore del moderno e del progresso tecnologico. L'esplicito antipassatismo si manifesta proprio nell'esaltazione della civiltà delle macchine, del dinamismo e della simultaneità, che divengono i temi ispiratori della poetica futurista. L'Italia forse più di ogni altro paese europeo sentiva la necessità di un rinnovamento per scrollarsi di dosso un passato ricco di storia ma anche privo di stimoli, come scrisse Marinetti nella Lettera aperta al futurista Mac Delmarle nel 1914 (in cui appare per la prima volta il termine "passatismo"): «L'Italia, più di qualunque altro paese, aveva un bisogno urgente di Futurismo, poiché moriva di passatismo». 

21 Futurismo Dunque l'arte del passato doveva essere distrutta
I poeti futuristi si affidano principalmente ad una poetica distruttiva e incendiaria, che abolisca i vecchi codici espressivi, come nel caso del mondo rovesciato e privo di senso de L'incendiario (1910) di Aldo Palazzeschi ( ).  Il movimento futurista ha prodotto numerosi manifesti che spaziano dalla pittura al cinema, dalla danza al all'architettura Quello più rilevante sul piano letterario è certamente Il manifesto tecnico della letteratura futurista (1912) redatto da Marinetti Le parole d'ordine sono: la distruzione della sintassi, l'abolizione degli aggettivi e degli avverbi in favore delle catene di sostantivi, l'utilizzo del verbo all'infinito, la soppressione della metafora, l'utilizzo esasperato dell'analogia e dell'onomatopea, l'abolizione della punteggiatura e soprattutto l'attenzione per un lessico che richiami i rumori, gli odori e la quotidianità della vita urbana. Marinetti propone l'adozione del verso libero, con l'obiettivo di creare una nuova poetica che facesse esplodere la staticità della tradizione attraverso le "tavole parolibere", nelle quali le parole poteva essere disposte con la massima libertà sulla pagina fino a comporre immagini e disegni. Lo scopo del futurismo era, infatti, quello di disintegrare ogni uso codificato della lingua, manifestando l'avversione profonda per l'io e le relative componenti psicologiche. Le "tavole parolibere", che anticipano i successivi sviluppi della poesia visiva e concreta, condensano tutta la poetica futurista e propongono un nuovo modo di concepire il linguaggio fatto di slogan, velocità e senso figurativo della composizione. Nei suoi Calligrammi (1918) Apollinaire mette in pratica molti dettami futuristi e cubisti, adottando punti di vista multipli e simultanei, frantumando la sintassi nel tentativo di liberare gli aspetti più istintivi della lingua e della scrittura.

22 Ermetismo Corrente letteraria fiorita in Italia, con epicentro a Firenze, intorno al 1930. L’importante ruolo giocato dalla critica, e in particolare dalle riviste Frontespizio e Campo di Marte, conferì talora ai poeti ermetici i connotati di un gruppo fortemente omogeneo, quasi una scuola, sulla falsariga di uno spiritualismo di matrice cattolica e di un atteggiamento vagamente esistenzialista. ‘letteratura come vita’ (C. Bo) G. Ungaretti ed E. Montale, eletti a capiscuola Querelle che, immediatamente dopo la guerra, contrappose gli ermetici e i fautori dell’impegno politico e sociale. Il tratto letterariamente più rilevante della poesia ermetica: programmatica inclinazione all’oscurità, tipica della poesia moderna e solo contingentemente adibita alla illustrazione di una posizione filosofica precisa. Proposito di aggiornare in senso antiaccademico, antipascoliano e antidannunziano una poesia Esperienza delle avanguardie primonovecentesche da protagonista, ma non aveva mai assimilato davvero la grande lezione del simbolismo francese. Gusto per un linguaggio iniziatico e l’adesione incondizionata alle difficili ragioni della poesia contemporanea, che già furono della critica ermetica, sono state ereditate dalla critica di orientamento formalista.

23 Ungaretti Veglia Cima Quattro il 23 dicembre 1915 Un'intera nottata
buttato vicino a un compagno massacrato con la sua bocca digrignata volta al plenilunio con la congestione delle sue mani penetrata nel mio silenzio ho scritto lettere piene d'amore Non sono mai stato tanto attaccato alla vita

24 Ungaretti. Veglia Metro. Versi liberi
Poesia scritta al fronte l’antivigilia di Natale Due strofe di diversa lunghezza La prima, 13 versi: un unico e ininterotto fluire del discorso poetico che insiste in maniera stringente e implacabile sulla crudezza della situazione. Vicinanza con il cadavere sfigurato e deformato di un compagno caduto Spoglia di ogni retorica e di ogni forma di eroismo Guerra come macabro confronto: orrore e crudeltà.

25 Ungaretti. Veglia Ossessiva continuità tematica ribadita dall’uso ricorrente dei participi passati (struttura portante del componimento) Si ricollegano alla parola conclusiva del primo verso e assolvono a funzione di rima. Protesta nei confronti della sopraffazione trova rovesciamento inatteso dei versi finali Unico movimento strofico senza soluzione di continuità che conducono alla riscoperta della vita. Attaccamento alla vita che nascono dall’orrore e dal dolore. Riaffermazione di un istinto naturale e riconquista di valori di umana solidarietà.

26 Ungaretti. San Marino del Carso
San Martino del Carso Valloncello dell'Albero Isolato il 27 agosto 1916 Di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro Di tanti che mi corrispondevano neppure tanto Ma nel cuore nessuna croce manca È il mio cuore il paese più straziato

27 Ungaretti. San Martino del Carso
Immagini di desolazione e di morte, legate alla guerra. Effetti della distruzione si riverberano indirettamente sulle cose. Squallido paesaggio su cui si è abbattuta la furia degli eventi. Evidenza dell’immagine fatta risaltare in primo piano dall’uso di “queste”. Sofferenza raccolta nello sguardo farsi più acuta nell’uso inconsueto e umanizzato di “brandello” in relazione con “muro”.

28 Ungaretti. San Martino del Carso
Dal paesaggio, per associazione, il pensiero si sposta ai compagni caduti Di loro non è rimasto nulla a differenza delle case – segno di distruzione più dolorosa e profonda perché non ammette rinascita. Analogia tra “paese” e “cuore”. Linguaggio agevole e piano di parole comuni.

29 Ungaretti. San Martino del Carso
Compattezza – rigore calibrato della costruzione. Parole collocate secondo simmetrie. Sentimento della corrispondenza - implicazioni analogiche. Antitesi a distanza tra “qualche” (v. 3) e “nessuna” (v. 10) Simmetria anche nella misura delle strofe, composte a due a due da un uniforme numero di versi. Distici – quaternario + settenario – letti insieme cadenza musicale dell’endecasillabo.

30 Ungaretti. Mattina Mattina Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917
M'illumino d'immenso.

31 Ungaretti. Mattina Metro libero
Esito estremo della ricerca poetica ungarettiana. Ansia di un’estrema riduzione e semplificazione. Due ternari Il rimo sdrucciolo, composto di 4 sillabe Quattro parole di cui due monosillabi che si compenetrano con il termine che segue e danno luogo a una sola emissione di voce.

32 Ungaretti. Mattina Presenza del poeta (M’)
Individuo partecipa della vita del tutto, il relativo si identifica con l’infinito e l’eterno. Sensazione di una pienezza quasi sovrannaturale che non può essere definita con termini logici o concettuali. Dilatarsi senza limiti della dimensione spaziale. Sensazione di totalità e beatitudine. Carattere momentaneo di improvvisa folgorazione reso dal titolo Mattina. Tra il titolo e il testo corrispondenza di comunicazione analogica che riguarda i legami tra tempo e eternità, finito e infinito, mortale e immotale.

33 Montale. Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d'orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, frusci di serpi. Nelle crepe dei suolo o su la veccia spiar le file di rosse formiche ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano a sommo di minuscole biche. Osservare tra frondi il palpitare lontano di scaglie di mare mentre si levano tremuli scricchi di cicale dai calvi picchi. E andando nel sole che abbaglia sentire con triste meraviglia com'è tutta la vita e il suo travaglio in questo seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

34 Meriggiare pallido e assorto
Tre quartine e una strofa di cinque versi che comprendono novenari, decasillabi ed endecasillabi. Prima strofa rime baciate (AABB) Seconda strofa rime alternate (CDCD con verso impermetro – v. 7) Terza strofa rime baciate (EEFF) Quearta strofa consonanze

35 Meriggiare pallido e assorto
Idea di vita sospesa – sospensione quasi assoluta – vita sembra essersi arrestata. Colloquio muto fra l’uomo e le cose. Peasaggio arido della prima raccolta montaliana Echi dannunziani (vv. 9-10) ma senza traccia del panismo dannunziano. Motivo dell’aridità dominante in Ossi di seppia come emblema oggettivato della condizione esistenziale desolata, prosciugata di ongi slancio vitale “rovente muro”, “pruni”, “sterpi”, “crepe del suolo”, “calvi picchi”, “sole che abbaglia”. Il paesaggio non si apre all’uomo ma vive in se stesso, chiuso nella propria realtà incomunicabile. Non è uno scopo che appaga il poeta, ma un tramite, senza sbocchi risolutori, verso l’altro, che rasta alla fine misterioso e inconoscibile.

36 Meriggiare pallido e assorto
Dimensione metafisica che incombe sulle cose, insieme presente e assente. Tangibile concretezza delle sua apparenze e remota lontananza delle sue ragioni che lasciano nell’oscurità lo scopo dell’esistenza “Sole cha abbaglia” – sole che non lascia vedere, Montale costruisce il suo discorso attraverso l’enumerazione di nudi oggetti che costituiscono il correllativo oggettivo di una condizione metafisica. Uso del verbo all’infinito – regge la struttura – senso di continuità e durata uniformi – gioco di allitterazioni e di rime(assorto-orto, sterpi-serpi) – combinazioni della liquida “r”con altre consonanti. Reminiscenze dannunziane – prese di termini utilizzati da Pascoli – impasto linguistico che rimane originale – ricerca di parole e rime aspre che si può far risalire alla grande tradizione dantesca-


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