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La letteratura teatrale II

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Presentazione sul tema: "La letteratura teatrale II"— Transcript della presentazione:

1 La letteratura teatrale II
Armando Rotondi Letteratura Italiana Università di Napoli “L’Orientale” a.a

2 Alfieri e le tragedie Alfieri non ha lasciato scritti teorici sul suo teatro. L'autore rispetta il canone aristotelico di unità di spazio e tempo, dando alle sue tragedia compattezza. La tragedia è un genere a cui l'autore approda dalla necessità di dare forma alle sue passioni, per un"impulso naturale". Il verso e il ritmo (endecasillabo sciolto) sono innovativi, a differenza del lessico, che è fortemente legato al toscano illustre e alla tradizione poetica precedente (Tasso, Petrarca e Dante). Il ritmo deve veicolare le emozioni.  Fitto è l'uso della punteggiatura per creare un ritmo spezzato, vario e breve. Importanti sono le pause e i silenzi, che in Alfieri diventano comunicativi dei sentimenti e delle passioni interiori. Il personaggio alfieriano come figura di mediazione tra platea e autore. Pochi personaggi in tragedie relativamente brevi.  Trama fattore scatenante di passioni. Uso del soliloquio ed è accentuata l'attenzione agli aspetti più oratori. Conflitto tra tiranno ed eroe in quasi tutte la tragedie. Senso della loro grandezza, ma in antitesi e in lotta tra loro. L'eroe è colui che ama e combatte per la libertà. Il tiranno deve opprimere per scacciare la più forte delle sue paure: quella della morte.

3 Alfieri e le tragedie Saul (1782) Filippo (1781, pubblicata nel 1783)
Rosmunda (1783) Ottavia (1783, ripubblicata nel 1788) Merope (1785) Maria Stuarda (1788) Agide (1788) Bruto primo (1789) Bruto secondo (1789) Don Garzia (1789) Sofonisba (1789) Tragedie greche: Polinice (1781) Agamennone (1783) Antigone (1783) Oreste (1783) Mirra (1789) Tragedie definite della libertà: La congiura de' Pazzi (1788) Virginia (1781, 1783, rielaborata nel 1789) Timoleone (1783, rielaborata nel 1789) Tragedie pubblicate postume: Cleopatra (da lui stesso poi rinnegata, , pubblicata postuma) Alceste prima (1798) Alceste seconda (1798)

4 Saul La tragedia è dedicata all'amico Tommaso Valperga di Caluso, docente di greco e di lingue orientali, ed esperto di lingua e cultura ebraica. L'ideazione, stesura e versificazione dell'opera avvengono in brevissimo tempo: tra il marzo e il luglio Tragedia prediletta dall'autore, Alfieri interpretò, con successo, il ruolo del protagonista. La fonte del testo è costituita dal Libro dei Re della Bibbia. L'autore apporta sostanziali modifiche al modello, concentrando al massimo la vicenda, secondo i dettami della poetica aristotelica, e rendendo dunque la vicenda straordinariamente concitata. La tragedia si svolge nel campo degli Israeliti, in Gelboè. Scontro decisivo con i nemici Filistei. Il re Saul, intanto, è minato da una irrequietezza crescente, al limite della crisi psichica. A insidiare la sicurezza del re è l'assenza del coraggioso David, sposo di Micol (la figlia di Saul) e che il re stesso ha esiliato per iniqui sospetti. In realtà perché geloso dei suoi successi.

5 Saul L'arrivo del coraggioso David al campo, desideroso di dar prova della sua fedele dedizione al re Non placa Saul ma non fa che acuire la crisi del personaggio, sempre più sospettoso. Neppure la premura affettuosa di Micol e l'amore di Gionata, altro figlio di Saul, possono rassicurare il re. Contraddizioni e ambivalenze affettive. Saul fa trucidare i sacerdoti e minaccia di morte David, costretto nuovamente alla fuga. Affida poi il comando dell'esercito militare ad Abner, attribuendogli, però, incarichi militari folli, condannando il suo esercito a una disfatta inesorabile. Saul, infine, si uccide, solo nella sua grandezza disperata. Il suicidio non produce alcuna catarsi, e non si rivela eroica affermazione di libertà, ma gesto di cupa rinuncia.

6 Saul Semplicità della trama è finalizzata all'esaltazione della figura problematica di Saul, sola nel suo gigantismo. Gli altri personaggi non hanno la problematicità radicale, Loro verità umana si dia solo in relazione a Saul. Sia David sia i due figli di Saul vivono nella obbedienza al loro re e sono disposti a contravvenire ai loro affetti e valori più profondi, pur di rimanere a lui fedeli. Abnegazione isola il protagonista e il dramma di Saul si consuma tutto nella sua interiorità disperata. Ossessione a primeggiare e bisogno costante di riconoscimenti e rassicurazioni. Conflitto, polarizzazione di istanze affettive, in David, oggetto odioso-amato. Solo approdo possibile: la morte. No trionfo di ideali perseguiti con giusta convinzione. Coscienza infelice che ha vissuto il confronto con il Doppelgänger David come altamente persecutorio.

7 Saul Alfieri coglie tensioni perturbanti al fondo dell'animo umano.
Confrontro con il giovane David, ma anche verità ultima nell'interiorità stessa del re. Alter ego David, ma l'homo duplex giace, prima di ogni cosa, al fondo dell'animo di Saul. La duplicità di Saul, dilaniato fra eroismo titanico e coscienza dell'insicurezza, si rivela, in primo luogo, nella percezione temporale. Tutta la parabola di Saul consumata nello iato fra passato e presente. No continuità pacificata. Interiorizzazione del tempo di erosioni e faglie - Idealizzazione del passato come edenico tempo della giovinezza e percezione di un presente tutto frane e rovine.

8 Saul Polarizzazione ambivalente degli affetti familiari.
Non potendone fare a meno, Saul odia i propri figli. Alla retorica della reticenza qui si coniuga la retorica della sospensione come peculiare cifra stilistica. Il dettato è, infatti, costantemente insidiato da interruzioni espressive che possono essere ricondotte a una duplice origine. Da un lato interruzioni oggettive, poiché i personaggi si perdono in un infaticabile ingorgo di parole, sovvertendo sistematicamente l'ordine gerarchico e le strutture del potere. Il mancato rispetto della ritualità della parola come affermazione di potere assume i tratti di autentica minaccia. Dall'altro le interruzioni, tematizzate dall'iterazione ossessiva dei puntini di sospensione, rivelano le intermittenze di una coscienza ottenebrata dall'irruzione di materiali inconsci. I puntini di sospensione assumono molteplici significati nella tessitura del testo. La scissione dell'individuo – il delirio allucinatorio mediante la proiezione di fantasmi psichici. Il nucleo penoso si concretizza in fantasma persecutorio. Senso di colpa per i tanti innocenti uccisi ma, ancor di più, per il proprio status. Senso di colpa per la propria natura di padre-re, consapevole che, da sempre, le colpe dei padri ricadono sui figli.

9 Le riforme teatrali. Metastasio
Nascita del melodramma. Data e luogo specifico di nascita: Firenze, 1600. Le prime due opere liriche della storia della musica ovvero l’Euridice di Jacopo Peri e l’Euridice di Giulio Caccini, entrambe composte, a Firenze, sul medesimo libretto che era stato scritto dal poeta Ottavio Rinuccini. Prima di allora, caratteristica della musica d’arte – sia profana (si pensi ai madrigali), sia sacra – era quella di essere musica polifonica, ovvero costituita dall’intreccio di più voci (vocali o strumentali) sovrapposte, ognuna dotata della propria linea melodica autonoma, senza rapporti di melodia/accompagnamento: Due aspetti tipici della scrittura musicale polifonica iniziarono però, verso la fine del Cinquecento, ad essere messi in discussione, ovvero: l’intreccio polifonico di più voci autonome rendeva quasi impossibile comprendere il testo che veniva cantato; nella musica polifonica si rilevava la difficoltà di comunicare le emozioni (o, come venivano chiamate allora, gli affetti), giacché l’affetto, essendo legato alla sfera individuale, personale, soggettiva, difficilmente poteva essere veicolato da un intreccio di voci distinte.

10 Le riforme teatrali. Metastasio
‘Camerata dei Bardi’. Tra di essi vi era anche Vincenzo Galilei, padre dello scienziato Galileo Galilei - Nel 1581 Vincenzo Galilei, padre di Galileo, scriveva il Dialogo della musica antica e moderna, nel quale affermava che la polifonia era oramai un’espressione musicale che apparteneva al passato, e che il musicista moderno doveva tornare all’antica monodia accompagnata dal “favellar cantando”.  Entrambi gli aspetti problematici si sarebbero risolti passando dalla polifonia alla monodia accompagnata, ovvero a un tipo di canto affidato a una voce singola sostenuta da un accompagnamento. Gli intellettuali della Camerata dei Bardi nel loro appoggiare la monodia accompagnata si rifacevano inoltre al teatro tragico degli antichi greci (considerati modello sommo da seguire e imitare) che si riteneva fosse una forma teatrale in cui gran parte dei dialoghi e monologhi dei personaggi venissero cantati anziché recitati. “Recitar cantando” – dramma in musica – melodramma Orfeo di Claudio Monteverdi (1607) Alternanza di recitativi – narrazione e azione di arie – affetti con voce accompagnata da tutta l’orchestra, melodia in ‘forme chiuse’

11 Le riforme teatrali. Metastasio
l melodramma metastasiano – no pubblico secentesco degli aristocratici - pubblico più largo costituito da vasti strati borghesi in Europa e da gruppi di potere (aristocratici, funzionari di governo). Pubblico aspirava non all'eroismo ma a un surrogato che era il decoro un po’ solenne. Melodramma, che egli portò a vera opera d'arte, indipendentemente dalla musica; Alcuni suoi melodrammi, infatti, furono spesso recitati come tragedie. Semplicità e alla potenza drammatica della tragedia greca, di cui considerava il melodramma come legittimo erede Si accostò allo stesso tempo alla tragedia francese, nella fusione dell'eroico col galante e nella grazia e nel decoro del dialogo. E sebbene altamente drammatiche nella sua opera siano le situazioni, congegnate con grande abilità, tuttavia il dramma resta solo nella superficie mobilissima e agitata, non scaturisce dall'anima dei personaggi I sentimenti si ammorbidiscono nel patetico, quando non assumono toni oratorî e si risolvono in musica. L'acme della passione si esala in un'arietta. Le ariette esprimono una sentenza o un atteggiamento dell'animo.

12 Le riforme teatrali. Goldoni
Il grande pubblico di massa ricerca evasioni immediate nella risata carnascialesca della commedia dell'arte Canovacci e improvvisazione degli attori. In polemica con la commedia dell'arte si muove appunto Goldoni. Il nucleo teorico su cui si fonda la sua riforma esposto nella Prefazione alla edizione Bettinelli delle sue Commedie (Venezia 1750): «I due libri sui quali ho più meditato e di cui non mi pentirò mai di essermi servito, furono il Mondo e il Teatro» (Commedie, 1971, vol. I) - «Mondo», inteso come esperienza del reale, e «Teatro», inteso come pratica del gioco scenico Osservazione dei costumi umani, il poeta rappresenta la verità della natura, armonizzandola al rutilante caleidoscopio del teatro, in sintonia con i principî, propugnati da Denis Diderot ( ) e Gotthold Ephraïm Lessing ( ), Il teatro comico (1750) - principio didattico e morale dell'arte utile e dilettevole - formulazione teorica prende vita sulla scena.

13 Le riforme teatrali. Goldoni
La commedia riformata da Goldoni si fonda su due innovazioni tecniche Introduzione progressiva del testo scritto Abolizione delle maschere. Il canovaccio aveva irrigidito l'attore-istrione nella ripetitività di un immobile formulario. La maschera annullava in un'innaturale fissità i tipi umani. Goldoni sostituisce la maschera con un "personaggio", dotato dell'interiorità e dello sviluppo psicologico di un individuo storicamente definito. La categoria tradizionale del "rustego" (cioè rustico, zotico) in odore di misantropia assumerà le molteplici increspature della vita Es. La 'serva civetta', provocante e spregiudicata, presente nella tradizione comica, trascolora nello straordinario ritratto di signora, denso e sfumato, di Mirandolina (La locandiera, 1752), così deliziosamente abile nel destreggiarsi tra cuore e affari.

14 Le riforme teatrali. Goldoni
Goldoni eredita dalla sua assidua attenzione rivolta alla realtà una vivace galleria di caratteri umani, ai quali conferisce esemplarità. Mito e tramonto del borghese, senza il livore indignato e il gusto della deformazione grottesca che informano per esempio le satire di Parini. La bottega del caffè (1750), l'epica del borghese laborioso, improntata al modello inglese e olandese, si va offuscando e l'habitus della maldi.cenza accomuna sia la fatiscente nobiltà di don Marzio sia l'affarismo pettegolo di Ridolfo. Nel 1756 Goldoni scrive la commedia in dialetto veneziano Il campiello e, dall'intima adesione al popolo, non solo trae una felice ispirazione poetica, ma anche intuisce l'orizzonte per una possibile alternativa storica. Nel ritrarre la vita in una piazzetta durante un giorno di Carnevale, il drammaturgo conferisce una luce corrusca al mondo degli umili, colti con verità di accenti, senza idealizzazioni paternalistiche o cedimenti a un manierato populismo. Regressione sociale e la cupa grettezza (I rusteghi, 1760), nonché il trionfo delle apparenze (Trilogia della villeggiatura, 1761) Commedia di ambiente – commedia di carattere

15 Le riforme teatrali. Goldoni
Il teatro, anche quello di Goldoni, si fonda sulle potenzialità offerte dal dialogo e sul serrato confronto di differenti punti di vista. Disponibilità dialogica e agone comunicativo scongiurando la catastrofe in agguato. Dialoghi con una parola di somma limpidezza e nitore razionalistico, abbassando moduli e stilemi linguistici al livello del parlato quotidiano. "realismo linguistico“ Sono di scena, nel teatro goldoniano, tanto il toscano standard quanto il veneziano della nobiltà, quello della borghesia mercantile o quello più corposo dei ceti popolari, in un accattivante e modernissimo pastiche, ai limiti dello sperimentalismo linguistico. Goldoni non adopera l'ampolloso linguaggio accademico, ma quello della borghesia settentrionale, specie veneta e lombarda, aderendo alla vivacità e mobilità delle inflessioni. La riforma goldoniana agisce anche nel sistema linguistico teatrale, liberandolo sia dalle ipoteche del purismo di Arcadia (evidenti, in quegli stessi anni, nel melodramma) sia dai modi trivali della commedia d'improvvisazione.

16 Le riforme teatrali. Gozzi
Posizione anti-goldoniana. Contrappone all'istanza realistica e borghese di Goldoni una visione disimpegnata dell'arte, concepita come pura evasione fantastica ed edonistica. Predilezione per l'universo meraviglioso, da lui frequentato non senza originalità nelle Fiabe teatrali ( ). Turandot (1762)

17 La questione teatrale. Manzoni
Lettera al Marchese Cesare D’Azeglio il rifiuto della mitologia il rifiuto dell'imitazione servile dei classici il rifiuto delle regole arbitrarie, in particolare di quelle aristoteliche di unità di tempo e di luogo. Valori in positivo sostenuti dal Romanticismo il vero come oggetto, che solo crea un diletto nobile che eleva e arricchisce la mente l'interessante come mezzo (elementi della vita comune) l'utile morale come scopo.

18 La questione teatrale. Manzoni
Conte di Carmagnola ( ). Delle unità aristoteliche Manzoni mantenne quella di azione, ma ridefinita come il principio di necessità che doveva legare i singoli eventi del dramma. Eventi tratti da un attento esame di fonti storiche Esprimere una tesi sul ruolo che gli scontri tra i poteri locali delle signorie avevano avuto nel consentire la dominazione straniera. Per evitare di sovrapporre le proprie idee all'attendibilità del racconto, Manzoni riservò al coro lo spazio esclusivo della loro espressione. Saldare la verità storica e quella esistenziale nell'invenzione letteraria Lettre a monsieur Chauvet: «cosa ci dà la storia? ciò che gli uomini hanno fatto. Ma quel che hanno pensato, i sentimenti che hanno accompagnato le loro decisioni […] è invece il dominio della poesia». 

19 La questione teatrale. Manzoni
Stessi principi furono applicati da Manzoni all'Adelchi( ), Eroe al centro della lotta tra i Longobardi e i franchi di Carlo Magno. Materia storica come oggetto di riflessione filosofica sulla ciclicità degli eventi e sulla natura del potere. “Pessimismo mondano” – Manzoni vedeva una vocazione tirannica in ogni potere laico, destinando l'eroe al sacrificio per non dovere «far torto o subirlo». 

20 La questione teatrale. Manzoni
Nella tragedia torna la rappresentazione cupa del potere politico, già presente nel Carmagnola: Legge della “ragion di stato” che induce Carlo a ripudiare Ermengarda, che pure l’ama Sete di dominio che acceca Desiderio Vile tradimento di Svarto, che invidia i potenti. Conflitto tragico che sta al centro dell’opera, e che va oltre i limiti storici entro cui esso è ambientato, è quello tra due anime pure e dolenti, ispirate dai valori evangelici e un mondo che, dopo la “caduta” del peccato originale, è abbandonato da Dio Adelchi – figura amletica, diversa dagli eroi tragici alfieriani e romantici Impossibilità di agire operando il bene – vittima del male di questo mondo e la soluzione al suo conflitto interiore non potrà essere che oltre la morte, nella divina consolazione del mondo ultraterreno. Uguale destino ha riservato Dio ad Ermengarda, facendola soffrire, ma, con una “provvida sventura”, ponendola (lei discendente da oppressori) “in fra gli oppressi” e salvando la sua innocenza dalle colpe dell’agire umano. Il senso della passione di Ermengarda viene liricamente espresso nel celebre Coro dell’atto IV.


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