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PubblicatoOrnella Donato Modificato 11 anni fa
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Verga Recensendo I Malavoglia sul «Fanfulla della Domenica» nel maggio del 1881 lo scrittore, critico, teorico del verismo L. Capuana spiegava il distacco dell’opera dalla produzione precedente e rifletteva sulla fredda accoglienza del pubblico: «Ecco, per esempio io dubito molto che il De Sanctis voglia indursi a fare pei malavoglia quello che osò per l’Assomoir dello Zola. Eppure mi sembra
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Verga che pochi dei nostri libri moderni siano meritevoli quanto i Malavoglia che l’acuta analisi del critico napoletano s’eserciti a farne rinsaldare le bellezze di prim’ordine» Contini osserva che la grande stagione letteraria di V è durata un decennio –dal 1881 al tra due stagioni mediocri.
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Naturalismo, verismo, realismo
Certo è che intorno alla metà dell’800 vi fu una comune tendenza europea, che s’interrogava su come avvicinare la letteratura alla realtà, al vero. Fu Zola per primo a riprendere il termine naturalismo, derivato dall’ambito della scienza e della filosofia, per esprimere il suo progetto di una letteratura capace di riflettere le forme concrete.
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Il vero Anche in Italia, intorno al 1850, il concetto del vero era ben saldo; si iniziava ad adoperare il termine verismo per definire una nuova narrativa, che guardava alla lezione francese ma era autonoma da essa. Il tema del verismo/realismo era già stato posto dai romantici; in prospettiva di corrispondenza al vero era stato sviluppato anche il progetto di Manzoni.
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Il metodo verista Capuana, Verga, De Roberto –di area meridionale- appartengono alla generazione che era intorno ai vent’anni, al momento dell’impresa dei Mille. Appartengono ad un mondo isolato, arretrato; Coltivano l’ambizione di abbandonare questa marginalità e di partecipare da protagonisti al dibattito nazionale;
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Il Risorgimento Animati da una forte coscienza unitaria condividono gli ideali del Risorgimento; aspirano ad un rinnovamento radicale, che maturato in Sicilia si caricava di un’urgenza fortissima. Di fronte alla difficoltà di avviare un cambiamento nella realtà siciliana, elaborano una profonda delusione che non li conduce
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Il conservatorismo ad una visione progressista o democratica.
Piuttosto, maturano una profonda sfiducia nella possibilità del cambiamento; accettano le posizioni nazionalistiche e conservatrici. Lo sguardo sul vero fa si che raccontino una realtà secolare, quella di una Sicilia sospesa dalla storia, attraversata da ataviche passioni, spinte.
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La lingua Con un linguaggio narrativo nazionale, una lingua che si rivolge a tutta l’ Italia borghese, Capuana e Verga non propongono un modello; negano al lettore la possibilità di compiacersi, di identificarsi con la realtà descritta. Il loro radicale pessimismo vede la società minata da forze cieche e distruttive, i personaggi calati in ambienti violenti.
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Il canone dell’impersonalità
Le pagine di questi narratori sono dominate da un senso di costrizione e di solitudine; sono vicini alla narrativa francese nell’adozione del canone dell’impersonalità. Questo canone, sancito da Flaubert, affermava che i personaggi dovevano essere rappresentati e animati secondo le loro interne regole, senza che l’autore proietti su di loro le proprie idee e i propri sentimenti.
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Il rifiuto dei miti contemporanei
In concreto, questi autori rifiutano i miti moderni che si stavano divulgando; affermano invece una negazione pervicace della storia e del progresso, su cui sembreranno allinearsi, negli anni successivi, tanti altri autori meridionali, da Pirandello a Brancati, da Sciascia a Tomasi di Lampedusa.
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Verga Nato a Catania nel 1840 da una famiglia di piccola nobiltà agraria di orientamenti liberali e antiborbonici, studiò nella scuola privata di Antonio Abate. La politica lo spinse al romanzo Amore e patria (1857) 1860: con l’arrivo di Garibaldi si arruolò nella Guardia Nazionale e vi rimase fino al ‘64; a questa
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I primi lavori fase corrispondono I carbonari della montagna (su un gruppo di carbonari calabresi ostili a Murat) e Sulle lagune (ambientato a Venezia, ancora sotto la dominazione austriaca), di argomento politico; 1865 a Firenze (capitale); si inserisce negli ambienti intellettuali fiorentini, partecipa alla vita mondana
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La fase «borghese» A questi anni corrispondono Una peccatrice (1866), Storia di una capinera (1870), Eva (1873) 1872: si trasferisce a Milano, dove risiede per circa 20 anni; è vicino al gruppo degli scapigliati; A quest’universo sono legati Tigre reale ed Eros (1875)
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La conversione Nel 1874 con la pubblicazione di Nedda, V aveva inaugurato la produzione di novelle incentrate sul mondo popolare siciliano; di qui in poi, si sarebbe convertito a questa materia; 1880: Vita dei campi 1881:pubblica I Malavoglia e progetta il ciclo dei vinti 1882: Novelle rusticane
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Le opere della maturità
1882: Il marito di Elena; romanzo nuovamente borghese, d’ambientazione napoletana; 1883: Per le vie, novelle che riflettono la congestionata vita milanese; 1883: inizia a lavorare a Mastro Don Gesualdo 1884 : se I Malavoglia non ottenne successo, V verrà acclamato per il dramma Cavalleria rusticana
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Le opere della maturità
1889: termina Mastro D G, opera che incontra notevole favore del pubblico; All’inizio degli anni ‘90 rientrò in Sicilia, a Catania; di qui si mosse raramente; nel ‘95 raggiunse a Roma Capuana, che era con Zola; Nella sua vita di possidente a riposo, si dedicava a La Duchessa di Leyra, che non riuscì a portare a termine.
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L’inizio del nuovo secolo
Il passaggio al ‘900 vide V appartato, deluso, estraneo alle nuove tendenze letterarie, chiuso nella tetraggine di conservatore angosciato di fronte a ogni novità, preoccupato ossessivamente dall’amministrazione del suo patrimonio. Grandi attenzioni ebbe da Tozzi e da Pirandello; Luigi Russo ne riscattò la figura di letterato. 1922: muore a Catania
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Verga prima del verismo
I 5 romanzi «mondani», che precedono l’evoluzione del registro tematico di V –Eva, Tigre reale, Una peccatrice, Storia di una capinera, Eros- ripercorrono, con qualche eccezione, lo stesso corollario: trattano dell’incontro-scontro tra il maschile e il femminile. V si sofferma lungamente sulle attrazioni esercitate dalle figure femminili, corrotte, eleganti, decadenti; ad esse oppone
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Verga prima del verismo
la famiglia, la maternità. In questi romanzi traccia una sorta di autobiografia fittizia, rappresentando il giovane provinciale, inesperto che cade nella fascinazione del bel mondo, subisce le arti seduttive di donne fatali. Con queste storie V tentava di cogliere il consenso di un pubblico borghese. Eva: storia di un pittore siciliano a Firenze, distrutto per l’amore vso la ballerina Eva
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Verga prima del verismo
In cui immaginava di vedere l’incarnazione della bellezza assoluta; V. qui è vicino alle posizioni scapigliate, che contestavano la società borghese; Eros: l’uomo di lusso, il marchese Alberti, brucia in distruttive esperienze erotiche le sue potenzialità; Tigre reale: Giorgio Ferlita subisce gli effetti del sentimento per la contessa russa Nata; il protagonista
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si salva rientrando nella terra natia.
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Verga prima del verismo
Una peccatrice: un commediografo catanese allaccia un rapporto con una contessa seducente; si ridurrà tutto in sterilità e fallimento. 1870: Storia di una capinera: è il romanzo epistolare sul tema della monacazione forzata, che rivela il punto di vista della protagonista.
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La conversione Intorno agli anni ‘70; cerca un nuovo sguardo sulla realtà siciliana, e contestualmente prova a impostare una narrazione oggettiva, priva dei sentimenti dell’autore: V. approda ad un rifiuto degli ambienti mondani frequentati, ad una diffidenza verso il romanticismo sentimentale; è attento al naturalismo francese, stimolato in questo senso da Capuana. È inoltre mosso da nostalgia per la terra natale, cui guarda come ad un paese remoto, mitico.
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Nedda Con Nedda tenta di raccontare il mondo contadino siciliano, narrando le disgrazie di una povera raccoglitrice di olive; il racconto è elaborato come il frutto di una fantasticheria nata davanti al focolare, che spinge il pensiero lontano. In questa fase scrive il bozzetto Padron’ Ntoni.
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L’impersonalità Tra il ‘79-81 prima di approdare ai Malavoglia, vi sono lettere –con Capuana- alcune novelle scritte come riflessioni, la prefazione al romanzo-che definiscono il suo metodo e l’orientamento ideologico da seguire. Da questi dati, si evince che riteneva di poter guardare al mondo dei contadini «da una certa distanza»: l’ottica di una certa distanza era quella di una città (Milano, Firenze).
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L’amante di Gramigna Nella parte iniziale della novella L’amante di Gramigna, pubblicata nel 1880 e concepita come lettera a Salvatore Farina, V manifestava l’intenzione di sviluppare il racconto «colle medesime parole semplici e pittoresche della narrazione popolare», mettendo il fatto al centro della creazione artistica. Nel romanzo c’è la forma artistica più completa, carica di possibilità; si deve creare una realtà dotata
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L’amante di Gramigna di vita autonoma, non più segnata dalla mano dell’autore: «il romanzo avrà l’impronta dell’avvenimento reale, e l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sé, aver maturato ed esser sorta spontanea come fatto naturale, senza serbare alcun punto di contatto col suo autore». L’impersonalità può creare personaggi autonomi; gli artifici della narrazione possono
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L’amante di Gramigna dare l’illusione della realtà.
Inserisce questa idea nella sua visione della vita, impiantando il ciclo dei vinti –I Malavoglia, MDG, La duchessa di Leyra, L’Onorevole Scpioni, L’uomo di lusso. Nella prefazione ai M parla di «cammino fatale» dell’umanità verso il progresso, «l’immensa corrente dell’attività umana», che trascina tutto con sé.
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Fantasticheria F era la novella introduttiva di V dei C (1879); si risolve come discorso rivolto ad un’elegante signora, che aveva soggiornato per 48 ore ad Aci Trezza e commentava con entusiasmo la visita. V coglie la distanza tra il mondo alto e il mondo dei poveri diavoli; il contrasto tra i desideri futili della vita borghese e la dura necessità della vita. Così rivendica l’autenticità di questa esistenza ripetitiva e rassegnata, retta
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Fantasticheria dalla religione della famiglia e dall’ideale dell’ostrica: alle irrequietudini del pensiero vagabondo, al turbine di una realtà in continua trasformazione, si oppone la forza di «quei sentimenti miti, semplici, che si succedono calmi e inalterati da generazione in generazione». È un mondo diverso, retto da tenaci affermazioni.
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Verga novelliere La raccolta Vita dei campi (1880) [Fantasticheria, Jeli il pastore, Rosso Malpelo, Cavalleria rusticana, L’amante di Gramigna, Guerra di santi, Pellaccia]: c’è una vitalità primigenia, che sconvolge i consueti punti di riferimento narrativi; i personaggi sono estranei alle artificiali complicazioni della vita civile. Il mondo rappresentato è fuori dalla storia, la vita nella campagna siciliana è sempre
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Verga novelliere scandita da ritmi uguali, da rapporti di forza tra gli individui, da gerarchie sociali, da tradizionali regole di comportamento. In questo mondo elementare c’è un valore originario: i personaggi aderiscono ad un sistema duro, di cui imparano ad accettare le regole con eroismo umile.
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Verga novelliere La materia è filtrata da una voce collettiva, popolare; essa racconta i fatti dall’interno, senza mediazioni, come se si trattasse di un testo teatrale, che dipana situazioni concrete. La voce del narratore popolare non delinea i personaggi con simpatia; spesso però sono eroi protagonisti, alle prese con un destino tragico. Talvolta nelle novelle si crea il contrasto tra i
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Verga novelliere personaggi popolari e qualche elemento che viene dall’esterno, dal mondo civile
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I Malavoglia Il romanzo in 15 capitoli, parte dal bozzetto Padron ‘Ntoni. La vicenda è ambientata ad Aci Trezza, negli anni successivi all’Unità d’Italia. La famiglia decade nel momento in cui viene in contatto con la civiltà: ‘Ntoni dopo il servizio militare rifiuta di tornare alla tradizione; Luca muore nella battaglia di Lissa; Lia fugge a Catania e si dà alla prostituzione. Solo il nipote Alessi
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I Malavoglia riuscirà a ricostruire, non allontanandosi dalla casa del nespolo. Per rappresentare il mondo contadino V si è accuratamente documentato; tradizioni, usi, modi di dire, proverbi sono stati catalogati, acquisiti; ma non è fredda e documentaria la sua scrittura. V si cala all’interno dei valori arcaici proposti, li condivide, li apprezza.
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I M Realizza un’epopea, un racconto epico, in cui anche gli oggetti hanno una risonanza e un significato; la voce popolare ha una evidenza magica, antropologica; il coro è sempre pronto a riconoscere quanto è giusto o sbagliato, a condannare e stigmatizzare con ironia. Non è una semplice ripresa delle formule tipiche della narrazione popolare: nuovo è sconvolgente è il fatto che l’orizzonte
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I M epico del coro popolare è iscritto in un romanzo borghese, rivolto ad un pubblico borghese. V cerca un punto di vista popolare entro un punto di vista borghese. Linguisticamente deve risolvere la questione della resa del parlato popolare: si allontana dalle strutture medie dell’italiano corrente, fiorentinismi, lombardismi, modelli manzoniani
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I M Approda ad una lingua espressiva, immediata, capace di dare con scatti colloquiali, la dimensione del parlato, il dialetto: approda ad un registro plurilinguistico, con circonlocuzioni per esprimere in italiano i modi del dialetto. Per Luperini è un romanzo storico, etnologico che incrocia storia e mito; i personaggi hanno una gestualità senza tempo, sono primitivi, stagliati.
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I M In quest’opera le classi subalterne vengono rappresentate senza l’uso del comico; per la prima volta si rende fruibile –in contesto borghese- la dimensione di questa realtà.
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Mastro Don Gesualdo 1889: l’opera fu pubblicata da Treves; ha una costruzione solida, al centro la figura di questo muratore che costruisce una fortuna con la sua abilità; La storia parte dal 1820; accetta il matrimonio con la nobile decaduta Bianca Trao, già incinta del cugino Ninì Rubiera; nessuna gioia deriva da questa svolta; la piccola Isabella sarà la futura duchessa di Leyra
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MDG Solo, isolato, subisce le vicende del 1848;
Muore nel palazzo tra la servitù indifferente. Lo stile è oggettivo, secco, registra la violenza della realtà attraverso l’indiretto libero, che illumina i pensieri interno. Questo ritmo è interrotto dalla dimensione dei dialoghi. Gesualdo è l’eroe della roba; storicamente, la sua prospettiva è feudale. Vive con astio e dolore
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MDG il cambiamento proposto dalla storia. Gesualdo è l’eroe dell’economia: ha le sue ragioni in valori atavici, il rifiuto della povertà. La roba si carica di mille valenze: è eternità, sicurezza, riscatto. I rapporti sociali sono aridi, conflittuali, ipocriti: MDG ha tentato il salto sociale ed è disprezzato in ogni ambito.
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Il realismo del 1930 Intorno al 1930 alcuni autori, provenienti da esperienze diverse, come Corrado Alvaro, Alberto Moravia, Carlo Bernari, impiantano una pratica letteraria che segue la lezione del realismo. Questo nuovo realismo è lontano dagli schemi naturalistici; rappresenta la realtà urbana o quella della provincia allontanandosi da ogni implicazione dialettale e perseguendo una comunicazione limpida, che potesse
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arrivare a tutti. Per questo realismo sono centrali la prospettiva della memoria e dell’analisi dei rapporti tra gli individui e la realtà circostante, la società, che avvengono su dinamiche difficili. La realtà stessa non è un totem immobile ma un processo in evoluzione; ad essa si accede attraverso un percorso d’interpretazione sottile e sistematica.
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L’opera più emblematica di questo contesto è Gli indifferenti di Moravia; ma anche Alvaro, che si muoveva nella realtà agreste meridionale con Gente in Aspromonte si allinea a queste posizioni. La rivista che sostiene queste riflessioni è «Solaria», di area romana; si intendeva rappresentare la realtà moderna, così come stava accadendo in Europa e in America, dove Faulkner, Dos Passos si spingevano in questa
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direzione. Così negli anni ‘30, scrittori come Tobino, Vittorini, Pavese iniziano a praticare questi modelli americani, che implicitamente rappresentavano democrazia, modelli banditi dal regime; in questa vicinanza letteraria s’esprimeva una forte linea di dissenso politico.
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Silone, Bernari In Silone e Bernari la posizione di contestazione politica si fa ancora più evidente. Questi autori rappresentano la realtà delle classi subalterne, operaie e contadine, assumendone lo stesso punto di vista: lo scrittore non è più distaccato, borghese, paternalistico; né, come aveva fatto Alvaro, descrive il Sud con la soluzione del realismo
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Fontamara magico o lirico.
Silone, ad es, nato a Pescina, fu militante comunista, esule per questo in Svizzera. Nel ‘30, qui scrive e pubblica Fontamara, in cui, con uno stile semplice, concreto, da reportage, rappresenta la vita dei cafoni, di un povero borgo montano della Marsica, della loro resistenza ai soprusi. La narrazione è affidata a 2 cafoni, un vecchio e la moglie
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Fontamara che raggiungono l’autore esule e gli raccontano la storia; ed egli la riprende, mantenendone il tono, le descrizioni prive di compiacimenti idillici, lirici; il mondo contadino è brutale, primitivo, degradato. La narrazione segue la questione dell’acqua, contesa agli abitanti di Fontamara, con la cui negazione si negava il diritto alla vita del piccolo borgo.
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Bernari Del 1930 è anche Tre operai del napoletano Bernard, figlio di una famiglia di piccoli imprenditori di origine francesi; B rappresenta per la prima volta una Napoli grigia, operaia, plumbea, affaticata. I tre operai protagonisti sono animati dal desiderio di una vita diversa ma sono piegati dal giogo del lavoro; lo scenario della città è negativo. Così, l’esistenza scorre tra piccoli deludenti fatti, ogni possibile
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Bernari felicità è strozzata; il segno della sconfitta è sulla classe operaia. La prosa è vicina al movimento della realtà; vi sono repentini passaggi dal discorso dir all’indir, che rivelano i pensieri dei personaggi; rapidi passaggi di soggetti. Per questa soluzione TO restò un punto di riferimento per gli sviluppi posteriori, del neo-realismo.
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Moravia Moravia aveva 22 anni quando pubblicò G I.
Il romanzo nasce prima di ogni riflessione teorica, di ogni esplicito percorso critico, da un impulso a narrare fortissimo e dalla scoperta di un mondo vuoto, di una sconcertante realtà fatta da gesti privi di valore, da pulsioni istintive, animalesche. I personaggi agiscono l’uno contro l’altro, l’uno sull’altro, spinti da egoismo.
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Gli indifferenti Come ha più volte affermato, M allora pensava alla tragedia come alla più alta forma di lett; mirava a scrivere una tragedia in forma di romanzo. Così l’azione de G I, in 16 capitoli, è concentrata in uno spazio e un tempo ridotti, nelle vicende di una famiglia borghese, di cui vengono seguite 2 giornate, svolte al chiuso dei salotti romani. 5 i personaggi principali, legati tra loro da intrecci sottili
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Gli indifferenti che si modificano nel corso della narrazione.
Questi personaggi sono indifferenti ai valori, al manifestarsi di una vera tragedia: il romanzo è una tragedia «impossibile», che svela il carattere non tragico, impuro, volgare del mondo borghese, che non lotta per affermare/difendere alcun valore, ma mira ad un’ottusa sopravvivenza.
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Gli indifferenti La vita della famiglia Ardengo è dominata dalla stanca relazione tra la madre Mariagrazia e Leo Merumeci, volgare arrivista che la sfrutta, e cerca vantaggi economici; ne sono danneggiati Carla e Michele, i figli della donna. Mentre Mariagrazia è gelosa di Lisa, antica amante di Leo, questi ha sedotto Carla, piena di risentimento per la madre. Michele è disgustato da tutto, è maltrattato da Leo
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e matura di ucciderlo; la pistola con cui dovrebbe farsi onore fallisce, ha dimenticatoi di caricarla. Infine, Leo sposerà Carla, Mariagrazia e Michele si rassegnano; anzi, Michele diviene l’amante di Lisa. Il meccanismo ad incastro dei 5 personaggi porta M nell’area del realismo magico di Bontempelli: così come lo scenario, astratto, squadrato, cubista; le figure sembrano manichini
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Privi di anima. Questo mondo appare l’unico possibile; torbido, volgare, ingiusto avvelena ogni sentimento reale, impedisce ogni via di fuga. È un’immagine critica risentita, aspra della borghesia italiana sotto il fascismo; all’uscita del romanzo, ne fu avvertita la carica eversiva antiborghese, anche se M non aveva avuto un esplicito intento denunciatario.
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Il neorealismo Da questi prodromi, dopo il secondo conflitto mondiale, quando si doveva ricostruire il Paese, rimuovendo le macerie reali e morali lasciate dal ventennio, sorge il neorealismo. : oggetto di questa nuova letteratura –che dopo il periodo buio di quiescenza vissuto durante il regime, in cui si erano levate pochissime sporadiche voci di dissenso- era la realtà. Ora la lett comprendeva di dover compiere
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Il neoreal un’opera di denuncia, di dover raccontare, di dover aiutare la ricostruzione. A ridosso della conclusione della guerra sorge così tanta letteratura incentrata sui temi della Resistenza partigiana. Il linguaggio: è regionalistico ma è comune, quotidiano; un italiano venato di corpose componenti localistiche, spesso con brutte soluzioni linguistico-stilistiche.
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Il neorealsimo Si vuole comunicare nell’orizzonte nazionale, proporre un modello ideale di popolo: c’è una forte inclinazione populista in questo rivolgersi, inneggiare, vagheggiare una nuova massa spesso lontanissima dalla realtà. In questa linea la lett diviene schematica, pedagogica: deve proporre modelli popolari buoni, valori solidi di altruismo, di democrazia, di comunismo, di socialismo. Cerca eroi positivi
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Il neorealsimo che hanno combattuto il fascismo.
Osservò Gadda che la lett neorealistica si appoggiava su una «tremenda serietà», su un tono asseverativo che non ammetteva repliche, sulla sicurezza di stare nel vero e nel giusto. Per questo la lett era spesso schematica, farraginosa, convenzionale, ancora più di quella naturalistica.
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Vittorini, Pavese, Fenoglio…
Molti intellettuali comunisti si erano rivolti ai modelli di De Sanctis e Gramsci, da cui avevano estrapolato –liberamente, arbitrariamente- un’ottica nazionalpopolare e le formulazioni del realismo socialista, rigide normative che dovevano consentire loro di muoversi nel giusto solco. Vittori, Fenoglio, Pavese, Pratolini…
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