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Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara

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Presentazione sul tema: "Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara"— Transcript della presentazione:

1 Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara
La civiltà di Roma Miti e leggende di Roma Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara

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Miti e leggende di Roma Il mito di Enea I miti (fabulae) sono racconti fantastici che descrivono personaggi o eventi soprannaturali (come gli dei e le loro vicende). La maggior parte dei miti romani però non si occupa di divinità o di fenomeni naturali, ma delle vicende relative alle origini del popolo romano e alla fondazione di Roma (Roma). Al mito di Enea (Aeneas), principe troiano che prende parte alla guerra di Troia, si collegano le credenze del popolo romano, che vedeva nell’eroe troiano il proprio capostipite. La storia di Enea fu narrata dal poeta Virgilio (70-19 a.C.) nel poema Eneide. Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara

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Miti e leggende di Roma Enea ferito in battaglia, raffigurato in un affresco proveniente da Ercolano. Enea in Lazio Enea compare nel racconto omerico dell’Iliade come il principale combattente, con Ettore, contro i Greci che hanno preso d’assalto Troia. Dopo l’incendio e la distruzione della città, secondo la tradizione romana, Enea si allontanò dalla sua terra con un gruppo di superstiti e, dopo lunghe peregrinazioni, giunse sulle coste del Lazio (Latium), amichevolmente accolto dal re Latino. Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara

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Miti e leggende di Roma Enea re del Lazio In Lazio Enea fondò la città di Lavinio, così chiamata in onore di Lavinia, figlia di Latino, che egli aveva sposato. Il matrimonio con Lavinia suscitò però la collera di Turno, re dei Rutuli e pretendente egli stesso di Lavinia. Turno dichiarò guerra a Latino, che morì in combattimento. Enea vendicò Latino e uccise Turno in duello. Rimase da solo a regnare sui Latini oltre che sui Troiani che erano arrivati con lui: Latini e Troiani si fusero in un solo popolo. Poco tempo tempo dopo Enea cadde in combattimento contro i Rutuli appoggiati dagli Etruschi; poiché il suo corpo non venne più ritrovato, si diffuse la convinzione che fosse stato assunto in cielo tra le divinità. Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara

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Miti e leggende di Roma Numitore e Rea Silvia Numitore, discendente di Ascanio figlio di Enea, fu re di Alba Longa, ma il fratello Amulio lo spodestò e prese il potere. Per timore che i figli di Numitore potessero un giorno rivendicare i diritti del padre, li fece uccidere e costrinse l’unica figlia, Rea Silvia, a farsi sacerdotessa della dea Vesta. Poiché le vestali, addette a custodire il sacro fuoco della divinità, dovevano restare vergini e non avere figli, Amulio credette di avere eliminato per sempre la discendenza di Numitore. Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara

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Miti e leggende di Roma La lupa che allatta i gemelli Romolo e Remo (rilievo marmorio del I-II secolo d.C.). Romolo e Remo Ma gli dei avevano disposto diversamente: Rea Silvia, amata segretamente dal dio Marte, diede alla luce due gemelli, che chiamò Romolo (Romulus) e Remo (Remus). Quando il re Amulio venne a conoscenza del fatto, condannò a morte Rea Silvia, che era venuta meno ai voti. I due gemelli, condannati alla stessa sorte della madre, furono abbandonati alla corrente del Tevere in un cesto. Il cesto si impigliò alle canne della riva e una lupa che si aggirava su quelle sponde li nutrì con il suo latte. Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara

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Miti e leggende di Roma La vendetta di Romolo e Remo Un giorno un pastore di nome Faustolo trovò la lupa che allattava i due gemelli, capì chi erano i bambini e decise di accoglierli nella sua casa e di allevarli insieme ai suoi figli. Il lavoro dei campi temprò il fisico e il carattere dei due ragazzi, che presto dimostrarono tanta intelligenza da diventare i capi rispettati dei loro coetanei. Quando furono adulti Faustolo svelò ai due gemelli il mistero della loro origine. Ucciso lo zio usurpatore, Romolo e Remo ristabilirono sul trono di Alba Longa il nonno Numitore. Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara

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Miti e leggende di Roma La fondazione di Roma (1) Romolo e Remo decisero di fondare sul colle Palatino una nuova città. La fondazione di una nuova città aveva inizio con un rito che consisteva nel tracciare con l’aratro un solco quadrato, a rappresentare il perimetro del futuro insediamento. Romolo e Remo, secondo la tradizione, consultarono il volo degli uccelli per sapere quale dei due, per volontà degli dei, dovesse compiere la cerimonia: Remo vide per primo sei avvoltoi solcare il cielo, ma Romolo ne vide ben dodici. Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara

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Miti e leggende di Roma La fondazione di Roma (2) Tutti furono d’accordo che toccasse a Romolo tracciare il solco e dare il nome alla nuova città. Remo, livido di gelosia, osservava il fratello che tracciava il solco quadrato. Tale solco era inviolabile e nessuno poteva oltrepassarlo. Ma Remo, per disprezzo, lo saltò gridando: «Sono facili da espugnare, fratello, le mura della tua città!». Romolo, accecato dall’ira, sfoderò la spada e uccise il fratello. Rimase così unico re della nuova città, cui diede il nome di Roma. Secondo la tradizione, era il 21 aprile del 753 a.C. 9 Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara

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Miti e leggende di Roma Gli abitanti di Roma Con l’aiuto dei compagni che l’avevano seguito da Alba Longa, Romolo costruì sul solco tracciato le mura di Roma. Per popolarla aprì le porte a schiavi e fuggiaschi, a banditi e ad avventurieri, cosicché in breve tempo la nuova città si riempì di una colorita e turbolenta popolazione. Mancavano però le donne ed era impensabile che i contadini e i pastori dei villaggi vicini concedessero in spose le loro figlie a questi Romani così poco raccomandabili. 10 Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara

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Miti e leggende di Roma Il ratto delle Sabine Romolo ricorse allora all’inganno: invitò i popoli vicini ai festeggiamenti in onore del dio Saturno. Molti accorsero e numerosi furono soprattutto i Sabini. Quando la festa stava per concludersi, i Romani si gettarono sulle Sabine e le rapirono. I padri, i mariti, i fratelli beffati tentarono invano di recuperare figlie, mogli, sorelle. Ne nacque una guerra sanguinosa che si protrasse per lungo tempo, con gravi perdite da entrambe le parti. A riportare la pace furono le donne sabine, che convinsero i padri e i fratelli a deporre le armi. Con la pace i due popoli si fusero in uno solo, sotto la guida di Romolo e del sabino Tito Tazio. 11 Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara

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Miti e leggende di Roma Il destino di Romolo Dopo la morte di Tito Tazio, Romolo detenne da solo il potere su Romani e Sabini. Il suo regno, secondo la tradizione, durò 37 anni. Dopo di che egli sparì, in un giorno d’estate, durante un temporale. Era stato rapito da suo padre, il dio Marte, che lo portò in cielo sul proprio carro. Da allora i Romani lo venerarono come dio con il nome di Quirino (Quirinus). In onore di Quirino, considerato il protettore della città di Roma, venivano celebrate solenni feste chiamate Quirinalia. 12 Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara

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Miti e leggende di Roma Tarpea la traditrice Nei giorni in cui i Sabini, guidati dal loro re Tito Tazio, assediavano Roma per riprendersi le loro donne rapite dai Romani, Tarpea (Tarpeia), figlia di un comandante romano, si innamorò di Tito Tazio e fece entrare i Sabini all’interno della città in cambio di una ricompensa: i bracciali d’oro indossati dai Sabini stessi. Ma quando, dopo aver aperto loro le porte delle mura, rivendicò la ricompensa chiedendo ciò che «era posto sulle loro braccia» (ossia i gioielli), Tito Tazio, con disprezzo, le fece gettare addosso dai guerrieri gli scudi che recavano al braccio e la ragazza fu schiacciata dal loro peso. 13 Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara

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Miti e leggende di Roma La rupe Tarpea. La rupe Tarpea Dalla rupe Tarpea, che prese il nome dalla donna, venivano gettati i colpevoli di delitti particolarmente esecrabili come, appunto, il tradimento. 14 Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara

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Miti e leggende di Roma Gli Orazi e i Curiazi Durante il regno di Tullo Ostilio, terzo re di Roma, la città dovette combattere una lunga guerra contro Alba Longa, che le contendeva il predominio sul Lazio. Narra la leggenda che, essendo gli eserciti stanchi, i comandanti decisero di affidare le sorti della guerra a un combattimento fra tre soldati di un esercito e tre dell’altro. Per difendere Roma scesero in campo i tre fratelli gemelli Orazi (Horatii), per difendere Alba Longa i tre Curiazi (Curiatii). Questi ultimi ebbero subito la meglio perché riuscirono a uccidere due degli Orazi. Il terzo fratello, rimasto solo, finse di fuggire e così si fece inseguire dagli avversari e poté abbatterli uno dopo l’altro. La vittoria garantì a Roma la supremazia su Alba Longa. 15 Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara

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Miti e leggende di Roma Orazio Coclite Nel corso di una battaglia (I sec. a: C.), i soldati etruschi, travolte le resistenze romane, si spinsero fino al ponte Sublicio, il primo ponte (di legno) costruito da Anco Marzio per unire le due sponde del Tevere. A guardia di questa via di accesso alla città era stato posto Orazio Coclite (Horatius Cocles) con un piccolo manipolo di soldati. Quando egli si rese conto del pericolo che gli Etruschi attraversassero il fiume, ordinò ai suoi uomini di tagliare il ponte alle sue spalle e da solo si preparò a fronteggiare l’urto dei nemici. Il comandante romano tenne testa agli avversari, finché non vide che l’opera dei suoi uomini era compiuta. Allora indietreggiò e l’esercito etrusco invase il passaggio proprio mentre il ponte crollava. Orazio Coclite allora si gettò nel Tevere e riuscì a salvarsi a nuoto. 16 Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara

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Miti e leggende di Roma Il tentativo fallito di Muzio Scevola Decisivi per ristabilire la pace tra Roma e la città etrusca di Chiusi furono il coraggio e la fierezza dimostrati da Caio Muzio (Caius Mutius), detto Scevola (Scaevola, che significava «il mancino»). Una notte questo coraggioso giovane romano raggiunse tra mille pericoli l’accampamento etrusco. Eludendo la sorveglianza delle guardie, arrivò fino alla tenda reale e penetrò all’interno, poiché la sua intenzione era quella di uccidere il re Porsenna. Ma per errore, ingannato dal buio, anziché Porsenna uccise un suo ufficiale. 17 Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara

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Miti e leggende di Roma Muzio Scevola dà prova del suo coraggio tenendo la mano sopra un braciere ardente (bassorilievo del II sec. d.C.). L’impavido soldato romano Arrestato e condotto alla presenza di Porsenna, Caio Muzio fieramente rivelò quale fosse stato il suo intento e, vedendo un braciere ardere accanto al trono, tese sul fuoco la mano destra, colpevole di aver sbagliato il colpo. Porsenna, ammirato da tanta fierezza, firmò la pace con Roma. 18 Petrini © 2011 De Agostini Scuola SpA - Novara


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