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Scienza e fede Fiuggi, 27/11/2010 Giandomenico Boffi Laboratorio di Scienze Matematiche Libera Università LUSPIO, Roma.

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Presentazione sul tema: "Scienza e fede Fiuggi, 27/11/2010 Giandomenico Boffi Laboratorio di Scienze Matematiche Libera Università LUSPIO, Roma."— Transcript della presentazione:

1 Scienza e fede Fiuggi, 27/11/2010 Giandomenico Boffi Laboratorio di Scienze Matematiche Libera Università LUSPIO, Roma

2 E. Wigner, The Unreasonable Effectiveness of Mathematics in the Natural Sciences, Communications in Pure and Applied Mathematics 13 (1960) [mia sottolineatura] “ La maggior parte dei concetti matematici più avanzati [...] furono escogitati in modo tale da essere argomenti adatti sui quali il matematico possa dimostrare la sua ingegnosità e il suo senso di bellezza formale. Di fatto, la definizione di questi concetti, con la consapevolezza che considerazioni interessanti e ingegnose potrebbero applicarsi ad essi, è la prima dimostrazione della ingegnosità del matematico che li definisce. La profondità di pensiero che entra nella formulazione dei concetti matematici è successivamente giustificata dall’abilità con cui questi concetti sono utilizzati. Il grande matematico, in maniera piena, quasi spietata, sfrutta il dominio del ragionamento lecito e sfiora l’illecito. Che la sua temerarietà non lo conduca in una palude di contraddizioni è un miracolo in sé.”

3 R. Hamming, The Unreasonable Effectiveness of Mathematics, The American Mathematical Monthly 87 (1980) “Se ricordiamo che la scienza moderna ha solo 400 anni circa, e che ci sono state da 3 a 5 generazioni per secolo, allora ci sono state al più 20 generazioni dai tempi di Newton e Galileo. Se prendiamo 4.000 anni per l’età della scienza, in generale, abbiamo al più 200 generazioni. Considerati gli effetti dell’evoluzione che stiamo cercando mediante selezione di piccole variazioni casuali, non mi sembra che l’evoluzione possa spiegare più che una piccola parte della irragionevole efficacia della matematica.”

4 R. Hamming, articolo citato “ Uno dei fili conduttori della matematica è l’estensione, la generalizzazione, l’astrazione – tutte sono più o meno la stessa cosa – di concetti ben noti a situazioni nuove. Ma osservate che proprio nel corso del processo le definizioni stesse sono alterate sottilmente. Perciò, fatto non tanto ampiamente riconosciuto, vecchie dimostrazioni di teoremi possono diventare false dimostrazioni. Le vecchie dimostrazioni non coprono più le cose definite in modo nuovo. Il miracolo è che quasi sempre i teoremi rimangono veri; si tratta solo di aggiustare le dimostrazioni. L’esempio classico di questo aggiustare sono Gli elementi di Euclide. Abbiamo trovato necessario aggiungere parecchi postulati nuovi (o assiomi, se preferite, perché non ci preoccupiamo più di distinguere tra loro) al fine di soddisfare gli attuali canoni di dimostrazione. Ma come accade che nessun teorema in tutti e tredici i libri risulta adesso falso? Non un singolo teorema è stato trovato falso, sebbene spesso le dimostrazioni date da Euclide sembrino ora false.

5 E questo fenomeno non è confinato nel passato. Si dice che un ex redattore di Mathematical Reviews abbia una volta affermato che oltre la metà dei nuovi teoremi pubblicati ai giorni nostri siano essenzialmente veri pur essendo false le dimostrazioni pubblicate. [...] L’idea che i teoremi seguano dai postulati non regge alla mera constatazione. Se si trovasse che il teorema di Pitagora non segue dai postulati, torneremmo a cercare una maniera di alterare i postulati fino a che fosse vero. I postulati di Euclide derivarono dal teorema di Pitagora, non il contrario. [...] Così ci sono molti risultati in matematica che sono indipendenti dalle ipotesi e dalla dimostrazione.” continua…

6 Sostanzialmente, si voleva in primo luogo fare un censimento completo di tutti i simboli usati in matematica e logica e caratterizzare in modo non ambiguo tutte le combinazioni di questi simboli rappresentative di affermazioni considerate nella matematica classica dotate di significato (queste combinazioni erano chiamate formule). Si voleva poi fornire una procedura costruttiva che consentisse di ricavare in successione tutte le formule corrispondenti alle affermazioni dimostrabili della matematica classica, e mostrare (in modo combinatorio finitario) che quelle formule, le quali corrispondevano ad affermazioni di matematica classica che potevano essere verificate con metodi aritmetici finitari, fossero costruibili mediante la detta procedura se e solo se la verifica della corrispondente affermazione ne dimostrasse la verità. Il programma di Hilbert

7 In particolare, al progetto di Hilbert occorreva una dimostrazione (combinatoria finitaria) della coerenza della matematica classica. Ma nel 1931 esce un articolo di un giovane studioso, Kurt Gödel, che contiene un risultato sorprendente (Über formal unentscheidbare Sätze der Principia Mathematica und verwandter Systeme I, Monatschefte für Mathematik und Physik 38): se una teoria formale è coerente e capace di abbracciare l’aritmetica, allora tale teoria è incompleta, nel senso che esiste un’affermazione della teoria che è dotata di significato, ma è indecidibile, cioè non può essere provata vera e non può essere provata falsa. Come corollario segue l’impossibilità di conseguire la dimostrazione di coerenza necessaria al progetto di Hilbert, perché altrimenti l’affermazione indecidibile di Gödel sarebbe decidibile. Il risultato di Gödel

8 Per millenni abbiamo accumulato risultati della cui validità siamo ancora convinti, oppure siamo stati in grado di porre rimedio a imprecisioni ed errori. Per millenni, e sotto ogni latitudine, abbiamo applicato con successo i nostri risultati nella scienza e nella tecnica. Dunque siamo sicuri che il nostro lavoro non è vano e la sostanza delle nostre acquisizioni è affidabile. Un diffuso atteggiamento

9 Robert Musil nel 1913 (L’uomo matematico, in Saggi e altri scritti, Einaudi, Torino 1995; tr. it. di Andrea Casalegno) “I pionieri della matematica ricavarono da certi principi delle idee utilizzabili. Da quelle idee nacquero deduzioni, tipi di calcolo, risultati. I fisici ci misero su le mani e ne ricavarono nuovi risultati. Alla fine arrivarono i tecnici, accontentandosi spesso di questi risultati, ci fecero su dei nuovi calcoli e crearono le macchine. Ma a un tratto, quando ogni cosa era stata realizzata per il meglio, saltano su i matematici − quelli che si lambiccano il cervello più vicino alle fondamenta − e si accorgono che nelle basi di tutta la faccenda c’è qualcosa che non torna. Proprio così, i matematici guardarono giù al fondo e videro che tutto l’edificio è sospeso in aria. Eppure le macchine funzionano! [...] A questo scandalo intellettuale il matematico reagisce in modo esemplare: lo sopporta con orgogliosa fiducia nella diabolica pericolosità del proprio intelletto.”

10 Benedetto XVI, discorso per la visita del 17.01.2008 all’Università di Roma La Sapienza [mia sottolineatura] “Che cosa è la ragione? Come può un’affermazione – soprattutto una norma morale – dimostrarsi ‘ragionevole’? A questo punto vorrei per il momento solo brevemente rilevare che John Rawls, pur negando a dottrine religiose comprensive il carattere della ragione ‘pubblica’, vede tuttavia nella loro ragione ‘non pubblica’ almeno una ragione che non potrebbe, nel nome di una razionalità secolaristicamente indurita, essere semplicemente disconosciuta a coloro che la sostengono. Egli vede un criterio di questa ragionevolezza fra l’altro nel fatto che simili dottrine derivano da una tradizione responsabile e motivata, in cui nel corso di lunghi tempi sono state sviluppate argomentazioni sufficientemente buone a sostegno della relativa dottrina.

11 continua… In questa affermazione mi sembra importante il riconoscimento che l’esperienza e la dimostrazione nel corso di generazioni, il fondo storico dell’umana sapienza, sono anche un segno della sua ragionevolezza e del suo perdurante significato. Di fronte ad una ragione a-storica che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a storica, la sapienza dell’umanità come tale – la sapienza delle grandi tradizioni religiose – è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee.”

12 Benedetto XVI, discorso citato bis “Jürgen Habermas esprime, a mio parere, un vasto consenso del pensiero attuale, quando dice che la legittimità di una carta costituzionale, quale presupposto della legalità, deriverebbe da due fonti: dalla partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e dalla forma ragionevole in cui contrasti politici vengono risolti. Riguardo a questa <<forma ragionevole>> egli annota che essa non può essere solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma che deve caratterizzarsi come un <<processo di argomentazione sensibile alla verità>>.”

13 Benedetto XVI, discorso citato ter [mia sottolineatura] “Varie cose, dette da teologi nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali, sono state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono. Ma allo stesso tempo è vero che la storia dei santi, la storia dell’umanesimo cresciuto sulla base della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola con ciò anche un’istanza per la ragione pubblica. Certo, molto di ciò che dicono la teologia e la fede può essere fatto proprio soltanto all’interno della fede e quindi non può presentarsi come esigenza per coloro ai quali questa fede rimane inaccessibile. È vero, però, al contempo che il messaggio della fede cristiana non è mai soltanto una ‘comprehensive religious doctrine’ nel senso di Rawls, ma una forza purificatrice per la ragione stessa, che aiuta ad essere più se stessa. Il messaggio cristiano, in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi.”

14 Benedetto XVI, discorso citato quater “Penso ad esempio – per menzionare soltanto un testo – alla disputa con Eutifrone, che di fronte a Socrate difende la religione mitica e la sua devozione. A ciò Socrate contrappone la domanda: ‘Tu credi che fra gli dei esistano realmente una guerra vicendevole e terribili inimicizie e combattimenti […]. Dobbiamo, Eutifrone, effettivamente dire che tutto ciò è vero?’(6 b – c). In questa domanda apparentemente poco devota – che, però, in Socrate derivava da una religiosità più profonda e più pura, dalla ricerca del Dio veramente divino – i cristiani dei primi secoli hanno riconosciuto se stessi e il loro cammino. Hanno accolto la loro fede non in modo positivista, o come la via d’uscita da desideri non appagati; l’hanno compresa come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica per far posto alla scoperta di quel Dio che è Ragione creatrice e al contempo Ragione-Amore.

15 continua… Per questo, l’interrogarsi della ragione sul Dio più grande come anche sulla vera natura e sul vero senso dell’essere umano era per loro non una forma problematica di mancanza di religiosità, ma faceva parte dell’essenza del loro modo di essere religiosi. Non avevano bisogno, quindi, di sciogliere o accantonare l’interrogarsi socratico, ma potevano, anzi, dovevano accoglierlo e riconoscere come parte della propria identità la ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera.”

16 In conclusione: Non solo la scienza non è autosufficiente e l’uomo ha bisogno, per così dire, di un completamento, cui la fede cristiana può legittimamente apportare un contributo. Ma anche la fede cristiana ha un intrinseco bisogno di confrontarsi con le acquisizioni della scienza. Dunque non contrapposizione, nemmeno percorsi paralleli che si ignorano reciprocamente, bensì un approfondito dialogo, senza confusioni, ma anche senza reciproca indifferenza.


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