La presentazione è in caricamento. Aspetta per favore

La presentazione è in caricamento. Aspetta per favore

Gesù di Nazaret tra storia e fede

Presentazioni simili


Presentazione sul tema: "Gesù di Nazaret tra storia e fede"— Transcript della presentazione:

1 Gesù di Nazaret tra storia e fede

2 Un testo significativo: il prologo della lettera agli Ebrei
«Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo. Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati si è assiso alla destra della maestà nell'alto dei cieli, ed è diventato tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato» (1, 1-4).

3 le due dimensioni fondamentali dell’automanifestazione di Dio in Gesù Cristo:
dimensione storico-escatologica (“in questi tempi che sono gli ultimi”) dimensione cosmico/antropologica (“per mezzo del quale ha fatto anche il mondo”) Il cristocentrismo: il dinamismo dell’agire-parlare di Dio è orientato e centrato sul Verbo fatto carne, centro e fine della storia la rivelazione cristiana si gioca in modo particolare sul piano della storia (quale luogo del manifestarsi più autentico di Dio) e nella figura di Gesù Cristo (mediatore della creazione e incarnazione di Dio nella storia), l’uomo che la Chiesa confessa essere Dio

4 la decisività di una questione: l’accesso storico alla realtà dell’uomo Gesù di Nazaret
la plausibilità della fede in Gesù richiede una verifica sul piano della ragione storica per assicurare la storicità delle sue parole, dei suoi gesti, dei segni che ha compiuto e dell’evento decisivo della risurrezione questo non vuol dire ridurre il cristianesimo e la figura del rivelatore solo a ciò che è storicamente accertabile in maniera sicura l’accesso autentico alla realtà di Cristo è quello che accade nell’orizzonte della fede che, se da un lato è irriducibile al solo dato della storia, dall’altro non si dà senza il dato acquisito sul piano della storia Perciò: possiamo essere storicamente certi di Gesù? Che cosa possiamo accertare con i criteri della scienza storica su di lui?

5 La ricerca storica su Gesù: la prima fase (Old Quest): 1778-1906
Pubblicazione da parte del filosofo G.E. Lessing nel 1778 dei frammenti di H.S. Reimarus. In particolare nel settimo si afferma che i racconti di risurrezione sarebbero stati invenzioni prodotte dalla fede: i discepoli dopo la crocifissione e morte del loro maestro, dinanzi al crollo di tutte le speranze che egli aveva suscitato, decidono di rubare il cadavere e inventare la storia della risurrezione Inizia la stagione delle Vite di Gesù L’intento: riportare Gesù nel suo vero tempo, liberarlo dalla coltre teologica e dogmatica ricostruendo la sua biografia senza riferirsi ai miracoli da lui compiuti (giudicati non storici) e seguendo un taglio psicologico Il metodo: ci si basava sulla critica letteraria delle fonti; si cercavano fonti neutrali e il più vicino possibile ai fatti riportati, sottoponendo il tutto ad una critica razionalista che anzitutto escludeva i miracoli La particolare fortuna del vangelo di Marco che in quanto più antico (e breve) era considerato meno intriso di teologia e più affidabile sul piano storico

6 La crisi della prima ricerca
Non si giustifica e spiega né il motivo della morte in croce di Gesù come “re dei Giudei”, né la continuazione della sua missione nella chiesa Martin Kähler (1892): i vangeli non “biografie di Gesù” ma “Racconti della passione con una estesa introduzione” William Wrede (1901): partendo dalla considerazione che tutto il racconto marciano è attraversato da alcune tematiche ricorrenti – quali la proibizione di rivelare l’identità di Gesù o di divulgare alcuni miracoli più grandi, l’idea delle parabole come linguaggio oscuro poi spiegato ai discepoli in disparte, o la sconcertante inintelligenza dei discepoli conclude che si tratta di un unico schema di carattere teologico mirante a sottolineare che la vera identità di Gesù non potrà essere compresa durante la sua vita terrena ma solo con la Pasqua. Albert Schweitzer: si può redarre una vita di Gesù solo sullo sfondo di una visione apocalittica di matrice giudaica. Nel tentativo di “modernizzare” Gesù gli studiosi non hanno tenuto conto del fatto che la sua vicenda non è ricostruibile in modo neutro ma solo a partire dal carattere escatologico, sullo sfondo dell’apocalittica giudaica

7 La seconda fase (New Quest)
Rudolf Bultmann ( ) con la sua teologia kerigmatica, la critica delle forme e il progetto della demitizzazione tutto il materiale evangelico è permeato dalla fede cristiana prima di essere messo per iscritto è stato utilizzato oralmente non per esigenze di tipo storiografico ma per le molteplici esigenze della fede e della vita delle comunità cristiane Questa destinazione “non storica” del materiale rendeva impossibile raggiungere la vera storia di Gesù o il ricostruire la sua personalità in senso psicologico Sbarrato l’accesso al Gesù storico, si proclama la sua irrilevanza per la teologia cristiana Il Gesù storico non può essere oggetto della fede cristologica: mentre il primo parla di regno di Dio, nella fede ci si riferisce al valore salvifico della morte di Gesù e alla sua risurrezione

8 La prospettiva di Bultmann
“Quello che Bultmann nega recisamente è che il Gesù prepasquale possa avere una qualsiasi rilevanza in ordine alla fede. Questa è suscitata in noi unicamente dal kerigma pasquale, dalla predicazione apostolica. Vero è che il kerygma […] continua pur sempre a presupporre un riferimento a Gesù crocifisso: riferimento che però, secondo Bultmann, sarebbe solo al nudo fatto della (esistenza e) morte di croce, il Dass: il che, non il chi o il come, non la maniera in cui Gesù l’ha vissuta o il senso che le ha attribuito” La prospettiva di Bultmann in positivo ha avuto il merito di sottolineare la natura dei vangeli come raccolta delle tradizioni su Gesù e una più piena inserzione di Gesù nell’ambiente ebraico, ma la discontinuità assoluta di Gesù con la comunità cristiana e lo scetticismo storico di origine luterano restano i due grandi limiti di Bultmann

9 La conferenza di Ernst Käsemann, discepolo di Bultmann, dal titolo Il problema del Gesù storico (1953). Käsemann denunciava il pericolo di ridurre il Cristo della fede ad un mito, sradicato dalla storia e di scavare un fossato fra il kerygma e il Gesù storico il problema lasciato irrisolto da Bultmann: se ciò che contava era solo il Cristo della fede, che bisogno c’era di scrivere i vangeli? poiché già il kerygma conteneva il ricordo del Gesù terreno, occorreva rilevare la continuità e il rapporto fra Gesù della storia e Cristo della fede riconoscendo la cristologia implicita delle parole e dei gesti di Gesù Senza il riferimento alla vicenda terrena di Gesù è il kerygma stesso a svuotarsi e vanificarsi, in quanto il Signore glorioso non ha più volto, mentre invece il suo volto è quello del Nazareno.

10 La terza ricerca sul Gesù Storico (Third Quest): dal 1975 ad oggi
Muove da tre critiche alla New Quest l’eccessiva importanza data alla storia delle forme con la conseguente enfatizzazione dell’analisi di “storia della tradizione” dei detti di Gesù l’esagerata dissomiglianza fra ambiente giudaico e quello della chiesa primitiva conseguente ad un Gesù isolato se non contrapposto al suo ambiente di origine l’enfasi posta sulla teologia kerygmatica come criterio per il recupero del Gesù storico. - Complessità della terza ricerca

11 I guadagni storico-teologici apportati dalla versione “moderata” della third quest
l’interesse al contesto storico-sociale da cui emergerebbe la possibilità di scorgere la continuità fra il circolo pre-pasquale dei discepoli e il cristianesimo post-pasquale l’insistenza sull’ebraicità di Gesù, la cui predicazione consisterebbe nella creazione di un movimento di rinnovamento interno al giudaismo, il che contribuirebbe, nella luce della continuità fra storia e kerygma, a giustificare la connotazione giudeo-cristiana della Chiesa nascente la collocazione dei fatti e detti di Gesù in un quadro storico più ampio sia della vicenda gesuana che dell’ambiente storico in cui visse, piuttosto che discutere singolarmente la loro autenticità una maggiore fiducia nell’affidabilità storica dei vangeli canonici, delle fonti non canoniche e delle fonti extrabibliche e quindi un certo ottimismo nel ricostruire un resoconto plausibile del ministero di Gesù e della sua persona l’attenzione all’ambito culturale ellenistico-pagano

12 Testimonianze extra-bibliche su Gesù
dal punto di vista strettamente storico, le testimonianze su Gesù sono poche e se fugano del tutto l’idea di un Gesù figura mitica o leggendaria (al pari di un Gilgames o di un Prometeo), non ci dicono tuttavia un gran che di essenziale «quando cerchiamo affermazioni su Gesù in scritti non canonici del I o del II sec. d.C., restiamo quanto meno sconcertati per la mancanza di riferimenti. […] Questo semplicemente ci rammenta che Gesù fu un ebreo marginale, che guidò un movimento marginale di un immenso impero romano» (Meier)

13 Testimonianze extra bibliche giudaiche
Il Testimonium Flavianum: la testimonianza di Flavio Giuseppe (37-100) «In quel tempo apparve Gesù, un uomo saggio, se pure si può chiamarlo uomo. Infatti fu operatore di fatti sorprendenti, un maestro di persone che accoglievano la verità con piacere. E si guadagnò un seguito tra molti giudei e tra molti di origine greca. Egli era il Messia. E quando Pilato, per un’accusa portata dai nostri capi, lo condannò alla croce, quelli che lo avevano amato precedentemente non smisero di farlo. Infatti, apparve loro il terzo giorno nuovamente vivo, proprio come i divini profeti avevano detto su di lui queste e innumerevoli altre cose prodigiose. E fino ad oggi, la tribù dei cristiani, che da lui prende il nome, non è scomparsa» (Le antichità giudaiche) le attestazioni della tradizione rabbinica e della Toledot Jeshu (Libro delle genealogie di Gesù) che rappresenta una rinarrazione ebraica di epoca medievale della storia di Gesù

14 Le testimonianze romane: Tacito (56/57-118)
Nel libro XV degli Annali, descrivendo l’incendio di Roma appiccato da Nerone nel 64, Tacito in poche parole offre precise coordinate cronologiche e spaziali della morte di Gesù I cristiani un gruppo «odiato per i suoi abominevoli crimini (flagitia). Il loro nome viene da Cristo, il quale durante il regno di Tiberio, era stato giustiziato dal procuratore Ponzio Pilato. Repressa per breve tempo, la rovinosa superstizione riprese di nuovo forza, non solo in Giudea, il paese in cui ebbe origine questo male, ma anche nella città di Roma, in cui converge da ogni parte del mondo ed è ferventemente coltivata ogni sorta di pratica orrenda e vergognosa» Tacito compie Tre affermazioni fondamentali su Gesù: fissa il tempo della morte di Cristo: durante il regno dell’imperatore Tiberio (14-37 dC) e il governatorato di Ponzio Pilato (26-36 dC); afferma che la morte di Cristo fu dovuta ad un’esecuzione decisa dal governatore romano della Giudea, lasciando intendere che sia stata una crocifissione, trattandosi di un ebreo giustiziato in Giudea da un governatore romano; l’uccisione di questo Cristo soppresse il pericoloso movimento religioso dei cristiani per un breve periodo, ma esso rapidamente riprese forza dapprima in Giudea quindi fino a Roma.

15 Le testimonianze romane: Plinio e Svetonio
Plinio il Giovane, governatore del Ponto-Bitinia ( d.C), parla all’imperatore Traiano dei cristiani Nella lettera 96 del libro X delle Lettere. Riguardo ai processi che coinvolgevano i cristiani, Plinio si chiede quale condotta tenere e raccontando il suo modo di trattare le questioni riferisce quanto si diceva dei cristiani «la loro colpa o il loro errore si riduceva essenzialmente alla consuetudine di riunirsi in un giorno determinato prima dell’alba per cantare alternativamente fra loro un inno in onore di Cristo come se fosse un Dio e di impegnarsi con solenne giuramento non già a compiere qualche misfatto, ma a non commettere furti, rapine, adulteri, a non tradire la parola data, a non rifiutare di restituire, se richiesti, una cosa ricevuta in custodia» Svetonio nella vita dell’imperatore Claudio riferisce che l’imperatore «espulse da Roma gli ebrei che con Chrestus come istigatore provocavano continui tumulti (Judaeos impulsore Chresto assidue tumultuantes Roma expulit)» Plinio e Svetonio, però, non ci danno nessuna informazione sul Gesù storico

16 I vangeli apocrifi Nei vangeli apocrifi (quei documenti antichi cristiani che riportano le parole e/o le azioni di Gesù ma che non furono accolti nel canone, cioè nella lista dei libri considerati scrittura ispirata) incontriamo – si tratta di frammenti sparsi prodotto in larga misura dalle immaginazioni pie e sfrenate di alcuni cristiani del II sec. I “vangeli dell’infanzia”, soprattutto il Protovangelo di Giacomo e Il vangelo dell’infanzia di Tommaso il primo è nulla più di un divertente guazzabuglio dei racconti dell’infanzia di Matteo e Luca con una grande dose di folklore novellistico che tradisce l’ignoranza delle istituzioni giudaiche ivi descritte il secondo presenta Gesù come un monello ostinato e un sinistro superbambino una sorta di Thomas Marvolo Riddle ante litteram

17 la scarsità dei riferimenti impedisce che questi brevi testi possano costituire materia sufficiente per ricostruire la figura e l’opera di Gesù di Nazaret Pertanto le fonti che ci parlano di più e più a lungo restano gli scritti del NT e tra questi, di fatto, i soli vangeli, poiché negli altri libri del NT – anche negli scritti di Paolo – non si aggiunge molto sui fatti e i detti di Gesù Dunque i vangeli sono le uniche e più importanti testimonianze sul Gesù storico ma i Vangeli non sono libri storici nel senso moderno e stretto del termine Nei Vangeli sono stati riuniti, trasmessi e fissati per iscritto le notizie che si possedevano su Gesù e questo al fine di rispondere alle esigenze della comunità, cioè per liturgie, catechesi, predicazione missionaria, ordinamento comunitario, esortazione ed edificazione (parenesi) dei credenti La loro presentazione, dall’inizio alla fine, è modellata dalla loro fede che il crocifisso Gesù fu risuscitato da morte e tornerà nella gloria per giudicare il mondo. Inoltre, i vangeli non intendono né pretendono offrire qualcosa di simile ad una narrazione completa, e neanche sommaria, della vita di Gesù

18 Se dunque i Vangeli non sono libri storici (come genere letterario) ma kerygma, cioè annuncio di fede, non possiamo pensare che essi vogliano descrivere con dovizia, quasi a mo’ di cronaca, quanto Gesù ha detto e fatto i Vangeli hanno una storia complessa; ad esempio i nuclei originari sono costituiti dai racconti della passione morte e risurrezione ai quali successivamente venne aggiunto il resto. Il mistero pasquale, anche in termini di ampiezza, resta il centro del Vangelo, fulcro attorno al quale si strutturano le altre parti Vi è inoltre l’opera redazionale degli evangelisti e la diversa provenienza delle comunità a cui è legato ciascun vangelo. Sono alcuni elementi che rendono ragione anche della oggettiva diversità fra i quattro vangeli, non solo tra i tre sinottici (Matteo, Marco e Luca) e Giovanni, ma anche all’interno degli stessi sinottici.

19 Incongruenze e contraddizioni
secondo i sinottici l’attività pubblica di Gesù dura solo un anno; per Giovanni invece gli anni di ministero sono due o forse tre, dal momento che nel vangelo si ricordano tre festività pasquali che Gesù trascorre a Gerusalemme (cf 2,13; 6,4; 11,55) e quattro viaggi tra la Galilea e Gerusalemme (cf 2,13; 5,1; 7,10; 12,12). In Marco lo scontro con i farisei è posto all’inizio, visto che i farisei decidono con gli erodiani di far morire Gesù dopo la guarigione dell’uomo dalla mano inaridita (cf 3,6), in Giovanni è lo scontro è crescente e solo dopo la risurrezione di Lazzaro viene decisa la sua condanna (cf Gv 11) Nei sinottici Gesù inizia la sua attività pubblica dopo l’imprigionamento del Battista (cf Mc 1,14), mentre in Giovanni egli ha operato avanti a Giovanni nel medesimo periodo di tempo Mentre per i sinottici Gesù celebra come ultima cena una cena pasquale ebraica e muore il 15 di Nisan, per Giovanni Gesù non celebra una cena pasquale ma una semplice cena d’addio e viene ucciso nella parasceve (cf Gv 19,14), quando nel tempio si sgozzava l’agnello pasquale, dunque il 14 Nisan

20 Evitare “concordismo” e negazione della storicità
Il concordismo: un esagerato storicismo che attribuisce certezza storica ad ogni dettaglio narrato La svalutazione o addirittura negazione della dimensione storica Occorre sempre tenere unite fede e storia L’esempio di Agostino: nel De consensu evangelistarum per eliminare la divergenza fra Mt 5,1ss e Lc 6,17 si sostiene che il discorso delle beatitudini iniziò sulla montagna e poi continuò mentre Gesù scendeva verso la pianura, oppure che episodi raccontanti in maniera diversa accaddero più volte. Allo stesso tempo Agostino a volte precorse i moderni, come quando esortava a distinguere fra le parole e l’intenzione di Gesù oppure a non confondere l’ordine con cui le cose erano ricordate con l’ordine in cui accaddero

21 I “criteri di storicità”
Quanto possiamo conoscere riguardo a Gesù è strettamente legato alla fonte evangelica i vangeli non sono propriamente un’opera di storia, secondo i criteri del genere letterario “storico”, poiché essi retti da un’intenzionalità kerigmatica (senza negare loro valore storico) ci chiediamo come distinguere nei vangeli: ciò che proviene da Gesù, quanto lui ha detto e fatto (primo stadio) da ciò che gli apostoli dopo Pasqua trasmisero, cioè la tradizione orale della chiesa delle origini (secondo stadio) e da ciò che fu prodotto dal lavoro redazionale degli evangelisti che, a seconda delle situazioni delle chiese sceglievano alcune cose, altre le sintetizzavano, conservando il carattere di predicazione (terzo stadio) I “criteri di storicità”: le norme che ci permettono di determinare con sufficiente margine di certezza quale materiale provenga dal Gesù terreno n.b.: si è certi della storicità di qualcosa quando non è ragionevole ammettere il contrario

22 I 5 criteri di storicità di J.P. Meier
Il criterio dell’imbarazzo o contraddizione: sarebbero sicuramente riconducibili a Gesù tutte quelle parole o gesti o comportamenti che creavano imbarazzo o difficoltà alla chiesa primitiva. Es: battesimo, il detto sulla fine del mondo Il criterio della discontinuità. Esso «si concentra su parole o fatti di Gesù che non possono derivare né dal giudaismo del tempo di Gesù né dalla chiesa primitiva dopo di lui. Esempi proposti spesso sono la sua radicale proibizione di ogni giuramento (Mt 5, 34.37, ma anche Gc 5,12), il suo rigetto del digiuno volontario per i suoi discepoli (Mc 2, e par.) e forse la sua totale proibizione del divorzio (Mc 10, 2-12 e par; Lc 16, 18 e par.)» Il criterio della molteplice attestazione. Esso si concentra su quei detti o fatti di Gesù che sono attestati in più di una fonte letteraria indipendente (Marco, fonte Q, Paolo, Giovanni) e/o in più di una forma o genere letterario (parabola, racconto, miracolo, aforisma). Più un motivo o un tema è presente in diverse fonti letterarie o forme (generi) letterarie, più si può stabilire con certezza che esso si riferisce al Gesù storico Il criterio della coerenza: sostiene che gli altri detti e fatti di Gesù che sono congruenti con questo materiale, guadagnato con i primi tre criteri, è da ascriversi al Gesù storico Il criterio del rifiuto e dell’esecuzione: ci aiuta a comprendere che cosa storicamente nei comportamenti o nelle parole di Gesù fu la ragione della forma della sua morte

23 Chi è Gesù? (cosa Gesù lascia intendere)
Profeta, regno di Dio, segni del regno (miracoli)

24 Cronologia e tratti essenziali della figura di Gesù
Gesù nacque a Betlemme di Giuda (o forse a Nazaret) durante il regno di Erode il Grande (dunque prima della primavera del 4 a.C.) e più precisamente verso la sua fine, dunque nel 6-7 a.C Dopo un’educazione in una famiglia umile di giudei nella bassa Galilea, fu attratto dal movimento di Giovanni il Battista ed iniziò il suo ministero nella valle del Giordano verso la fine del 27 d.C. o all’inizio del 28 quando aveva circa trentatré o trentaquattro anni. Il ministero, speso tra la nativa Galilea e Gerusalemme (dove si recava in occasione delle grandi feste per avere un uditorio decisamente più cospicuo), si protrasse per due anni e pochi mesi. Nel 30 d.C., dinanzi alla percezione della crescente ostilità delle autorità del tempio e l’imminente possibilità della morte, Gesù celebra un solenne banchetto di addio con i suoi discepoli un giovedì sera, il 6 aprile secondo il computo moderno, inizio del quattordicesimo giorno di Nisan, il giorno della preparazione della Pasqua. Arrestato nel Getsemani nella notte fra il 6 e 7 aprile, giudicato dapprima da alcuni giudei, fu consegnato a Pilato venerdì 7 aprile di buon mattino. Pilato rapidamente lo condannò a morte per crocifissione fuori Gerusalemme nello stesso giorno ed egli morì sul fare della sera, quando probabilmente aveva circa trentasei anni.

25 Anche i tratti della predicazione di Gesù sono nitidi e certi, come pure l’inizio e la fine di tale predicazione: il battesimo e la morte in croce a Gerusalemme. L’aspetto più originale del messaggio di Gesù si coglie nel suo comportamento: sta con i peccatori e le persone cultualmente impure (cf Mc 2,16ss); rompe il precetto del sabato (cf Mc 2,23ss) e le prescrizioni della purità rituale (cf Mc 7); annuncia il regno di Dio e compie miracoli ed esorcismi. Il suo stare con i peccatori scandalizza, tra l’altro Gesù si intrattiene anche con i pubblicani che erano gli sfruttatori del popolo. Il suo agire non è univoco né positivamente accolto da tutti, anzi suscita numerose perplessità e scandalo: infatti l’idea di un Dio che amava anche i peccatori metteva in questione la concezione ebraica della santità e della giustizia divina. Lo scandalo fu tale che Gesù venne accusato di bestemmia (cf Mc 2,7) e di essere un falso profeta, e come tale, stando alla legge, meritevole di morte (cf Dt 18,20) Il secondo dato certo della vita di Gesù è la sua morte in croce. Gesù viene giustiziato perché ha preteso di essere il Messia con una pena pagana (la crocifissione)

26 La figura di Gesù (parole e comportamenti) rappresentava una grande provocazione e non era inquadrabile entro schemi e categorie già esistenti: non era come il battista, perché né eremita né asceta; e nemmeno era paragonabile a un sadduceo o a un fariseo o a un pio ebreo, visto il suo rapporto con la legge e il tempio. La novità della sua persona si manifesta in alcuni atteggiamenti e comportamenti poco consueti e talvolta profondamente provocatori.

27 l’amore di Dio lo impegna totalmente al servizio degli altri: egli non fa nulla per sé ma tutto per Dio e per gli altri, e seppure maestro egli è il servitore; ha una stima per le donne assolutamente impensabile per il suo tempo; non considera la povertà e la malattia una punizione divina; l’accoglienza dei peccatori fino al gesto del mangiare insieme. Gesù sta con coloro che sono considerati impuri e perciò espulsi dalla società; non disdegna né odia i ricchi: Levi, un pubblicano, diventa un suo discepolo più vicino non ha un programma politico ma semplicemente “fa la volontà di Dio” che chiama Padre e a cui si affida come un bambino; a differenza dei farisei insegna con autorità (cf Mc 1,22.27); -assomiglia agli scribi perché insegna e ha una cerchia di discepoli, ma non ha studiato da scriba. Gesù fu certamente chiamato maestro; tuttavia, a differenza dei rabbini è Gesù stesso che chiama i discepoli mentre tra i maestri giudei della Palestina del I secolo era consuetudine diffusa che il discepolo si scegliesse il maestro. Inoltre, diversamente dai filosofi greci, l’aspetto più importante non è l’adesione a valori o virtù o la ricerca della verità; ma seguire Gesù stesso

28 Gesù profeta escatologico
In Israele i profeti hanno aiutato il popolo a seguire la legge di Dio, facendo maturare sia la coscienza del monoteismo sia l’attesa escatologica della salvezza. Nei momenti di rovina la speranza della salvezza rimane legata all’attesa di un profeta Ai tempi di Gesù la profezia era spenta da parecchio ed era stata sostituita dall’autorità della legge e delle sue interpretazioni. Tuttavia l’attesa di un profeta era particolarmente viva, perché la fine del silenzio profetico avrebbe segnato l’avvento dei tempi ultimi Questa attesa assumeva contorni diversi; c’era la convinzione che il profeta avrebbe compiuto le profezie anteriori, mentre alcuni pensavano al ritorno di un profeta del passato come Mosè, Elia o Geremia. Non proprio univoco era anche il giudizio sulla funzione di questo profeta, considerato sia rivelatore degli ultimi segreti, sia colui che avrebbe invitato alla penitenza e che, soprattutto, avrebbe restaurato la gloria di Israele distruggendo i nemici del popolo eletto La credenza nel profeta escatologico, infine, era parallela a quella nel messia.

29 Nei vangeli incontriamo il titolo di “profeta” attribuito a Gesù
Ragioni della profeticità di Gesù In primo luogo i miracoli/segni che Gesù compie. Dopo aver risuscitato il figlio della vedova di Nain la gente esclama “un grande profeta è sorto tra noi” (Lc 7,16); il cieco nato confessa Gesù profeta dopo la sua guarigione ai farisei che lo interrogano (cf Gv 9,17). L’autorità della sua predicazione: profeta lo considera la samaritana (cf Gv 4,19); al contrario Simeone dubita che Gesù sia un profeta perché lascia che la peccatrice gli baci i piedi (cf Lc 7,39); i discepoli di Emmaus confessano Gesù “profeta potente in parole” (Lc 24,19). Non solo la gente percepiva Gesù un profeta, ma anch’egli aveva una coscienza profetica.

30 Il proverbio da lui citato in occasione della sua visita a Nazaret che si trova nella quadruplice tradizione. La formulazione lucana, la più fedele, recita: «Amen, vi dico: nessun profeta è accetto nella sua patria» (4,24; cf anche Mc 6,4; Mt 13,57 e Gv 4,44) Lc 13,33-34: «Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io vada per la mia strada, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme. Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto!».

31 “sul piano fenomenologico, la personalità di Gesù doveva risultare profondamente ricca e complessa. Ma, se vogliamo esprimerci con una categoria riassuntiva, va detto che egli doveva apparire con i tratti specifici del profeta: non del rabbi (visto che egli non è certo caratterizzato dalla fedele spiegazione della Tôrah), né solo del maestro di sapienza (poiché il nucleo centrale del suo annuncio, il regno, non ha pressoché nulla da spartire con la tradizione sapienziale), e neanche del Messia politico (dato che egli predica e pratica l’amore per i nemici)”

32 Gesù eccede il titolo di profeta
i sinottici attribuiscono a Gesù una missione superiore a quella di tutti i profeti dell’Antico Testamento: il suo battesimo (cf Mc 1,10-11; Mt 3,13-14; Lc 3,21-22). L’evento è descritto con i tratti caratteristici della “vocazione profetica”. Tuttavia la voce non dice che Gesù è un profeta bensì “il figlio prediletto”. Il secondo episodio è la trasfigurazione (cf Mc 9,2-12; Mt 9,28-36; Lc 17,1-13); qui Gesù appare in mezzo a Mosè (la legge) e Elia (i profeti) con una superiore dignità e la voce ripete la sua singolarità come al momento del battesimo, definendolo figlio prediletto. La parabola dei vignaioli omicidi (cf Mc 12,1-12; Mt 21,33-46; Lc 20,9-19), che mette in rilievo la funzione di Gesù per Israele come figlio prediletto ed erede.

33 Gesù profeta “non come gli altri”
Almeno cinque indizi della l’irriducibilità di Gesù al titolo di profeta Gesù predica il regno di Dio vincolandone la venuta alla sua persona: cosa impensabile per un profeta che si limitava ad essere latore di un messaggio di Dio I profeti parlano a nome di Dio di cui riferiscono le parole:i “così dice il Signore Dio”, “oracolo del Signore”, “Parola del Signore rivolta a” ecc. Gesù invece parla a nome proprio e non per esprimere un’opinione sulla legge ma addirittura per trascenderla; egli si pone al di sopra della legge soprattutto riguardo al sabato (cf Mc 2,23-28), al digiuno (cf Mc 2, 18-19) e ai precetti concernenti le categorie di puro e impuro (cf Mc 7, 14-23). Quando nei vangeli leggiamo “è stato detto dagli antichi” oppure “avete inteso che fu detto ma io vi dico”, questa forma verbale costituisce un passivo divino da tradurre in forma attiva con le parole “Dio ha detto”. Gesù, quindi, avanza la pretesa di portare a compimento la volontà di Dio espressa nella legge; l’autorità con cui parla e agisce lo pone al di sopra dei profeti e addirittura della legge stessa. La fede che Gesù domanda per operare non è solo fiducia nel potere del Padre, ma nel potere di Gesù stesso; Mt 9,27 dove ai due ciechi che lo invocano Gesù chiede: “credete voi che io possa fare questo?”.

34 Sequela e rapporto con il Padre
Gesù ebbe dei discepoli tra i quali cerchia ristretta che lo seguiva materialmente nei suoi spostamenti Il Gesù dei sinottici chiede un’adesione incondizionata alla sua persona; la salvezza si decide a partire dalla posizione che si prende nei suoi riguardi: “a causa mia” Quanto alle caratteristiche del discepolato di Gesù, anzitutto è Gesù stesso che chiama i suoi discepoli La sequela, come la chiede Gesù, pone delle richieste radicali: a) dev’essere senza condizioni (cf Mt 8, 22), nemmeno se esse provengono dalla legge e dalla tradizione; b) è richiesta la rinuncia alle ricchezze (cf Mc 10,21; 10, e parr.); c) è richiesta la rinuncia ai legami parentali (cf Mt 10,37-38); d) occorre rinunciare al matrimonio (cf Mt 19,12). Se consideriamo che in Israele il celibato era normalmente considerato in termini negativi, vale il criterio della discontinuità per stabilire la gesuanità dell’idea. Andare dietro a Gesù significa perdere la vita a causa sua

35 Il rapporto con il Padre
Gesù chiama Dio “abba”cioè “papà”, parola assolutamente impensabile per indicare il rapporto con Dio. L’unico passo sulla bocca di Gesù è Mc 14,36, la notte prima della crocifissione Altri indizi che indicano la realtà del rapporto unico di Gesù con il Padre: Gesù non dice mai “padre nostro” (se non per insegnare ai discepoli a pregare) e distingue sempre tra “padre mio” e “padre vostro” Gesù è talmente intimo al Padre, “figlio per natura”, che nel vangelo di Giovanni viene presentato come il rivelatore del Padre (cf 1,18), il testimone del Padre, colui che riferisce quello che ha visto in prima persona (cf 8,13-59)

36 L’inno di giubilo: Mt 11,25-27 «In quel tempo Gesù disse: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”» (Mt 11,25-27; cf Lc 10,21-22)

37 “tutto mi è stato dato”: Dio manifesta i suoi “segreti”, il suo mistero al Figlio.
Quanto al contenuto di questo “essere dato”: a) si afferma la conoscenza (secondo il senso semitico la conoscenza è un evento di intimità) tra Padre e Figlio; una conoscenza reciproca, permanente (verbo al presente), esclusiva, unica; b) tale conoscenza è il fondamento della rivelazione: Gesù conosce il Padre perciò lo può rivelare, ma l’oggetto della Rivelazione è anche il Figlio. Il Figlio è mistero come il Padre ed è Colui che fa conoscere il Padre. L’inno di giubilo suggerisce chiaramente una eguaglianza di natura tra il Padre e il Figlio. Il rapporto del Figlio con il Padre non è qualcosa di accidentale, ma appartiene all’ontologia delle persone»

38 Gesù annunciatore del regno di Dio
Secondo i vangeli sinottici il centro della vita pubblica di Gesù e della sua predicazione è l’annuncio dell’imminente avvento del regno di Dio Gesù non dice mai che cosa sia questo regno, ma che esso sta per venire Nella letteratura canonica continuamente Dio è presentato come re, come colui che regna. Nella predicazione di Gesù il tema non è univoco ma possiede connotazioni diverse; sono però da escludere interpretazioni gnostiche, etiche o politiche All’epoca del giudaismo il regno di Dio appare come una realtà ad un tempo presente e futura con due connotazioni: il governare di Dio in atto e la trasformazione della realtà, che al momento è ingiusta e cattiva; l’attesa futura del giudizio di Dio sui popoli pagani nemici, la loro distruzione e la salvezza di Israele.

39 Il regno di Dio indica il riconoscimento della signoria e della divinità di Dio nella storia
Israele ha fatto nella sua storia l’esperienza che Dio è il salvatore (liberazione dalla schiavitù dell’Egitto), la guida del popolo (attraverso il deserto), il Signore tanto di Israele quanto del mondo intero; “Dio è re” (cf Sal 93,1; 96,10; 97,1; 99,1), re “di tutti i popoli” (Sal 145,13) Israele nella sua storia registra anche la realtà sia di una continua schiavitù, sia del male e per questo motivo si verifica, soprattutto con i profeti, una escatologizzazione della coscienza di fede ovvero: il regno è rinviato al futuro, quando ci sarà una nuova alleanza (cf Ger 31,31-34) e un nuovo esodo nell’apocalittica l’attesa del regno si accompagna con l’attesa di un nuovo eone, cioè di una nuova epoca (cf la visione dei quattro regni nel libro di Daniele, cap. 2)

40 Il contenuto della speranza legata al regno di Dio
il giudizio delle nazioni il glorioso raduno di Israele sotto la guida di Dio signore di tutti i popoli al monte Sion (cf Mi 4,1-4; Is 2,2-4) Il regno si realizzerà attraverso l’opera futura di un Messia (cf Is 11,1-5), instauratore di un regno di giustizia e di pace L’attesa di Israele si colloca in una visione della storia di natura religiosa. L’uomo biblico percepisce che non possiede da sé stesso pace, giustizia, libertà, vita, anzi la sua vita è costantemente minacciata e la giustizia calpestata; poiché l’uomo non è in grado di liberarsi dalle potenze del male ostili a lui la riconciliazione e la salvezza possono venire solo da Dio.

41 In Gesù incontriamo i due aspetti tipici del regno
L’uno riguarda la dimensione futura, escatologica del regno: “venga il tuo regno” (Mt 6,10/Lc 11,2) e le beatitudini, dove la connotazione futura propone la salvezza escatologica a categorie di persone ben individuate L’altro riguarda la sua dimensione presente: ora il regno trova adempimento: il tempo che i profeti avevano preannunciato e desiderato vedere è giunto (cf Mt 11,5). Nell’annuncio di Gesù il regno resta una realtà futura che, però, già irrompe nel presente attraverso la parola e l’evento Gesù. Molti detti e molte azioni di Gesù sembrano dimostrare che Gesù a volte parlava del Regno in qualche modo o in qualche misura già presente nel suo ministero. Questa pretesa di essere colui che dà inizio al regno nel presente provoca reazione e scandalo poiché ci si chiede se possa essere instauratore del regno, e quindi messia o figlio dell’uomo, uno sconosciuto con dei discepoli ignoranti ed attorniato dalla gente tra la più equivoca dell’epoca

42 Il regno è strettamente connesso con la persona storica di Gesù; lo testimoniano almeno sei luoghi gesuani l’annuncio inaugurale di Mc 1,15b: «il regno di Dio si è reso vicino»;il verbo al perfetto indica qualcosa a cui ci si sta approssimando a breve: non un futuro indeterminato ma un’imminenza strettamente legata alla sua persona Le cinque parabole della crescita: la semina in vari terreni (cf Mc 4,3-9), il seme che cresce da solo (cf Mc 26-29), il granello di senapa (cf Mc 4,30-32), la zizzania nel buon grano (cf Mt 13, 24-30) e il lievito nella pasta (cf Mt 13,33/Lc 19,20-21) Il detto della cacciata dei demoni (cf Lc 11,20) Il giudizio di Gesù sul Battista (cf Lc 7,28; Mt 11,11): lo stadio di Giovanni è superato e chi aderisce a Gesù è già oggi nella sfera del regno di Dio. Il regno nelle mani dei “violenti” (Lc 16,16/Mt 11,25) La presenza del regno (cf Lc 17,20-21); interrogato dai farisei sul tempo della venuta del Regno Gesù risponde: «il regno di Dio è in mezzo a voi».

43 Gesù unisce nell’annuncio del regno parola e azione; nei suoi gesti di sottrazione dell’uomo dall’oppressione del demonio mette all’opera una vera realizzazione, anche se parziale e preliminare, della liberante sovranità di Dio Gesù parla del mistero del regno in parabole usando l’immagine del seme (cf Mt 4,26-29), del granello di senape (cf Mc 4,30-32), del lievito (cf Mt 13,33). Per il fatto che il regno è venuto in Cristo, il presente è segnato dalla necessità di scegliere per o contro Gesù. Se per il Battista il regno è un giudizio minaccioso, per Gesù è offerta di salvezza, vangelo, buona novella Il regno inverte tutti i rapporti: le beatitudini ci mostrano il capovolgimento di tutti i valori. In particolare vengono proclamati beati i “poveri”, che sembrano diventare i cittadini del regno. I Poveri sono tutte quelle persone prive di mezzi e di aiuto, oppresse, disperate, odiate, maltrattate e oltraggiate. Gesù si mette dalla parte dei poveri (come tanti nell’AT) ma non trasfigura in modo romantico la povertà, né ne fa una rivendicazione

44 Il comportamento di Gesù si sintonizza con la sua predicazione
Egli sta con i piccoli ma anche con gli empi: è il compagno di pubblicani e peccatori, solidarizza con i declassati, diffamati, emarginati, gente che per mala sorte o per propria colpa o per causa dei pregiudizi sociali, non si inserisce nelle strutture di questo mondo In che cosa consistono questa beatitudine e salvezza? Esse rappresentano la guarigione dell’uomo, di tutto l’uomo, cioè, in definitiva, la remissione dei peccati e l’incontro con la misericordia sconfinata e immeritata di Dio, dal quale nasce la capacità di perdonare senza limitazione alcuna (cf Lc 17,3ss). «Il tempo della venuta del regno di Dio è il tempo dell’amore, il quale esige che noi ci accettiamo l’un l’altro. Questo amore, che non chiede e non rifiuta nulla, arresta la forza del male del mondo … spezza il cerchio diabolico di potere e contropotere, di colpa e vendetta. L’amore è il nuovo inizio e la concretizzazione della salvezza» l’amore divino «si esprime nell’accettazione dell’uomo da parte dell’uomo, nella distruzione di tutti i pregiudizi e di ogni barriera sociale, in un nuovo e spontaneo modo di comunicare tra gli uomini, nella cordialità fraterna, nella compartecipazione alla sofferenza e alla gioia

45 I segni del regno: i miracoli
Segni di misericordia: verso poveri, emarginati, peccatori Stare a mensa Perdono dei peccati Guarigione del paralitico (Mt 9,1-9) Episodio della peccatrice (Lc 7,36-50) Segni che “scandalizzano” rovesciando la mentalità corrente

46 Segni di potenza: esorcismi, guarigioni, miracoli sulla natura
La tradizione dei miracoli compiuti da Gesù si ritrova fin negli strati più primitivi dei vangeli i vangeli sinottici narrano sei esorcismi, diciassette guarigioni (di cui tre rianimazioni), otto miracoli sulla natura Diverso significato dei miracoli nei Vangeli: Marco: miracolo come segno della lotta di Gesù contro satana e le potenze del male. Matteo: i miracoli accompagnano e sono subordinati alla parola di Gesù. Luca: i miracoli fanno conoscere Gesù come benefattore e profeta escatologico. Giovanni: i miracoli sono segni che rinviano al Cristo e vanno accolti nella fede.

47 L’indagine storico-critica sui miracoli è giunta a tre risultati:
a) dal punto di vista letterario si rileva una tendenza ad amplificare e moltiplicare i miracoli e le proporzioni dei miracoli. Alcuni esempi: in Mc 1,34: “Gesù guarisce parecchi” ma Mt 8,16 scrive “Gesù guarì tutti”; la figlia di Giairo in Marco sta per morire, mentre in Matteo è già morta b) Una parziale riduzione del materiale nasce anche dal confronto con le storie di miracoli di provenienza rabbinica o ellenistica. Alcuni miracoli di Gesù hanno la stessa struttura di quelli di Apollonio di Tiana o di quelli avvenuti nel santuario di Asceplio a Epidauro. Questi miracoli extra evangelici hanno il seguente schema: gravità della malattia e insuccesso dei precedenti tentativi; narrazione del miracolo; testimoni presenti che lo approvano. Non mancano però differenze: ad esempio Gesù non chiede mai un compenso né nei racconti di miracoli non neotestamentari viene mai richiesta la fede.

48 Esiste chiaramente un nucleo storicamente molto esteso di miracoli comprovato da tre ordini di argomenti: 1) la tradizione dei miracoli sarebbe inspiegabile senza il ricordo di quanto fatto realmente da Gesù durante la sua vita terrena 2) Tale tradizione può essere analizzata con i criteri di storicità Il più importante criterio è la molteplice attestazione delle fonti e delle forme. Le fonti sui miracoli sono numerose e sono molteplici anche le forme letterarie. Quanto al criterio della discontinuità, la tradizione dei miracoli se da un lato non può certo dirsi discontinua rispetto alla cultura pagana e giudaica circostante in cui esistono molte tradizioni di miracoli, dall’altro è anche vero che nel contenuto e nella forma si tratta di eventi piuttosto diversi. Quanto all’imbarazzo, a volte gli esorcismi compiuti da Gesù lo esponevano all’accusa di essere alleato del demonio, un rimprovero davvero troppo odioso per essere frutto di invenzione. 3) Alcuni racconti sono troppo particolareggiati e senza alcuna tendenziosità come in Mc 1,29-31 o in Mt 11,20-22.

49 In conclusione con assoluta certezza possiamo dire che esiste un nucleo molto ampio di miracoli: Gesù ha operato come taumaturgo e ha compiuto opere straordinarie che hanno lasciato stupefatti i contemporanei. Valgano su tutte queste parole di Meier: «l’affermazione che Gesù ha operato da esorcista e guaritore e tale è stato considerato durante il suo ministero pubblico vanta in suo favore molta e solida documentazione storica, al pari di quasi tutte le altre affermazioni che possiamo fare sul Gesù della storia. In verità, in quanto affermazione globale su Gesù e il suo ministero, essa gode di un’attestazione molto migliore rispetto a numerose altre asserzioni fatte su Gesù, asserzioni che spesso vengono date per scontate. Ampiamente presente nei vangeli e senza dubbio nel suo ministero concreto, l’attività taumaturgica di Gesù ha ricoperto un ruolo essenziale nella sua capacità di attirare l’attenzione, sia in senso positivo che in senso negativo. […] Qualsiasi storico che cerchi di dipingere il ritratto del Gesù storico senza dare il dovuto peso alla sua fama di taumaturgo non sta tracciando il profilo di questo ebreo strano e complesso, ma piuttosto sta delineando un Gesù addomesticato che ricorda il mellifluo moralista creato da Thomas Jefferson»

50 Che cosa significa “Miracolo”
Secondo un’interpretazione del passato «il miracolo è un evento percepibile, che trascende le possibilità naturali e viene prodotto dall’onnipotenza divina infrangendo, o per lo meno eludendo, le causalità naturali, per cui serve a confermare la rivelazione della Parola divina» Definizione insostenibile scientificamente e teologicamente

51 Che cos’è un miracolo 1) un evento insolito, sorprendente, o straordinario, che in linea di principio è percepibile da qualsiasi osservatore interessato e “mentalmente onesto” 2) un evento che non trova alcuna spiegazione ragionevole nelle capacità umane o in altre forze note che operano nel nostro mondo spazio-temporale 3) un evento che è il risultato di un atto speciale di Dio, che realizza quello che nessun potere umano è in grado di fare

52 Sul piano storico sono accertabili solo i primi due aspetti mentre la decisione secondo cui l’evento particolare è un miracolo compiuto da Dio resta di pertinenza dell’ambito della filosofia e della teologia La critica della filosofia al miracolo (Spinoza, Hume) si reggeva su presupposti non di natura storica ma filosofica; nel caso dell’illuminismo e del deismo l’idea condivisa che l’universo fosse un sistema chiuso, governato da leggi eterne e immutabili create da Dio (visione meccanicistica), escludeva che Dio intervenisse violando le leggi che lui stesso aveva stabilito, perché diversamente sarebbe andato contro se stesso e la sua natura nell’orizzonte della fede i miracoli sono di sicuro eventi straordinari che suscitano lo stupore e la meraviglia dell’uomo, ma lo sguardo non deve essere rivolto alla natura e alle sue leggi ma a Dio creatore; essi scaturiscono dall’iniziativa personale di Dio e sono opera di Dio

53 Nel contesto della predicazione di Gesù, i miracoli sono segni del regno di Dio che sta irrompendo nella storia, segni che attestano che la salvezza riguarda tutto l’uomo, segni che riconciliano la realtà liberandola dalle forze del male. Non è legittimo considerare e definire i miracoli solo come una violazione delle leggi naturali, né separarli dall’annuncio del regno che Gesù realizza; in questo senso, i miracoli manifestano la missione e l’autorità di Gesù. Per riassumere: 1) i miracoli costituiscono l’adempimento dell’AT e con essi Gesù ricapitola l’AT (cf Mt 11,5ss). Questa caratteristica li contraddistingue dagli incantesimi e dai miracoli dei taumaturghi del periodo ellenistico del tempo di Gesù. 2) Nei miracoli di Gesù la potenza di Dio si manifesta nell’oscurità, nel nascondimento, nell’equivocità e nello scandalo 3) Il fine dei miracoli è rendere disponibile l’uomo alla sequela, provocarlo alla fede mediante la sequela di Gesù e la condivisione della sua missione. Propriamente i miracoli sono segni per la fede


Scaricare ppt "Gesù di Nazaret tra storia e fede"

Presentazioni simili


Annunci Google