A proposito di diversità Per comprendere il legame fra immaginale, patologia (sintomo) e psicologia del profondo, ci viene in aiuto un racconto del grande poeta dell’anima Fernando Pessoa: “ L’ora del diavolo”. Nel racconto il Signore delle Tenebre viene rappresentato come il Signore dell’Immaginazione, della Notte e del Sogno. Il Diavolo e una signora dialogano; qui di seguito un passo emblematico, quando la signora si rende conto di trovarsi di fronte al diavolo
“Ma, se il mondo è azione, com’è che il sogno fa parte del mondo?” “E’ che il sogno, signora, è un’azione divenuta idea; e che, perciò, conserva la forza del mondo e ne ripudia la materia, cioè l’essere nello spazio. Non è forse vero che siamo liberi nel sogno?” “Sì, ma è triste il risveglio…” “Il buon sognatore non si sveglia. Io non mi sono mai svegliato. Dio stesso dubito che non dorma. Già una volta me lo ha detto…” Lei lo guardò con un sussulto ed ebbe improvvisamente paura, un sentimento dal più profondo dell’anima, che non aveva mai provato. “Ma, insomma, Lei chi è? Perché è così mascherato?” “Rispondo, con una sola risposta, alle sue due domande: non sono mascherato”. “Come?”. “Signora, io sono il Diavolo. Si, sono il Diavolo. Ma non mi tema e non trasalisca”. E in un batter d’occhi di terrore estremo, in cui affiorava un piacere nuovo, ella riconobbe, all’improvviso, che era vero. “Sono proprio il Diavolo. Non si spaventi, però, perché sono il Diavolo, per l’appunto, e perciò non faccio male………Stia dunque tranquilla. Corrompo, certo, perché faccio immaginare…..Sono il Dio dell’Immaginazione, perduto perché non creo. E’ grazie a me che, bambina, hai sognato quei sogni che sembrano giochi; è grazie a me che, già donna, la notte hai potuto abbracciare i principi e i dominatori che dormono al fondo di quei sogni. Sono lo Spirito che crea senza creare, la cui voce è fumo, e la cui anima è un errore. Dio mi ha creato perché io lo imitassi, di notte. Lui è il Sole, io sono la Luna. La mia luce si libra su tutto ciò che è futile o finito, fuoco fatuo, sponde del fiume, paludi e ombre……Quando, nei lunghi pomeriggi caldi, sognavi tanto da sognare di sognare, non hai visto passare, nel fondo dei tuoi sogni, una figura velata e rapida, quella che ti avrebbe dato tutta la felicità, quella che ti avrebbe baciato indefinitamente? Ero io. Sono io. Sono colui che hai sempre cercato e che mai potrai trovare. Forse, nel fondo immenso dell’abisso, Dio stesso mi cerca, affinchè io lo completi, ma la maledizione del Dio Più Vecchio – il Saturno di Geova – aleggia su di lui e su di me, ci separa, quando avrebbe dovuto unirci, affinchè la vita e ciò che desideriamo da lei fossero una cosa sola. L’anello che usi e ami, l’allegria di un pensiero vago, il sentirti bene di fronte allo specchio in cui ti guardi – non illuderti: non sei tu, sono io. Sono io che lego bene tutti i lacci con cui le cose si decorano, che dispongo esattamente i colori con cui le cose si adornano. Di tutto quanto non vale la pena di essere io faccio il mio dominio e il mio impero, signore assoluto dell’interstizio e dell’intermedio, di ciò che nella vita non è vita.”
Nel corso degli ultimi anni è aumentato considerevolmente il numero di alunni che presentano varie tipologie di difficoltà le quali non sono riconducibili alle principali classificazioni, ma che avanzano agli insegnanti richieste di interventi “curvati” sulle loro caratteristiche peculiari che derivano dalla loro situazione peculiare. Una situazione di “difficoltà” la quale, non rientrando nei parametri delle classificazioni dell’OMS (l’ICF è una delle più importanti) non possono essere “certificati” ed avere, di conseguenza, una diagnosi funzionale che consenta loro di seguire un “percorso scolastico” ad hoc. Con il DPCM n.185 del 23 febbraio 2006 è cambiato (in senso “restrittivo”) il regolamento per la certificazione dell’handicap ai fini dell’inserimento scolastico in quanto le attività di sostegno andranno rivolte ai soli alunni che presentano una minorazione fisica, psichica o sensoriale stabilizzata e progressiva. Dott.ssa Cristina Baronti
Quanto sopra esposto comporta che gli alunni, i quali presentano deficit non gravi né progressivi, non possano avere un aiuto ulteriore costituito dalla presenza del docente di sostegno: succede che sia loro sia i rispettivi insegnanti vivano esperienze difficili in quanto i primi non vedono nessun vantaggio nel frequentare la scuola e i secondi si sentono in difficoltà nell’affrontare e nel gestire situazioni che non rientrano nella “norma”. Si tratta di ragazzi che non “stanno bene” a scuola, che la subiscono. Dott.ssa Cristina Baronti
Fioroni con la Direttiva 18 aprile 2007 parlò di “ben-essere” dello studente ed elencò queste 10 aree di intervento: 1. promuovere stili di vita positivi, contrastare le patologie più comuni, prevenire le dipendenze e le patologie comportamentali ad esse correlate; 2. prevenire obesità e disturbi dell’alimentazione (anoressia e bulimia); 3. rispettare e vivere l’ambiente per una migliore qualità della vita; 4. promuovere e potenziare l’attività motoria e sportiva a scuola per essere sportivi consapevoli e non violenti; 5. promuovere il volontariato a scuola; 6. sostenere la diversità di genere come valore (sessualità, identità, comunicazione e relazione); 7. accogliere e sostenere gli studenti con famiglie straniere, adottive e affidatarie; 8. promuovere la cultura della legalità ed educare alla cittadinanza attiva in Italia e in Europa anche attraverso lo studio della nostra Costituzione. Prevenire e contrastare il bullismo e la violenza dentro e fuori la scuola; 9. prevenire gli incidenti stradali attraverso la conoscenza delle regole di guida e il potenziamento dell’educazione stradale; 10. promuovere il corretto utilizzo delle nuove tecnologie. Dott.ssa Cristina Baronti
L’alunno che “avverte” di non essere in grado di leggere in modo funzionale allo studio e all’apprendimento delle varie materie di studio prova un profondo disagio anche nella comunicazione e nella relazione con gli adulti e con i coetanei; spesso “nasconde” o “camuffa” questo disagio con comportamenti provocatori; oppure è disattento, agitato, disturba il normale svolgimento delle lezioni. Ad un’osservazione superficiale questi comportamenti ed atteggiamenti vengono attribuiti a scarso interesse, svogliatezza, basso livello di autostima. Inoltre piò verificarsi che l’alunno non venga posto nella condizione – sia da parte dei docenti sia da parte dei compagni (che molte volte lo deridono) – di manifestare la reale condizione che sta vivendo correndo il rischio che tale comportamento e tale situazione portino l’alunno ad isolarsi dal contesto-classe fino ad abbandonare gli studi. Dott.ssa Cristina Baronti
Gli alunni che presentano queste e altre difficoltà, ma che non sono “certificati” vengono identificati con l’acronimo BES (Bisogni Educativi Speciali) con il quale si indica «una qualsiasi difficoltà evolutiva in ambito educativo ed apprenditivo,espressa in funzionamento (nei vari ambiti della salute secondo il modello ICF dell’Organizzazione mondiale della sanità) problematico anche per il soggetto, in termini di danno, ostacolo o stigma sociale, indipendentemente dall’eziologia e che necessita di educazione speciale individualizzata» Definire e ricercare i Bisogni Educativi Speciali non significa “fabbricare” alunni diversi per poi emarginarli o discriminarli in qualche modo. Significa rendersi conto delle varie difficoltà, grandi e piccole, per sapervi rispondere in modo adeguato (Janes 2005). Esistono anche soggetti che vengono classificati con l’acronimo EES (Esigenze Educative Speciali): si tratta di persone caratterizzate da qualsiasi difficoltà evolutiva nell’ambito dell’educazione e dell’apprendimento caratterizzata da un funzionamento problematico (danno, ostacolo, stigma sociale). Dott.ssa Cristina Baronti
La Direttiva del 24 dicembre 2012 individua e definisce meglio la situazione dei soggetti BES; un passaggio importante è rappresentato dalle affermazioni seguenti: «Gli alunni con disabilità si trovano inseriti all’interno di un contesto sempre più variegato, dove la discriminante tradizionale – alunni con disabilità/alunni senza disabilità – non rispecchia pienamente la complessa realtà delle nostre classi. Anzi, è opportuno assumere un approccio decisamente educativo, per il quale l’identificazione degli alunni con disabilità non avviene sulla base della eventuale certificazione, che certamente mantiene utilità per una serie di benefici e di garanzie, ma allo stesso tempo rischia di chiuderli in una cornice ristretta. Dott.ssa Cristina Baronti
A questo riguardo è rilevante l’apporto, anche sul piano culturale, del modello diagnostico ICF (International Classification of Functioning) dell’OMS, che considera la persona nella sua totalità, in una prospettiva bio-psico-sociale. Fondandosi sul profilo di funzionamento e sull’analisi del contesto, il modello ICF consente di individuare i Bisogni Educativi Speciali (BES) dell’alunno prescindendo da preclusive tipizzazioni. In questo senso, ogni alunno può presentare Bisogni Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta» Dott.ssa Cristina Baronti
L’assenza di certificazione non consente all’alunno di accedere alle provvidenze ed ai servizi previsti dalle legge 104; nonostante la mancata presenza dell’insegnate di sostegno, gli insegnanti curricolari sono emotivamente e professionalmente impegnati nella elaborazione di strategie di intervento “curvate” sulle caratteristiche peculiari di ”quel” determinato alunno affinché riduca (o elimini) la negatività della sua situazione. Gli insegnanti, soprattutto, devono osservare attentamente (esistono al riguardo molte schede di osservazione) e sistematicamente l’alunno, già dalla scuola dell’infanzia, poiché una individuazione tempestiva di un deficit consente agli insegnanti e ai genitori di predisporre gli interventi più opportuni. Questa considerazione si attaglia soprattutto ai soggetti con DSA in quanto le difficoltà e/o i disturbi dell’apprendimento vengono ritenuti meno gravi di un altro deficit e, di conseguenza, i genitori, soprattutto, sottovalutano, in alcuni casi, la gravità del problema. Dott.ssa Cristina Baronti
Cristina D.ssa Baronti Il rischio di rinunciare a propugnare un concetto di disabilità come realtà Complessa Come prodotto dell’interazione tra un danno, un’inadeguatezza, una diversità e gli atteggiamenti sociali emarginanti è molto alto Infatti
Cristina D.ssa Baronti Pensiamo al bambino/ragazzo disabile quasi sempre in termini di apprendimento di attività Ma non relativamente al suo tempo libero Il tempo libero è in questo caso tempo dell’inesistente, tempo del nulla, della non-presenza. E’ da questo livello di affetti spontanei che spesso il bambino disabile viene escluso
Cristina D.ssa Baronti Combattere la logica tecnicistica non significa negare o rifiutare la tecnica, bensì volerla ricondurre alla sua natura di mezzo La pedagogia, fuori dalla logica tecnicistica, come scienza che studia i bisogni specifici opera Evitamento di costruzione di falsi sé Decondizionamento di apprendimenti (nella gestione) Decontaminazione degli apprendimenti spesso troppo meccanici, evanescenti, non trasferibili in ambiti diversi da quello scolastico, pertanto inutili Cura per l’aspetto motivazionale Pre-requisiti di carattere logico-affettivo che rendono l’apprendimento desiderato, possibile e ragionevole.
Cristina D.ssa Baronti La correlazione Diagnosi terapia/cura guarigione Diagnosi cura non guarigione Cronicizzazione/morte Derivano da una concezione della salute come qualcosa di assolutistico, come assenza totale della malattia depersonalizzazione
Cristina D.ssa Baronti “Parlare di affetti, di motivazione, di necessità di ricomporre le trame lacerate di un’identità diversa non contraddice l’occuparsi anche di metodologie rieducative, ma, anzi, è l’unico modo per dare a questo tipo di ricerca un significato più alto del semplice rassicurarci della ns. identità di “normali”, sulla ns. capacità non solo di tollerare…..ma curare, guarire” (Galanti, 2001)
Cristina D.ssa Baronti Può fondarsi nel sottolineare l’importanza in ambito educativo della relazione interpersonale intesa come contesto (contenitore) affettivo della situazione di apprendimento Un insegnante, un educatore devono in primis imparare le competenze relazionali necessarie in tutte le professioni di aiuto: Ascolto attivo Gestione di un setting relazionale
Cristina D.ssa Baronti Parlare di diversità, facendo riferimento a condizioni di malattia o di handicap di varia natura, non genera associazioni gioiose di idee né pensieri leggeri e consolanti. Nell’affrontare queste tematiche si corre il rischio di esorcizzare il disagio attraverso la retorica della solidarietà.
Cristina D.ssa Baronti Fra i vari atteggiamenti che si possono assumere nei confronti di un soggetto portatore di una disabilità o di un disagio, due ricorrono in modo particolare: Il rifiuto La iperprotezione
Cristina D.ssa Baronti Entrambi hanno in comune un’unica visione: Collocare il soggetto portatore di un disagio o di una patologia in un ambito intermedio tra mondo dell’inanimato e mondo della soggettività Cercherò di essere più chiara
Cristina D.ssa Baronti Si è riconosciuti come soggetti quando siamo portatori di una progettualità trasformatrice della propria esistenza (cioè di se stessi e del contesto ambientale nel quale si interagisce). Poter dare significato alle cose, agli eventi (anche se domanderemo “perché proprio a me?”) Guardare le cose in modo diverso, sfruttare prospettive completamente differenti leggere il problema da un punto di vista differente è la prima mossa per cambiare eventi ed orientarli in una direzione a noi favorevole In altre parole non si è soggetti se non abbiamo desideri (progetti) da realizzare, se non siamo capaci di desiderare ( Mito di Persefone)
Cristina D.ssa Baronti Cosa sanziona??? Sia l’atteggiamento rifiutante che quello iperprotettivo, cristallizzano il danno, identificano la patologia col soggetto che ne è portatore; L’immagine di quel soggetto, sia per sé che per gli altri, coincide con la sua inadeguatezza (sia in termini di deficit che di bizzarria) Questi atteggiamenti sono il retaggio ancestrale di una cultura passata Storicamente chi era nella dimensione del minus habens era considerato superfluo se non dannoso e la soluzione era quella di gettarli dalle rupi o abbandonarli nei boschi
Cristina D.ssa Baronti Questo retaggio permane nei substrati più reconditi della coscienza, in quei luoghi che Freud definì dell’umbratile, dove convivono, senza contraddizione, La moderna ideologia di tolleranza, comprensione razionale e accettazione Le più arcaiche e irrazionali paure, i sentimenti e le emozioni inammissibili ed indicibili Che si accompagnano alle dimensioni altre ed entrano nella relazione con il diverso
Cristina D.ssa Baronti Entriamo in contatto con Caducità Debolezza Inadeguatezza della coscienza Fragilità Sofferenza del corpo Tutte condizioni che toccano anche soggetti che sono considerati “normali” Senso di colpa per la ns. condizione fortunata Una sorta di paura del contagio (quasi che convivere a fianco di tali debolezze ed imperfezioni ce ne rendesse in qualche modo “schiavi”)
Cristina D.ssa Baronti Allora il debole, il malato, il diverso, il disabile di qualsiasi natura, ci costringe a fare i conti con le proprie debolezze, malattie, disabilità; Rifiutandolo, lo usiamo inconsapevolmente per allontanare da noi parti, reali o possibili, fortemente temute o rifiutate Diviene lo specchio negativo delle nostre ansie, timori, della nostra inadeguatezza Lo definiamo in negativo rispetto a noi, per quello che non possiede Paradossalmente è lui quello che ha meno strumenti, che è meno veloce, che è più confuso a dover adeguare il suo passo al nostro per rincorrere la nostra normalità.
Cristina D.ssa Baronti Ribaltare la prospettiva Dovremmo misurare la nostra incapacità di raggiungerlo, nella sua dimensione, di farci vicini, noi che abbiamo gli strumenti culturali ed affettivi Così paradossalmente comprendere la diversità di un altro, legata alla sua malattia o al suo confuso e bizzarro modo di porsi in relazione con le cose e con gli altri, significa semplicemente accettare la necessità ed il valore di conoscere prima di tutto se stessi.