Il postfordismo (toyotismo)

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Transcript della presentazione:

Il postfordismo (toyotismo) I quattro punti del paradigma fordista vengono esattamente rovesciati: Saturazione dei mercati Produzione snella (o flessibile) Concezione monistica (egemonica) della produzione Deterritorializzazione del capitale

1. Saturazione dei mercati In Italia, 1.500 telefonini, oltre 600 auto per 1000 abitanti Mercato di sostituzione dei principali beni di consumo Esaurimento delle risorse fisiche ed energetiche Competizione globale tra i produttori ma mercati limitati (in espansione solo in aree limitate) Forte spinta all’innovazione (rapida obsolescenza) Esiste un LIMITE interno alla crescita?

1. Il mercato dell’auto 20 milioni di auto circolanti prima della Seconda Guerra; (incremento medio annuo del 10%; raddoppio ogni decennio) 53 mln nel 1950; 98 mln nel 1960; 195 mln nel 1970; 500 mln nel 1986; 1000 mln nel 2010; Eppure: oltre l’80% dell’umanità è appiedato (un terzo dell’umanità non ha accesso all’elettricità, due terzi non hanno mai fatto una telefonata)

(segue) La produzione mondiale di auto Auto+VC (in migliaia) 1999 2007 2008 2010 2014 Usa 13.024 10.780 8.693 7.761 11.660 Giappone 9.895 11.596 11.575 9.625 9.774 Germania 5.687 6.213 6.045 5.905 5.907 Cina 1.829 8.882 9.299 18.264 23.722 ITALIA 1.701 1.284 1.023 857 697

1. La saturazione dei mercati (occidentali) Limiti sociali ed ecologici alla crescita La produzione si muove in un ambiente anelastico Il mercato è ora la vera VARIABILE INDIPENDENTE

1. Mercati saturi e produzione Dimensione temporale ridotta (no pianificazione) Razionalità processuale (trial and error), elasticità rispetto alla domanda Ipercompetizione (logica della guerriglia anziché guerra di posizione; anche chi sta vincendo deve saper cambiare le regole)

2. La produzione snella (lean production) o “doing more with less” Taiichi OHNO, Lo spirito Toyota, 1988, e il Toyota production system (fin dagli anni Cinquanta) Una rivoluzione organizzativa per “sopravvivere un'epoca di crescita lenta”, in cui «un sistema produttivo basato sulla quantità [...] non è più funzionale» (soprattutto in Giappone) Imperativo n. 1: «combattere gli sprechi»

8 tipi di sprechi (muda) sovra-lavorazione, compiere più lavorazioni di quelle richieste dal cliente sovra-produzione, produrre più unita' di quelle richieste dal cliente ri-lavorazione, compiere più volte un processo o parte di esso per eliminare errori a monte giacenza, in generale lo stock puo' essere definito come spreco intelletto, non utilizzare/esprimere idee migliorative/capacita' degli operatori trasporto, spostamento di materiale inutile movimento, spostamento/movimento inutile compiuto dall' operatore attesa (tempi morti)

I principi della produzione snella Produzione accorciata e sincronizzata: meno passaggi, meno tempi morti Produzione senza scorte, i pezzi devono arrivare JUST IN TIME Autoattivazione e lavoro di squadra: la forza lavoro passa da mansioni esecutive a controllo + risoluzione dei problemi

2. La produzione snella secondo Revelli Il sistema Toyota sottopone l'organizzazione aziendale, il corpo dell'impresa allo stesso trattamento cui Taylor aveva sottoposto il corpo del singolo operaio: La fabbrica come «tubo di cristallo»: mettendo la fabbrica “in trazione” vengono a galla le “sacche di grasso” (aree improduttive) L’INTEGRAZIONE tra le varie fasi non attraverso un controllo esterno (il cronometrista) ma attraverso lo stesso funzionamento produttivo (è nella “forza delle cose”)

2. Produzione snella e occupazione Si rompe definitivamente il rapporto (già prima non direttamente proporzionale, grazie alla continua crescità della produttività) tra produzione e occupazione; nel nuovo modello produzione e disoccupazione crescono insieme! (“jobless recovery”) Una parte considerevole dell’antico apparato burocratico diventa inutile (magazzinieri, controllori, gestori del personale); La FIAT e l’adozione della «qualità totale» (1989)

2. La produzione snella e la comunicazione «Pensare all’inverso» (rovesciare il punto di osservazione) La comunicazione da valle a monte: il flusso informativo va controcorrente rispetto a quello produttivo, permettendo di adeguare quest’ultimo alla domanda Di qui il KANBAN: la produzione si autoregola, non si pianifica Decisioni decentrate e in tempo reale (contro la separazione taylorista tra pianificazione ed esecuzione)

La sovrapposizione tra comunicazione e produzione La produzione richiede la comunicazione, lì dove il modello fordista la considerava un disturbo; La comunicazione del lavoratore è una risorsa La comunicazione da valle a monte comprende la distribuzione dei prodotti (cfr. i lettori ottici nei supermercati)

2. Produzione snella (riassunto) La produzione non produce il mercato, ma l’offerta deve inseguire ed adattarsi in tempo reale alla domanda (sul mercato e in fabbrica) Questo impone di strutturare il processo produttivo nel modo più flessibile possibile, evitando qualsiasi rigidità (dai macchinari alla forza lavoro) Non più “gorilla ammaestrati” ma una forza lavoro che sappia leggere il flusso di informazioni, adattarsi ai cambiamenti, lavorare comunicando

3. Concezione monistica (egemonica) della produzione La produzione non è più vista come l’esito di un conflitto ma come il risultato di un processo organico ed unitario Il principio dell’autoattivazione e quello del lavoro di squadra (teamwork): distribuzione delle responsabilità e del controllo; Non c'è più il dogma della continuità assoluta del ciclo lavorativo; i lavoratori possono arrestare la catena di montaggio, segnalare innovazioni, hanno più margine di decisione e di intervento; Linee a U della Toyota + Unità tecnologiche elementari (Ute), strutture polimorfe (guidate da un “capo”) che possono mutare le mansioni in base alle esigenze”

La forza lavoro postfordista Rotazione e ampliamento mansioni ma anche disponibilità alla mobilitazione totale, senza schemi prefissati: la forza lavoro deve interpretare i segnali provenienti dall'esterno e sapersi adattare ad essi; Toni meno formali e più «amichevoli» ma che richiedono una maggiore adesione del lavoratore ai fini dell’impresa «DECENTRAMENTO DEL CONTROLLO»

Es. Le UMI alla Olivetti (1971)

Es. Le UMI alla Olivetti (1971)

MAGGIORE AUTONOMIA DEL LAVORO? Le nuove condizioni di lavoro riportano "la persona" al centro delle rivendicazioni. Migliorano le condizioni di lavoro (lavoro di squadra e job rotation). CONTRO: Le decisioni “delegate” sono solo quelle NON strategiche; soltanto perché (e finché) i fini sono ampiamente condivisi L'orizzonte dell'autonomia dei lavoratori si riduce a quello della fabbrica, e il rapporto di lavoro si personalizza, incentrandosi sulla fedeltà personale.

Il metodo andon Un tabellone luminoso e visibile a tutti indica i pezzi lavorati e (su segnalazione degli operai) eventuali ritardi di lavorazione (VERDE, GIALLO, ROSSO) Se il segnale resta acceso a lungo, tutta la linea si ferma Consente aggiustamenti continui, progressiva velocizzazione della linea, taratura dei compiti, SENZA controllo esterno L’ideale NON è la completa assenza di segnalazioni

«Tutto si muoveva in maniera liscia sulla nostra linea quando arrivo Mr. Ohno e gli ho fatto vedere la produzione. Nessun andon si è acceso per indicare problemi, e la linea non si è mai fermata. Stavo iniziando a preoccuparmi. E, naturalmente, anche Mr. Ohno sembrava irritato quando siamo arrivati più o meno a metà della linea. “Avete troppe persone sulla linea. Dovete sempre mettere tante persone sulla linea fino al livello in cui essa si ferma intorno a 10% del tempo. Quello è l’unico modo per assicurarsi che i problemi saltino fuori. Le persone pensano che tutto è perfetto se la linea si sta muovendo. Ma ciò è profondamente sbagliato. Anche se state operando al 98%, avete troppe persone sulla linea. Non potete permettervi di essere orgogliosi di una linea che continua a muoversi».

Dal controllo esercitato al controllo esercitabile (Foucault) Management by stress «Il cronometro passa nelle mani del lavoratore» La peer-pressure (pressione sociale tra pari): vedi la scelta di non sostituire i lavoratori assenti

Le contraddizioni del postfordismo > Aumenta il divario tra esigenze produttive e occupazionali (la «competitività» va a scapito del lavoro). > La nuova fabbrica richiede «collaborazione» alla forza lavoro, ma sollecita aspettative che non può mantenere (autonomia vs. controllo) > Un sistema perfettamente sincronizzato è anche un sistema vulnerabile (ma da chi?)

4. Deterritorializzazione del capitale Globalizzazione commerciale (aumenta l’importanza dei mercati esteri rispetto a quello nazionale) Globalizzazione produttiva (aumentano le parti del ciclo produttivo dislocate all’estero) Globalizzazione finanziaria (aumenta la circolazione dei capitali con i quali le imprese finanziano i propri investimenti) – diversa è invece la finanziarizzazione: aumento del capitale finanziario rispetto al capitale produttivo

4. Deterritorializzazione 5 fasi nell’integrazione globale dell’impresa (OHMAE 1990) Export attraverso commercianti o distributori locali Distribuzione in proprio all’estero Produzione, marketing e vendite in alcuni mercati esteri Trasferimento all’estero dei settori chiave (R&D) Scioglimento orizzontale dell’impresa-network (impresa e organizzazione produttiva non coincidono)

Un esempio di “merce globale” (Robert Reich) “Il cittadino americano che, ad esempio, compera dalla General Motors una Pontiac Le Mans si impegna inconsapevolmente in una transazione internazionale. Dei 10.000 dollari pagati alla GM, circa 3000 vanno alla Corea del Sud per montaggi e lavori eseguiti da operai generici, 1750 dollari vanno al Giappone per componenti avanzati (motori, alberi di trasmissione ed elettronica), 750 dollari alla Germania occidentale per la progettazione stilistica e tecnica, 400 dollari a Taiwan, a Singapore e ancora al Giappone per l'acquisto di piccoli componenti, 250 dollari alla Gran Bretagna per servizi pubblicitari e di marketing e circa 50 dollari all'Irlanda e alle Barbados per l'elaborazione dati”

Gli effetti della deterritorializzazione Non più economie nazionali più o meno integrate ma “a single world-wide capitalist system” Catene globali del valore: dal MAKE al BUY Race to the bottom e dumping fiscale

Una transizione storica? Weber e «l’alleanza forzata» tra stato e capitale “Il potere economico detta ora le regole all’antico sovrano” La separazione tra lo spazio dell’economia e lo spazio della politica: ciò che è bene per la FCA.. Scelte politiche soggette al “voto” dei mercati (cfr. gli accordi sulla protezione degli investimenti e il TTIP)

Una lettura alternativa La finanziarizzazione delle imprese come chiave di lettura delle trasformazioni organizzative avvenute negli ultimi trent’anni Spostamento dell’attenzione dalla sfera della produzione alla sfera dell’accumulazione: D-M-D’ / D-D’ TESI: Dalla separazione tra proprietà e controllo (Berle e Means, The Modern Corporation and Private Property, 1932), al “ritorno degli azionisti” (stakeholder/shareholder).

Il “finance-based model” Il capitalismo degli investitori (di origine anglosassone, centrato sulle borse e non sulle banche) L’impresa da organizzazione produttiva a «portafoglio di investimenti», «nesso di contratti» I manager come espressione degli azionisti, tesi alla massimizzazione dell’investimento Il profitto non come differenza tra ricavi e costi ma come differenza di valore azionario nel tempo

I dilemmi delle imprese finanziarizzate Breve/lungo periodo Estrazione di valore/creazione di valore I mercati influenza i metodi di gestione della contabilità, la scelta del management, le scelte strategiche: segmentazione del processo produttivo / l’abbattimento delle dimensioni occupazionali / focalizzazione sul core business (es. il «downsizing» premiato dal mercato)

La finanziarizzazione e il lavoro Contro la retorica postfordista dell’appartenenza “organica” dei lavoratori al contesto produttivo, le “risorse umane” devono diventare “indefinitamente sostituibili”; Unità produttive non indispensabili possono generare liquidità per investire sui mercati; L’esternalizzazione estende alle imprese medie e piccole il processo di finanziarizzazione (attraverso il controllo inter- imprenditoriale, più efficace di quello gerarchico “interno”)

Globalizzazione, finanziarizzazione e mondo del lavoro (cfr. parte III) Fine dei «trenta gloriosi» (1945-1975): crisi fiscale, del welfare, delle relazioni industriali (cd. compromesso fordista-keynesiano) Segmentazione, precarizzazione, deregolazione del mercato del lavoro Scomparsa del confine interno/esterno (impresa ≠ organizzazione produttiva)