LE RISPOSTE PSICOLOGICHE ED EMOZIONALI DELLA FAMIGLIA ALLA MALATTIA

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Transcript della presentazione:

LE RISPOSTE PSICOLOGICHE ED EMOZIONALI DELLA FAMIGLIA ALLA MALATTIA Dr.ssa Katia Marilungo Psicologa Psicoterapeuta Psiconcologa

L’IMPATTO DELLA MALATTIA SULLA FAMIGLIA E SULLE SUE RELAZIONI

La FAMIGLIA è un gruppo naturale che ha caratteristiche strutturali e funzionali specifiche, ma anche contraddittorie ha la necessita di proteggere e far crescere il bambino e al tempo stesso di abituarlo a fare a meno di queste cure. Questa contraddizione è riscontrabile al momento dell’impatto della famiglia con la diagnosi di cancro

Le caratteristiche strutturali di una famiglia sono: > differenza di genere > differenza di generazione > natura dei legami affettivi > norme culturali legate alla tradizione Le caratteristiche funzionali sono: > nutrimento concreto e affettivo > identificazione sessuale > socializzazione

Perché una famiglia subisce una contraddizione quando entra in contatto con la diagnosi? La diagnosi pone la famiglia di fronte ad una contraddizione: il buon funzionamento della famiglia è impedito dal fatto che il congiunto dopo la diagnosi viene visto non come colui che è in grado di uscire dalla famiglia, ma come chi dovrà rimanerci fino alla morte.

Nel suo ciclo vitale la famiglia può trovarsi ad affrontare anche eventi traumatici (paranormativi), non previsti, come la malattia oncologica; per sopravvivere è obbligata a repentini cambiamenti in termini di riorganizzazione di ruoli e responsabilità. Tale capacità di cambiare la struttura di potere, le relazioni di ruolo, le regole di relazione è definita ADATTABILITA’. L’ADATTAMENTO e il CONTENIMENTO DELLA SOFFERENZA EMOTIVA saranno più o meno efficaci sulla base della qualità delle relazioni familiari.

La malattia oncologica rappresenta un evento stressante per tutta la famiglia e può avere un effetto devastante su tutto il sistema di relazioni nella maggioranza dei casi può creare un profonda rivalutazione delle priorità e rafforzare i legami. altre volte, la ristrutturazione che ne consegue può creare delle difficoltà sotto forma di modelli relazionali disfunzionali.

La famiglia va considerata come un sistema colpito dal cancro, i cui membri condividono una stessa esperienza che causa un distress reciproco e interdipendente. Tutti i componenti, si trovano di fronte alla malattia e ciò comporta una sofferenza di vario grado che può compromettere il processo di adattamento, che si realizza in condizioni emotivamente difficili e spesso con risorse limitate. La VULNERABILITA’ e l’ADATTABILITA’ nell’affrontare tale esperienza dipende dalla qualità delle relazioni familiari, collegata a caratteristiche relazionali precedenti alla malattia.

Si possono individuare dei fattori prognostici positivi di adattamento: > coesione (i cui estremi ipercoinvolgimento e disimpegno sono considerati patologici) > assenza di conflittualità > adeguata espressività emotiva > adattabilità (plasticità emotiva) > stadio dello sviluppo > organizzazione > storia > variabili culturali > supporto sociale

LA COPPIA Tra i sottosistemi familiari, la relazione di coppia è quella che più risente della malattia, in quanto il ruolo del coniuge è riconosciuto come principale fornitore di supporto materiale ed emotivo Le problematiche riportate dai coniugi sono: ansia, incertezza, paure della morte e della malattia, aumentate richieste di vita quotidiana. La maggior parte delle coppie riporta che la relazione è rimasta immutata, e che è aumentata la coesione e l’affetto reciproco.

Il deterioramento del rapporto di coppia è conseguenza di conflitti precedenti alla malattia. Un aspetto interessante è il rapporto di sostegno che il paziente offre al coniuge. Si è notato che il sostegno affettivo che il malato da al coniuge sano alimenta il supporto che il coniuge stesso riuscirà a dare al congiunto malato, con una vera e propria reazione circolae

FIGLI Per quanto riguarda il sottosistema figli, numerosi studi hanno sottolineato la loro partecipazione alla sofferenza che sconvolge la famiglia. 1/3 dei figli: problematiche emotive che si evidenziano soprattutto con disturbi comportamentali (problemi scolastici, disturbi del sonno e dell’alimentazione, difficoltà di relazione con i coetanei, atteggiamenti aggressivi) L’entità dei problemi è correlata a situazioni di lunga durata, a scarso adattamento del genitore alla diagnosi e terapia, alla carenza di informazioni che il figlio ha ricevuto.

Importante è la fase dello sviluppo psicologico del figlio, l’età, la personalità e il tipo di precedente rapporto col genitore. 3-10 anni: sentimenti di solitudine, ansia e depressione, separazione e perdita associate a idee di colpa legate alla percezione di aver fatto ammalare il proprio genitore. Pre-adolescenza: tentativi di autoresponsabilizzazione per tamponare le angosce legate alla percezione di fragilità e insicurezza della famiglia, mista a sentimenti di rabbia per la perdita del sostegno familiare Adolescenza: sentimenti ambivalenti legati al conflitto tra i propri bisogni di autonomia, indipendenza e separazione da un lato, e i sentimenti di colpa determinati dalla consapevolezza di dover rinunciare alla libertà per sostenere il gruppo familiare in crisi.

Il cancro può quindi essere definito una “malattia familiare”, alla quale ogni membro del sistema si deve adattare sviluppando nuove risorse per permettere l’integrazione dei vissuti di malattia nella vita quotidiana. Si ha una duplice visione della famiglia: curante- paziente. L’adattamento della famiglia modula e affianca quello del paziente.

PROBLEMA DELLA MORTE E DEL LUTTO ANTICIPATORIO

Lutto: è quel processo che si svolge dopo la morte del malato; ma la famiglia del malato grave e il malato stesso incontrano la morte come minaccia già durante il periodo della malattia, ed è fin da allora che ha inizio quello che viene definito lutto anticipatorio. Il lutto anticipatorio è quella condizione legata ad un periodo dove avvengono una serie di perdite: della funzionalità ed integrità fisica, del ruolo familiare e sociale. Questo periodo è intriso di ambivalenza emotiva (momenti di ottimismo alternati a periodi di forte ansia e paura del futuro)

È importante considerare chi è il membro ammalato e il ruolo che esse esercita all’interno della famiglia (padre, madre, figlio o nonno), l’età, la professione, il tipo di patologia, le cure che necessita ecc. Il processo di adattamento emotivo del malato è fortemente influenzato dalla risposta emotiva e dal comportamento dei familiari significativi. Ci sono 4 forme di reazione familiare: Negazione: la famiglia è psicologicamente e a volte anche fisicamente assente, continua a comportarsi come se nulla fosse successo, la gravità della malattia è trascurata e rimossa.

Ipercoinvolgimento: tutta la routine e le abitudini della famiglia si riorganizzano intorno all’imperativo di curare il soggetto malato, accudirlo e ridurre la sofferenza; l’ansia di tutti i familiari raggiunge livelli molto alti. Distanziamento: l’esistenza della malattia è accettata, ma la presenza in casa del malato è rifiutata, rifiutando il coinvolgimento emozionale Atteggiamento costruttivo: rapporto di collaborazione fondato su una buona qualità comunicativa

Parlare della sofferenza, del proprio modo di viverla, sembra in alcune situazioni quasi proibito, per paura che possa essere troppo angosciante Cristallizzazione della Comunicazione, su schemi relazionali che negano l’innegabile Spesso ci sono Comunicazioni Paradossali: dove il canale del NON verbale sconfessa clamorosamente quello verbale Pertanto, è utile considerare come “paziente” l’INTERO SISTEMA FAMILIARE, poiché ogni intervento fatto su uno dei membri della famiglia avrà ripercussioni sul resto del sistema.

In base alle risposte date durante il Lutto Anticipatorio si possono distinguere diversi tipi di famiglie di malati oncologici: Famiglia normale: è elastica, dinamica, ha un buon adattamento, coinvolge ed integra gli operatori, chiede aiuto in caso di bisogni specifici, ha una buona percezione del livello relazionale, ha una comunicazione aperta ed è capace di condividere la sofferenza.

Famiglia muta/congelata: adotta il silenzio come meccanismo principale di protezione reciproca, i familiari chiedono ai curanti di evitare il più possibile di comunicare informazioni sulla malattia del malato, il quale tace per evitare di essere un peso ulteriore sui familiari; all’interno della famiglia regna un clima di solitudine.

Famiglia rigida: nella comunicazione è presente un alto livello di razionalizzazioni, ma un basso livello di espressione delle emozioni; necessitano di un bisogno estremo di controllo che spesso si esprime in una attenzione quasi ossessiva alle terapie, alle regole alimentari e a fattori ritenuti negativi per la salute del malato; nel rapporto con gli operatori pongono continue richieste di spiegazioni e rassicurazioni e provano forte disagio per qualunque variazione di programma.

Famiglia conflittuale: caratterizzata dalla presenza di conflitti aperti o coperti, nel primo caso ci possono essere delle difficoltà di relazione con l’equipe, una tendenza alla triangolazione degli operatori che frequentemente si schierano con uno dei membri e una possibile estensione del conflitto all’equipe per alleanze differenti all’interno di essa; nel secondo caso si riscontra un basso livello di compliance familiare ed un alto livello di agiti aggressivi

Famiglia svincolata: presenza di legami deboli tra familiari e un conseguente livello alto di solitudine; spesso si antepongono i bisogni individuali a quelli del malato ed è presente un sentimento di rabbia negli operatori nei confronti dei membri della famiglia che mostrano un basso coinvolgimento verso il malato

Famiglia disgregata: il malato frequentemente vive solo e spesso appare rassegnato e depresso; i familiari sono assenti, ritirati e non disponibili a dare aiuto, tanto che risulta impossibile l’attuazione di programmi di assistenza domiciliare con conseguenti ospedalizzazioni frequenti; questa situazione genera negli operatori un alto livello di rabbia in quanto accusano i familiari di abbandono.

Famiglia chiusa/rifiutante: è una famiglia autarchica, diffidente nei confronti di qualsiasi forma d’aiuto; spesso nella storia familiare sono presenti delusioni nei confronti di sanitari o della medicina a causa di iniziali aspettative di guarigione disattese; sono presenti spesso idee paranoiche e un basso livello di compliance familiare che può indurre gli operatori a facile dimissione

Famiglia squalificante: è una famiglia che chiama in causa più operatori del settore o più metodologie terapeutiche, che tendono alla manipolazione delle terapie; il messaggio non verbale più comune è “quello che fate non serve a niente o è sbagliato”; questo tipo di messaggio genera negli operatori la sensazione di essere usati e conseguenti sentimenti di rabbia, nonché il rischio di agiti controsqualificanti.

Talvolta si assiste, in presenza di lutto anticipatorio, ad atteggiamenti di abbandono. È così infatti che si possono motivare alcune ospedalizzazioni volute dal familiare. Altri aspetti difficili sono il rifiuto, cioè l’agire come se il malato fosse già morto, e la negazione che spinge a trattare il malato come se non lo fosse. A volte si spera che la morte arrivi al più presto per dar sollievo al malato e a sé.

MODIFICAZIONI STRUTTURALI E RELAZIONALI NELLA FAMIGLIA

Come il singolo individuo, la famiglia attraversa tappe maturative in funzione della sua fase del ciclo vitale. Nelle situazioni in cui la famiglia si è appena formata (convivenza, matrimonio recente) la comparsa di una patologia neoplastica può rinvigorire i meccanismi di ritorno alla famiglia di origine, dalla quale il membro malato si è appena separato; il cancro può squilibrare il sistema di autonomia del nuovo nucleo familiare, potendo pregiudicare l’unione della coppia.

In una famiglia in cui la stabilità di coppia è maggiore per la presenza di un figlio in età infantile, la diagnosi di tumore può far si che le energie fisiologiche rivolte al nuovo nato vengano dirottate sul paziente, con possibili ripercussioni sul bambino e sul suo sviluppo psicologico Nella famiglia con figli in fase adolescenziale, la spinta all’autonomia, l’opposizione e la ribellione ai genitori per la costruzione di legami affettivi e sociali extra-familiari, possono essere ostacolate o compromesse;

Nella famiglia in cui la coppia è tornata ad essere sola per l’uscita di casa dei figli adulti, possono presentarsi altri problemi ancora; l’impatto con la diagnosi può travolgere il coniuge sano che si trova con un minor grado di supporto disponibile e che può percepire in modo ancora maggiore la minaccia di poter essere lasciato solo in caso di morte. In generale, la cosa che più si riscontra è l’accentuarsi di disturbi sul piano della comunicazione interpersonale e delle relazioni complessive, che portano al BLOCCO evolutivo della famiglia.

DISTURBI DELLA COMUNICAZIONE Il vivere una situazione drammatica di incontrollabilità e imprevedibilità, fa crescere l’ansia personale e collettiva portando a comportamenti che negano la presenza della malattia “Congiura del Silenzio”. I familiari, nell’imbarazzo, assumono un atteggiamento iperprotettivo o di negazione, nel tentativo di minimizzare il fatto, lasciando il paziente all’oscuro; ciò fa accrescere l’instabilità e la tensione nei rapporti, creando una vera a propria omertà che viene letta dal malato come un messaggio di morte.

DISTURBI DELLA RELAZIONE I disturbi della comunicazione portano con sé una modificazione più generale delle relazioni tra i componenti dell’intera famiglia. Per quanto riguarda i confini esterni le famiglie estese vengono richiamate potentemente a entrare nel nucleo familiare, creando spesso taciti disagi per la necessità di dover coinvolgere familiari esterni alla famiglia Anche i confini di coppia subiscono modifiche; se la malattia colpisce uno dei coniugi, l’altro avrà bisogno di coinvolgere i figli nella gestione del partner; se l’accordo affettivo col partner non era in precedenza soddisfacente, si può creare una tensione all’interno della coppia che richiamerà i figli nel ruolo di consolatori e mediatori.

Nel sottosistema filiale può infine succedere, che la situazione precedente alla malattia si rovesci, per cui un figlio considerato periferico rispetto ad un fratello considerato “prestigioso”, trova l’occasione per rientrare in famiglia nel tentativo di trovare un nuovo spazio; i figli potranno dover rinviare scelte importanti per la propria vita, con un ulteriore rallentamento del fluire del ciclo vitale.

COMUNICARE CON I BAMBINI

Il tema della comunicazione della malattia di uno dei genitori ai figli è poco affrontato, nonostante che questo problema sia largamente presente nella popolazione ( 30% delle donne affette da carcinoma alla mammella vive ancora con i propri figli) Numerosi studi dimostrano che una maggiore informazione, abbassa significativamente i livelli di ansia nei figli. I fattori associati ad elevati livelli di ansia sono: la mancanza di discussione sulla malattia del genitore, il minor tempo dedicato ad amici ed attività del tempo libero, il peggioramento del rendimento scolastico e la preoccupazione per lo stato di salute del genitore malato.

La maggior parte delle donne comunica al proprio marito la condizione di malattia, mentre poche madri informano i bambini al momento della diagnosi e quando lo fanno parlano di malattia, ma non di cancro. Ragioni per cui si attende ad informare bambini: > per evitare domande sul cancro > per prevenire il distress nei bambini > si pensa che i bambini non possano capire > per mantenere un clima sereno durante certe ricorrenze familiari (natale, compleanni)

Ragioni per cui si ritiene opportuno informare i bambini: > credere nella comunicazione aperta > desiderio di mantenere la fiducia del bambino > credere che informare i bambini possa alleviare i sintomi di distress Aiuti desiderati dalle madri: > conoscenza delle fasi evolutive dei bambini e delle strategie comunicative appropriate a seconda dell’età > spazio e apertura verso i bambini da parte della struttura ospedaliera > preparazione ad una corretta comunicazione da parte di figure professionali competenti

Preoccupazioni dei bambini al momento della diagnosi di cancro della madre: > possibile morte della madre > sentirsi confusi ed impauriti > qualcosa di brutto che può succedere da un momento all’altro > la famiglia ed altre persone care > la morte della madre e il suo aspetto > i cambiamenti della madre > le condizioni economiche della madre > la possibilità di parlare con gli altri > la possibilità di ammalarsi anche loro di cancro.

Il modo di esprimere il dolore dei bambini è più intermittente rispetto agli adulti, perché non possono esplorare razionalmente e in maniera continuativa i pensieri e i sentimenti dolorosi, e soprattutto sono incapaci di esprimerli verbalmente. Necessitano di spiegazioni semplici e il più possibile dirette, come il raccontare gli eventi sotto forma di storie; usare parole adeguate e senza evitare l’uso di vocaboli come cancro, malattia o morte. L’obiettivo è quello di sostenere il bambino durante l’iter di malattia e per consentire l’inserzione di questi eventi dolorosi all’interno dello sviluppo personale.

APPARENTI CONTRADDIZIONI DEI BISOGNI DEL MALATO

Il malato ha bisogno di sapere ma anche di non sapere: ha bisogno di dialogare con i sanitari e con i familiari in modo chiaro ed aperto; può voler sapere la verità, ma non tutta; può voler sapere la gravità della situazione e sentirsi consapevole del termine della vita, ma non aver piacere che questo gli venga detto in modo esplicito

Il malato ha bisogno di avere un controllo sulla propria vita e sul proprio morire ma anche di affidarsi e delegare ad altri: il pz. ha il diritto di conoscere le terapie e di decidere a quali cure sottoporsi, ma il senso di forte debolezza, di stanchezza può indurlo ad aver bisogno di essere lasciato tranquillo e di non dover prendere decisioni necessità di delegare ogni impegno ed affidarsi agli altri per essere solo rassicurato e protetto

Il malato ha bisogno di pensare al futuro ma anche di pensare solo al “qui ed ora”: durante la propria vita si è accompagnato dal pensiero del proprio futuro, questo avviene anche al malato terminale (immaginare il proprio funerale la propria tomba, il futuro dei propri figli); ma al tempo stesso può essere pervaso di speranza e fiducioso in un futuro diverso; è un sollievo non pensare a volte a ciò che potrà succedere, non pensare alla morte o alla vita che sta finendo.

PRINCIPALI BISOGNI DI RASSICURAZIONE DEL MALATO E SEMPLICI SUGGERIMENTI PER ACCOGLIERLI Bisogno di non essere abbandonato Bisogno di mantenere la comunicazione Bisogno di sentire ed esprimere la progettualità Bisogno di autostima e rispetto della dignità del proprio corpo

BISOGNO DI NON ESSERE ABBANDONATO Non sentirsi isolato dagli altri Non essere escluso dai progetti e dalle decisioni familiari Continuare a mantenere il proprio ruolo nella famiglia e nel gruppo sociale Essere accettato come malato Continuare ad essere visitato ed assistito dal medico

Come si manifesta: Frasi tipiche “sono sempre solo”, “lascia la porta aperta”, “mi nascondono le cose”, “ma qui non viene più nessuno?” Richieste conviviali Bisogno di sapere quando vi rincontrerà Come accogliere: Anticipare ed esaudire la richiesta di compagnia Essere puntuali agli appuntamenti Essere disponibili a rassicurare anche attraverso una carezza Usare con buonsenso l’umorismo Continuare a fare visita all’ammalato anche se clinicamente non è necessario

BISOGNO DI MANTENERE LA COMUNICAZIONE Con sanitari Con familiari Con persone amiche Con volontari Come si manifesta: Frasi tipiche: “non sta mai qui con me”, “non risponde quando gli chiedo”, “non puoi capire” Crisi di pianto Aumento delle piccole richieste di assistenza

Come accogliere: Non bloccare il pianto ma farlo esprimere Avvicinarsi con disponibilità di tempo Osservare anche i piccoli cambiamenti Dare ascolto attivo Comprendere il senso reale delle richieste Rispondere con empatia

BISOGNO DI SENTIRE ED ESPRIMERE LA PROGETTUALITA’ VERSO SE STESSI: Prendere decisioni sulle terapie (terapia antalgica, alimentazione, chemioterapia) Paura di perdere l’autocontrollo (uso eccessivo di morfina, antidepressivi, ansiolitici) Scegliere l’ambiente di cura (ospedale/domicilio) Essere lasciato in pace VERSO GLI ALTRI: Pensare ai familiari (cosa ne sarà di loro) Organizzarsi sul piano economico/lavorativo

Come si manifesta: Rifiuto/richiesta di ospedalizzazione Richiesta di una sedazione che tolga il dolore ma che non tolga la consapevolezza Frasi tipiche “datemi qualcosa ma non rincretinitemi” Rifiuto o proposta di alcune terapie Frasi tipiche: “non voglio che x mi venga a trovare”, “vorrei non pensare più a nulla”, “dopo starà meglio”, “l’anno prossimo andremo al mare a..”

Come accogliere: Non giudicare Assecondare e rendersi disponibili a parlare (o non parlare) dell’argomento Essere attenti a non bloccare o sollecitare i pensieri della morte Evitare la frase “non c’è più niente da fare”

BISOGNO DI AUTOSTIMA E RISPETTO DELLA DIGNITA’ DEL PROPRIO CORPO Non perdere le funzioni del corpo Sentirsi salvaguardato nel pudore Mantenere il senso estetico Essere apprezzato Come si manifesta: Frasi tipiche: “non voglio che mi vedano in queste condizioni”, “copritemi”, “non voglio la padella, aiutatemi ad andare in bagno”, “come posso fare per lavarmi i capelli?”, “lasciatemi la dentiera”

Come accogliere: Non sottovalutare Aiutare a mantenersi in ordine e puliti Assecondare l’autonomia anche se questo richiede maggior impegno ed organizzazione Gratificare e riconoscere anche le piccole cose

BISOGNO DI VICINANZA EMOTIVA Per bisogno di vicinanza emotiva si allude alla necessità di un contatto affettivo, particolarmente significativo e utile alle dinamiche emergenti tra il paziente terminale ed il proprio nucleo familiare Alla domanda “vorrebbe avere vicino qualcuno che in questo momento non è con lei?” il paziente indica una persona e anche la modalità comunicativa affettiva. Se ne riscontrano 3: Il familiare scelto è colui che ancora riconosce il ruolo del pz all’interno del nucleo; cioè chi non mostra tendenze ad assumersi una parte del proprio potere decisionale e non attua manovre protettive nei suoi confronti; è colui che continua a riconoscere nell’ammalato un ruolo attivo che aveva prima della malattia; quella capacità di autonomia di pensiero che non ricordi o anticipi la morte psicologica e sociale del paziente

Il familiare di riferimento è colui che è più simile da un punto di vista personologico, caratteriale o comportamentale al pz. Questo infatti gli da la certezza di essere ricordato dopo la morte è la parte di se che resta dopo la propria morte. Il familiare individuato è colui che, o per meccanismi di fuga in avanti, o per il ruolo che già precedentemente aveva all’interno della famiglia, è pronto ad assumere il compito della gestione del trapasso; il pz si sente rassicurato e sa che la famiglia può farcela

La caratteristica comune nelle tre modalità di scelta è che la persona individuata ha la capacità di partecipare alla realtà del pz senza subordinarlo e quindi di comunicare favorendo e incoraggiando il malato a prendere parte attiva nelle decisioni sul tempo di vita rimanente

ATTEGGIAMENTI MENTALI E RISPOSTE EMOTIVE ALLA MALATTIA Non esistono due malati di cancro che presentino la stessa reazione, nemmeno in condizioni fisiche simili. La risposta dipende dalla percezione individuale del pericolo rappresentato dalla malattia, che viene determinata dalla personalità della donna.

COPING Modalità cognitivo-comportamentali con la quale un individuo affronta la malattia e, più in generale, la capacità di affrontare problemi e le loro conseguenze sul piano emozionale Rappresenta la modalità di adattamento propria di ciascun soggetto di fronte a un evento negativo stressante: ciascun individuo presenta uno specifico e peculiare “stile di coping”

ATTEGGIAMENTI MENTALI E RISPOSTE EMOTIVE ALLA MALATTIA Ogni famiglia ha diversi modi di affrontare la malattia possono essere: ATTEGGIAMENTO COMBATTIVO la famigliaaccetta la “sfida”, vuole conoscere tutto sulla sua patologia, chiede di intervenire nella scelta della terapia, magari partecipa ad un gruppo di auto-aiuto, cerca terapie complementari, apporta modifiche al proprio stile di vita (dieta, esercizio fisico, ecc); la distrazione cioè la capacità di dedicarsi ad attività piacevoli per impegnare la mente, è un tipo di reazione attiva che può risultare molto efficace.

ATTEGGIAMENTI MENTALI E RISPOSTE EMOTIVE ALLA MALATTIA FATALISMO è caratterizzato da una “accettazione statica” della malattia, sopportata come parte del destino, con poche manifestazioni d’angoscia e un sostanziale mantenimento della propria vita precedente ( “…è inutile disperarsi, tanto non c’è niente da fare…”. La famiglia si sente sconfitta, non si sforza di fronteggiare la malattia, si sottopone a qualunque terapia le venga consigliata, senza però prendere iniziative, per esempio non riferisce i sintomi se non le viene chiesto esplicitamente.

ATTEGGIAMENTI MENTALI E RISPOSTE EMOTIVE ALLA MALATTIA PREOCCUPAZIONE ANSIOSA è rappresentata da un continuo stato di tensione, accompagnato da una sensazione di peggioramento o recidiva di fronte ad ogni piccolo sintomo, anche indipendente dalla malattia. EVITAMENTO porta ad un allontanamento dei pensieri legati alla malattia DISPERAZIONE/IMPOTENZA la malattia è vissuta come imbattibile, si sentono senza speranza, privi di risorse e di possibilità di aiuto

MODELLI DI COPING E DIFESE PSICOLOGICHE Ricercare una informazione maggiore (razionalizzazione) Cercare di condividere e parlare con gli altri delle proprie preoccupazioni (condividere le paure) Cercare di non pensarci (repressione) Impegnarsi in altre attività per distrarsi (spostamento) Confrontarsi con il problema (confronto) Accettare la diagnosi ma trovarne aspetti favorevoli (ridefinizione)

MODELLI DI COPING E DIFESE PSICOLOGICHE Fare qualunque cosa (acting-out) Subire passivamente l’inevitabile (fatalismo- rassegnazione) Valutare eventuali alternative (riflessione razionale) Cercare di ridurre la tensione, bevendo o attraverso eccessi alimentari (riduzione della tensione) Ritirarsi dalle situazioni sociali (riduzione degli stimoli) Prendersela con qualcuno o qualcosa (proiezione) Seguire le indicazioni di una persona cui potersi affidare (compliance) Prendersela con se stessi (internalizzare)

Il malato oncologico: perché il supporto psicologico? Sia il momento della diagnosi ( vissuto come un trauma) che le successive fasi di terapia attivano nel paziente profonde reazioni emotive e intense angosce di solitudine. Il cancro si configura come una vera e propria patologia della crisi, che espone il paziente a drastici cambiamenti nello stile di vita personale e relazionale, e soprattutto, nella propria identità. Per accompagnare il paziente durante la fase terminale della propria malattia, contenendone i vissuti ed accompagnandolo nel congedo dai propri familiari.

Perché il sostegno psicologico alla famiglia? Il modo in cui la famiglia è toccata dalla malattia e vi reagisce nel presente, può lasciare delle conseguenze gravi e durature Nel sistema malato-famiglia-equipe curante si possono creare giochi di alleanza e di esclusione che talvolta conducono persino al rifiuto del trattamento o al ricorso a medicine alternative o al contrario, ad un’alleanza troppo stretta curante - famiglia che esclude il paziente. La famiglia è l’ambiente in cui, nella maggior parte dei casi, possono essere diluite ed attenuate le angosce del paziente, in cui possono essere mediate le informazioni importanti, in cui può essere realizzato il sostegno efficace del paziente.

Con l’obiettivo di … Accompagnare la famiglia durante l’iter clinico del paziente ammalato, dal momento della diagnosi al momento della guarigione o della morte. Sostenere la riorganizzazione familiare a seguito di una diagnosi di cancro, allo scopo di promuovere e rinforzare un cambiamento del ruolo ricoperto da ogni singolo familiare coinvolto. Stabilire un’alleanza tra l’equipe che cura il paziente e la famiglia stessa, evitando malintesi e rivalità che talvolta si instaurano rendendo più difficoltosa la comunicazione ed il processo di cura.

“Una Famiglia riesce a tornare alla vita, quando riesce a far circolare la sofferenza, momento magico e trasformativo che fa diventare una famiglia una risorsa” (M.Andolfi, 2007)