Pietro Bembo e la “questione della lingua” Per gli scrittori del ‘500 è fondamentale la cosiddetta “questione della lingua”: si discute su quale sia la lingua ideale da usare nelle corti. Il modello è proposto dal Bembo.
Differenza fra lingua d’uso e lingua letteraria La proposta del Bembo, esposta nel trattato: “Prose della volgar lingua” (1525), riguarda la lingua da usare nell’ambito della letteratura (cioè per i dotti) e non quella parlata (di tutti i giorni). Come dice lo stesso titolo, pur conoscendo bene il latino, Bembo preferisce il volgare. Bembo propone come modelli a cui ispirarsi nella forma (lasciando da parte il contenuto, soggettivo) i grandi scrittori del ‘300 toscani: rispettivamente Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa. Differenza fra lingua d’uso e lingua letteraria
La lingua parlata è destinata all’uso pratico e quotidiano, ma non può essere la lingua dei dotti, che dev’essere il più possibile ‘perfetta’. Tuttavia, ci sono delle inevitabili ‘contaminazioni’ fra lingua letteraria e lingua ‘viva’ d’uso e per questo Bembo ammette la necessità di adoperare nella lingua letteraria anche espressioni dialettali (popolari), ma solo se strettamente necessarie o se giustificate da ragioni stilistiche. Pur essendo Bembo veneziano, riconosce il primato della lingua toscana. La lingua cortigiana
Necessità di una codificazione linguistica Bembo indica nella poesia di Petrarca e nella prosa di Boccaccio le due guide sicure da seguire, proprio come lo erano stati precedentemente per i Latini Virgilio nella poesia e Cicerone nella prosa o per i Greci Demostene (prosa) e Omero (poesia). Per Bembo ciò che conta non è il contenuto, ma la forma: lo stile (opinione peraltro discutibile). Il contenuto è libero ≠ la forma fissa. L’operazione letteraria è innanzitutto un esercizio di stile. Per questo serve omologarsi a delle norme da rispettare in modo da scrivere in una lingua affidabile e sicura, come quella degli antichi. Necessità di una codificazione linguistica
La necessità dei modelli letterari (no Dante per il plurilinguismo) La ricerca di una propria identità non può avvenire, stilisticamente, al seguito di molte guide; bisogna ‘eleggere’ (= parola che deriva dal latino e che significa: ‘scegliere’) i sommi testimoni di assoluta grandezza espressiva per trarre i fondamenti della lingua letteraria. Fra questi NON può essere annoverato Dante, criticato per le sue espressioni più realistiche e volgari, scurrili (es.: “del cul fece trombetta” come è scritto in un verso dell’Inferno). La lingua dei dotti deve sottostare a delle regole ben precise e dunque essere fissa, mentre è normale la mutevolezza della lingua parlata. La necessità dei modelli letterari (no Dante per il plurilinguismo)
I canoni del “bello scrivere” La lingua letteraria deve utilizzare solo le migliori espressioni possibili. Il canone linguistico proposto dal Bembo non intende solo rivolgersi ad un pubblico di uomini colti, ma dovrebbe costituire (idealmente perché poi in pratica non sarà così) il patrimonio dell’educazione linguistica delle future generazioni affinché venga codificato un idioma letterario stabile e corretto, condiviso dagli scrittori e dai lettori di ogni generazione (= progetto in realtà troppo ambizioso e rimasto per questo irrealizzato). I canoni del “bello scrivere”
L’opera: “Prose della volgar lingua” Il testo è un trattato in forma dialogica (espediente tipico della trattatistica del ‘500) ambientato a Venezia (città natale del Bembo). Gli interlocutori sono 4: Ercole Strozzi Federico Fregoso Giuliano de’ Medici Carlo Bembo (fratello dell’autore, Pietro) L’opera: “Prose della volgar lingua”
L’opera: “Prose della volgar lingua” Ciascun personaggio si fa portavoce di una delle posizioni preminenti nella cultura dell’epoca: 1. Ercole Strozzi teorizza la naturale e inevitabile supremazia del latino classico sul volgare; 2. Federico Fregoso sostiene il modello della “lingua cortigiana” = una lingua letteraria che raccolga i contributi dei diversi volgari ‘illustri’ delle singole regioni (secondo il modello proposto da Dante nel “De vulgari eloquentia”) così da formare una sorta di ‘koinè’ linguistica (PS ‘koinè’ è un termine greco che significa: lingua ‘comune’) e suggerisce di prendere come punto di riferimento la lingua parlata alla corte di Roma, dal momento che lì confluiscono letterati provenienti da ogni parte d’Italia; L’opera: “Prose della volgar lingua”
L’opera: “Prose della volgar lingua” 3. Giuliano de’ Medici difende invece il primato della lingua fiorentina contemporanea (di quell’epoca); 4. Carlo Bembo, interprete delle idee del fratello, teorizza infine l’esemplarità assoluta, sul piano della forma e dello stile, dei 2 grandi autori toscani del ‘300: appunto Petrarca e Boccaccio, che devono essere presi a modello da chiunque aspiri alla carriera letteraria. Ovviamente questa è la posizione che alla fine ‘vince’. A favore di quest’ultima tesi sono la piacevolezza e la grazia della lingua usata dai 2 modelli proposti. PS) Anche Manzoni si rifarà alla tesi del primato della lingua fiorentina con la sua famosa “risciacquatura dei panni in Arno” del suo romanzo “I promessi Sposi” cercando di eliminare le espressioni troppo lombarde dell’edizione ventisettana (del 1827) in quelle più vicine al fiorentino parlato dalle persone colte nella quarantana (del 1840). L’opera: “Prose della volgar lingua”
I temi trattati nell’opera I rapporti fra volgare e latino L’origine della lingua volgare derivata dalla ‘corruzione’ dell’idioma antico I rapporti fra le varie forme del volgare Il rifiuto degli usi regionali o dialettali a favore del modello toscano La necessità di garantire al volgare letterario (italiano) quella purezza e quella regolarità da sempre proprie del latino L’esaltazione dei 2 modelli per eccellenza: Petrarca (per la poesia) e Boccaccio (per la prosa) proposti alle generazioni future La ‘dolcezza’ e la musicalità della lingua toscana E tutto questo in base al principio che in letteratura ciò che conta è la forma (più importante del contenuto) perché solo essa determina il valore di un testo, ovvero: indipendentemente dal contenuto, esistono alcuni libri scritti bene ed altri scritti male (e in effetti, se ci pensiamo bene, è proprio così) I temi trattati nell’opera