Lezione III: Teoria dell’impresa

Slides:



Advertisements
Presentazioni simili
IO: III Lezione (P. Bertoletti)1 Lezione III: Teoria dellimpresa Tre questioni di Teoria dellImpresa: Lipotesi di massimizzazione dei profitti Cosa determina.
Advertisements

Corso di Finanza Aziendale
Le funzioni dell’impresa e le teorie sulle finalità imprenditoriali
REGOLAMENTAZIONE DELLE IMPRESE PUBBLICHE
Cosa vuol dire prendersi cura del denaro. Controllare le spese (bilancio familiare) Evitare inutili sprechi costi non necessari e indebitamenti eccessivi.
Esenzioni per categoria Il Consiglio dei ministri ha autorizzato la Commissione ad adottare regolamenti di esenzione per categorie individuate di accordi.
Obiettivi e struttura della lezione ORIENTAMENTO STRATEGICO E STRATEGIE COMPLESSIVE Obiettivo della lezione Fornire un quadro analitico di base delle strategie.
LA PROGRAMMAZIONE AZIENDALE
Lezione 16 Concorrenza perfetta Nuovo libro 7.1.3; Vecchio libro
Business Planning Dall’idea al progetto imprenditoriale
Strategia e vantaggio competitivo
Imposta sul reddito d’impresa
Assetti istituzionali e corporate governance
Management e Marketing delle Imprese del Terzo Settore Monica Fait
Problemi di agency Due funzioni del diritto societario
Sociologia dell’organizzazione
LA PROGRAMMAZIONE AZIENDALE
Corso di Economia e Gestione delle Imprese
Temporanei o Permanenti?
Capitolo 7 Equilibrio nei mercati concorrenziali
L’analisi dell’integrazione verticale (Grant cap. 13)
Strategie di base e vantaggio competitivo
ECONOMIA: come le persone interagiscono per la produzione del proprio sostentamento ALLOCAZIONE: risultato dell’interazione PARETO EFFICIENZA (Ɇ all. in.
Offerta in concorrenza perfetta: il lato dei costi
Contratti 2 Economia & Finanza Pubblica
Outsourcing Approfondimento
Corso di Economia e Gestione delle Imprese
Regolamentazione delle imprese pubbliche
Efficienza, carenze dei mercati e implicazioni per l’intervento pubblico (la prospettiva “costruttivistica) (parte 1)
Scheda e curva di offerta
L’informazione asimmetrica
Statistica Aziendale Tutti i fenomeni aziendali che si prestano ad analisi statistica dovrebbero rientrare, anche se in modo non esclusivo, nell’ambito.
TEORIA DELL’IMPRESA Parte A: il rapporto tra mercato e impresa
LE SCELTE FINANZIARIE D’IMPRESA I MERCATI DI RIFERIMENTO
Organizzazione Aziendale
Università degli Studi di Pavia Anno Accademico 2016/2017
Prof. Mario Mustilli Corso di Finanza Aziendale a.a 2017/2018
Concorrenza perfetta e concorrenza monopolistica
UNI EN ISO 9001:2015 Che cosa cambia? Le principali modifiche
Nuove teorie del commercio internazionale
Innovazione tecnologica come fonte di vantaggio competitivo
Struttura del mercato e Entrata:
Corso di Economia e Gestione delle Imprese
SCHEMA MODELLO DI BUSINESS PLAN
Organizzazione Aziendale
CAPIRE I CONSUMATORI E I MERCATI Capitolo 8
Funzioni dell’investimento
Il vantaggio di costo un’impresa possiede un vantaggio di costo quando riesce a produrre a costi unitari comparativamente più bassi dei concorrenti.
Università degli Studi di Pavia Anno Accademico 2017/2018
I modelli di governo delle imprese (corporate governance)
L’informazione asimmetrica
Teorie dell’impresa - 2 Economia & Finanza Pubblica
Lezione N° 6 L’organizzazione
ECONOMIA: come le persone interagiscono per la produzione del proprio sostentamento ALLOCAZIONE: risultato dell’interazione PARETO EFFICIENZA (Ɇ all. in.
Teorie dell’impresa - 1 Economia
Teorie dell’impresa - 2 Economia
Impresa e teoria neoclassica
L’essenza della gestione strategica
La teoria dell’impresa manageriale
1.2 Il funzionamento del mercato del lavoro
Economia politica Lezione 17
Barriere all’uscita Economia
I modelli di governo delle imprese (corporate governance)
Capitolo 11 La concorrenza perfetta
Tecnica Industriale e Commerciale
Business Plan.
I mercati contendibili
La tutela della concorrenza nell’ordinamento dell’UE
L’ORIENTAMENTO STRATEGICO DELLA GESTIONE
Prof. Stefano Consiglio
Transcript della presentazione:

Lezione III: Teoria dell’impresa Tre questioni di Teoria dell’Impresa: L’ipotesi di massimizzazione dei profitti Cosa determina la dimensione (orizzontale e verticale) dell’impresa? Perché le imprese sono (restano) differenti? IO: III Lezione (P. Bertoletti)

L’ipotesi di massimizzazione dei profitti Le imprese sono strutture complesse che svolgono molti compiti e hanno una molteplicità di stakeholder (portatori di interessi legittimi). E’ valida l’assunzione semplificatrice che “massimizzino i profitti”, ovvero il valore delle quote societarie (insomma, che siano gestite nell’interesse dei pro-prietari)? IO: III Lezione (P. Bertoletti)

3 aspetti problematici: a) c’è tipicamente separazione tra proprietà e con-trollo (per indebolire i vincoli dovuti alla liquidità e all’avversione al rischio dei singoli); b) la proprietà diffusa rende il controllo dei mana-ger un tipico “bene pubblico” e genera problemi di free riding tra azionisti (comunque, non è chiaro che una proprietà più concentrata sia empirica-mente rilevante); c) c’è asimmetria informativa tra la proprietà e chi controlla l’impresa, il che genera problemi di a-genzia. IO: III Lezione (P. Bertoletti)

IO: III Lezione (P. Bertoletti) Tuttavia: Una certa disciplina potrebbe essere dovuta a mec-canismi interni: A) il ruolo del Consiglio d’Amministrazione (ma spesso questi sono dominati dal management); B) contratti incentivanti sui profitti (bonus + opzioni sulle azioni). Naturalmente, le esperienze più recenti (ENRON, PARMALAT, crisi finanziaria) suggeriscono come minimo una certa cautela … IO: III Lezione (P. Bertoletti)

Disciplina esterna: 1) il mercato del lavoro (manageriale) Anche se una disciplina interna fosse con-cretamente irrealizzabile, i manager dovreb-bero comunque assegnare valore alla loro reputazione. Questo meccanismo opera però solo se: a) esiste un vero e proprio mercato manageriale (dubbio in Italia); b) questo mercato è sufficientemente ben informato. IO: III Lezione (P. Bertoletti)

IO: III Lezione (P. Bertoletti) Disciplina esterna: 2) il mercato del prodotto (il ruolo della competizione) Se l’impresa fallisce il manager potrebbe ri-metterci lucrosi “fringe benefits” (ovvero una forma di rendita): perciò avrà un incentivo a impegnarsi tanto più elevato tanto maggiore è la pressione competitiva. La presenza di competitiori permette inoltre di mettere all’opera meccanismi di “yardstick competition” (valutazione comparativa). IO: III Lezione (P. Bertoletti)

Disciplina esterna: 3) il mercato dei capitali Se anche il mercato del prodotto non fosse molto competitivo, il pericolo di una scalata ostile nel mercato dei capitali (uno scalatore potrebbe lucrare sul differenziale di profitto pre e post scalata) dovrebbe inoltre essere una molla potente (e c’è qualche evidenza empirica a favore di questa ipotesi). Tuttavia: a) perché lo scalatore dovrebbe in futuro saper fare meglio dell’attuale proprietà? b) perché in vista della scalata gli attuali azionisti dovrebbero vendere? IO: III Lezione (P. Bertoletti)

Conclusione (provvisoria): Se aggiungiamo alle precedenti considera-zioni il fatto che l’evidenza empirica dispo-nibile (sul ruolo per esempio della concentrazione della proprietà e sugli effetti delle scalate) è molto ambigua, si può realisticamente concludere che le decisioni d’impresa sono l’esito di un “compromes-so” (mediato dal management) tra gli interessi dei vari stakeholder. IO: III Lezione (P. Bertoletti)

Conclusione (provvisoria): Non è tuttavia irragionevole (e semplifica molto la nostra vita) adottare l’ipotesi di massimizzazione dei profitti . In altre parole, nel discutere le scelte di prezzo, quantità e investimento delle imprese, in prima approssimazione sembra possibile mantenere l’ipotesi che le imprese si comportino “come se” massimizzassero i profitti. IO: III Lezione (P. Bertoletti)

Due problemi della Teoria dell’Impresa: I Cosa determina le dimensioni delle imprese? Dimensione orizzontale: quanti prodotti e quanto output? Dimensione verticale: quanti stadi della filiera produttiva? IO: III Lezione (P. Bertoletti)

La dimensione orizzontale: In generale dovrebbe essere la tecno-logia produttiva (l’andamento dei costi unitari, ovvero le economie di scala e di scopo) a determinare la dimensione orizzontale del settore. Per esempio, in un mercato con libertà di entrata e costi medi ad U ci si aspetta che le imprese nel lungo periodo producano l’unica quantità che cor-risponde alla scala efficiente. IO: III Lezione (P. Bertoletti)

Tuttavia, ci sono diversi “gradi di indeterminatezza”: Ci potrebbero essere molti livelli di output per i quali i costi unitari sono minimi (ex: forma a “catino” dei CU); La tecnologia dovrebbe determinare l’an-damento dei costi a livello del singolo im-pianto, ma un’impresa potrebbe possedere una molteplicità di impianti … IO: III Lezione (P. Bertoletti)

La dimensione verticale: La questione essenziale qui è quella della cosiddetta integrazione verticale: produrre internamente (“usare l’impresa”), o comprare all’esterno (“usare il mercato”)? [make it or buy it?] IO: III Lezione (P. Bertoletti)

IO: III Lezione (P. Bertoletti) In questo contesto le considerazioni “strategiche” sono quelle cruciali: In particolare, gli aspetti chiave sono la specificità degli investimenti richiesti, e gli incentivi e i “rischi di esproprio” [hold-up problem] ad essi connessi Ex: GM vs Fisher Body IO: III Lezione (P. Bertoletti)

Specificità degli investimenti - conseguenze: La specificità degli investimenti fornisce incentivi a comportamenti opportunistici delle controparti contrattuali se questi non possono essere opportunamente eliminati (contratti cosiddetti incompleti)  La conseguenza inefficiente sono minori investimenti (hold-up problem) IO: III Lezione (P. Bertoletti)

IO: III Lezione (P. Bertoletti) Rimedi: Integrazione verticale! Integrazione parziale (“tapered”) Franchising “Relazioni Contrattuali” di lungo periodo (keiretsu giapponesi) IO: III Lezione (P. Bertoletti)

IO: III Lezione (P. Bertoletti) Problemi Anche l’integrazione verticale non è la pa-nacea di tutti i mali. Per esempio, sovente organizzazioni più grandi sono più difficili da controllare (i dipendendi più difficili da motivare): problemi di agenzia Ex: il problema della qualità alla GM IO: III Lezione (P. Bertoletti)

IO: III Lezione (P. Bertoletti) In sintesi: La dimensione verticale dipende da un dif-ficile bilanciamento tra la fornitura di in-centivi all’investimento e la capacità di controllare/motivare i dipendenti (qualità della performance). Persino nella stessa industria le soluzioni adottate non sono necessariamente le stes-se (Benetton vs Zara). IO: III Lezione (P. Bertoletti)

II Perché le imprese sono (e restano) differenti? Naturalmente le imprese sono molto differenti. Il problema è che lo sono anche all’interno dello stesso settore industriale, e in parti-colare che i differenziali di profitto ten-dono a restare stabili (a distanza di decenni) e non spiegati (all’80%) dalle analisi empi-riche. IO: III Lezione (P. Bertoletti)

IO: III Lezione (P. Bertoletti) Non c’è al momento una risposta definitiva alla questione, ma sembra chiaro che debbano esistere delle barriere all’adozione di comportamenti imitativi (analogia con lo sport?): 1) scarsità di risorse (manageriali?) 2) restrizioni legali (sistema dei brevetti) 3) conoscenze “tacite” 4) “cultura societaria” (che informa prassi interna e aspettative dei terzi) 5) storia (irreversibilità: curve di apprendimento e path dependency) e strategie IO: III Lezione (P. Bertoletti)