I DIRITTI SINDACALI.

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Transcript della presentazione:

I DIRITTI SINDACALI

La previsione di rappresentanze dei lavoratori in azienda è finalizzata innanzitutto a garantire lo svolgimento di una serie di attività sindacali. Tali attività sono state ritenute dal legislatore tanto importanti da addossarne il relativo costo in capo alla controparte contrattuale, l’imprenditore. La disciplina dei diritti sindacali è rintracciabile innanzitutto nello Statuto dei Lavoratori (titolo III, art. 20 e ss. della L. 300/1970).

La titolarità dei diritti sindacali spetta alle RSA La titolarità dei diritti sindacali spetta alle RSA. Tale titolarità è stata ereditata, in base all’accordo sindacale istitutivo (dapprima accordo del 1993 ed in seguito TU Rappresentanza, parte II, sez. II, art. 4), dai componenti della RSU. Quindi quanto lo Statuto dei lavoratori attribuisce alle RSA deve essere esteso, di conseguenza, alle RSU.

Dalla normativa in questione (costituzione RSA/RSU e relativi diritti sindacali) sono esentate (art. 35 L. 300/1970) le imprese od unità produttive che occupano fino a 15 dipendenti nell’ambito dello stesso territorio comunale, le quali non sono reputate in grado di farvi fronte sotto il profilo organizzativo ed economico.

Lo Statuto dei lavoratori tutela l’attività sindacale nei luoghi di lavoro disciplinando i seguenti istituti: Assemblea (art. 20 SL) Referendum (art. 21 SL) Trasferimento dei dirigenti delle RSA (art. 22 SL) Permessi retribuiti (art. 23 SL) Permessi non retribuiti (art. 24 SL) Diritto di affissione (art. 25 SL) Contributi sindacali (art. 26 SL) Locali delle rappresentanze sindacali aziendali (art. 27 SL) Permessi per i dirigenti provinciali e nazionali (art. 30 SL)

L’assemblea L’art. 20, L. 300/1970 prevede che ciascuna RSA abbia il diritto (di natura potestativa) di indire assemblee dei lavoratori nell’unità produttiva di riferimento. Essendo tale diritto anche di titolarità della RSU, in giurisprudenza si discute se esso spetti a ciascuna componente sindacale della RSU o all’organismo nel suo complesso (di solito una parte del monte ore previsto per l’assemblea è riservato alle singole organizzazioni presenti nella RSU).

L’assemblea può riguardare la generalità dei lavoratori o gruppi di essi, su «materie di interesse sindacale e del lavoro», e dunque in pratica su qualunque materia che sia ritenuta rilevante per i lavoratori. L’assemblea può essere indetta: Fuori dall’orario di lavoro: in qualunque momento, non sussistono limiti temporali. Durante l’orario di lavoro: entro il limite delle 10 ore annue per le quali è corrisposta ai lavoratori la normale retribuzione

L’imprenditore è obbligato a mettere a disposizione per il tempo dell’assemblea legittimamente convocata un locale idoneo. L’imprenditore non è obbligato ad attivarsi per reperire locali diversi da quelli aziendali o per adeguare gli stessi all’esigenza di svolgimento dell’assemblea. All’assemblea possono partecipare, previo preavviso al datore di lavoro, anche dirigenti esterni del sindacato che ha costituito la RSA. Non ha invece diritto di parteciparvi il datore di lavoro, a meno che non sia invitato a farlo

Il referendum L’art. 21 dello Statuto prevede il diritto di indire referendum tra i lavoratori, su «materie inerenti all’attività sindacale» (e quindi su un ambito tematico più ristretto, almeno teoricamente, di quello dettato per l’assemblea) da parte di tutte (ma, in questo caso, solo congiuntamente) le RSA esistenti nell’unità produttiva. L’imprenditore «deve consentire» lo svolgimento del referendum «nell’ambito aziendale», con conseguente limitazione del suo potere organizzativo.

Il referendum deve svolgersi «fuori dall’orario di lavoro», sicché, a differenza dell’assemblea, non può mai pregiudicare il normale andamento della produzione. L’esito del referendum ha un valore eminentemente consultivo, e dunque lasciato alla discrezionalità delle organizzazioni sindacali che lo promuovono.

Tuttavia, nella disciplina del TU Rappresentanza, il ricorso al referendum è stato formalmente previsto, in certi casi, ai fini dell’approvazione finale del contratto collettivo

Il trasferimento del rappresentante sindacale L’art. 22 della L. 300/1970 prevede un’importante garanzia a favore dei componenti delle RSA o delle RSU, stabilendo che essi possono essere trasferiti da un’unità produttiva ad un’altra soltanto previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza. Tale tutela trova applicazione «sino alla fine dell’anno successivo a quello in cui è cessato l’incarico».

Pertanto per trasferire un dirigente sindacale aziendale non basta il giustificato motivo, invece sufficiente per ogni altro lavoratore ex art. 2103 c.c., ma occorre anche l’assenso del sindacato, il cui interesse a mantenere il sindacalista nella unità produttiva in cui opera prevale in via assoluta ed insindacabile sull’interesse imprenditoriale ad impiegare il dipendente nel luogo ove risulti obiettivamente più utile per l’organizzazione produttiva.

La disposizione concerne soltanto il trasferimento da un’unità produttiva ad un’altra e non le trasferte o gli spostamenti interni alla medesima unità produttiva, per i quali non occorre, dunque, il nulla osta sindacale poiché non eliminano il collegamento del sindacalista con la sua base

I permessi sindacali Sono riconosciute varie tipologie di permessi, retribuiti e non, per consentire ai componenti delle RSA (o delle RSU) un pieno ed agevole espletamento del mandato anche durante l’orario di lavoro. L’art. 23 Stat. Lav. prevede permessi retribuiti per l’espletamento del mandato sindacale a favore dei componenti delle RSA/RSU, secondo un monte ore proporzionale alla consistenza occupazionale dell’unità produttiva interessata, ma che di solito è ricalcolato in termini più favorevoli dalla contrattazione collettiva

I permessi retribuiti devono essere utilizzati dalle RSA/RSU per «l’espletamento del loro mandato». Stabilire quali attività rientrano nel mandato sindacale è lasciato alla libera valutazione delle associazioni a cui dirigenti afferiscono. Il datore di lavoro può verificare ex post se il beneficiario del permesso abbia effettivamente rispettato la corretta destinazione dello stesso, che non può essere evidentemente utilizzato per fini meramente personali o al solo scopo di sottrarsi al lavoro.

Il diritto al permesso sindacale in questione ha natura potestativa, e si esercita, come tale, tramite una comunicazione (alla quale deve corrispondere una presa d’atto; non si tratta quindi, di una richiesta, subordinata ad una concessione discrezionale del datore di lavoro), che deve essere trasmessa per iscritto al datore di lavoro, di regola con un preavviso di 24 ore, tramite la RSA (art. 23, c. 2).

Oltre ai permessi retribuiti, in secondo luogo, i dirigenti delle RSA di cui all’art. 23 hanno diritto (potestativo) a permessi non retribuiti per «la partecipazione a trattative sindacali o a congressi o convegni di natura sindacale, in misura non inferiore a otto giorni all’anno» (art. 24). La comunicazione scritta al datore per fruire di tali permessi deve avvenire, sempre tramite la RSA, con un preavviso di tre giorni.

Al di fuori, formalmente, del titolo III dello Statuto dei lavoratori, ma nella medesima logica di sostegno, l’art. 30 riconosce permessi retribuiti a quei lavoratori che siano dirigenti «esterni» delle associazioni sindacali aventi i requisiti dell’art. 19: «i componenti degli organi direttivi, provinciali e nazionali, delle associazioni di cui all’art. 19 hanno diritto a permessi retribuiti, secondo le norme dei contratti di lavoro, per la partecipazione alle riunioni degli organi suddetti». La quantificazione di tali permessi è rimessa ai contratti collettivi. Tale norma trova applicazione a tutti i datori di lavoro in quanto disposizione fuori dal titolo III dello Statuto.

L’aspettativa (o distacco) sindacale L’art. 31 Stat. Lav. prevede il diritto all’aspettativa non retribuita per i dirigenti sindacali provinciali e nazionali. Questa disposizione riguarda tutti i sindacati, anche se non titolari del diritto alla costituzione delle RSA. La normativa si applica anche a tutti i datori di lavoro (Cass. 01/03/84 n. 1454) essendo collocata, come per l’art. 30, fuori dal titolo III e dal relativo campo di applicazione segnato dall’art. 35. L’aspettativa non è automatica ma consegue ad un’apposita richiesta che può riguardare tutta la durata della carica oppure una parte soltanto di essa.

Il periodo di aspettativa sindacale, sebbene non retribuito, è utile ai fini pensionistici, con onere gravante sugli enti previdenziali che devono accreditare a favore del lavoratore interessato una contribuzione figurativa (Cass. 21/02/2006 n. 3706). Inoltre durante l’aspettativa resta operante la tutela previdenziale, sanitaria ed economica, in caso di malattia e, per effetto di una estensione giurisprudenziale, in caso di maternità (Cass. 23/04/2001 n. 5992).

Il diritto di affissione L’art. 25 Stat. Lav. riconosce alle RSA/RSU il diritto di affiggere in azienda la documentazione sindacale. Il diritto spetta solo alle RSA/RSU e non ai singoli componenti delle stesse, che peraltro possono essere all’uopo delegati. Il datore di lavoro è obbligato a concedere «appositi spazi» per l’affissione, di solito utilizzati mediante bacheche. Tali spazi devono essere collocati non solo nell’unità produttiva ma in particolare in luoghi accessibili a tutti i lavoratori.

L’utilizzazione del plurale «spazi» induce a ritenere, secondo una parte della dottrina, che ciascuna RSA abbia diritto ad un proprio spazio. Una volta ottenuto lo spazio la RSA/RSU diviene titolare di un diritto proprio sulla cosa, tutelabile contro eventuali aggressioni di terzi mediante azione possessoria. Correlativamente però l’imprenditore non ha alcun obbligo di protezione e/o manutenzione degli spazi assegnati. I documenti affissi dovranno comunque riguardare notizie di interesse sindacale e del lavoro

Il datore di lavoro non può procedere direttamente alla defissione dei documenti non inerenti tali materie potendo semmai rivolgersi al giudice, eventualmente, con un procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. L’intervento diretto dell’imprenditore in via di autotutela è ammesso solo se i documenti non provengono dalle RSA oppure se ricorrono gli estremi della legittima difesa, come nel caso di comunicati offensivi o diffamatori non ancora letti da tutti, con conseguente attualità del pericolo

Proselitismo e contributi sindacali L’art. 26, c. 1, Stat. Lav., garantisce ai lavoratori il diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, ma senza che ciò arrechi «pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale». I commi 2 e 3 dell’art. 26 prevedevano, altresì, il diritto delle associazioni sindacali dei lavoratori, ancorché non rappresentative secondo l’art. 19, di percepire i contributi sindacali che i lavoratori dichiaravano di voler versare ad esse, tramite la modalità della trattenuta in busta paga operata dal datore di lavoro (delega sindacale).

I commi 2 e 3 dell’art. 26 sono stati abrogati nel 1995 a seguito di referendum popolare, ma il sistema della delega è sempre rimasto operante, per effetto di previsioni di contratti collettivi e/o prassi acquisite. Esso è stato rilanciato dal TU Rappresentanza, in quanto il conteggio delle deleghe sindacali è fondamentale per la misurazione della rappresentatività dei sindacati ai fini della contrattazione collettiva

Nel dettaglio, l’abrogazione di queste disposizioni ha eliminato l’obbligo di fonte legale del datore di lavoro di effettuare la trattenuta in busta paga corrispondente al contributo sindacale dovuto dal lavoratore al sindacato a cui è iscritto, salvo diversa pattuizione negoziale. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno però qualificato nel 2005 la cessione della retribuzione per il pagamento dei contributi sindacali come cessione del credito del lavoratore. Qualificandosi come cessione del credito, il rifiuto del datore di lavoro di effettuare la trattenuta in busta paga può astrattamente integrare un comportamento antisindacale andandosi così a sovvertire l’esito e la ratio del referendum.

Difatti si finirebbe per imporre al datore di lavoro una sorta di obbligo di effettuare, su richiesta del lavoratore, la trattenuta in busta paga del contributo sindacale, obbligo che il referendum ha eliminato abrogando i commi 2 e 3 dell’art. 26. Secondo una parte della dottrina con l’abrogazione dei due commi suddetti consegnandosi la regolazione della materia alla contrattazione collettiva, non si può più considerare il datore obbligato ad effettuare la trattenuta in busta paga, sembrando quindi più appropriato qualificare l’operazione come delegazione di pagamento.

I locali per l’attività sindacale Infine in base all’art. 27, Stat. Lav., nelle unità produttive con più di 200 dipendenti il datore di lavoro deve mettere permanentemente a disposizione delle RSA o delle RSU un idoneo locale all’interno della stessa unità produttiva o nelle sue vicinanze. Invece nelle unità produttive con un numero di dipendenti inferiore, le RSA non hanno diritto ad un locale stabilmente assegnato, ma possono pretenderne l’uso in caso di necessità (ad es. per le riunioni delle RSA previa apposita richiesta).