Istituzioni di Diritto Romano III cattedra Prof. Francesca Reduzzi

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Transcript della presentazione:

Istituzioni di Diritto Romano III cattedra Prof. Francesca Reduzzi (lettere G-M) A/A 2017/18 Prof. Francesca Reduzzi

Gai 3.88: Nunc transeamus ad obligationes, quarum summa divisio in duas species diducitur: omnis enim obligatio vel ex contractu nascitur vel ex delicto. Ed ora passiamo alle obbligazioni, delle quali la più importante suddivisione si fa in due specie: infatti ogni obbligazione nasce o da contratto o da delitto.

Gai 3.182. Transeamus nunc ad obligationes, quae ex delicto nascuntur, veluti si quis furtum fecerit, bona rapuerit, damnum dederit, iniuriam commiserit. Quarum omnium rerum uno genere consistit obligatio, cum ex contractu obligationes in IIII genera diducantur, sicut supra exposuimus. Passiamo ora alle obbligazioni che nascono da delitto, come quando qualcuno compie un furto, rapina dei beni, compie un danneggiamento, commette un’offesa ingiusta (lett. “ingiuria”). L’obbligazione che scaturisce da tutte queste fattispecie è di un solo tipo, mentre, come abbiamo detto sopra, le obbligazioni da contratto sono di quattro tipi.

Caratteristiche comuni: Penalità Nossalità individualità cumulatività causalità volontaria Lex XII Tab.: Si telum manu fugit magis quam iecit, arietem subicito. Se una freccia sfugge dalla mano o viene lanciata per sbaglio (sott. uccidendo qualcuno), si sacrifichi un ariete.

Distinzione tra colpa (culpa, volontarietà del fatto) e dolus (volontarietà anche dell’evento lesivo determinato dall’atto) riguardo agli atti illeciti si chiarisce solo durante epoca classica e postclassica. Cfr. omicidio volontario (legge risalente a Numa Pompilio, di interpretazione discussa) si quis hominem liberum dolo sciens morti duit, paricidas esto Se qualcuno avesse ucciso volontariamente un uomo libero, avrebbe dovuto essere a sua volta messo a morte (dai parenti dell’ucciso).

Gell. N.A.20.1.12. Quod vero dixi videri quaedam esse inpendio molliora, nonne tibi quoque videtur nimis esse dilutum, quod ita de iniuria poenienda scriptum est: "Si iniuriam alteri faxit, viginti quinque aeris poenae sunto." Quis enim erit tam inops, quem ab iniuriae faciendae libidine viginti quinque asses deterreant? Per quanto riguarda ciò che ho detto riguardo ad alcune leggi che erano eccessivamente indulgenti, non ti sembra che fosse eccessivamente leggera la norma che si trova scritta sulla pena per l’ingiuria: “Se qualcuno avrà compiuto un atto ingiusto contro un altro, abbia una pena di 25 assi”? Chi, infatti, sarà tanto povero che 25 assi lo trattengano dal desiderio di infliggere un’ingiuria?

13. Itaque cum eam legem Labeo quoque vester in libris quos ad duodecim tabulas conscripsit, non probaret: Quidam – inquit - L. Veratius fuit egregie homo inprobus atque inmani vecordia. Is pro delectamento habebat os hominis liberi manus suae palma verberare. Eum servus sequebatur ferens crumenam plenam assium; ut quemque depalmaverat, numerari statim secundum duodecim tabulas quinque et viginti asses iubebat." Propterea" inquit "praetores postea hanc abolescere et relinqui censuerunt iniuriisque aestumandis recuperatores se daturos edixerunt. 13. E così anche il vostro Labeone, nei libri che ha scritto di commento alle XII Tavole, non approvando questa norma, dice: “Lucio Verazio fu uomo notevole per malvagità e grande stravaganza. Si divertiva a schiaffeggiare con la mano aperta la guancia di uomini liberi; uno schiavo lo seguiva portando una borsa piena di assi; appena aveva schiaffeggiato qualcuno, immediatamente ordinava di pagargli secondo le XII Tavole 25 assi”. Per questo i pretori in seguito stabilirono che questa norma era desueta e doveva essere abbandonata ed emanarono un editto nel quale promettevano che avrebbero dato dei recuperatores per la stima delle ingiurie.

Gai 3.220. Iniuria autem committitur non solum, cum quis pugno puta aut fuste percussus uel etiam verberatus erit, sed etiam si cui convicium factum fuerit, sive quis bona alicuius quasi debitoris sciens eum nihil sibi debere proscripserit sive quis ad infamiam alicuius libellum aut carmen scripserit sive quis matrem familias aut praetextatum adsectatus fuerit et denique aliis pluribus modis. Si commette ingiuria non solo quando qualcuno è percosso con un pugno o con un bastone, o anche viene frustato, o anche se sarà stato fatto un oltraggio a qualcuno, sia che uno cerchi di ottenere i beni di un tale, come se fosse debitore, sapendo che invece quello non gli deve nulla, sia che qualcuno abbia scritto un libello o dei versi infamanti contro qualcuno, sia che abbia seguito una matrona o un adolescente, e infine in molti altri modi.

Gai 3.223. Poena autem iniuriarum ex lege XII tabularum propter membrum quidem ruptum talio erat; propter os vero fractum aut conlisum trecentorum assium poena erat, si libero os fractum erat; at si servo, CL; propter ceteras vero iniurias XXV assium poena erat constituta. Et videbantur illis temporibus in magna paupertate satis idoneae istae pecuniae poenae esse. La pena per le ingiurie secondo la legge delle XII tavole per “menomazione permanente” era il taglione; per la frattura o la rottura di un osso la pena era di 300 assi, se la rottura riguardava un uomo libero; se era schiavo, 150; per altri tipi di ingiurie la pena era di 25 assi. E sembrava, in quei tempi di grande povertà, questa entità della pena sufficiente.

224. Sed nunc alio iure utimur 224. Sed nunc alio iure utimur. Permittitur enim nobis a praetore ipsis iniuriam aestimare, et iudex vel tanti condemnat, quanti nos aestimaverimus, vel minoris, prout illi visum fuerit… 224. Ma ora utilizziamo un altro diritto. Si permette, infatti, da parte del pretore, a noi stessi di stimare l’ingiuria, e il giudice o condanna a tanto quanto noi abbiamo stimato, o a meno, secondo quanto gli sarà sembrato giusto…

FURTUM 183. Furtorum autem genera Ser. Sulpicius et Masurius Sabinus IIII esse dixerunt, manifestum et nec manifestum, conceptum et oblatum; Labeo duo, manifestum et nec manifestum; nam conceptum et oblatum species potius actionis esse furto cohaerentes quam genera furtorum; quod sane verius videtur... Servio Sulpicio e Masurio Sabino dissero che i generi di furto sono 4: manifesto e non manifesto, conceptum e oblatum; Labeone 2: flagrante e non flagrante; infatti le specie di furto conceptum e oblatum sembrano più essere relative alle azioni da furto che ai generi di furto, cosa che sembra più verosimile…

Gai 3.186. Conceptum furtum dicitur, cum apud aliquem testibus praesentibus furtiva res quaesita et inventa est. Nam in eum propria actio constituta est, quamvis fur non sit, quae appellatur concepti. RICETTAZIONE Si dice “furtum conceptum” (furto nascosto=ricettazione) quando, in presenza di testimoni, si è cercata e trovata presso qualcuno una cosa rubata; infatti si dà un’azione particolare contro costui, anche se non è il ladro, che si chiama “actio concepti”.

Gai 3.187. Oblatum furtum dicitur, cum res furtiva tibi ab aliquo oblata sit eaque apud te concepta sit, utique si ea mente data tibi fuerit, ut apud te potius quam apud eum, qui dederit, conciperetur. Nam tibi, apud quem concepta est, propria adversus eum, qui optulit, quamvis fur non sit, constituta est actio, quae appellatur oblati. Si dice furtum oblatum (trasferito) quando la cosa rubata ti sia stata offerta da qualcuno e questa sia stata trovata presso di te, se ti è stata data con l’idea che fosse ritrovata presso di te piuttosto che presso di chi l’ha depositata. Infatti è stata creata un’azione apposita, detta “oblati”, contro colui che te l’ha offerta, anche se non era il ladro.

Gai 3.205. Item si fullo polienda curandave aut sarcinator sarcienda vestimenta mercede certa acceperit eaque furto amiserit, ipse furti habet actionem, non dominus, … E così se un titolare di lavanderia ha ricevuto ad un prezzo definito dei vestiti da pulire e trattare o un sarto ha ricevuto dei vestiti da accomodare, e li avrà persi a causa di un furto, lui stesso avrà l’azione da furto, non il proprietario, …

Gai 3.206. Quae de fullone aut sarcinatore diximus, eadem transferemus et ad eum, cui rem commodavimus. Nam ut illi mercedem capiendo custodiam praestant, ita hic quoque utendi commodum percipiendo similiter necesse habet custodiam praestare. Le cose che abbiamo detto del lavandaio o del sarto trasferiamole a quello al quale abbiamo dato in comodato una cosa. Infatti come quelli percependo una mercede devono custodire la cosa, allo stesso modo anche colui che riceve la cosa per usarla in comodato deve custodirla.

Trafugamento (contrectactio) cosa del derubato Rimedi: Actio furti Condictio in ex causa furtiva Età classica e postclassica: requisiti del furtum cose mobili Trafugamento (contrectactio) cosa del derubato volontarietà dell’effetto furtivo da parte del ladro contrarietà all’atto da parte del derubato (=invito domino)  

Definizione di furtum del giurista Giulio Paolo (39 ad ed.) D. 47.2.1.3: Furtum est contrectatio rei fraudulosa lucri faciendi gratia vel ipsius rei vel etiam usus eius possessionisve. Quod lege naturali prohibitum est admittere. «Il furto è l’apprensione fraudolenta di una cosa allo scopo di trarre guadagno o dalla cosa stessa o dal suo uso o possesso; e ciò è vietato dalla legge naturale».

209. Qui res alienas rapit, tenetur etiam furti 209. Qui res alienas rapit, tenetur etiam furti. Quis enim magis alienam rem invito domino contrectat quam qui vi rapit? Itaque recte dictum est eum improbum furem esse; sed propriam actionem eius delicti nomine praetor introduxit, quae appellatur vi bonorum raptorum, et est intra annum quadrupli actio, post annum simpli. Quae actio utilis est, etsi quis unam rem licet minimam rapuerit. Colui che rapina cose altrui, è responsabile anche per furto. Chi infatti trafuga maggiormente una cosa altrui contro la volontà del proprietario di chi la rapina con la forza? E così giustamente è stato detto che costui è un ladro malvagio; ed il pretore ha introdotto un’azione particolare che prende il suo nome da questo delitto: l’azione “vi bonorum raptorum”, che se esercitata entro un anno, si dà per il quadruplo, dopo l’anno, nel simplum. Questa azione è “utile” se qualcuno abbia rapinato anche una cosa di scarso valore.

LEX AQUILIA

Art. 2043. c.c.
Risarcimento per fatto illecito. Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. Art. 2044 Legittima difesa
Non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri. Art. 2045 Stato di necessità
Quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato né era altrimenti evitabile, al danneggiato è dovuta un'indennità, la cui misura è rimessa all'equo apprezzamento del giudice.

D.9.2.1 pr.-1 (Ulp. 18 ad ed.). Lex Aquilia omnibus legibus, quae ante se de damno iniuria locutae sunt, derogavit, sive duodecim tabulis, sive alia quae fuit: quas leges nunc referre non est necesse. 1. Quae lex Aquilia plebiscitum est, cum eam Aquilius tribunus plebis a plebe rogaverit. La Legge Aquilia ha derogato da tutte le leggi che precedentemente hanno avuto ad oggetto il danno ingiusto, sia alle XII tavole, sia a qualunque altra legge che ora non è necessario riferire. 1. E questa legge Aquilia è un plebiscito, infatti l’ha proposta alla plebe il tribuno Aquilio Gallo.  

D. 9.2.2 pr. (Gai. 7 ad ed. prov.). Lege Aquilia capite primo cavetur: «Ut qui servum servamve alienum alienamve quadrupedem vel pecudem iniuria occiderit, quanti id in eo anno plurimi fuit, tantum aes dare domino damnas esto».  D. 9.2.2 pr. (Gaio, libro VII del commento all’editto provinciale). La legge Aquilia prevede nel primo capo: «Chi avrà ucciso ingiustamente uno schiavo o una schiava altrui o un quadrupede o un capo di bestiame, quanto fu il maggior valore di esso in quell’anno, tanto denaro sia condannato a dare al proprietario».

Gai 3. 210. Damni iniuriae actio constituitur per legem Aquiliam, cuius primo capite cautum est, ut si quis hominem alienum alienamve quadrupedem, quae pecudum numero sit, iniuria occiderit, quanti ea res in eo anno plurimi fuerit, tantum domino dare damnetur. Istituzioni di Gaio 3.210. L’azione di danno ingiusto è data dalla legge Aquilia: nel primo capo di questa è previsto che se qualcuno avrà ucciso ingiustamente uno schiavo altrui o un quadrupede di altri che faccia parte del bestiame, quanto sarà stato il maggior valore della cosa in quell’anno, tanto sia condannato a dare al proprietario.

Gai 3.211. Iniuria autem occidere intellegitur, cuius dolo aut culpa id acciderit, nec ulla alia lege damnum, quod sine iniuria datur, reprehenditur; itaque inpunitus est, qui sine culpa et dolo malo casu quodam damnum committit… Si intende per ‘uccidere ingiustamente’ quando ciò sarà accaduto per dolo o colpa; il danno che non è procurato ingiustamente non è sanzionato da nessun’altra legge; è quindi impunito colui che senza colpa né dolo malvagio causa un danno per caso …

Gai 3.213. Cuius autem servus occisus est, is liberum arbitrium habet vel capitali crimine reum facere eum, qui occiderit, vel hac lege damnum persequi … Colui al quale sia stato ucciso uno schiavo ha libera facoltà o di accusare l’uccisore di crimine capitale, o di perseguire la riparazione del danno in base a questa legge …

Gai 3.219. Ceterum etiam placuit ita demum ex ista lege actionem esse, si quis corpore suo damnum dederit, ideoque alio modo damno dato utiles actiones dantur, velut si quis alienum hominem aut pecudem incluserit et fame necaverit, aut iumentum tam vehementer egerit, ut rumperetur; Si volle peraltro che con questa legge ci fosse azione solo se taluno avesse arrecato il danno con il suo corpo; e perciò se il danno è arrecato in altro modo, si accordano delle azioni utili, come nel caso in cui uno avesse rinchiuso uno schiavo altrui o un animale perché morisse di fame, o ha condotto un cavallo così accanitamente da farlo scoppiare;

(segue: Gai 3.219) item si quis alieno servo persuaserit, ut in arborem ascenderet vel in puteum descenderet, et is ascendendo aut descendendo ceciderit et aut mortuus fuerit aut aliqua parte corporis laesus sit. Item contra si quis alienum servum de ponte aut ripa in flumen proiecerit et is suffocatus fuerit, hic quoque corpore suo damnum dedisse eo, quod proiecerit, non difficiliter intellegi potest. analogamente se taluno avrà persuaso lo schiavo altrui a salire su un albero o a calarsi in un pozzo, e quello salendo o scendendo sarà caduto e o sarà morto oppure avrà avuto lesioni in qualche parte del corpo. E ancora, invece, se qualcuno avrà gettato uno schiavo altrui da un ponte o dalla riva di un fiume e questo è affogato, non è difficile comprendere che aveva arrecato danno con il suo corpo, in quanto lo aveva gettato giù.

D. 9.2.11 Ulpianus libro 18 ad edictum pr. Item Mela scribit, si, cum pila quidam luderent, vehementius quis pila percussa in tonsoris manus eam deiecerit et sic servi, quem tonsor habebat, gula sit praecisa adiecto cultello: in quocumque eorum culpa sit, eum lege Aquilia teneri. Proculus in tonsore esse culpam: et sane si ibi tondebat, ubi ex consuetudine ludebatur vel ubi transitus frequens erat, est quod ei imputetur: quamvis nec illud male dicatur, si in loco periculoso sellam habenti tonsori se quis commiserit, ipsum de se queri debere.

D. 9.2.11 Ulpiano, libro 18 del commento all’editto pretorio Se qualcuno, nel giocare a palla con altri, abbia dato a questa un colpo troppo forte, facendola cadere sulle mani di un barbiere, e il servo che il barbiere stava radendo abbia avuto la gola tagliata col rasoio, Mela scrive che quello fra loro che sia in colpa sarà tenuto con l’azione della legge Aquilia. Proculo dice che la colpa è del barbiere, e certo se egli si è messo a radere in un luogo ove di solito si giocava o dove il transito era frequente, è il caso di fargliene colpa: benché non sia neppure scorretto l’affermare che colui il quale si affidi a un barbiere che abbia posto la sua sedia in luogo pericoloso debba imputare a se stesso il male che gliene può venire.

D. 9.2.52 Alfenus libro secundo digestorum 2. In clivo Capitolino duo plostra onusta mulae ducebant: prioris plostri muliones conversum plostrum sublevabant, quo facile mulae ducerent: inter superius plostrum cessim ire coepit et cum muliones, qui inter duo plostra fuerunt, e medio exissent, posterius plostrum a priore percussum retro redierat et puerum cuiusdam obtriverat: dominus pueri consulebat, cum quo se agere oporteret. Sul pendio del Campidoglio delle mule trascinavano due carri carichi; i mulattieri sostenevano posteriormente il primo carro, affinché le mule lo trascinassero più facilmente; il carro più avanti cominciò a retrocedere e, essendosi tolti di mezzo i mulattieri che si trovavano fra i due carri, il secondo carro urtato dal primo, scartò all’indietro e schiacciò un giovane schiavo; il padrone dello schiavetto chiedeva contro chi dovesse agire.

(segue:D. 9.2.52) Respondi in causa ius esse positum: nam si muliones, qui superius plostrum sustinuissent, sua sponte se subduxissent et ideo factum esset, ut mulae plostrum retinere non possint atque onere ipso retraherentur, cum domino mularum nullam esse actionem, cum hominibus, qui conversum plostrum sustinuissent, lege Aquilia agi posse: Io ho risposto che la soluzione giuridica dipendeva dalle circostanze del fatto; se infatti i mulattieri che sostenevano il primo carro si fossero fatti da parte volontariamente e perciò fosse accaduto che le mule non potessero più trattenere il carro e fossero arretrate per lo stesso peso, non c’è alcuna azione contro il proprietario delle mule, mentre si può agire in base alla legge Aquilia contro gli uomini che sostenevano posteriormente il carro;

(segue:D. 9.2.52) nam nihilo minus eum damnum dare, qui quod sustineret mitteret sua voluntate, ut id aliquem feriret: veluti si quis asellum cum agitasset non retinuisset, aeque si quis ex manu telum aut aliud quid immisisset, damnum iniuria daret. non diversamente, infatti, arreca un danno chi lascia andare di sua volontà ciò che sostiene, in modo da ferire qualcuno: come ad esempio se qualcuno dopo aver spinto un asino, non riuscisse più a trattenerlo, o se qualcuno si facesse sfuggire di mano un dardo o qualcosa di simile.

(segue:D. 9.2.52) Sed si mulae, quia aliquid reformidassent et muliones timore permoti, ne opprimerentur, plostrum reliquissent, cum hominibus actionem nullam esse, cum domino mularum esse. Se invece le mule sono arretrate essendosi spaventate per qualcosa e i mulattieri abbiano lasciato il carro presi da timore e per evitare di essere schiacciati, contro i mulattieri non c’è alcuna azione, mentre l’azione compete contro il padrone delle mule.

(segue:D. 9.2.52) Quod si neque mulae neque homines in causa essent, sed mulae retinere onus nequissent aut cum coniterentur lapsae concidissent et ideo plostrum cessim redisset atque hi quo conversum fuisset onus sustinere nequissent, neque cum domino mularum neque cum hominibus esse actionem. Se poi non c’entrano né le mule né i mulattieri, ma le prime non hanno potuto trattenere il carico, oppure puntellandosi sono scivolate e cadute, e perciò il carro è retrocesso, e i mulattieri posti dietro non hanno potuto sostenere il carico, non c’è azione né contro il proprietario delle mule, né contro gli uomini.

(segue:D. 9.2.52) Illud quidem certe, quoquo modo res se haberet, cum domino posteriorum mularum agi non posse, quoniam non sua sponte, sed percussae retro redissent. Quel che è certo, comunque stiano le cose, è che non si può agire contro il padrone delle mule del secondo carro, perché queste sono retrocesse non di loro volontà ma per l’urto.

CORRUPTIO SERVI D. 11.3.1 pr. (Ulp. 23 ad ed.). Ait praetor: «qui servum servam alienum alienam recepisse persuasisseve quid ei dicetur dolo malo, quo eum eam deteriorem faceret, in eum quanti ea res erit in duplum iudicium dabo». D. 11.3.1 pr. (Ulpiano, libro XXIII del commento all’editto del pretore). Dice il pretore: «concederò un’azione per il doppio del valore dello schiavo, contro chi si dirà abbia accolto dolosamente uno schiavo o una schiava altrui, oppure li abbia persuasi dolosamente a commettere azioni tali da renderli deteriori, diminuendone il valore».

(D. 11.3.3.1) Unde quaeritur, si quis servo alieno suaserit in tectum ascendere vel in puteum descendere et ille parens ascenderit vel descenderit et ceciderit crusque vel quid aliud fregerit vel perierit, an teneatur: et si quidem sine dolo malo fecerit, non tenetur, si dolo malo, tenebitur. D.  11.3.4 (Paul. 19 ad ed.) : Sed commodius est utili lege Aquilia eum teneri. Quindi si chiede se qualcuno ha persuaso uno schiavo altrui a salire su un tetto o a calarsi in un pozzo e quello, obbedendo, lo ha fatto, ma è caduto e si è rotto una gamba o qualche altra parte del corpo, o è morto, se sia tenuto (dall’actio servi corrupti): (bisogna valutare) se c’è stato dolo malvagio: se non vi è stato, (colui che ha persuaso) non sarà tenuto, in caso contrario (se il dolo può essere provato), sarà tenuto. Ma è meglio che (quello) sia tenuto con l’azione utile basata sulla legge Aquilia.