I DISTURBI DI PERSONALITA’

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Transcript della presentazione:

I DISTURBI DI PERSONALITA’ LA RELAZIONE TERAPEUTICA CON I PAZIENTI BORDERLINE Dott.ssa Maria Macrì

DEFINIZIONE DI PERSONALITA’ Secondo il Dizionario Italiano Online: 1 sf il complesso delle qualità caratteristiche di una persona, in quanto distinta dalle altre 2 sf persona ragguardevole per fama, prestigio, autorità 3 sf {diritto} il fatto di essere soggetto di diritto

DEFINIZIONE DI PERSONALITA’ Secondo il Dizionario di Psicologia di U. Galimberti: Insieme di caratteristiche psichiche e modalità di comportamento che, nella loro integrazione, costituiscono il nucleo irriducibile di un individuo che rimane tale nella molteplicità e diversità delle situazioni ambientali in cui si esprime e si trova ad operare.

DEFINIZIONE DI PERSONALITA’ Approfondendo ancora il concetto psicologico di personalità, possiamo dire che le dimensioni di base della personalità, sono i tratti. Con il termine tratto oggi intendiamo una modalità costante di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell’ambiente e di se stessi, che si manifesta in un’ampia varietà di situazioni sociali e personali (Caprara, Gennaro, 1999).

DEFINIZIONE DI PERSONALITA’ Il termine personalità viene utilizzato, spesso con diverse sfumature di significato, in ogni registro del linguaggio: nel linguaggio parlato, in quello letterario ed in quello scientifico-accademico. Gordon Allport (1897-1967), uno dei padri dei moderni studi psicologici sulla personalità, ha contato più di cinquanta definizioni diverse. Per il filosofo tedesco Karl Jaspers (1883-1969) “nessun concetto viene impiegato con significati tanto diversi e variabili come quello di personalità o carattere”

DOVE NASCE LA PATOLOGIA? Con il concetto di stile di personalità, si cerca di fornire una descrizione più globale del funzionamento individuale. Cioè, lo stile, è una configurazione più o meno stabile di tratti di personalità, che definisce una struttura psicologica più in generale.

DOVE NASCE LA PATOLOGIA? Quando le modalità di agire, percepire, rapportarsi e pensare, diventano eccessivamente rigide e disadattive, e interferiscono con il funzionamento relazionale e lavorativo di un individuo o, più in generale, con il senso di benessere suo e delle persone con cui vive e lavora, allora è possibile parlare di un disturbo della personalità.

DOVE NASCE LA PATOLOGIA? World Health Organization, 1978 Modalità disadattive profondamente radicate, generalmente riconoscibili dall’adolescenza o anche prima e che perdurano per buona parte della vita adulta anche se spesso divengono meno evidenti nella mezza età e nell’anzianità. La personalità è abnorme sia nell’equilibrio delle sue componenti sia nella loro qualità ed espressione, sia infine nella loro globalità.

DOVE NASCE LA PATOLOGIA? DSM-IV, 1994 “I tratti della personalità sono modi costanti di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell’ambiente e di se stessi, che si manifestano in un ampio spettro di contesti sociali e personali. Solo quando tali tratti sono rigidi e non adattativi e causano una significativa compromissione del funzionamento sociale o lavorativo, oppure una sofferenza soggettiva, essi costituiscono i Disturbi della Personalità”

Problemi connessi con la diagnosi di Disturbi di Personalità Diagnosi descrittiva vs diagnosi inferenziale Diagnosi categoriale vs diagnosi dimensionale Comorbilità fra disturbi di personalità Comorbilità fra disturbi di personalità e disturbi psichiatrici

Due concetti importanti nello studio della personalità: categoria e dimensione. Parlare di disturbo di personalità implica la costruzione di una categoria diagnostica, cioè di uno spazio definito da criteri ben precisi rispetto ai quali il paziente può essere collocato “dentro” o “fuori”. Le categorie hanno il vantaggio di essere più facili da concettualizzare e sono un modo familiare di mettere ordine fra le cose. Nel caso della personalità usare le categorie può presentare vantaggi (replicabile nel tempo) e svantaggi (perdita d’informazioni).

La differenza fra i due approcci Classificazione dimensionale Classificazione descrittiva Legge i disturbi dal punto di vista delle interazioni e delle cause che incatenano alcune dimensioni separatamente misurabili Inserisce i disturbi all’interno di una scala, dove i criteri di inclusione/esclusione rispondono a item categoriali di tipo si/no. Uno sguardo più vario e complesso, clinicamente più adeguato ma più discutibile dal punto di vista concettuale e molto più “impegnativo”. Un sistema più rapido, replicabile, comunicabile e tendenzialmente “laico” dal punto di vista teorico

Descrittivo vs dimensionale Ateoretica Descrizione Dimensione sincronica Criterio normativo esterno Importanza fondamentale teoria Comprensione Dimensione sincronica e diacronica Senso della sofferenza ↓↓ Importanza Ordine del senso (sintomo) Ordine del processo (anamnesi)

Esempio: descrittivo vs dimensionale DSM Dalla rilevazione di sintomi oggettivi, si individuano profili psicopatologici ben precisi e delimitati (Borderline è uno specifico disturbo caratterizzato da precise caratteristiche) Diagnosi Strutturale di Kernberg La struttura sottostante ai fenomeni osservabili individua aree psicopatologiche più ampie (Borderline è un tipo di organizzazione della personalità).

Criteri Diagnostici Generali per la Diagnosi di Disturbo di Personalità secondo il DSM IV A. Un modello abituale di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo. Questo modello si manifesta in due (o più) delle seguenti aree: 1) cognitività (cioè modi di percepire e interpretare se stessi, gli altri e gli avvenimenti); 2) affettività (cioè la varietà, intensità, labilità e adeguatezza della risposta emotiva); 3) funzionamento interpersonale; 4) controllo degli impulsi.

Criteri Diagnostici Generali per la Diagnosi di Disturbo di Personalità secondo il DSM IV B. Il modello abituale risulta inflessibile e pervasivo in una varietà di situazioni personali e sociali. C. Il modello abituale determina un disagio clinicamente significativo e compromissione del funzionamento sociale, lavorativo e di altre importanti aree; D. Il modello è stabile e di lunga durata e l’esordio può essere fatto risalire almeno all’adolescenza o alla prima età adulta; E.  Il modello abituale non risulta meglio giustificato come manifestazione o conseguenza di un altro disturbo mentale; F. Il modello abituale non risulta collegato agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es. una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale (per es. un trauma cranico).

Problema della gravità dei disturbi di personalità Il DSM, per quanto riguarda la diagnosi di asse II, si basa su un approccio che prevede, per formulare una diagnosi formale, che sia soddisfatto, in qualsiasi combinazione possibile, un certo numero-soglia di criteri diverso da disturbo a disturbo. Ciò porta a nascondere, al di sotto di una stessa etichetta diagnostica, una notevole eterogeneità in termini sintomatologici: Si potrebbe pensare che la gravità sia correlata al numero dei criteri soddisfatti: un paziente che soddisfa cinque criteri è meno grave di uno che ne soddisfa otto?

Gravità dei disturbi di personalità “Non è possibile comprendere la struttura essenziale del carattere di un essere umano senza valutare due dimensioni distinte e tra loro interagenti: il livello evolutivo dell’organizzazione di personalità e lo stile difensivo all’interno di quel livello” Mc Williams, 1994

Livello di organizzazione della personalità Per valutare il livello di organizzazione della personalità bisogna prendere in esame un insieme di componenti: Meccanismi di difesa Relazioni oggettuali interne Forze e debolezze dell’Io Funzione riflessiva

ORGANIZZAZIONE BORDERLINE SECONDO KERNBERG Manifestazioni non specifiche di debolezza dell’Io Predominanza di difese psicologiche meno mature, quali scissione, proiezione, e identificazione proiettiva, che portano a: un’identità diffusa e una connessa specifica patologia delle relazioni con gli oggetti interni, in cui le rappresentazioni degli altri sono frammentate e fortemente connotate positivamente o negativamente.

I criteri diagnostici del Disturbo Borderline di Personalità Il disturbo borderline di personalità è definito dal DSM-IV “una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’affettività con impulsività notevole, comparsa entro la prima età adulta e presente in vari contesti” Vengono forniti nove criteri diagnostici di cui ne occorrono al clinico almeno cinque per poter accertare la presenza di un BPD: “tentativi esagitati di evitare abbandoni reali o immaginari” “modalità di relazioni interpersonali instabili ed intense, caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione” “disturbo dell’identità: l’immagine di sé o il senso di sé sono disturbati in maniera marcata e persistente, o instabile” “impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto, quali spendere, sesso, uso di sostanze, guida spericolata, abbuffate” “ricorrenti minacce, gesti o comportamenti suicidari, o comportamenti automutilanti” “instabilità affettiva causata da una marcata reattività dell’umore (ad esempio, intensa disforia episodica, irritabilità o ansia che di solito dura poche ore e raramente supera pochi giorni)” “sentimenti cronici di vuoto” “rabbia immotivata e intensa o mancanza di controllo della rabbia (ad esempio, frequenti accessi d’ira, rabbia costante, ricorrenti scontri fisici)” “gravi sintomi dissociativi o transitoria ideazione paranoide correlata ad eventi stressanti”.

IL QUADRO CLINICO (1) Difficoltà a stabilire delle relazioni interpersonali stabili: oscillano dalla idealizzazione delle persone del proprio ambiente alla loro più completa svalutazione; in pratica, non esistono categorie intermedie di valutazione degli altri, i quali appaiono, pertanto, o tutti buoni o tutti cattivi. La stessa alternanza investe anche il piano emotivo, per cui essi possono passare indifferentemente dalla rabbia alle scuse. Questi comportamenti e vissuti fortemente contraddittori vengono sperimentati anche in relazione al Sé; infatti, possono coesistere indifferentemente rappresentazioni di sé del tutto opposte che si alternano di continuo senza che il paziente ne abbia consapevolezza. Disturbi dell’identità: avvertono continuamente un profondo senso di vuoto e necessitano della presenza altrui per sentirsi in qualche modo delle persone “vive”. La sensazione di “non esistere” pervade l’esistenza di questi pazienti che, pertanto, vanno ad instaurare delle relazioni tese alla totale dipendenza dalle persone del proprio ambiente che diventano per loro assolutamente indispensabili. Infatti, di fronte a qualsiasi tipo di abbandono, reale o immaginario, i borderline avvertono un profondo senso di annientamento che li spinge spesso a trasformare l’idealizzazione dell’altro in una totale svalutazione. Esplosioni violente di rabbia, ira ed ostilità, oltre che frequenti insulti ed acting-out: il loro comportamento è, in questo senso, particolarmente impulsivo e può tradursi in una serie di atteggiamenti potenzialmente dannosi, quali l’abuso di sostanze stupefacenti, i furti, la guida spericolata, frequenti abbuffate e comportamenti sessuali indiscriminati.

IL QUADRO CLINICO (2) Ipersensibilità all’abbandono: responsabile delle intense oscillazioni emotive ed affettive che caratterizzano le relazioni di tali soggetti. Questi sono spesso sottoposti a bruschi cambiamenti di umore, che oscillano da stati depressivi a condizioni di intensa irritabilità, associati a volte a sentimenti di profonda ansia. Gesti autolesivi e tentativi suicidari a cui si accompagna una particolare tendenza a godere degli atti di automutilazione: frequentemente possono procurarsi ferite e bruciature, riferendo di non avvertire alcun dolore, ma solo una sensazione di sollievo dall’ angoscia e dalla rabbia (Bellodi, Battaglia, Magone, 1992). Gravi sintomi dissociativi: sono frequenti rotture dell’esame di realtà e distorsioni cognitive nel contesto interpersonale, che si manifestano sottoforma di episodi deliranti di abbandono da parte delle figure più significative. In conclusione, questi pazienti “sono persone di cristallo, delicate da toccare, facili a rompersi e pericolose quando sono in frantumi” (Bellodi, Battaglia e Migone, 1992).

Come si tratta un paziente borderline? Il paziente border è uno delle maggiori sfide per un terapeuta. All’interno della relazione terapeutica ripropone l’ambivalenza che lo caratterizza, e ciò provoca nel terapeuta sentimenti contrastanti di “attrazione ” e “paura”.

Pattern relazionali Nella relazione terapeutica ogni paziente mette in scena i propri pattern relazionali. Il problema dei modi ripetitivi in cui una persona si relaziona agli altri è strettamente connesso a quello delle identificazioni. Mentre quest’ultimo riguarda principalmente “chi” sono i modelli del paziente e “quali” sono le qualità di questi oggetti che il paziente vuole assimilare o rifiutare, quello dei pattern relazionali concerne il modo in cui si esprimono i rapporti della persona con i suoi principali oggetti d’amore. Gli stili interpersonali dei caregiver e i temi sottostanti relativi alle relazioni che esprimono sono interiorizzati nell’infanzia

Disorganizzazione dell’attaccamento nei pazienti border Secondo recenti studi (Main, 2000, Lyons Ruth, 2003, Fonagy, 2002, Liotti, 2006), i pazienti border hanno esperito un tipo di attaccamento, con la figura di riferimento, di tipo Disorganizzato-Disorientato (pattern D della Teoria dell’Attaccamento).

Disorganizzazione dell’attaccamento nei pazienti border Questo pattern prevede che il bambino si trovi ad interagire con un genitore turbato dal continuo e frammentario emergere alla coscienza di dolorose e spesso terrorizzanti memorie di lutti e traumi non eleborati.

Disorganizzazione dell’attaccamento nei pazienti border Ciò conduce il genitore ad assumere atteggiamenti ed espressioni di dolore, di paura, o di improvvisa e immotivata collera, rispondendo inadeguatamente alle esigenze di attaccamento del bambino, e generando spavento e paura in esso.

Disorganizzazione dell’attaccamento nei pazienti border Si crea così una condizione di circolarità paradossale: “stato di terrore senza sbocco”. Ciò determina l’insorgenza di uno stato alterato di attenzione e coscienza, che facilita la costruzione di Modelli Operativi Interni frammentari, multipli e incoerenti.

Conseguenze del’Attaccamento Disorganizzato Può causare una carenza nello sviluppo metacognitivo, tale da inficiare la capacità di riflettere sui propri stati mentali e quelli altrui, rendendo incapace il soggetto di regolare e modulare l’esperienza emotiva e le sue azioni, le sue reazioni e relazioni con gli altri.

È possibile una cura efficace e una modificazione nel paziente borderline?

Meccanismi di cambiamento Uno studio di M. Vigorelli, G. Foresti, M. Biaggini, P. Zambonin e M. Villa, ha individuato otto meccanismi di cambiamento comuni a modelli terapeutici diversi.

Meccanismi di cambiamento (2) Tali meccanismi sono: Relazione interpersonale correttiva Abilità di mentalizzazione, processi collaborativi vs attaccamento sicuro Stabilizzazione dell’Identità di Sé Trasposizione del setting sul piano mentale Arricchimento della memoria episodica in condizioni di elevato arousal Stimolazione dell’”orienting reflex” Cornice stabile per il terapeuta e riduzione di false aspettative Stimolazione della capacità riflessiva.

Relazione interpersonale correttiva L’esposizione ad una relazione intima positiva (come una buona relazione di coppia o una buona alleanza terapeutica), funziona come relazione correttiva rispetto all’esperienza del passato.

Abilità di mentalizzazione, processi collaborativi vs attaccamento sicuro Nei pazienti border il sistema di attaccamento e quello delle competenze riflessive, tendono ad escludersi a vicenda, soprattutto quando l’attaccamento è fortemente attivato, proprio in quanto disorganizzato. Si stimola quindi il paziente, attraverso una modalità collaborativa, a comprendere la mente propria e dell’altro, orientandolo verso un attaccamento sicuro.

Stabilizzazione dell’Identità di Sè Inviando al paziente dei feedback coerenti e fondati su una logica comprensibile, gli si permette di creare un immagine di sé stabile, e gli si fornisce una risposta gratificante che accresce l’alleanza terapeutica.

Trasposizione del setting sul piano mentale Si ricrea nel paziente uno spazio mentale che ripropone l’atmosfera del setting (sicurezza, solidità, astensione da giudizi automatici), facilitando, così, la generalizzazione di quanto appreso nelle sedute ad ambienti esterni e diversi dal setting stesso.

Arricchimento della memoria episodica in condizioni di elevato arousal Si migliora la capacità del paziente di discriminare gli stimoli in condizioni di elevato arousal, permettendogli, così, di prevenire la crisi riconoscendo i pattern di eventi che la precedono.

Stimolazione dell’”orienting reflex” Si destabilizza il paziente e lo si allontana dalle sue certezze, in modo da innescare in lui un riflesso di completa apertura dei sistemi di ricezione ed elaborazione di stimoli, che permette un migliore apprendimento durante le sedute.

Cornice stabile per il terapeuta e riduzione di false aspettative Vengono stabilite delle regole che funzionano come confini per prevenire il dropout del paziente, e rendono esplicite le aspettative impedendogli di inseguire false illusioni.

Stimolazione della capacità riflessiva Si porta alla comprensione degli stati mentali propri e altrui, per superare quelle ripetute strategie disadattive che il paziente usa per affrontare gli insostenibili stati di angoscia (es. automutilazione, sessualità promiscua, ecc.)

CASI CLINICI

Grazie per l’attenzione!