L.40/2004 INDICE: Statuto dell’embrione Indagine preimpianto Eterologa
Statuto dell’embrione Embrione: prodotto del concepimento nelle sue fasi iniziali; nei primissimi gg. della fertilizzazione si utilizzano altri termini: ootide, zigote, preembrione; dopo il 14g. si parla più comunemente di embrione; la L. 40 utilizza indistintamente il termine embrione
Segue Il problema dell’embrione sorge con la tecnica della FIVET: i gameti si incontrano in provetta, così da ottenere ovuli fecondati che vengono trasferiti nell’utero della donna. Differenza tra l’embrione in utero e l’embrione fuori del corpo della donna: differenza utilizzata da diverse scuole di pensiero per ragioni opposte:
Segue -a)nell’ embrione in utero condizionato dal rapporto madre-concepito si contrappongono due diritti: la salute psico-fisica della madre e il diritto a nascere del concepito necessità di bilanciarli (194/1978) nella FIVET la produzione degli embrioni e la loro dispersione ha un rapporto meno diretto con la salute della madre (avviene fuori del corpo materno)
Segue attraverso questa tecnica la soppressione degli embrioni è già prevista (impossibilità di impiantare tutti quelli già formati; selezione degli stessi); con la procreazione naturale la soppressione dell’embrione/feto può accadere spontaneamente;
Segue b) altri sottolineano la contraddizione di una eventuale maggiore tutela dell’embrione in provetta di quanto avvenga nell’utero materno (es. L. 40): - nel primo caso titolare di diritti assoluti, in quanto inviolabile, sebbene ancora privo dell’ambito materno; -nel secondo caso subordinato al diritto alla salute della madre: l’embrione è titolare di un mero diritto di prima facie;
Statuto dell’embrione 1 Embrione come persona 2 Embrione come materiale biologico 3 Embrione come progetto di vita
Embrione come persona 1 Embrione è persona: soggetto di diritto uguaglianza tra embrione e persona nata – 1a= Si richiama la concezione classica: la persona si concreta nell’unità sostanziale e non cessa di essere persona per la sola circostanza di non realizzare appieno le proprie caratteristiche e funzioni (concezione propria del cristianesimo) Teoria che si contrappone alla concezione funzionalista che ha origine nel pensiero moderno (Cartesio; Locke; Hume):il concetto di persona si fonda su di un insieme di proprietà o funzioni (autocoscienza, capacità di riflessione di relazioni sociali)
Segue 1b= Si può prescindere dal “concetto di persona” per trovare altre ragioni di tutela dell’embrione, così da trattarlo come persona: l’embrione è organismo di natura umana; il dubbio, in assenza di certezza, che l’embrione possa in una certa fase precoce essere persona; il criterio di somiglianza, dato che in un tempo antecedente a quello presente ciascuno di noi è stato un embrione; la regola aurea della morale di non fare agli altri quanto non vorresti fosse fatto a te; il principio di responsabilità verso il progetto riproduttivo sacralità della vita fin dal suo inizio
Segue =indifferenza fra embrione in utero o fuori dell’utero (provetta); = embrioni formati in vitro solo a scopo di procreazione e obbligo di portarli a nascita; = divieto di crioconservazione o crioconservazione necessitata (embrione mal formato); =intervento medico scientifico, solo come terapeutico nei confronti dell’embrione;
Segue Sperimentazionesull’embrione=sperimenta-zione su di un essere nato ---> stesse condizioni per la sperimentazione della persona nata: consenso del paziente----> impossibilità del consenso da parte dell’embrione-----impossibilità di sperimentazione e di donazione dell’embrione alla ricerca.
2)Embrione come materiale biologico specificità e valore dell’uomo collocati nella sua dimensione culturale. l’embrione non ha diritto ad uno statuto morale e ancor meno giuridico. è lecito produrre embrioni soprannumerari e la loro crioconservazione. embrioni soprannumerari come un bene necessario progressi in tre direzioni diverse: cura della sterilità attraverso donatori di embrioni; estensione della conoscenza scientifica; impiego di materiale embrionale in processi industriali e commerciali.
3)Embrione come progetto di vita Embrione né persona né materiale biologico si prescinde da qualsiasi definizione di persona e non si considera l’embrione come un individuo attribuendogli diritti e conseguenziali doveri da parte della società si garantiscono tuttavia all’embrione le condizioni più favorevoli allo sviluppo e alla nascita
Segue posizione di prevalenza della salute fisica e psichica della madre possibile sperimentazione sia terapeutica sia non terapeutica sulla base di rigorosi e controllati protocolli.
Teoria post-zigotica o gradualista Statuto etico e giuridico all’embrione solo a partire da un certo momento che si situa tra il suo concepimento e il suo sviluppo definito come inizio della vita personale (comparsa della stria primitiva, successivamente al 14° giorno); Scuola di pensiero portata a distinguere una fase preembrionale nella quale la valutazione morale e giuridica non potrà essere la stessa riservata alla fase successiva ed in cui potrà essere consentito un maggior spazio di manovra alla ricerca.
Nel diritto italiano Il nostro ordinamento non accoglie la teoria dell’anticipazione della personalità né quella fictio che considera il concepito come già nato; art. 1. capacità giuridica che si acquista dal momento della nascita;
Segue Un tentativo di conciliare l’art. 1 c.c. con la tutela dell’embrione come persona è stato fatto dalla dottrina attraverso la scissione tra il concetto di soggettività e quello di capacità giuridica; la capacità giuridica «resterebbe una categoria plasmata sull’approccio prettamente patrimonialistico del codice», mentre la soggettività si riconduce ai diritti fondamentali della persona (vita, salute, dignità, identità) che non sono subordinati all’evento nascita, ma appartengono al concepito qualunque sia il suo grado di sviluppo. Una interpretazione che potrebbe rendere superflua una modifica dell’art. 1 c.c. come richiesto da chi vuole tutelare l’embrione.
Segue Non si considera l’utilizzo dell’embrione e la sua eventuale dispersione come assimilabili ad un omicidio
Segue Corte Cost. 18.02.1975 n. 27 relativa alla controversa questione della responsabilità penalistica dell’aborto in specie sull’illegittimità costituzionale dell’art. 546 cp in quanto non differenziava rispetto al reato di aborto il c.d. aborto terapeutico; Interruzione volontaria della gravidanza che vede prevalere l’interesse della donna nei confronti dell’interesse di un altro soggetto in fieri (L. 194/1978)
Segue Tutela del concepito, sebbene assicurata costituzionalmente e subordinata al prevalere del bene rappresentato dalle condizioni psico fisiche di salute della madre intese in senso lato. Distinzione fra doveri inderogabili (assoluti) e doveri derogabili prima facie. .
Conseguenze giuridiche se l’embrione è persona Allo status di persona dell’embrione dovrebbe conseguire un divieto assoluto all’interruzione volontaria della gravidanza, salvo il caso di grave pericolo di vita per la madre; Altri conflitti: lo stile di vita di una donna gravida può essere oggetto di giudizio, di controllo da parte di terzi (si pensi allora al giudice chiamato a decidere su aspetti privatissimi della vita);
Segue Minacciato anche il principio stesso della libertà procreativa, con ciò sollevando problemi molto delicati, relativi non solo all’etica della libertà ma anche al diritto del bambino nei confronti della madre a nascere integro.
Segue Non si dovrebbero escludere azioni civili o penali contro donne incinte che hanno posto in essere scelte che minacciano la salute dei nascituri; c.d. azioni non solo di wrongful birth ma anche di wrongful life, ben note nel Nord America ma anche nel Continente, potrebbero diventare gli strumenti di una nuova eugenetica che spoglia peraltro le donne fertili di ogni diritto.
Ricerca sull’embrione È evidente che nei confronti della ricerca sull’embrione, e di conseguenza sulle cellule staminali embrionali (si tratta di quelle cellule ricavate dalla regione interna dell’embrione), gli interrogativi morali sollevati sono risolvibili in base allo statuto dell’embrione e alla tutela debole o forte che gli viene accordata.
Segue Di fatti, l’utilizzo, la manipolazione dell’embrione umano, come oggetto di ricerca e fonte di trapianti cellulari, implica la sua distruzione in evidente contrasto con l’idea che esso possa essere considerato come un soggetto che ha fin dall’inizio la dignità propria della persona
Segue la sperimentazione sull’embrione può avere due diverse finalità: a) trattamento strettamente terapeutico, finalizzato al beneficio dell’embrione stesso; b) ricerca non terapeutica, che ha per obiettivo la conoscenza scientifica indipendentemente dal beneficio che uno specifico embrione ne ricava.
Segue In un contesto terapeutico, i medici non possono che esaminare gli embrioni per apprendere e curare il processo di sviluppo delle malformazioni, per preservarlo in vitro in previsione di un trasferimento ulteriore, per migliorare il metodo di trasferimento al fine di aumentare le possibilità di riuscita di una gravidanza senza che l’embrione stesso subisca delle malformazioni o delle manipolazioni.
Segue In un contesto non terapeutico: il ricercatore può effettuare delle ricerche a titolo sperimentale sugli embrioni soprannumerari, che sono stati dati o abbandonati dai pazienti nell’ambito della FIVET, o su cellule prelevate da embrioni e da feti abortiti; una ricerca anch’essa prevalentemente rivolta al miglioramento della salute in generale, avendo come obiettivo il trattamento dell’infertilità, la prevenzione dell’aborto naturale e la realizzazione di possibili benefici terapeutici.
Segue Il punto di vista favorevole alla sperimentazione sull’embrione è collegato alla circostanza che le stesse persone viventi si concedono alla sperimentazione. Ma la sperimentazione si basa necessariamente sul consenso informato del paziente e quindi quella sull’embrione si complica dato che l’embrione, qualora sia considerato persona, non può prendere una decisione su ciò che lo concerne.
L. 40/2004 1=L’accesso alla PMA 2=La tutela dell’embrione 3=La tutela del nato
L’accesso alla PMA La nostra normativa in forza del combinato disposto degli artt. artt. 1[1], 4[2] e 5[3] indica che la ragione della legge è quella di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi esclusivamente derivanti dalla sterilità o dalla infertilità della coppia, rigorosamente certificate dal medico. . [1] L’art. 1 indica le finalità della legge. [2] L’art. 4 regola l’accesso alle tecniche e i principi con cui è applicata la tecnica. [3] L’art. 5 indica i requisiti soggettivi per accedere alle tecniche della PMA.
Segue E di fatti in occasione della presentazione dell’allora disegno di legge alla Camera dei Deputati, la relatrice, On. Dorina Bianchi, precisava che le tecniche di fecondazione artificiale «non sono una terapia», bensì sono un mero «sostegno alla coppia e quindi a due soggetti, interessando poi i diritti e la condizione di un terzo soggetto, il bambino»[1]. [1] Relazione del 26 marzo 2002.
Segue La norma si pone, dunque, nell’ambito di quelle concezioni fortemente discutibili che non ritengono i problemi riproduttivi come facenti pienamente parte del diritto alla salute e da questa premessa muove per porre dei limiti rigorosi nei confronti dell’accesso alla tecnica della PMA.
Segue Il che ha comportato l’esclusione dall’accesso alla PMA di quelle coppie che, sebbene non affette da sterilità, hanno problemi a procreare a causa di infezioni sessuali trasmissibili o malattie genetiche ereditarie. A fronte delle critiche emerse le Linee guida del 2008, come sopra detto, hanno esteso la possibilità di ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alla coppia in cui l’uomo sia portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili
Segue Una estensione all’accesso alla PMA pensata non tanto per evitare una filiazione malata, quanto dalla volontà di garantire la salute della donna a fronte di possibili rapporti non protetti per ragioni procreative.
Segue Una estensione all’accesso alla PMA che non può comunque rassicurare nella fase autorizzativa i Centri, dato che le linee guida sono atti di normazione secondaria con natura regolamentare che non possono incidere specificatamente sulla legge, innovandola. Se il TAR del Lazio ha annullato le prime Linee guida nel punto in cui vietano la diagnosi preimpianto dell’embrione per le ragioni di diritto sopra menzionate, analogo destino dovrebbe essere riservato alle seconde.
Segue A similitudine di quanto è avvenuto per l’indagine preimpianto anche in queste limitazioni vi è la paura da parte del legislatore di derive eugenetiche, che marchino la differenza tra vite “degne” e “indegne” di essere vissute. Preoccupazioni meritevoli di attenzione, ma rischio ragionevolmente contenibile in base alle indicazioni mediche che dovrebbero accertare le ragioni che spingono gli utenti alla richiesta della PMA.
Segue bioeticamente fortemente discutibile imporre la difesa della vita embrionale come bene da porre sullo stesso piano della volontà di evitare gravi sofferenze al nascituro.
Segue Ciò senza necessariamente invocare un diritto fondamentale al “figlio sano”, ma risultando sufficiente considerarlo come un desiderio comprensibile e legittimo di genitori correttamente informati e consapevoli delle proprie scelte. E se un feto portatore di malattie può portare la madre in condizioni psico fisiche da essere legittimata all’aborto ciò è altrettanto giustificabile a fronte di un embrione malato nella fase del preimpianto.
Segue Queste limitazioni all’accesso alle tecniche hanno sollevato dubbi di costituzionalità, consistenti nella loro incompatibilità con i diritti fondamentali riconosciuti dalla nostra Carta Costituzionale (artt. 2, 13 e 32).
Segue Tanto più che una volta ammessa dalla giurisprudenza la diagnosi preimpianto, attraverso una lettura costituzionalmente orientata, è possibile chiedersi se davvero coppie al cui interno non vi sia sterilità, ma che siano a forte rischio di trasmissibilità di malattie genetiche, non vengano a ricevere, per il fatto di non poter ricorrere alla PMA e nell’ambito di essa alla diagnosi preimpianto, un trattamento discriminatorio rispetto a coppie, sempre a forte rischio di trasmissibilità di malattie genetiche, al cui interno vi sia però sterilità e che a tale indagine possano ricorrere.
Segue: CEDU La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) in una sentenza del 28 agosto 2012 (Costa/Pavan) ha ritenuto che i requisiti soggettivi per accedere alla procreazione medicalmente assistita previsti dalla L. 40/2004 contrastano con l’art. 8 della Convenzione europea sui diritti umani, avendo violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare dei ricorrenti.
Segue Secondo i giudici la normativa è “incoerente” in quanto la L. 40 vieta alle coppie non sterili e fertili di accedere alla diagnosi preimpianto e vieta di selezionare gli embrioni ottenuti, scartando quelli sani; mentre altra legge dello Stato (L. 194/78) permetterebbe ad una coppia di accedere ad un aborto terapeutico.
Segue Critica: La Corte europea si allinea a quella tendenza definita di eugenetica liberale che privilegia gli interessi della coppia e pone sottosilenzio il problema della tutale della vita nascente specie quando è malata.
Segue Si ricorda che la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ha sancito con chiarezza il divieto di abortire un feto o un embrione perché malati o affetti da grave disabilità. L’analogia tra la legge 194 e l’indagine pre-impianto non è esatta perché solo a determinate condizioni è possibile l’aborto cioè quando la malattia del feto costituisce un grave pericolo per la salute psichica o fisica della donna e dopo un iter di verifica ben preciso. Ciò mancherebbe nell’indagine preimpianto e con la conseguente possibilità di eliminare l’embrione malato
Segue E’ stato osservato che mentre la diagnosi preimpianto conduce ad una scelta di selezione/soppressione tra diversi esseri viventi in favore di uno e contro l’altro, con la diagnosi prenatale si pone invece una scelta di prosecuzione o di soppressione di quella unica stessa vita, risultando positivo il fatto che si possa ancora scegliere per la sua prosecuzione.
Segue Una vicenda giudiziaria che poteva ben essere trattata innanzi ai nostri tribunali e successivamente rimessa alla Suprema Corte per incostituzionalità delle norme discusse non in linea con i principi fondamentali garantiti dalla Carta (v. scheda 60).
La tutela dell’embrione
L.40: numero di embrioni Come già ricordato, l’art. 14, co. 2, stabilisce che le tecniche di fecondazione assistita “non devono creare un numero di embrioni superiori a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto e comunque non superiore a tre”. La finalità del legislatore è stata quella di evitare spreco di embrioni.
Segue Se si fosse voluto assicurare da parte del legislatore una tutela assoluta dell’embrione non sarebbe stato sufficiente la limitazione alla produzione di embrioni non superiore a tre, dato che alcuni di essi possono non dar luogo a gravidanza e quindi andare dispersi. Una tutela piena dell’embrione si sarebbe potuta assicurare soltanto attraverso la formazione e l’impianto di un solo embrione, evitando così la dispersione e la crioconservazione.
Segue E, ancora, una tutela piena avrebbe dovuto prevedere in caso di insuccesso del primo tentativo l’eventuale divieto di reiterarlo per non sottoporre a rischio un successivo embrione. Ma ciò avrebbe compromesso fortemente la speranza di successo delle tecniche procreative con probabilità prevalente di rendere del tutto utopistica la soluzione dei problemi riproduttivi.
Segue Prima dell’entrata in vigore della normativa i Centri specializzati procedevano generalmente all’inseminazione di un numero di ovociti superiore a tre e al successivo impianto degli embrioni di migliore qualità.
Segue Ciò consentiva non un percorso verso l’eugenica positiva, piuttosto verso quella negativa, cioè una selezione degli embrioni, dettata dalla finalità di realizzare un intervento di successo e di evitare, in caso di fallimento attraverso la crioconservazione degli embrioni in eccesso, la reiterazione a carico della donna di cicli di stimolazione ovarica, trattamenti caratterizzati da tasso di invasività e pericolosità per la sua salute.
Segue Il legislatore si è mosso verso una soluzione di compromesso tra la necessità della cura della sterilità o della infertilità e la crioconservazione e soppressione degli embrioni. Di fatti, ha ritenuto di poterla realizzare attraverso il ricorso alla regola di produzione di massimo tre embrioni per un unico impianto.
Segue Tuttavia, la limitazione a tre del numero degli embrioni è considerata in modo prevalente dal mondo scientifico una metodologia che, non tenendo conto della gradualità data dall’età della paziente, dalle problematiche specifiche, dalla qualità degli embrioni e dai rischi inerenti le singole tecniche per la donna come per il concepito, sia così poco ottimale da essere passibile di accusa di malpractice.
Segue Gran parte della dottrina fin da subito aveva denunciato questa tecnica in contrasto con la Carta costituzionale: lesivi del principio di rispetto della dignità, in violazione a quanto previsto dagli artt. 2 e 13 Cost.; lesivi del diritto alla salute proclamato dall’art. 32 Cost.; discriminanti, più o meno direttamente, in violazione dell’art. 3 Cost., in quanto un trattamento apparentemente uguale per ogni donna non risulta in concreto efficacie in relazione ai singoli casi, che non sono uguali fra loro e che richiedono, come già detto, trattamenti differenziati.
Segue Con la sentenza dell’8 maggio 2009 n. 151, la Corte costituzionale ha accolto tale dubbio e dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2 limitatamente alle parole “ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre”.
Segue Ne consegue che sarà il medico, sulla base di aggiornate e accreditate conoscenze tecnico-scientifiche, ad individuare il numero di embrioni da trasferire caso per caso, così da assicurare un serio e appropriato tentativo di procreazione assistita. Nulla è espressamente detto sulla crioconservazione anche se il divieto si presume essere venuto meno data la produzione ancora più ampia di embrioni
Indagine pre-impianto «La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione – dice l’art. 13, comma 2 – è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad esse collegate volte alla tutela della salute e dello sviluppo dell’embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative». Pertanto, non è previsto da parte della normativa alcun divieto esplicito nei confronti dell’indagine genetica pre-impianto (DPI).
Segue Sono state le prime Linee guida a stabilire che è possibile accertare eventuali anomalie dell’embrione soltanto attraverso un’analisi morfologica al microscopio.
Segue =Motivi: sperimentalità della tecnica: non consente certezza dei risultati; assenza di protezione per l’embrione: compromessa la salute e le sue possibilità di sviluppo. la finalità è quella di selezionare e scartare gli embrioni, secondo una logica eugenetica, eticamente inaccettabile.
Segue Non vi è dubbio che le Linee guida abbiano finito per sovrapporsi e confondersi con la stessa normativa. Confermano il divieto:Trib. Catania 3 maggio 2004, cit.; TAR del Lazio 5 maggio 2005, n. 3452, cit. e TAR del Lazio 23 maggio 2005, n. 4047, cit.
Segue il Trib. Cagliari (16 luglio 2005), investito del compito di decidere se sia legittimo ottenere la diagnosi pre-impianto dell’embrione già formato nel ragionevole dubbio che questo sia portatore di una grave malattia genetica, solleva questione di legittimità costituzionale sul presupposto dato per certo che la normativa la proibisce.
Segue Sta di fatto che il combinato disposto degli artt. 13 e 14 non conferma l’interpretazione dell’organo giudicante. L’art. 14, comma 5 esplicita un diritto dei genitori ad una indagine sullo stato di salute degli embrioni e, qualora ne risulti una grave e irreversibile anomalia nello sviluppo di essi, l’obbligo del medico di informarli.
Segue La ricerca del consenso informato della coppia lungo ol pecorso della PMA è prevista anche in forza dell’art. 6 della stessa normativa è dovuta, in via generale, nell’ambito di qualsiasi intervento terapeutico operato nei confronti di un paziente in via più specifica anche nell’ambito di una gravidanza naturale dove è sempre presente il diritto dei genitori ad essere informati sulla salute del feto.
Segue Ancora, le stesse Linee guida sottolineano l’importanza che si accertino le condizioni di salute dell’embrione e che si accerti l’assenza di una sua malformazione, anche per consentire alla madre l’eventuale possibilità di revocare il proprio consenso all’impianto.
Segue Ne consegue che vietare ogni diagnosi pre-impianto, condannerebbe la donna ad una decisione non informata e non consapevole nel momento in cui decida il trasferimento di tutti gli embrioni formati o, data l’incoercibilità dell’impianto, il rifiuto di detto trasferimento.
Segue Inoltre, la normativa prevede che l’indagine debba avvenire anche tenuto conto del migliore interesse dell’embrione. «La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione – dice l’art. 13, comma 2 – è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad esse collegate volte alla tutela della salute e dello sviluppo dell’embrione stesso, e qualora non sono disponibili metodologie alternative».
Segue È allora necessario ritenere che, qualora i genitori lo richiedano, sia possibile una indagine clinica che, anche nell’interesse dell’embrione, debba essere la più accurata ed efficace possibile. Solamente quest’ultima consente, infatti, di riconoscere anomalie cromosomiche (triploidie e tetraploidie) che implicano anche dei rischi per la madre.
Segue
La tutela del nato: la PMA eterologa Art. 4, co. 3 vieta la PMA eterologa. Diverse le ragioni avanzate in sede di dibattito parlamentare a sostegno di questo divieto: = tutelare l’interesse del nato, evitando gli effetti problematici delle c.d. parentele “anomale”, caratterizzate dalla dissociazione tra la madre gestante e quella genetica o tra il padre sociale e quello genetico, moltiplicando le figure di riferimento e configurando asimmetrie all’interno della coppia (tra genitori sia genetici che sociali e genitori solo sociali e non anche genetici);
Segue = garantire l’interesse/diritto del figlio a conoscere le proprie origini biologiche; = evitare il possibile rifiuto di un figlio affetto da malattie genetiche da parte della madre biologica o sociale che non sia anche la madre genetica;
Segue = impedire il rischio di una mercificazione dei gameti maschili e femminili e nel caso specifico di ovodonazione evitare pratiche mediche (stimolazione ovarica e prelievo di ovociti) particolarmente faticose e nocive per la salute della donna e che possano tradursi in un suo sfruttamento[1]. [1] Per questa ragione Austria e Germania consentono l’eterologa solo con gameti maschili.
Segue Le argomentazioni avanzate contro la fecondazione eterologa in considerazione di una eventuale “crisi della coppia” e della caduta del segreto in merito alle modalità del concepimento sono più riferibili ai problemi degli adulti che dei bambini, considerato anche che i minori, legittimi, naturali, adottivi, corrono analoghi rischi a fronte di rapporti familiari in crisi.
Segue Le problematiche, poi, in merito al diritto del figlio di poter conoscere le proprie origini biologiche possono trovare soluzioni diverse a favore ora di un anonimato anagrafico dei donatori ora di un diritto alla piena verità. Fondamentale è che attraverso una appropriata consulenza da parte delle strutture sanitarie i genitori sociali siano incoraggiati a dare al nato, con modalità appropriate, le informazioni sulle modalità del suo concepimento.
Segue Aggiungasi che l’idea della preminenza del dato biologico è concezione che può dirsi in via di superamento da parte del sentire sociale e del nostro ordinamento giuridico, in virtù di una concezione dei rapporti di filiazione che pone a fondamento delle relazioni giuridiche familiari i rapporti affettivi, senza prevedere una necessaria relazione biologica
Segue In merito, poi, all’utilizzo di tali tecniche a fini eugenetici e al mercato dei gameti il divieto di inseminazione eterologa non mi pare che possa essere ritenuto proporzionato ai rischi eventuali: la concreta possibilità di evitarli può essere realizzata attraverso norme adeguate che provengano sia dal legislatore che dai codici deontologici.
Segue Nel corso di questi anni ai nostri organi di giustizia sono state avanzate domande di illegittimità costituzionale dell’art.4, co. 3, con esiti difformi. I motivi su cui si basa la richiesta di incostituzionalità sono da ricollegare agli artt. 2, 3, 31 e 32 Cost.
Segue In sintesi i tribunali di Firenze (2010), di Catania (2010) e di Milano (2011), che l’hanno sollevata, si sono inseriti in quel filone di pensiero che ritiene fondamentale garantire il diritto alla vita privata, inteso come diritto a scelte assolutamente personali, e quindi all’autodeterminazione della coppia che voglia avere figli.
Segue Il divieto all’eterologa lo si ritiene, soprattutto, discriminante e irragionevole in riferimento a coppie che presentano problematiche di procreazione a seconda del tipo di sterilità di cui sono colpite. Paradossalmente, si osserva, proprio le coppie che presentano un quadro clinico più grave sono quelle escluse dall’accesso alla PMA
Segue Inoltre, in contrasto con l’art. 32 della Costituzione, tale divieto compromette l’integrità psico-fisica delle coppie infertili o sterili. Queste potrebbero essere costrette, nell’impossibilità di accedere alla PMA con donatori di gameti, a sottoporsi a delle pratiche mediche meno indicate, dai risultati più incerti scientificamente o addirittura invasive e dannose per la loro salute.
Segue E’ altresì divieto discriminante in base alle condizioni economiche delle coppie, dato che soltanto le più abbienti si potrebbero consentire la possibilità di avere una discendenza recandosi all’estero, in Paesi che legittimano l’eterologa.
Segue La questione di legittimità costituzionale a tale divieto è stata sollevata dai Tribunali di Firenze, Catania e Milano anche per contrasto con il diritto internazionale pattizio ex art.117, co. 1, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), attraverso il richiamo ad una decisione della Corte.
Segue Si tratta della pronuncia del 1 aprile 2010 relativa al caso S.H. and others v. Austria” (n. 57813/00) Secondo i giudici di Firenze, Catania e Milano le osservazioni avanzate dalla Corte EDU nei confronti della normativa austriaca sono tutte spendibili per sostenere l’illegittimità costituzionale della nostra normativa per ciò che riguarda il divieto della tecnica eterologa.
Segue Il Tribunale di Milano con ordinanza 29.03.2013 riporta la fecondazione eterologa al vaglio della Corte costituzionale per violazione degli artt. 2, 3, 21, 29, 31, 32. Si richiama alla decisione emessa dalla CEDU in data 3.11.2011 (caso Austria)
segue Secondo la Corte d’Appello la CEDU ha fatto un significativo richiamo per il legislatore nazionale a conoscere e utilizzare il progresso della scienza medica e il consenso della società. L’obbligo per il legislatore nazionale è quello di approntare norme che rispettino il divenire dei valori in gioco e quindi il principio di proporzionalità. Il divieto di eterologa non riscuote il consenso sociale né in Italia né in Europa.
segue Ne conseguono poi tutte quelle critiche che in genere vengono fatte nei confronti dell’eterologa. Tra le altre il principio di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.) è violato perché si consente il ricorso alla PMA unicamente alle coppie che posseggono gameti fecondabili e non anche a quelle in cui almeno uno dei due ne sia privo
FINE grazie