La vita in trincea sul fronte italiano

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Transcript della presentazione:

La vita in trincea sul fronte italiano La prima guerra mondiale fu un conflitto che vide coinvolti la maggior parte degli stati europei e molte altre nazioni. Si trattò di una guerra di posizione, lenta e massacrante per i soldati che vivevano per lo più nelle trincee, lunghi camminamenti scavati a breve distanza dalla linea del fronte, dove soffrivano non solo per la guerra, ma anche a causa delle intemperie e per la fame. Trincea sulle dolomiti

Per i soldati, la vita in trincea era dura e lacerante, spesso, come descrive anche Remarque: durante i primi giorni al fronte molte reclute perdevano il senno per il terrore, le continue detonazioni delle bombe. Lo stress causato dalla vita che conducevano spesso portava alla pazzia molti di loro. Ma vediamo come si viveva in una trincea: come già detto prima essa è un lungo fossato scavato nel terreno, in uso nelle guerre di posizione da secoli. La qualità di vita era pessima, ciò dipendeva dalla sporcizia, in particolare dalla presenza di ratti che prolificavano in maniera incontrollabile. Inoltre i soldati non erano riparati dalle intemperie climatiche, ma la causa principale di sofferenza era lo stato di tensione che logorava i nervi dei militari minuto dopo minuto.

La principale causa di morte durante il primo conflitto mondiale, sul fronte, fu l’artiglieria che provocò circa il 70% dei decessi. Molti militari, però, morirono anche per le condizioni della vita in trincea, soprattutto per malattie, come per esempio tremori o singhiozzi convulsivi, ma in alcuni casi di soldati più sensibili, si arrivava alla diserzione, alla ribellione, alla follia, o addirittura al suicidio. A favore dei soldati, a dar loro la forza di continuare a combattere e a vivere, era uno spinto senso di solidarietà, la consapevolezza di essere tutti nella medesima situazione. artiglieria Alpini in marcia

La diserzione era punita con la fucilazione, e ciò di certo persuadeva i militi a combattere. E se anche fossero scappati, come avrebbero superato la prima e la seconda linea sfuggendo ai controlli della polizia? Ma soprattutto, chi avrebbe offerto loro un lavoro? Sarebbero diventati delle bocche da sfamare, un peso per le loro famiglie. Molti interventisti si arruolarono volontariamente, ma dopo aver sperimentato la terrificante realtà della trincea, divennero contrari alla guerra, uno di essi fu il poeta Giuseppe Ungaretti, famoso per il suo scritto Il Porto Sepolto, poi allargato nell’Allegria nel 1931. Militari italiani accanto ad un cannone e ad un porta munizioni.

In base alla propria classe sociale, i soldati, venivano distribuiti in diversi settori. Generalmente le classi sociali basse venivano mandate lungo il fronte mentre le classi sociali più elevate rimanevano nelle retrovie, per gestire l’artiglieria. Durante il primo conflitto mondiale, la cavalleria divenne inutile sia a causa dell’ introduzione di nuovi armamenti, tra cui Bombarde, cannoni con calibro sempre maggiore, Mitragliatrici, ma anche a causa dell’ambiente in cui si svolse la guerra, la montagna, soprattutto per quanto riguarda l’Italia.

Come molti non interventisti sostenevano, l’Italia non era minimamente preparata a combattere una guerra di tali proporzioni. Infatti i soldati italiani erano per lo più contadini e non avevano nessuna esperienza in campo bellico, inoltre lo stato, non poteva fornire un equipaggiamento adeguato. Inizialmente mancavano molta attrezzatura fondamentale per il tipo di combattimento che si doveva affrontare.

Per esempio i soldati italiani non avevano le pinze tagliafili, queste tenaglie erano indispensabili per liberarsi del filo spinato nemico. La milizia disponeva, per la maggior parte, di copricapi, tipici del 1800, inadeguati allo scontro, infatti i cecchini, nelle prime fasi, riuscirono a far strage di soldati. Aver avuto degli elmetti sarebbe stato importante anche per proteggersi da eventuali schegge provocate da esplosioni di bombe che potevano infliggere danni seri. Filo spinato e cavalli di frisia Copricapo tipico degli alpini

Oltre al Fucile Carcano 91 membri dell’esercito italiano erano dotati di una buffetteria composta da tasche porta-munizioni, una baionetta cioè un coltello che poteva essere applicato sull’avanguardia del fucile durante gli assalti fisici chiamati appunto assalti alla baionetta; un altro componente della loro attrezzatura erano uno zaino e un tascapane (piccola borsa a tracolla). Inoltre i fanti erano muniti di un quarto di tenda che veniva completata con altri tre fanti Per contrastare le innovative bombe a gas, i militari italiani dovettero utilizzare delle pezze di tessuto imbevute più volte nella propria urina, e respirare attraverso di esse per non farsi colpire dal veleno letale. Foto originale di una baionetta della Grande Guerra

Le trincee italiane inizialmente erano molto poco avanzati rispetto a quelle delle altre nazioni: mano a mano, col passare del tempo esse si sviluppano. Genericamente erano divise in tre parti: Le “trincee avanzate”. Sono costituti da scavi appena accennati o da buche, venivano occupate durante un assalto. I soldati si trovano a pochi passi dai nemici in scavi, esposti al fuoco nemico e continuamente impegnati in azioni di massimo pericolo. N°3070 posizione nemica nelle trincee sul Piave 18.6.18.

Le “trincee di prima linea” Le “trincee di prima linea”. Collocate poche decine o centinaia di metri dietro a quelle avanzate, rappresentano il primo vero ostacolo alle avanzate nemiche. Sono rinforzate con reticolati di filo spinato e cavalli di frisia. Da qui partono gli attacchi in massa delle truppe. La distanza delle linee avversarie e la profondità degli scavi consentono a chi le occupa di vivere con maggiore tranquillità, pur restando a tiro dei fucili nemici.

Le “trincee di massima resistenza” Le “trincee di massima resistenza”. Ancora più indietro, alcune centinaia di metri da quelle di prima linea. Sono profonde e lontane dalle trincee nemiche, il tiro diretto dei fucili non costituisce un pericolo. Rappresentano l’ultimo baluardo difensivo in caso di sfondamento delle prime linee.

Una cartolina postale Le ultime testimonianze della Grande Guerra ancora consultabili sono le lettere che i soldati spedivano dal fronte per comunicare alle loro famiglie. Questa azione aveva un doppio scopo per i soldati, innanzitutto essi si sentivano più vicini alle loro famiglie, inoltre era un modo per ricordarsi di essere ancora vivi. Spesso come nell’immagine a fianco, le cartoline venivano utilizzate più volte, scrivendo e riscrivendo sullo stesso pezzo di carta. I soldati italiani erano scarsamente istruiti, alcuni di loro avevano studiato molto poco e sapevano appena leggere e scrivere, chi era in grado spesso aiutava i compagni che non ne erano capaci per comunicare con le loro famiglie. Una cartolina postale usata due volte

Le cartoline postali, esattamente come tutte le foto che venivano scattate sul fronte, venivano sottoposte a censura, poiché non dovevano intralciare la propaganda che dipingeva il fronte come il luogo per saldare i conti con il nemico, che aveva torto. Divenne un vero e proprio mestiere il pittore di guerra o il fotografo di guerra. Pittori e fotografi dovevano rappresentare il fronte, mansione che gli era commissionata dallo stato stesso, sia per fare propaganda anche con immagini, sia per organizzare mostre di oggetti di guerra, come quella di Vienna nel 1915.

Nel corso della prima guerra mondiale si diffusero canzoni militari che avevano lo scopo di incitare i soldati, la più famosa è la Leggenda del Piave. La mattina del cinque d'agosto si muovevano le truppe italiane per Gorizia, le terre lontane e dolente ognun si partì Sotto l'acqua che cadeva al rovescio grandinavano le palle nemiche su quei monti, colline e gran valli si moriva dicendo così: O Gorizia tu sei maledetta per ogni cuore che sente coscienza dolorosa ci fu la partenza e il ritorno per molti non fu O vigliacchi che voi ve ne state con le mogli sui letti di lana schernitori di noi carne umana questa guerra ci insegna a punir Voi chiamate il campo d'onore questa terra di là dei confini Qui si muore gridando assassini maledetti sarete un dì Cara moglie che tu non mi senti raccomando ai compagni vicini di tenermi da conto i bambini che io muoio col suo nome nel cuor Oltre alle canzoni militari, si diffusero canzoni popolari contro la guerra, Tra queste “O Gorizia”;”il general cadorna” e molte altre.

E il silenzio fa sì che le immagini del passato non suscitino desideri ma tristezza, una enorme sconsolata malinconia. Quelle cose care furono, ma non torneranno mai più. Sono passate, sono un mondo diverso, perduto per sempre. Ma qui in trincea quel mondo si è perduto. Il ricordo non sorge più; noi siamo morti, ed esso ci appare lontano all’orizzonte come un fantasma, come un enigmatico riflesso, che ci tormenta e che temiamo e che amiamo senza speranza. Erich-Maria Remarque Caporal maggiore italiano

Lavoro di: Adriano Breggia Damiano Biancalana FONTI: http://espresso.repubblica.it/grande-guerra/articoli/2014/05/31/news/vita-in-trincea-1.167694 http://www.istitutocalvino.gov.it/blog/2012/10/la-condizione-di-vita-dei-soldati-nelle-trincee-durante-la-prima-guerra-mondiale/comment-page-1/ fonti private