Introduzione alla Teoria dei giochi La vita costringe a fare continue scelte individuali a ogni livello (personale, familiare, sociale) e in ogni campo (morale, economico, politico), spesso in condizioni di conoscenza imperfetta della situazione, del comportamento altrui, e delle conseguenze che tali scelte porteranno. Per comprendere al meglio tali situazioni e per permetterci di arrivare alla decisione più conveniente, nasce la Teoria dei giochi.
Che cos’è la Teoria dei Giochi? La Teoria dei Giochi è la disciplina che studia i problemi di interazione strategica e le decisioni individuali che vengono prese da uno o più decisori razionali in determinate situazioni. Poiché nella vita queste situazioni sono spesso troppo complicate per essere descritte in modo completo, a causa della molteplicità dei fattori che intervengono, la Teoria dei giochi prende in considerazione soltanto gli elementi più adatti per la realizzazione di un modello, ovvero il gioco.
Perché è importante la Teoria dei giochi? La Teoria dei Giochi rappresenta, oggigiorno, un buon modello per descrivere le interazioni strategiche tra agenti economici. In particolare le maggiori applicazioni avvengono nell’ Economia delle imprese industriali, dove spesso gli agenti hanno interessi contrastanti e nella microeconomia, dove tutto ciò che riguarda le decisioni dei singoli soggetti è materia della Game Theory. La Game Theory viene inoltre utilizzata in regimi di mercato di Oligopolio e Duopolio.
L’Assioma di Razionalità E’ importante inoltre precisare che la Teoria dei giochi si basa sul fatto che i giocatori debbano essere “intelligenti” e “razionali”, cioè sono in grado di fare ragionamenti logici perfetti in modo da massimizzare le loro chances di vittoria. Il presupposto della razionalità dei giocatori prende il nome di “assioma di razionalità” La razionalità richiesta ai giocatori impone che valga la proprietà transitiva nelle preferenze: se il diploma è preferito alla vacanza e la vacanza al libro allora il diploma deve essere preferito al libro.
Definizioni e concetti generali Gioco: modello stilizzato che descrive situazioni di interazione strategica. Giochi non cooperativi: Un gioco si dice non cooperativo quando il meccanismo delle decisioni riguarda i singoli giocatori sulla base di ragionamenti individuali. Giochi a somma zero: Un gioco a somma zero descrive una situazione in cui il guadagno o la perdita di un partecipante è perfettamente bilanciato da una perdita o un guadagno di un altro partecipante. Da qui, la somma delle vincite e delle perdite = 0 Payoff: la fase conclusiva del gioco, ovvero corrisponde al guadagno, la vincita o la ricompensa, ecc. Strategia: In teoria dei giochi, la strategia di un giocatore è un completo piano d'azione Strategia dominante: Strategia strettamente migliore di ogni altra. Ogni giocatore razionale tenderà sempre a orientarsi verso questa strategia.
Cenni storici: nascita della Game Theory La nascita della teoria dei giochi avviene nel 1944: grazie all’uscita del libro “Theory of Games and Economic Behavior”di John von Neumann e O. Morgenstern. Entrambi volevano tentare di descrivere il comportamento umano nei casi in cui l’interazione fra uomini comporta la spartizione o la vincita di qualche tipo di risorsa. Fu proprio in campo economico che von Neumann formulò il teorema minimax: esso stabilisce che in certi giochi a somma zero e ad informazione perfetta, esiste una strategia che permette ad entrambi i giocatori di minimizzare le loro massime perdite (da cui il nome minimax). Un importante applicazione politica del teorema minimax fu la strategia del terrore, applicata dallo stesso Neumann nel periodo della Guerra Fredda.
L’arrivo di John Nash Il più famoso studioso ad essersi occupato successivamente della teoria dei giochi, in particolare per quel che concerne i “giochi non cooperativi”, fu il matematico John Forbes Nash, al quale è dedicato il film di Ron Howard “A Beautiful Mind”. Nash, nel 1950, dimostrò che ogni gioco non cooperativo a due o più giocatori, anche non a somma zero, ammette un equilibrio (chiamato equilibrio di Nash), e per questo lavoro ottenne il premio Nobel per l’economia nel 1994.
L’equilibrio di Nash L’equilibrio di Nash è una situazione in cui, dopo aver attuato le proprie strategie, nessun giocatore può migliorare il proprio payoff modificando solo la propria strategia. Se ne deduce quindi che se i giocatori raggiungono un equilibrio di Nash, non avranno interesse a essere gli unici a cambiare strategia, pertanto il loro comportamento dipenderà dalle scelte degli altri giocatori. Questo significa che è sempre possibile prevedere il comportamento dei giocatori: essi giocheranno un equilibrio di Nash, poiché rappresenta sempre la strategia dominante, e se esso è unico, l'esito del gioco è noto a priori. L’equilibrio di Nash rappresenta la soluzione del gioco, poiché nessun giocatore ha interesse a essere l’unico a cambiare la propria strategia dominante, poiché in caso lo facesse otterrebbe un guadagno minore. L'equilibrio di Nash rappresenta quindi la situazione nella quale il gruppo si viene a trovare se ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé, cioè mira a massimizzare il proprio profitto a prescindere dalle scelte degli avversari. Tuttavia, non è detto che l'equilibrio di Nash sia la soluzione migliore per tutti, come vedremo in seguito.
Applicazione dell’equilibrio di Nash: Il dilemma del prigioniero Due criminali vengono accusati con prove indiziarie di aver compiuto una rapina. Gli investigatori li arrestano entrambi li chiudono in due celle diverse impedendo loro di comunicare. A ognuno di loro vengono date due scelte: confessare l'accaduto, oppure non confessare. Viene inoltre spiegato loro che: se solo uno dei due confessa, chi ha confessato evita la pena; l'altro viene però condannato a 7 anni di carcere. se entrambi confessano, vengono entrambi condannati a 6 anni. se nessuno dei due confessa, entrambi vengono condannati a 1 anno.
Rappresentazione del gioco Il gioco viene rappresentato con questa bimatrice; dove nelle caselle sono indicati i payoff di entrambi i giocatori. Come probabilmente avrete già notato, la combinazione ottimale è quella di Non Confessare, poiché in questo caso otterremmo meno anni di carcere. Tuttavia, nel caso in cui l’altro giocatore tradisca, ovvero confessi, saremmo condannati a 7 anni di carcere, mentre invece lui sarà libero. Che fare? Confessare o Non confessare? Qual è quindi, la soluzione migliore da prendere? Confessa Non confessa (6,6) (0,7) Non confessa (7,0) (1,1)
Soluzione del dilemma La Teoria dei giochi ci dice, a priori, che la miglior strategia di questo gioco non cooperativo è (confessa, confessa), che corrisponde all’equilibrio di Nash. Da questo esempio si vede che la teoria nei casi reali non è sempre la soluzione migliore. Si deduce immediatamente che, per entrambi, la strategia dominante è confessa, infatti qualunque sia la scelta dell'avversario, scegliere confessa garantisce sempre un guadagno maggiore rispetto a scegliere non confessa. Infatti confessando si rischiano dai 0 ai 6 anni di carcere, non confessando invece se ne rischiano da 1 a 7. Poiché il nostro obiettivo è quello di massimizzare il nostro guadagno, (in questo caso, minimizzare la nostra condanna) confesseremo; in quanto questo ci garantirebbe la libertà. Ma poiché anche l’avversario farà il nostro stesso ragionamento, per l’assioma di razionalità, ci ritroveremmo entrambi a confessare e verremmo condannati a 6 anni di carcere ciascuno. In altre parole, se prendiamo in considerazione la non confessione per prenderci soltanto 1 anno, non abbiamo la certezza che anche l’altro faccia lo stesso, anzi sarà tentato a confessare per guadagnarsi la libertà. Il dilemma del prigioniero è l’esempio lampante di come spesso la razionalità individuale contrasta la razionalità collettiva, infatti la soluzione ottimale è (n,n) ma poiché è impossibile mettersi d’accordo si giungerà all’equilibrio di Nash e quindi non necessariamente alla soluzione ottimale.
L’ottimo di Pareto E’ un concetto sviluppato dall’economista Vilfredo Pareto, secondo il quale non si può migliorare la condizione di un soggetto senza peggiorare la condizione di un altro. L’ottimo di Pareto è un concetto fondamentale nell’economia, per descrivere la competizione pura fra diverse imprese venditrici che cercano di accaparrarsi la fetta più grossa del mercato. Infatti, l'obiettivo del mercato è quello di giungere sempre ad un ottimo di Pareto, cioè ad una situazione nella quale, indipendentemente dall'effettiva allocazione delle risorse, non sia possibile trovare un'altra allocazione che porti ad un incremento della ricchezza di alcuni senza sottrarre ricchezza ad altri. La ragione dell'importanza dell'ottimo di Pareto è intuitiva: se esiste una soluzione che comporta un incremento del guadagno di qualcuno senza che nessuno subisca delle perdite, vuol dire che esistono delle risorse che non sono state allocate, e che quindi verrebbero disperse. Nel dilemma del prigioniero tutte le combinazioni di strategie, tranne (c,c) sono ottimi paretiani. Infatti, presa una qualunque di queste combinazioni, non è possibile trovarne un'altra che comporti per almeno uno dei due giocatori una riduzione degli anni di carcere senza che aumentino quelli dell'altro.
Conclusione Il dilemma del prigioniero mette in luce un concetto cardine dell'economia: l'ottimo di Pareto è razionale dal punto di vista collettivo, ma non lo è affatto dal punto di vista individuale; in sostanza, se gli N agenti di un gioco (e quindi, per estensione, di un mercato) agiscono secondo la razionalità individuale, cioè col solo fine di massimizzare il proprio profitto personale, non è detto che essi raggiungano un ottimo di Pareto, ed in tal caso le loro azioni comportano una dispersione di risorse. Il confronto tra equilibrio di Nash e ottimo paretiano smentisce quindi quanto sostenuto da Adam Smith, ritenuto, fino a prima della formulazione della teoria dell'equilibrio, il "padre dell'economia moderna". Egli infatti riteneva che se ogni componente di un gruppo persegue il proprio interesse personale, non può che accrescere la ricchezza complessiva del gruppo. Oggi invece sappiamo che se ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé, il risultato cui si giunge è un equilibrio di Nash ma non necessariamente un ottimo di Pareto: è quindi possibile (e, si è poi dimostrato molto frequente) che se ogni agente fa solo il proprio interesse personale, si giunga ad un'allocazione inefficiente delle risorse.