La teoria evolutiva in terapia familiare

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La teoria evolutiva in terapia familiare Maurizio Coletti

Riflessione sui termini OMEOSTASI - CAMBIAMENTO RESISTENZA - CAMBIAMENTO

Qual è il ruolo del terapista? Combattere l’omeostasi Favorire il cambiamento

Dall’approccio “strategico” J. Haley e P. Watzlawick Cambiamento 1 – Cambiamento 2 Tratti di “intenzionalità” Oppure, (L. Hoffman) difesa naturale ed incontrollata verso l’incognito M. Selvini: della tendenza all’omeostasi dei pazienti fanno parte anche i terapisti (la terapia) Dalle resistenze (omeostasi) si capisce il (dis)funzionamento della famiglia

Come viene intesa la terapia Una lotta (di cui il terapista si assume il carico) Anche attraverso l’accettazione delle resistenze (controparadosso) Per cambiare la famiglia Che resiste al cambiamento

Teoria del cambiamento terapeutico Il disturbo psichico è l’espressione di un equilibrio retto da regole che non permettono il cambiamento Il terapista individua queste regole, le intercetta e le incrina Una volta distrutte le regole precedenti, è distrutto l’equilibrio alla base del disagio, che sparisce

Le critiche a questi approcci Solo basarsi sull’omeostasi? (Speer, Hoffman, Elkaim, Fivaz, Deel e Golishan) Meccanicismo (e, quindi, nesso causale) al posto di una visione complessa e circolare

Riconcettualizzazione CRISI ROTTURA DI EQUILIBRIO ? SINTOMO PASSAGGIO AD ALTRO EQUILIBRIO ? DISAGIO

La terapia viene vista come Un fenomeno EVOLUTIVO Un processo graduale composto di fasi successive Ognuna delle quali costituisce un NUOVO EQUILIBRIO

Il terapista Accompagna la famiglia durante la fase della crisi Supporta la ricerca di un nuovo equilibrio La sostiene nel non “tornare indietro” (evoluzione)

L’omeostasi diventa… Una fase naturale, un momento del processo vitale di un sistema Dopo ogni cambiamento (che presuppone un grande dispiego di energie)… L’omeostasi è la fase di “riposo” e di stabilizzazione

Per la teoria “evolutiva” Ilya Prigogine e Isabelle Stenger: La Nuova Alleanza Einaudi, Torino 1981

Ma………………. Omestasi – cambiamento Sono sostituiti da… … persistenza - cambiamento È una vera rivoluzione concettuale?

Ancora, che ruolo ha il terapista ? Può “giudicare” quando si tratta di cambiamento e quando di persistenza? Fino a quando “insiste”? Osserva… …ma non è anche osservato?

L’osservatore: Ha le sue mappe, le sue credenze È vincolato alle sue premesse epistemologiche È vincolato alle sue tradizioni sociali e psicologiche In una parola… È una persona con la sua storia

Il contributo di H. Maturana e F. Varela Sistemi autopoietici e allopoietici Impossibilità dell’interazione istruttiva La co -costruzione

Il terapista Non determina unidirezionalmente la situazione nella quale è coinvolto Agisce per favorire il cambiamento Nella cornice di quanto i suoi pazienti chiedono Definisce quando una terapia è finita – conclusa positivamente?

La motivazione al cambiamento Da un approccio “transteorico” di Proshaska e Di Clemente, Miller e Rollnick Applicato (all’inizio) all’abuso di sostanze e alcool; poi, applicato ai fumatori e ad altri pz.

Stadi del cambiamento PRECONTEMPLAZIONE CONTEMPLAZIONE DETERMINAZIONE MANTENIMENTO RICADUTA

Precontemplazione Il soggetto non riconosce la propria condizione (di dipendente… ma non solo) come problematica. Non ritiene comunque di avere alcuna possibilità di modificarla. Non intende applicare alcuno sforzo a tal fine La condizione è dominata dalla negazione

Contemplazione Il soggetto vede le ragioni del cambiamento ma non è pronto a metterle in pratica. Vede i pro e i contro del proseguimento della sua abitudine, e al contrario, vede i contro e i pro del cambiamento. Non sa trovare la decisione di smettere. La condizione è dominata dall’ambivalenza

Determinazione Il soggetto ha preso la decisione di smettere il comportamento in questione, ed è impegnato concretamente nell’individuazione del come e del quando

Azione Concretamente, il soggetto ha smesso il comportamento (dipendente, ma non solo…) e si muove attraverso la sperimentazione del nuovo modo di essere

Mantenimento Il soggetto ha smesso da tempo, sta portando avanti la sua nuova condizione di persona non più dedita al comportamento di partenza. Sperimenta forme di aggancio al nuovo stile di vita, prende misure per non andare incontro a ricadute. Può uscire definitivamente dal problema

Ricaduta Condizione ritenuta fisiologica, praticamente inevitabile. Oggetto di prevenzione nello stadio precedente (non si previene esorcizzandola, ma prevedendola, contestualizzandola)

Approccio “confrontazionale” Opposizione, diniego, negazione, resistenze Approccio “motivazionale”

Frattura interiore ed autoefficacia Per frattura interiore si intende la percezione delle contraddizioni esistenti tra la attuale condizione del soggetto ed importanti aspirazioni, valori e mete personali; teoria della dissonanza cognitiva (Festinger, 1957) e può essere intesa come la consapevolezza del conflitto che si pone quando la situazione presente (comportamenti, atteggiamenti, ecc.) restituisce una definizione incompatibile con la propria immagine di Sé. La percezione di una frattura interiore è dolorosa e la sua ampiezza deve essere ridotta, entro breve tempo. Questo può avvenire, con una modificazione del comportamento problematico oppure, anche in maniera “patologica”, utilizzando i meccanismi psicologici di difesa (negazione, proiezione, scissione, razionalizzazione, il rafforzamento di una identità negativa) L’autoefficacia, è definita la fiducia di un individuo nella propria capacità di attuare un comportamento prestabilito, e rappresenta la convinzione del soggetto di avere la capacità e la possibilità di raggiungere un obiettivo specifico in un tempo determinato (Bandura, 1977; 1982). Nel campo delle dipendenze l’autoefficacia è stata molto studiata in quanto si suppone che anche i comportamenti di dipendenza possano essere tenuti sotto controllo e che le persone, poste nelle condizioni adeguate, siano in grado di decidere di smettere, modificare o limitare il consumo della sostanza da cui dipendono (DiClemente 1986). Il livello di autoefficacia influenza significativamente sia la compliance al trattamento, sia i suoi risultati.

Si dà per scontato che il potenziale di cambiamento esista almeno in embrione, e risieda nel paziente, e non sia invece un qualcosa che "bisogna nasca" o che "va messo, va introdotto" nel paziente Il paziente viene con tutta la sua ambivalenza Occorre evitare di esprimere giudizi di valore o moralistici Se si avvia un cliente ad un trattamento non appropriato allo stadio del cambiamento in cui si trova si finisce per attivare le sue resistenze al cambiamento. Nell'ottica del colloquio motivazionale, si incontra una resistenza ogni qual volta si adotta una strategia di intervento non appropriata allo stadio in cui attualmente si trova il paziente. La comparsa di una resistenza al cambiamento, o il suo inasprimento, deve indurre l'operatore a chiedersi se non sia il caso di cambiare strategia di trattamento. In tale quadro, la resistenza a cambiare è da leggere non più come una realtà "naturale", una sorta di variabile indipendente, ma piuttosto come il risultato della interazione tra il soggetto e il sistema curante.

Cinque principi generali del colloquio motivazionale ESPRIMERE EMPATIA EVITARE DISPUTE E DISCUSSIONI AGGIRARE ED UTILIZZARE LE RESISTENZE AMPLIARE LE FRATTURE INTERIORI SOSTENERE L’AUTOEFFICACIA (Miller e Rollnick 1991)

Per approfondire Autori: William R. Miller e Stephen Rollnick Casa editrice: Erickson Anno di pubblicazione: 2004 ISBN: 978-88-7946-608-0