Patrimoni-identità Lo sguardo dell’antropologo

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Patrimoni-identità Lo sguardo dell’antropologo

Cosa fa un antropologo che studia il patrimonio ?

L’antropologo è solo lo specialista di una specifica categoria di beni recentemente riconosciuti dalla legislazione italiana (Beni DEA)? Oppure l’antropologia c’entra qualcosa anche con il patrimonio culturale in senso più ampio?

Torniamo alla domanda iniziale Cosa fa allora l’antropologo che si voglia occupare di Beni Culturali ?

Cosa fa un antropologo che studia il patrimonio ? Accezione 1 Ad un primo sguardo potrebbe sembrare che l’antropologo è lo specialista del patrimonio etnografico, così come lo storico dell’arte è lo specialista del patrimonio storico-artistico, etc. etc. Secondo questa accezione l’”antropologo dei patrimoni culturali” è colui che lavora (principalmente sull’Italia) per estendere la concezione stessa di patrimonio culturale ai “beni demoetnoantropologici” o “patrimonio etnografico”. Esso è quindi un nuovo specialista di beni, che sono beni che testimoniano di una civiltà, quella contadina, e pastorale, la cultura popolare (di interesse demologico) nelle sue diverse espressioni regionali e locali.

Cosa fa un antropologo che studia il patrimonio ? Accezione 1 Secondo questa accezione l’antropologo del patrimonio è colui che lavora per studiare, salvaguardare e quindi per “patrimonializzare” una certa categoria di beni della cultura popolare, beni, materiali e immateriali. L’antropologo sarebbe cioè colui che contribuisce a far comprendere nella società e alle istituzioni il valore di una serie di “cose” materiali e immateriali, che fino a pochissimi anni fa erano ignorate, appartenenti alla cultura popolare e che testimoniano delle differenze regionali e stili di vita appartenenti ad economie preindustriali ma che si muovono nella contemporaneità. Quindi: oggetti di lavoro che testimoniano della cultura contadina e pastorale, musica tradizionale, arte popolare, artigianato popolare, saperi, tecniche del mondo popolare agricolo, pastorale, ritualismi festivi, giochi popolari, narrativa popolare, testimonianze orali (fonti orali), etc.

Cosa fa un antropologo che studia il patrimonio ? Accezione 1 Secondo questa accezione l’antropologo è impegnato in una serie di attività che si raccolgono intorno ai campi: 1) della ricerca; 2) della documentazione e catalogazione (inventari); 3)della valorizzazione museale, cioè il campo dei musei (nazionali, regionali, locali) ,

Cosa fa un antropologo che studia il patrimonio ? Accezione 1 Secondo questa accezione l’antropologo è un esperto che prende parte alle politiche culturali, è più o meno riconosciuto a livello istituzionale, che deve dire cosa è un patrimonio etnoantropologico e nel dirlo, questo patrimonio lo crea, gli attribuisce dei confini.

Cosa fa un antropologo che studia il patrimonio ? Accezione 1A: Secondo altri autori impegnati nel dibattito, l’antropologo e la sua competenza (studio delle differenze culturali) è importante nella salvaguardia e nella valorizzazione di altre categorie del patrimonio, per esempio architettonico, urbanistico e storico, di alcuni siti. Esempio del Sassi di Matera

Cosa fa un antropologo che studia il patrimonio ? Accezione 2: Secondo un’altra chiave di lettura l’antropologo è anche chiamato ad un altro contributo in tema di patrimoni culturali. Se l’antropologo studia e analizza i processi di costruzione delle identità locali, il modo in cui le culture locali, regionali, nazionali si “danno” una cultura, come si trasformano, come si rappresentano in termini culturali e come entrano in conflitto tra loro o al loro interno, l’antropologia può trovare molto utile anzi direi quasi doveroso, studiare il modo in cui una società o un gruppo si costruisce il suo patrimonio culturale, cosa una società riconosce, cosa identifica come rappresentativo di quel gruppo a livello di “bene”, cioè cosa “patrimonalizza” e come lo patrimonializza.

Cosa fa un antropologo che studia il patrimonio ? Accezione 2: L’”antropologia dei patrimoni” studia “processi di patrimonializzazione”. Esempio: etnografia di B. Palumbo

Processi di patrimonializzazione I processi di patrimonializzazione sono presenti in quasi tutte le culture e società (culture locali, piccole comunità, gruppi etnici, regionali, o culture nazionali); Sono processi che portano i gruppi, a volte più gruppi di attori all’interno di una società, a selezionare, a decidere, a scegliere cosa merita che venga “messo in valore”, cos’è che deve rappresentare la cultura. Il patrimonio culturale, nelle diverse tipologie riconosciute, ha a livello mondiale e quasi universalmente, un forte potere simbolico, di evocare, di rappresentare un’identità, un “chi siamo”. Per questo motivo il patrimonio culturale, più che essere un dato “naturale” (il famoso valore intrinseco), è qualcosa di “storico”, che viene selezionato per la definizione di una identità; ed è fortemente oggetto di conflitti e di negoziazioni.

Processi di patrimonializzazione I processi di patrimonializzazione spesso si muovono entro dinamiche politiche (ma anche identitarie ed economiche), che vedono gruppi interni ad una società in conflitto tra loro (istituzioni, esperti, politici, gente comune, intellettuali) per stabilire la correttezza o l’opportunità per esempio di un intervento su quel quartiere o su quel sito, entro reti di interessi di vario tipo In questi processi vediamo in Italia coinvolti gli stessi antropologi, con la loro volontà di “patrimonializzare”, di far riconoscere a livello istituzionale una serie di “beni” della cultura popolare. Anche gli antropologi del patrimonio etnologico (accezione 1) sono dentro i processi di patrimonializzazione.

Dintinguiamo quindi due approcci fondamentali: “Oggettivista”. Il primo approccio tende ad “oggettivizzare” la cultura, in questo caso la cultura popolare, il bene etnoantropologico, a conferirgli un valore in sé da salvaguardare (La concezione dell’UNESCO sul patrimonio culturale immateriale –PCI- rientra in questa prima accezione) 2) “Decostruzionista”. Il secondo approccio decostruisce le categorie di cultura e identità e studia proprio i processi di “oggettivazione culturale” messi in atto dagli attori relativamente a qualsiasi tipologia di bene. Questi due approcci, anche se apparentemente in conflitto non si escludono sempre. Si possono dare posizioni intermedie di compromesso, ad esempio una valorizzazione in campo etnoantropologico, che tenga anche conto riflessivamente e criticamente della posizione che occupa l’antropologo nell’arena di dibattito sul rapporto patrimoni e identità culturale.