Il costo medio ponderato del capitale OIV Best Practices Il costo medio ponderato del capitale (Gualtiero Brugger) Milano, 22 settembre 2014
IL COSTO MEDIO PONDERATO DEL CAPITALE È definito dalla classica formula: WACC = kd (1 – Tc) + ke ed è elemento centrale delle valutazioni asset-side D V E V Due riflessioni preliminari: i matematici finanziari sono sempre molto critici nei confronti del calcolo di una media di tassi (che hanno effetti esponenziali sul valore) le valutazioni asset-side ed equity-side (per una stessa azienda e in un medesimo contesto) devono essere coerenti; la loro convergenza richiede grande realismo nel piano finanziario implicitamente od esplicitamente ipotizzato.
RAGIONI DELLA (NETTA) PREVALENZA DELLE VALUTAZIONI ASSET-SIDE Ragioni tecniche: in particolare la frequente presenza di valutazioni stratificate Ragioni concettuali: il convincimento che le vere fonti del valore stiano nell’area operativa Ragioni (non confessate) di semplificazione: si assume un quadro di stabilizzazione della struttura finanziaria del quale, spesso, non c’è prova L’ultimo aspetto è enfatizzato quando l’esperto presenta una matrice di valutazione basata su ipotesi differenziate di struttura finanziaria e di costi della raccolta.
PARADOSSI FREQUENTEMENTE OSSERVATI Adozione di una struttura finanziaria di riferimento molto diversa da quella in concreto osservata Adozione, per società in tensione finanziaria, di una struttura desunta da un campione di società in normali condizioni Quando si ritiene di dover prendere atto di un indebitamento strutturalmente maggiore, inserimento nella formula di calcolo di parametri che di fatto riducono il costo medio ponderato del capitale Una considerazione di fondo: la teoria della Finanza è basata su modelli di mercato, nei quali è centrale la condotta delle public companies. Tuttavia gran parte delle aziende che osserviamo non ha la mobilità finanziaria di quelle società e può trovare difficile un allineamento alla struttura prevalente di settore.
RICONSIDERAZIONE DEI MERITI DELLE VALUTAZIONI EQUITY-SIDE In tempi di crisi, caratterizzati dalla diffusa presenza di situazioni di pesantezza finanziaria, con i rischi conseguenti, è necessario affrontare meno sbrigativamente il problema della struttura finanziaria da assumere nelle valutazioni. Ed è utile ricordare i vantaggi offerti dalle valutazioni equity-side. Sono evitate le improprietà segnalate dai matematici finanziari, con riferimento al calcolo di una media di tassi All’esperto è assegnato il compito di analizzare anche l’evoluzione della struttura finanziaria e di valutarne la possibile stabilizzazione; esattamente come accade quando si stimano i flussi operativi Potranno dunque esservi flussi disponibili per l’equity variabili nel periodo di determinazione analitica, sino ad arrivare ad una stabilizzazione dimostrabile, recepita nel valore terminale.
INDEBITAMENTO, RISCHIO FINANZIARIO E COSTO DELL’EQUITY La struttura finanziaria influenza peraltro anche il costo dell’equity ke (oltre che il costo lordo del debito kd). Nei libri di testo e in gran parte delle applicazioni professionali il relativo rapporto è ancora regolato dalla formula di Hamada (1972), condivisa da Damodaran (1994) e da altri autori, secondo la quale è: βL = [ 1 + ( 1 – Tc) D/E] βU In letteratura è tuttavia riconosciuto che questa formula è basata su alcune ipotesi oggi particolarmente lontane dalla realtà di molte aziende: indebitamento costante in valore assoluto (il cui peso diminuisce in presenza di crescita) crediti d’imposta (al tasso Tc) goduti contestualmente alla maturazione degli interessi passivi rischio su detti crediti pari a quello del debito (il cui tasso è appunto utilizzato per la loro attualizzazione) valore complessivo dei crediti d’imposta proporzionale al valore di mercato di D (cioè pari a Tc * D, come nel modello di Modigliani-Miller) indebitamento finanziario esente da rischio (sicché βd = 0).
LA RICERCA DI MODELLI ALTERNATIVI Altri modelli sono stati sviluppati in letteratura, lavorando in particolare sulle seguenti ipotesi: indebitamento variabile, nell’ambito di una struttura finanziaria definita da certe regole ritardi temporali nella fruizione dei crediti d’imposta relativi agli interessi passivi rischio dei suddetti crediti pari al rischio operativo del settore (sicché il loro tasso di attualizzazione è fatto pari a ku: il costo dell’equity basato su βU) presenza di rischio per l’indebitamento finanziario opportunità di tenere conto di ″leverage costs″ (cioè di effetti più che proporzionali su βL al crescere del debito).
IL MODELLO DI MILES-EZZELL Miles e Ezzell (1980), con una diversa impostazione, hanno proposto la seguente formula: βL = βU + D/E (βU – βd ) [1 - Tc kd /(1 + kd)] condivisa anche da altri autori. La formula rispetta le seguenti ipotesi: struttura finanziaria regolata da una rapporto D/E costante a valore (ma l’ammontare del debito può variare) rischio dei crediti d’imposta crescente nel tempo; precisamente pari a quello del debito il primo anno (con tasso di sconto kd) ed a quello operativo in seguito (con tasso di sconto pari a ku, il costo dell’equity in base a βU) presenza di rischio per l’indebitamento (sicché βd > 0)
IL MODELLO DI HARRIS-PRINGLE Harris e Pringle (1985) hanno proposto la seguente formula: βL = βU ( 1 + D/E) – βd (D/E) = βU + (βU – βd ) D/E Koller, Goedhart e Wessels nel loro ben noto testo Valuation (2010) indicano come prioritaria questa relazione. La formula di Harris-Pringle è coerente con le seguenti ipotesi: struttura finanziaria regolata da un rapporto D/E costante a valore (la dimensione del debito è dunque variabile rischio dei crediti d’imposta pari a quello operativo dell’azienda (sicché la loro attualizzazione avviene al costo dell’equity in assenza di indebitamento, ku) presenza di rischio per l’indebitamento (sicché βd > 0) Il suo effetto è dunque più incisivo di quello della formula di Miles-Ezzell
IL MODELLO DI FERNANDEZ βL = βU + (βU – βd ) (1 - Tc) D/E La formula proposta da Fernandez (2004) è la seguente: βL = βU + (βU – βd ) (1 - Tc) D/E che si riduce a quella di Hamada nell’ipotesi in cui il debito sia esente da rischio (βd = 0) La formula è compatibile con le seguenti ipotesi: struttura finanziaria regolata da una rapporto D/E costante a valori contabili crescita costante dell’attivo rischio dei crediti d’imposta pari a quello operativo (con tasso di attualizzazione ku) presenza di rischio per l’indebitamento (con βd > 0)
IL MODELLO "PRAGMATICO″ Nel mondo professionale è talora utilizzato quello che in letteratura è chiamato ″Pratictioners Method″, definito dalla formula: βL = βU (1 + D/E) L’espressione può essere letta in vario modo. Infatti: rispetto alla formula di Hamada, non registra la presenza di crediti d’imposta per gli interessi passivi (al saggio Tc) rispetto alla formula di Harris, prevede che l’indebitamento sia esente da rischio. La rischiosità del debito è evidentemente attestata dal fatto che kd è maggiore del risk-free rate. Tuttavia la determinazione oggettiva di βd è ardua, se il debito non è quotato Sul piano pratico, si può osservare che nelle varie formule (1-Tc) e βd hanno un effetto riduttivo su βL e dunque su ke. La formula ″pragmatica″ invece porta ke oltre il livello giustificato da altre formule più razionali, lasciando spazio – seppur empiricamente – al riconoscimento di un ″cost of leverage″.
CONCLUSIONI Le conclusioni che propongo sono in definitiva le seguenti: riflettere sull’opportunità di estendere l’utilizzo delle valutazioni equity-side, assumendo esplicitamente l’impegno ad analizzare la possibile evoluzione della struttura finanziaria aziendale affinare le ipotesi di lavoro per un più realistico apprezzamento dei rapporti fra indebitamento, rischio finanziario e rimunerazione da assicurare al capitale di rischio; ciò richiede anche un corretto esame delle scelte che regolano la struttura finanziaria dell’azienda esaminata.