LE VIRTÙ UMANE DEL FORMATORE Pontificia Università Urbaniana 26 marzo 2015.

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LE VIRTÙ UMANE DEL FORMATORE Pontificia Università Urbaniana 26 marzo 2015

Bastano i metodi? Il tecnicismo: cercare la salvezza nei protocolli, nell’impersonale I metodi e le regole non possono funzionare senza le virtù delle persone che dovrebbero applicarli. L’agire manifesta l’essere. Scegliamo di comportarci in un certo modo anziché in un altro perché siamo disposti a riconoscere e a dare la precedenza a certi valori piuttosto che ad altri. Il bene conosciuto “per connaturalità”. Per realizzare il bene è necessaria una forza interiore. Sia le nostre migliori o peggiori disposizioni davanti ai valori morali, sia la maggiore o minore forza interiore nel tendere verso il valore conosciuto, dipendono da “come siamo dentro”, dagli habitus buoni o cattivi che abbiamo acquisito. Le “disposizioni interiori abituali” che consentono di inserire i singoli atti nell’intero nostro percorso di vita morale e che ci abilitano a scegliere e operare il bene, si denominano virtù.

Basta l’amore? La carità ispira, suscita e dona attitudini stabili al bene. Virtutes sunt ordo amoris (S. Agostino). «La virtù che ha per oggetto il fine, è come principale movente rispetto a quelle che sono ordinate al fine. Perciò insieme alla carità è necessario avere anche le altre virtù morali» (S. Tommaso d’Aq.) «Io divento ciò che sono attraverso la mia storia e, in questa storia, con le mie scelte e gli eventi incontrati, le virtù, o disposizioni permanenti al bene, giocano un ruolo decisivo. Sono loro che, creando come delle inclinazioni interiori, orientano la persona, per così dire, spontaneamente, nelle sue scelte fondamentali, lungo la direttrice del bene, e conferiscono fermezza e quell’agilità che traduce la libertà, intesa come autonomia nei confronti delle passioni e delle sollecitazioni esterne. Costituiscono una sorta di “seconda natura”, cioè edificano la personalità e le conferiscono prontezza nella ricerca dei suoi autentici beni» (G. Cottier) La formazione è essenzialmente educazione alla virtù. Nemo dat quod non habet.

Il formatore dev’essere saggio Saggezza: l’habitus che orienta stabilmente la ragione al vero bene, conferendole l’attitudine a scegliere i mezzi opportuni e concretamente disponibili nella situazione, per raggiungere il fine stesso. Un formatore che giudica rettamente ma poi non agisce, non è realmente saggio: saggio è solo colui che fa anche effettivamente ciò che è retto e opportuno. Pertanto la saggezza ha una dimensione conoscitiva, immediatamente pratica, ed una dimensione imperativa.

Saggiamente conoscere DifettoEccesso Virtù RIFLESSIONE DISSENNATEZZAINCONCLUDENZA SOLERZIA ESPERIENZA MEMORIA DOCILITA’

«Nelle cose che riguardano la saggezza, l’uomo ha una grandissima necessità di essere istruito dagli altri, e soprattutto dagli anziani, che hanno acquistata una sana conoscenza degli scopi delle realtà operabili. Per cui il Filosofo, nel VI libro dell’Etica, dice: “È necessario prestare attenzione alle affermazioni indimostrate e alle opinioni degli uomini esperti ed anziani, non meno che alle dimostrazioni: grazie all’esperienza, infatti, essi vedono i principi”». S. T OMMASO D ’A QUINO.

Saggiamente governare Previdenza: pre-vedere le necessità future e pro-(v)vede nel presente a ciò di cui ci sarà bisogno per conseguire gli scopi prefissati. riguarda le cose concrete, contingenti e future. Il formatore saggio «non aspetta la certezza dove e quando non esista; e non (si) illude mediante false certezze». La certezza morale: in alcuni casi può essere totale (e ciò accade soprattutto davanti a ciò che sappiamo di non dover fare), mentre in altri casi (più numerosi), deve accontentarsi di una probabilità solo relativa. Difetti giovanili (motivati dall’intemperanza) ed eccessi senili (motivati dall’avarizia). Dunque, per la saggezza si richiede l’esperienza, la memoria e la castità dell’anziano, ma altresì la freschezza di una giovanile, fiduciosa e per così dire prodiga rinuncia alle riserve di una ansiosa autoconservazione: è dunque richiesta la virtù del coraggio.

Il formatore giusto «Giusto»: adeguato, proporzionato; una bilancia in equilibrio. Platone: l’uomo “giusto” è colui che è adeguato all’ideale di uomo, armonia tra la temperanza, la fortezza o coraggio e la saggezza. E’ giusta la società in cui ciascuno opera secondo la virtù che gli è propria per il bene comune. Aristotele riconosce anche una giustizia come virtù particolare, che regola la giusta ripartizione dei beni e il loro pacifico scambio tra gli uomini. Cicerone: «Un’attitudine in forza della quale, con volontà costante e duratura, si riconosce a ciascuno, il suo diritto». In questa prospettiva il diritto (ius) appare più originario e fondamentale rispetto alla giustizia (iustitia).

Riconoscere i diritti (1) Persona (comunità) soggetto di diritto diritto attivo cosa – prestazione oggetto di diritto diritto passivo facoltà morale di pretendere come propria

Persona (comunità) titolare del diritto Persona (comunità) titolare del dovere spazio vitale necessario allo sviluppo della persona Riconoscere i diritti (2)

dinamica del bene comune sviluppo delle persone verso i fini propri oggetti di diritto

L’ordine nel rapporto con l’altro «Lo specifico della giustizia rispetto alle altre virtù è che essa rende ordinato il rapporto dell’uomo con ciò che riguarda gli altri (…), mentre le altre virtù perfezionano l’uomo solo nelle cose che riguardano se stesso» (S. Tommaso) Dare a ciascuno ciò che gli è dovuto. Ordinare il mio bene al bene comune «Ecco perché il bene di qualsiasi virtù, sia che ordini un individuo in se stesso, sia che lo ordini rispetto ad altri individui, è riferibile al bene comune, al quale è interessata la giustizia. E per tale motivo alla giustizia possono appartenere gli atti di tutte le virtù, in quanto essa ordina l’uomo al bene comune» (S. Tommaso) La giustizia generale assume tutte le virtù morali (compresa quindi la giustizia particolare) e le dirige al bene comune; la giustizia particolare dà all’altro ciò che gli spetta, tenendo in considerazione il bene comune.

I doveri di giustizia Il dovere morale del formatore corrisponde ad un debito giuridico nei confronti del formando. Il rispetto del diritto altrui implica una certa misurabilità: devo potermi chiedere se e in quale misura l’ho rispettato e cosa devo ancora fare o dare per adempierne le esigenze. E tuttavia, alla base dell’azione giusta, dev’esserci il rispetto per la persona altrui, l’attenzione verso di essa, senza la quale la virtù non sussiste. Materia della giustizia sono le cose o le azioni esteriori che costituiscono l’oggetto del diritto e del debito. Forma della giustizia è il rispetto per la persona altrui. Questa attenzione è chiamata classicamente aequitas (in greco epikeia) e comprende la retta interpretazione della leggi. Una considerazione del diritto senza aequitas si tradurrebbe necessariamente in ingiustizia: summum ius summa iniuria.

Il formatore forte TENACIA virtù difettoeccesso PERTINACIA MOLLEZZA PERSEVERANZA PAZIENZA TESTARDAGGINEFRAGILITA’ MAGNANIMITA’ PUSILLANIMITA’ PRESUNZIONE

Il coraggio del formatore Prendere atto della propria vulnerabilità: forte è colui che ha la capacità di accettare una ferita. La ferita è subita, ma solo perché fuggendo di fronte ad essa si farebbe un danno peggiore. E’ veramente coraggioso chi conosce la paura dell’uomo naturale e la supera perché il richiamo del bene maggiore è più forte. In questa prospettiva non viene ricercata né la morte né la ferita, e neppure il pericolo: ciò che si vuole è soltanto la realizzazione del bene ragionevole. Si può definire virtuosa solo la fortezza di colui che è guidato dalla saggezza e dalla giustizia.

L’assennatezza ordinatrice Sophrosýne: «assennatezza ordinatrice», capacità di “con-temperare” le diverse parti in una compagine armonica e ben disposta. La funzione “temperatrice” è svolta dalla ragione; gli elementi “con- temperati” sono i desideri naturali. «La natura inclina ciascuno a ciò che è per lui conveniente. Quindi per natura l’uomo desidera il piacere che a lui si conviene. Ma siccome l’uomo, in quanto tale, è razionale, è chiaro che i piaceri sono convenienti all’uomo se sono ragionevoli. E la temperanza non ritrae da questi piaceri, bensì da quelli che sono contrari alla ragione. Perciò è evidente che la temperanza non contrasta l’inclinazione della natura umana, ma si accorda con essa». (S. Tommaso) La temperanza può essere detta “virtù” solo nella misura in cui procede dalla regola della virtù della ragione, la saggezza. Chi rifuggisse dai piaceri per costituzione temperamentale o per qualche inibizione psicologica, potrebbe anche avere un comportamento esterno materialmente “temperante”, ma non ne possiederebbe la virtù.

Il formatore temperante I beni sensibili e corporali, considerati in se stessi, non ripugnano affatto alla ragione, ma piuttosto sono a suo servizio, come strumenti di cui la ragione si serve per raggiungere il proprio fine, che è la vita buona e felice. Tra i beni desiderati hanno maggiore forza attrattiva quelli che attengono alla conservazione della vita dell’individuo (mangiare, bere) e della specie (accoppiamento): le più potenti forze di conservazione dell’uomo. Quando queste energie degenerano egoisticamente, sopraffanno nella loro irruenza tutte le altre forze. Forme principali: continenza nel mangiare, sobrietà nel bere, castità sessuale In tutti gli ambiti dell’agire umano si richiede che i desideri siano “temperati” secondo ragione: umiltà, mitezza e mansuetudine, studiosità. Il fine è la tranquillitas animi: la pace che pervade la parte più intima dell’uomo: essa è il sigillo e il frutto dell’ordine». La temperanza consente di conservare se stessi, per potersi donare in modo libero e altruistico. Oggetto della temperanza sono quelle cose che maggiormente possono turbare l’animo, giacché sono essenziali all’uomo.