E le invocazioni che fino ad oggi abbiamo intessuto, alcune delle quali così calde da un punto di vista emotivo, saranno servite a qualcosa, o avranno.

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Transcript della presentazione:

E le invocazioni che fino ad oggi abbiamo intessuto, alcune delle quali così calde da un punto di vista emotivo, saranno servite a qualcosa, o avranno fatto naufragio molto prima di arrivare in porto?

Se “nullu homo ene dignu te mentovare”, come diceva San Francesco: perché mai dovremo pregarti, o Dio, e saremo capaci di una preghiera che sale fino a te?

Davanti a questi interrogativi drastici, Gesù forniva, tutto sommato, delle risposte semplici. Alla gente afflitta da dubbi e desiderosa d’imparare, il Cristo rispondeva non fomentando il problemanticismo…ma offrendo lumi e appoggi sicuri.

Nel Vangelo non c’è una fumosa catechesi intorno ai sentimenti che devono accompagnare la preghiera, ma c’è un’illustrazione minuta, quasi diligente, dei canoni che essa deve rispettare, tanto che qualche volta sembra rasentare il formalismo:

“VOI, INVECE, QUANDO PREGATE DITE COSI’…. (Cf.Lc 11,2)

Insomma, la preghiera pur essendo una realtà personalissima, e pur essendo un atto del soggetto, conosce un’oggettività…

E’ quest’obiettività a sottrarre il credente dalla trappola delle illusioni: se tacciono le malferme parole degli uomini si può però pregare rubando le parole a Dio.

Nella preghiera siamo naufraghi che stanno a galla non per proprio merito, ma perché hanno arpionato il rottame di qualche nave, che ancora beccheggiava tra le onde.

Tant’è vero che i maestri dello Spirito hanno insegnato la sensatezza del pregare anche al sopraggiungere degli inverni dell’orante, quando tutto è tenebra, e quando emozioni e batticuori non ci sono più, o sembrano ricordi lontani nel tempo, affondati in un passato lontano.

In qualche modo, l’oggettività basta a se stessa…

… Le notti della fede, e i momenti d’aridità, sono parte integrante della vita di preghiera, e chiedono di essere vissuti nella perseveranza, sapendo che Dio c’è, e che, nonostante la nostra sfinitezza e cecità, egli non è come noi, egli vigila, s’intestardisce nella provvidenza, e tende la sua mano. «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto» (Lc 11, 9-10).

In qualche modo, allora, si prega perché la preghiera esiste. Dietrich Bonhoeffer diceva qualcosa di simile, sostenendo che essa è come il linguaggio, che è sì la grammatica del nostro intimo, ma che è anche una realtà che ci precede, e che riceviamo da nostro padre. È Dio che ci mette sulle labbra il lessico adatto a parlare con lui.

Il bambino impara a parlare in quanto il padre gli parla. Impara la lingua del padre. Allo stesso modo impariamo a parlare a Dio, in quanto Dio ci ha parlato e ci parla. Sulla base del linguaggio del Padre celeste i figli imparano a parlare con lui.

Nel ripetere le parole stesse di Dio, noì iniziamo a pregarlo... Da qui sappiamo che Gesù Cristo, Parola di Dio, ci insegna a pregare. Le parole che vengono da Dio saranno i gradini della scala per giungere a Dio.

Potremmo dire che Dio invita i credenti ad «entrare» nella preghiera. Ci s’introduce in essa come se fosse un corpo che sta in piedi da sé, senza bisogno che alcuno lo incarni: una realtà eterna, che ci precede da secoli immemori, e che continuerà a sussistere anche senza di noi.

Si entra nella preghiera come ci s’intrufola in una cattedrale: essa si sorregge a motivo della sua architettura, per l’equilibrio delle sue forze, e non certo per l’ammirazione di turisti e visitatori occasionali.

La tradizione Benedettina chiama tutto questo « opus Dei», l’opera di Dio. La liturgia e la recita quotidiana del salterio sono realtà che si sostengono da sole. Sono la preghiera di Cristo in senso lato…

Il monaco s’immerge in questo fiume di preghiera… si lascia trasportare; lentamente assume i gemiti e i tripudi della Parola di Dio, per cui, alla fine, non turba più di tanto il fatto che la liturgia proponga dei brani che sono vicini o meno al proprio stato d’animo; ciò che veramente importa è che l’orante resti fedele alle parole che Dio gli consegna, che le preghi, e, entrando in esse, le faccia diventare sue…

…intanto cominciamo col chiedere a Dio di venire in soccorso della nostra debolezza — noi che nemmeno sappiamo cosa sia conveniente domandare (cf Rm 8, 26) —, così come chiediamo a lui di impiegare vocaboli che è lecito usare, di sperimentare sulla nostra pelle brividi che è bene avvertire, e soprattutto di posare sulle nostre labbra una parola di verità.

Testo elaborato da: UN GIRO DI VALZER CON DIO, di Guglielmo Cazzulani, Ed.Ancora 2006 arcofloridapps Monache Benedettine S. Margherita Fabriano