Sociologia economica.

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Transcript della presentazione:

Sociologia economica

PARADIGMA DELL’ECONOMIA: Azione economica ALLOCAZIONE RAZIONALE DI RISORSE SCARSE PERSEGUIMENTO RAZIONALE DI FINI INDIVIDUALI (ATOMISMO) MOTIVAZIONI UTILITARISTICHE PREFERENZE DATE

Regole MERCATI DI TIPO CONCORRENZIALE MOLTI VENDITORI E COMPRATORI MOBILITA’ DEI FATTORI PIENA INFORMAZIONE CIRCA LE OPPORTUNITA’ OFFERTE DAL MERCATO LO STATO IN FUNZIONE SOLO DI TUTELA DEI CONTRATTI E DELL’ORDINE

Metodo DEDUTTIVO-ANALITICO * SI VALUTANO LE CONSEGUENZE DELL’AZIONE DEGLI ATTORI SOCIALI, PRESUPPONENDO PREFERENZE DATE E REGOLE DI TIPO CONCORRENZIALE * SI MIRA A COSTRUIRE AMPIE GENERALIZZAZIONI RITENENDOLE APPLICABILI A CONTESTI GEOGRAFICAMENTE E STORICAMENTE DIVERSI

Paradigma della Sociologia Azione economica ATTIVITA’ VOLTA ALLA RICERCA DI MEZZI DI SUSSISTENZA MOTIVAZIONI UTILITARISTICHE E NON UTILITARISTICHE L’AZIONE ECONOMICA E’ SEMPRE AZIONE SOCIALE INFLUENZATA DALLE ISTITUZIONI

REGOLE L’AZIONE ECONOMICA RISPONDE AD UNA PLURALITA’ DI PRINCIPI E FORME DI REGOLAZIONE: - MERCATO - ISTITUZIONI SOCIALI FONDATE SU OBBLIGAZIONI SOCIALI E SENSO DI APPARTENENZA (RECIPROCITA’) - ISTITUZIONI POLITICHE BASATE SU SANZIONI DI TIPO AUTORITAIVO (REDISTRIBUZIONE)

METODO DI INDAGINE METODO INDUTTIVO: * INDAGINI STORICO-EMPIRICHE E COMPARATIVE * GENERALIZZAZIONI LIMITATE NELLO SPAZIO E NEL TEMPO

IL MERCATO: L’APPROCCIO ECONOMICO - IL MERCATO SI AFFERMA GRAZIE ALLA SUA EFFICIENZA (CAPACITA’ DI UTILIZZARE AL MEGLIO I FATTORI DI PRODUZIONE E DI SODDISFARE I BISOGNI DEGLI INDIVIDUI). - L’EFFICIENZA PRODUCE LEGITTIMAZIONE

Ma : Carenza di trasparenza Scarsa affidabilità tendenze a limitare la concorrenza disuguaglianze limiti alla libertà di competere scarsa propensione alla produzione di beni pubblici

da qui la tendenza alla: limitazione all’efficienza carenza di legittimazione Quindi: Il mercato con il suo funzionamento crea le condizioni per la sua legittimazione ma anche per la sua delegittimazione

IL MERCATO COME COSTRUZIONE SOCIALE * La legittimazione è requisito essenziale per l’affermarsi del mercato. Essa scaturisce da: misure politiche che favoriscono l’accumulazione del capitale e la sua circolazione culture che alimentano e legittimano l’orientamento alla competizione e al profitto

La legittimazione del mercato Il mercato va legittimato con vincoli che lo condizionano favorevolmente politiche che generano fiducia con rapporti interpersonali (istituzioni comunitarie) politiche che generano fiducia in modo impersonale (stato) Con misure di riequilibrio Con politiche che alimentano l’imprenditorialità e l’efficienza

LA FINE DEL CAPITALISMO LIBERALE Cause: Lo sviluppo dei mercati genera conflitti per il controllo delle materie prime e dei mercati di sbocco e stimola i governi a intervenire con misure protezionistiche o con interventi armati La difficoltà per i paesi late comers di competere con i paesi di prima industrializzazione rende cruciale l’intervento dello stato (finanziamenti, misure doganali, commesse pubbliche)

- La mercificazione della forza lavoro produce condizioni di lavoro e di vita inique e stimola l’organizzazione dei lavoratori e la rivendicazione di una limitazione allo sfruttamento della classe operaia attraverso misure legislative e il riconoscimento delle rappresentanze sindacali - Da parte imprenditoriale si affermano tendenze al controllo dei mercati di sbocco e di approvvigionamento (influenze sui governi, accordi e monopoli) e tendenze a tenere alto il livello dei prezzi, limitando la concorrenza (monopoli o differenziazione dei prodotti)

John Maynard Keynes 1883-1946 Figlio d’arte (il padre era un’economista, la madre una scrittrice), cominciò giovanissimo a scrivere e a ricoprire incarichi pubblici. Consulente finanziario del governo e di molte aziende, incaricato del ruolo di amministratore da importanti compagnie d’assicurazione, consigliere della Banca d'Inghilterra, capo della delegazione inglese a Bretton Woods, negoziatore dell'accordo finanziario tra la Gran Bretagna e gli USA nel 1945, da molti considerato il più grande economista del 20° secolo, poiché ha influenzato, direttamente ed indirettamente, con le idee, le proposte, le opinioni, sia le scienze economiche che quelle politiche.

L'impatto delle teorie keynesiane sulle scienze economiche fu di enormi proporzioni: esse rappresentano i pilastri e le fondamenta della moderna macroeconomia, cioè di quell'area dell'economia che studia problemi aggregati, ossia derivati dalla somma totale delle azioni nei diversi mercati.

Opera fondamentale è teoria generale dell'occupazione, interesse, moneta, pubblicata originariamente nel 1936. Analizzando il rapporto tra i risparmi e gli investimenti, l'opera keynesiana più importante ripropose, insieme alle novità del suo pensiero, lo schema teorico-economico liberista neoclassico, ma capovolgendone la prospettiva rispetto alle fondamentali variabili della domanda e dell'offerta e negando l'esistenza di un meccanismo spontaneo per la piena utilizzazione delle risorse produttive e il riassorbimento della disoccupazione, meccanismo che può essere sintetizzato dalla famosa immagine ipotizzata da Adam Smith della "mano invisibile"che pone in equilibrio i mercati.

Keynes sostenne infatti la necessità, per superare le depressioni economiche e mantenere alti i livelli di occupazione, di un controllo sui tassi di interesse bancari e sugli investimenti privati, di una forte tassazione di tipo progressivo (all'aumentare dei redditi dovrebbero cioé aumentare le aliquote), oltre che di una politica di investimenti pubblici. La politica economica pubblica era vista in funzione riequilibratrice della distribuzione dei redditi e apportatrice di una maggiore propensione al consumo (un’idea allora alquanto ardita)

La propensione al consumo è la percentuale del proprio reddito che un consumatore è disposto ad utilizzare per i consumi, all'aumentare della quale corrisponde un aumento della ricchezza: la maggiore domanda di consumi genera, infatti, una maggiore produzione di beni e servizi e, in conseguenza, un aumento ipotizzabile di ricchezza. Keynes attaccò la mera esistenza del sistema capitalistico come sicurezza implicita di equilibrio dei mercati: degli anni trenta, periodo di crisi economica fortissima, di disoccupazione e produzione a bassi livelli, egli considerò la sottoutilizzazione delle risorse produttive come fattore determinante del collasso economico.

Il ragionamento di Keynes avvicinava causalmente lo scarso livello produttivo di beni e servizi alla mancanza della necessaria domanda degli stessi. Vi era il problema chiaro di aumentare la domanda di beni e servizi, affinché il sistema economico riuscisse a produrre quanto era potenzialmente possibile. Quindi era necessario stimolare la domanda, incrementandola attraverso un adeguato programma di investimenti pubblici.

Keynes si trovò a doversi confrontare non soltanto con una teoria che riteneva sbagliata, ma con l'intero corpo delle convenzioni etiche che su quella teoria erano state edificate, e che predicavano le virtù del risparmio della libera iniziativa e, naturalmente, della moderazione salariale. Il problema non era solo di una teoria contraddetta dall’osservazioine empirica, ma di convinzioni morali: ai tempi di Keynes gli economisti ortodossi additavano a causa della disoccupazione i salari a loro dire ancora "troppo elevati", nonostante ogni ulteriore diminuzione di essi si traducesse in ulteriori cadute della domanda, del reddito e dell'occupazione stessa.

Lo sviluppo di questo sistema dipendeva perciò da un doppio inganno. In effetti, più ancora che come il secolo dell'industrializzazione, l'Ottocento appariva a Keynes fondato su una "religione“: la vocazione al risparmio. La vitalità dell'intero sistema, non solo economico ma anche politico e sociale, riposava sul differimento dei consumi. Lo sviluppo di questo sistema dipendeva perciò da un doppio inganno. Da un lato le classi lavoratrici accettavano, per ignoranza o per impotenza, o erano costrette ad accettare una situazione per la quale esse potevano chiamare propria una ben piccola parte della torta che esse stesse e la natura e i capitalisti avevano cooperato a produrre.

Dall'altro lato era consentito ai capitalisti di considerare propria la miglior parte della torta ed essi erano teoricamente liberi di consumarla, nella tacita condizione che in pratica ne avrebbero consumato una ben piccola porzione. Il dovere di risparmiare divenne celebrata virtù e l'ingrossamento della torta oggetto di una vera religione".

Dopo le immani distruzioni provocate dalla guerra Keynes poteva avanzare qualche ipotesi sul prossimo futuro: "le classi lavoratrici possono non essere più disposte a così larghe rinunzie e le classi capitalistiche, non più fiduciose nel futuro, possono avere voglia di godere in modo più completo la loro libertà di consumo". Le due previsioni, il prossimo acuirsi delle lotte sociali e l'effimero boom consumistico dei ruggenti anni venti, erano entrambe ben fondate.

Poteva così dire anche l' 'indicibile': e cioè che "il decadente capitalismo, internazionale ma individualistico, nelle cui mani ci siamo trovati dopo la guerra, non sta avendo molto successo. Non è intelligente, né bello, né giusto, né virtuoso, né si comporta come dovrebbe. In breve non ci piace e anzi stiamo cominciando a detestarlo".

Lo schema keynesiano il perseguimento dell’utile individuale non coincide con il perseguimento dell’utile collettivo l’attore atomistico spesso non dispone delle informazioni e delle capacità adeguate per perseguire il proprio utile Rischi, incertezza ed ignoranza condizionano la vita economica e sociale e limitano le capacità di crescita dell’economia e tendono a tenere bassi gli investimenti e a sottoutilizzare il capitale e il lavoro

Problema: come garantire il livello di produzione e di occupazione Problema: come garantire il livello di produzione e di occupazione? (ottica macroeconomica in contrapposizione all’ottica micro che si interrogava sulla formazione dei prezzi e la distribuzione dei redditi)

Legge di Say (economia classica e neoclassica): l’offerta crea sempre la sua domanda. Gli squilibri sono momentanei, poiché la concorrenza riallocherà le risorse in modo da garantire il pieno impiego. In particolare si suppone che tutto il risparmio si traduca in investimento e che basti agire sul tasso di interesse e sul livello dei salari per stimolare gli investimenti (bassi interessi e bassi salari = maggiori investimenti).

In realtà condizioni di incertezza circa i futuri rendimenti possono limitare gli investimenti e produrre un equilibrio di sotto-occupazione. La Grande Depressione dimostra che il meccanismo concorrenziale non riesce a frenare la caduta degli investimenti e dell’occupazione

E’ l’intervento dello stato che può invece efficacemente porsi come regolatore della domanda attraverso: il deficit spending (come manovra di breve periodo) lo stimolo della domanda attraverso un incremento dei redditi, poiché la propensione al consumo è superiore per i redditi più bassi occorre puntare non solo su commesse e finanziamenti alle imprese, ma soprattutto sul pieno impiego pubblico e le politiche redistributive

Circa gli indirizzi della spesa pubblica affermava: "Dobbiamo tendere a separare quei servizi che sono tecnicamente sociali da quelli che sono tecnicamente individuali. L'azione più importante dello Stato si riferisce non a quelle attività che gli individui privati esplicano già, ma a quelle funzioni che cadono al di fuori del raggio d'azione degli individui, a quelle decisioni che nessuno compie se non vengono compiute dallo Stato.

Sull'austero Times, dopo aver paragonato l'impasse in cui si trovavano le economie capitalistiche avanzate alla situazione di due automobilisti incrociatisi nel mezzo di una strada e incapaci di capire come andare avanti senza scontrarsi (perché nessuno sa da che lato spostarsi per passare e lasciar passare l'altro), Keynes paragonò il deficit spending ad un "espediente grazie al quale ciascuno si muove simultaneamente un pò più sulla propria sinistra". In una conversazione radiofonica alla Bbc sulla pianificazione (un esperimento allora tentato solo dai sovietici e dai fascisti e ritenuto dai più del tutto incompatibile con i principi di una comunità democratica), egli può affermare senza timore che gli piacerebbe "tentare di verificare se non sia possibile godere dei vantaggi di entrambi i mondi", vale a dire dei vantaggi della pianificazione e di quelli della democrazia.

Inoltre Keynes riteneva che politiche di riequilibrio interno fossero la miglior ricetta contro i conflitti internazionali. Se le nazioni imparassero a costituirsi una situazione di piena occupazione mediante la loro politica interna, non vi sarebbero più ragioni economiche per contrapporre l'interesse di un paese a quello dei suoi vicini: "il commercio internazionale cesserebbe di essere quello che è ora, ossia un espediente disperato per preservare l'occupazione interna forzando le vendite sui mercati esteri e limitando gli acquisti - metodo che, se avesse successo, sposterebbe semplicemente il problema della disoccupazione sul vicino che ha la peggio nella lotta - ma sarebbe uno scambio volontario e senza impedimenti di merci e servizi, in condizioni di vantaggio reciproco".

Due versioni delle politiche ispirate alla dottrina keynesiana Keynesismo debole (interventi anticongiunturali di breve periodo) keynesismo della crescita (obiettivi di crescita economica sul lungo periodo)

I trenta gloriosi anni del capitalismo regolato Cause: * La politica degli aiuti americani (piano Marshall) * L’incremento del commercio internazionale grazie alla liberalizzazione degli scambi e alla stabilizzazione dei cambi * La crescita della domanda dovuta alle esigenze della ricostruzione prima e alla crescita dei redditi poi * La disponibilità di un’ampia offerta di lavoro proveniente dai settori a bassa produttività * Lo sviluppo tecnologico che permette di abbassare i costi e incrementare la produzione

Aspetti nuovi rispetto al capitalismo degli anni ’30: regolarità e continuità della crescita crescita della produzione e del reddito a tassi mai registrati prima diffusione sociale della prosperità anche attraverso le politiche pubbliche di redistribuzione (salario indiretto) flusso elevato di risparmi e investimenti

La violenza del mercato viene addomesticata (Shonfield) per effetto: dell’azione dello stato attraverso un orientamento alla pianificazione dell’economia a fini di sviluppo (controllo del credito, imprese statali, regolazione del mercato, piena occupazione) e attraverso i sistemi di protezione sociale. Dell’azione delle imprese che si burocratizzano, assumono grandi dimensioni con investimenti ingenti per produzioni di grande serie

Sinergia positiva (Gourevitch: compromesso storico) tra azione pubblica che stabilizza il mercato, sostiene l’occupazione e regola la domanda e imprese che accrescono la produzione grazie alla liberalizzazione degli scambi e alla crescita dei consumi.

Il Sistema di welfare Insieme di politiche pubbliche connesse al processo di modernizzazione Tramite le quali lo stato fornisce ai propri cittadini protezione contro i rischi e bisogni prestabiliti sotto forma di assistenza, assicurazione e sicurezza sociale Introducendo specifici diritti sociali nonché specifici doveri di contribuzione

Modalità di intervento

Radici storiche Assistenza pubblica ai poveri Tutela dei datori di lavoro Mutualismo

Fasi Instaurazione (dalla fine dell’ottocento, 1883, alla prima guerra mondiale). Assicurazione di lavoratori Consolidamento (tra le due guerre): assicurazione sociale Espansione (dopoguerra): sicurezza sociale Crisi (metà anni settanta): sicurezza sociale

Funzioni del welfare Sostegno all’accumulazione (riproduzione della forza lavoro, domanda di beni) Consenso sociale(capitalismo regolatoe riformista)

Differenziazione Tipologia delle prestazioni Generosità delle prestazioni Aventi titolo

Modelli di welfare Residuale Occupazionale universalistico

Welfare system In realtà il benessere della popolazione dipende da un mix di: Risorse di mercato Risorse familiari/solidaristiche Risorse pubbliche Tendenza: un eccessivo squilibrio verso le risorse pubbliche scivolamento distributivo

Crisi del welfare Crisi fiscale Crisi di legittimazione Crisi di funzionamento

Crisi del welfare Vecchie premesse: Economia in crescita Società industriale Stabilità familiare e divisione di genere del lavoro Struttura demografica in equilibrio Aspettative morigerate e stabili Solidità e centalità dello stato nazione

Trasformazione Rallentamento dello sviluppo Società post-industriale Ridefinizione dei rapporti di genere Invecchiamento della popolazione e migrazioni Aspettative crescenti Internazionalizzazione economica, perdita di capacità di governo dello stato nazione

Sfide Contenimento dei costi Ammortizzatori sociali, flessibilità Conciliazione tra vita professionale e responsabilità familiari Contenimento delle spese pensionistiche e sanitarie e ammortizzatori sociale per gli immigrati Ridefinizione degli standard di prestazione Adattamento alle nuove condizioni di apertura dei mercati

Difficoltà Gruppi di interessi non utenti Scarsa visibilità tra contributi e prestazioni Maggiore voice di chi perde la protezione rispetto a chi dovrebbe acquistarla Problemi di consenso politico

Vecchi e nuovi rischi vecchi rischi: infortunio, malattia, vecchiaia, disoccupazione Nuovi rischi: difficoltà di conciliare lavoro di cura e lavoro professionale Mancato accesso alla conoscenza, soprattutto per i giovani Obsolescenza delle conoscenze professionali (lavoratori a basse qualifiche) Rischi di marginalizzazione dall’economia della conoscenza, dal mercato del lavoro o dal tessuto sociale

Ricalibratura del welfare Funzionale: a) dalla protezione della vecchiaia alla promozione di un ampio ventaglio di politiche: servizi di cura politiche del tempo e degli orari assegni familiari e detrazioni fiscali per il costo dei figli incentivi a redistribuire le mansioni genitoriali sostegni mirati alle donne nella fase di ingresso, di rientro e negli avanzamenti di carriera

b) In particolare combattere la povertà dei minori che è causa di un basso apprendimento, evasione scolastica, tossicodipendenza, bassa mobilità sociale. Rischio di circolo vizioso di degrado sociale e spreco delle risorse pubbliche. Quindi necessità di incentivare l’accumulazione originaria di capitali umani individuali

Ricalibratura distributiva Disuguaglianze tra garantiti e non garantiti rilanciare la protezione sociale non tanto tra diversi rischi, quanto tra diversi beneficiari di prestazioni (politiche di invecchiamento attivo, flessibilizzazione dell’età legale all’invecchiamento)

Ricalibratura normativa Degenerazioni usurpative del welfare per la capacità di pressione dei gruppi sociali più forti che hanno ridotto la capacità di soddisfacimento dei bisogni dei soggetti più deboli Welfare dinamico Politiche per l’istruzione di base

Quali misure Alleanze che sostengano la riforma Tre processi codificati di coordinamento (politiche per l’occupazione, politiche per l’inclusione sociale, politiche pensionistiche)

IL FORDISMO Modello di organizzazione economica che si basa su grandi imprese. Caratteristiche: integrazione verticale (inclusione di diverse fasi produttive, di servizi di ricerca e sviluppo, fino alla distribuzione e al controllo delle fonti di approvvigionamento di materie prime)

Produzione di massa di beni standardizzati prodotti in grande quantità con macchine specializzate Organizzazione del lavoro tayloristica (divisione del lavoro in compiti semplici e ripetitivi) separazione tra ideazione-progettazione ed esecuzione; separazione tra proprietà e management. Manodopera poco qualificata

Varietà delle forme nazionali relative: alla proprietà e gestione dell’impresa ai rapporti con la finanza (ruolo della borsa e delle banche) all’organizzazione del lavoro, al ruolo dello stato.

Caratteri comuni: il requisito della stabilità (mercati, forza lavoro, organizzazione) il ruolo dello stato sociale (politiche di redistribuzione, sostegno alle imprese e di stabilizzazione) Relazioni industriali (contrattazione collettiva e istituzionalizzazione)

Le imprese fordiste costituiscono il settore più visibile e ad alta produttività, ma hanno dei limiti alla loro estensione: Tecnologici (richiedono elevati investimenti) Di mercato (richiedono mercati ampi e stabili)

Persiste una domanda di beni non standardizzati prodotti in serie limitata che viene soddisfatta da piccole imprese organizzate in modo diverso (organizzazione del lavoro meno parcellizzata, manodopera specializzata, macchine più flessibili): macchine utensili beni di alta qualità beni a domanda instabile

CRISI DEL FORDISMO Fattori congiunturali: l’aumento del costo del petrolio l’abbandono del regime dei cambi fissi

Fattori strutturali saturazione del mercato dei beni di massa (nuovi stili di vita e modelli di consumo, indotti anche dalle politiche delle imprese) concorrenza dei paesi di nuova industrializzazione

la crescita della conflittualità operaia (piena occupazione, rifiuto del taylorismo) gigantismo industriale ed eccesso di complessità organizzativa introduzione di tecnologie elettroniche in grado di abbassare i costi per produzioni non standardizzate di elevata qualità in serie limitata.

Gli anni ’70: crisi del fordismo e crisi dello stato sociale Stagflazione: contemporanea presenza di inflazione e disoccupazione Caratteristiche: conflitto industriale e quindi spinte rivendicative e inflative diminuzione dei tassi di crescita della produzione crescita della disoccupazione Cause: gli effetti perversi dello stato sociale keynesiano e del sistema fordista, in un quadro economico mutato

a livello micro piena occupazione (esaurimento del serbatoio agricolo, nonostante i processi migratori) nuovi profili socio-biografici e culturali della classe operaia inasprirsi della parcellizzazione e alienazione del lavoro rafforzamento dei sindacati quindi crescita della conflittualità operaia

a livello macro crescente difficoltà

LA NUOVA POLITICAL ECONOMY L’insieme di studi che negli anni ’70 affrontano con un approccio neoistituzionale la spiegazione dell’inflazione Due filoni 1. filone neoutilitarista fa riferimento all’offerta di moneta e cioè all’incapacità dei governi a resistere alle pressioni politiche per un’espansione della spesa (nei confronti delle imprese e dei sindacati), che alimenta una spirale inflazionistica (Samuel Brittan)

2. filone istituzionalista fa riferimento alla domanda sociale di beni. La sua crescita è il risultato di un conflitto distributivo, in un contesto in cui le disuguaglianze sono sempre più delegittimate e le rappresentanze degli interessi sociali hanno acquistato più potere. L’inflazione, pertanto, è la conseguenza dell’incapacità del sistema di rappresentanza a gerarchizzare le diverse domande e a tenere sotto controllo il conflitto distributivo tra i diversi gruppi

NEOCORPORATISMO E CONCERTAZIONE Concetti contrapposti a quelli di pluralismo e politica di pressione, fanno riferimento alle prassi seguite dai governi e dagli interessi organizzati dei paesi sviluppati in relazione al sistema della rappresentanza degli interessi e della decisione politica (Schmitter, Lehmbruch)

Due dimensioni: 1. organizzazione degli interessi sistema pluralistico: elevato numero di associazioni di piccole dimensioni che competono tra loro; interessi specifici e settoriali; scarso coordinamento; sistema neocorporativo: poche grandi organizzazioni degli interessi che esercitano il monopolio della rappresentanza; forte centralismo;

2. processo di decisione politica sistema pluralistico: politica di pressione per acquisire risorse all’interno del mercato politico; scarso coinvolgimento nell’attuazione delle politiche; sistema neocorporativo. Prassi di concertazione che coinvolge le rappresentanze nei meccanismi di decisione e attuazione delle politiche

CRISI DELLA CONTRATTAZIONE CENTRALIZZATA NEGLI ANNI ‘80 Cause: frammentazione degli interessi del lavoro (differenziazione di qualifiche, mansioni e trattamenti) indebolimento del sindacato (riduzione della classe operaia) minor vulnerabilità degli imprenditori e dei governi (minore interesse a concedere potere in cambio di consenso) tensioni interne alle associazioni imprenditoriali (crisi delle grandi imprese) vincoli macroeconomici (integrzazione economica e finanziaria internazionale)

Modelli produttivi flessibili Trasformazioni tecnologiche e organizzative produzione diversificata di qualità: grandi imprese (tecnologie flessibili e snellimento organizzativo per produzioni di beni non standardizzati di qualità) piccole imprese (produzioni di beni non standardizzati in serie più brevi)

Alla chiusura e all’integrazione verticale di tipo gerarchico tipica del sistema fordista che plasma il mercato, si sostituisce un modello organizzativo, basato sulla rete come sistema di apprendimento per acquisire una maggiore capacità di cambiamento rispetto agli stimoli dell’ambiente esterno reti di piccole imprese impresa rete

La trasformazione delle grandi imprese Neofordismo tecnologico: massiccia automazione della produzione resa possibile dai progressi della tecnologia elettronica in grado di superare la rigida concatenazione lineare tradizionale e permettere maggiore flessibilità Produzione diversificata di qualità: innovazione tecnologica e innovazione nell’organizzazione del lavoro (gruppi di lavoro polifunzionali, a composizione mista)

Tendenze comuni decentramento dell’autorità attraverso la riduzione della distanza tra concezione ed esecuzione e creazione di unità operative che assumono le funzione di aziende semiautonome applicazione della pratica del Just in time: riduzione delle scorte, degli scarti, accorciamento dei tempi di risposta agli input del mercato utilizzo di macchinari meno specializzati utilizzabili per produzioni diverse

elevata collaborazione della manodopera, maggiore qualificazione, orientamento al lavoro di gruppo, al problem solving, alla responsabilizzazione e all’identificazione con l’azienda; maggiore collaborazione con subfornitori, cui vengono demandate tutte le produzioni complementari, ma che lavorano per più committenti e non più per monocommittenza maggiore radicamento rispetto all’ambiente esterno (ruolo dei fattori culturali e istituzionali)

In generale la via maestra di uscita dal fordismo: la produzione snella (lean production) applicazione della pratica del Just in time: ogni materiale o componente deve arrivare alle postazioni nel momento in cui è necessario (riduzione delle scorte, degli scarti, accorciamento dei tempi di risposta agli input del mercato). L’intero flusso si avvia in base alla domanda a valle e attiva il processo di produzione e l’approvvigionamento dei materiali. Immagine del tubo di cristallo: fa riferimento al flusso teso che regola il processo produttivo e lo lega con i fornitori. Processo ad un tempo trasparente e fragile, poiché ogni inconveniente nell’approvvigionamento o nella produzione si rende subito evidente e rischia anche di bloccarli.

Altro principio il kaizen (miglioramento continuo),finalizzato a prevenire ed eliminare ogni fonte di errore Non c’è una best way, come predicava il taylorismo, ma occorre puntare sempre al miglioramento, mobilitando il personale alla ricerca della soluzione più appropriata. Non a caso esistono dispositivi con cui il lavoratore può bloccare il processo (principio di autoattivazione)

Problemi La produzione snella è veramente altra cosa dal fordismo taylorismo? E’ foriera di miglioramento della qualità del lavoro? Spesso crescita del controllo (management a vista) Introduzione dei meccanismi di mercato nella gestione organizzativa Compenetrazione tra gerarchia e mercato

Le piccole imprese e i distretti industriali Fenomeno diffuso in tutti i paesi sviluppati in aree dove già esisteva un tessuto di piccole imprese o in aree di nuova specializzazione produttiva forte dinamismo negli anni ‘70 settori di tipo tradizionale (beni per la persona e per la casa) settori moderni (metalmeccanica, produzione di macchine utensili, elettronica, informatica)

processo produttivo divisibile in fasi diverse tecnicamente separabili specializzazione delle piccole imprese per fasi o componenti produzione soggette ad alta variabilità quantitativa e qualitativa della domanda flessibilità organizzativa (tecnologia, mansioni, utilizzo di forza lavoro, rapporto con il mercato, tipologia di prodotti)

I distretti industriali in Italia Regioni del NEC (Centro-Nord Est) Settori tradizionali e moderni Elevata complementarietà e collaborazione fra imprese Specializzazione in una fase del processo o nella produzione di componenti Capacità di rispondere in modo flessibile agli stimoli del mercato attraverso: innovazione e cooperazione

Fattori economici e istituzionali che hanno favorito la nascita e la crescita dei distretti in Italia Fattori esogeni Fattori endogeni

Fattori endogeni campagna urbanizzata e rete di piccoli e medi centri con tradizioni artigianali, commerciali e finanziarie rapporti di produzione in agricoltura (mezzadria e lavoro autonomo)

3) subculture politiche territoriali che hanno influenzato il tessuto fiduciario (capitale sociale), le relazioni industriali (cooperazione) 4) prassi amministrative che hanno favorito lo sviluppo di beni e servizi collettivi (infrastrutture, formazione, servizi sociali e amministrativi efficienti) 5) concorrenzialità/cooperazione 6) capacità di produrre beni collettivi 7) mercato del lavoro flessibile

Fattori esogeni: domanda per beni di qualità inflazione anni ‘70 scarsi controlli fiscali e contributivi decentramento produttivo delle grandi imprese tecnologie informatiche adatte all’innovazione su piccola scala immigrazione in condizioni di piena occupazione del mercato del lavoro locale dislocazione della produzione nei paesi meno sviluppati

Obiettivi: rispondere velocemente agli input di un mercato frammentato e instabile ridurre i costi distribuire i rischi

Le grandi tendenze post-fordiste De-industrializzazione Crescita del lavoro autonomo Diminuzione della dimensione media delle imprese Terziarizzazione Fine dell’espansione del welfare Ripresa del mercato Cambiamenti nella stratificazione sociale

Il sommerso L'economia informale si differenzia rispetto a quella formale in quanto i beni e i servizi in essa prodotti e la loro distribuzione sfuggono in tutto o in parte alla contabilità nazionale Per una definizione analitica del fenomeno si fa riferimento: Alla legalità dei beni e dei modi di produrli All’orientamento al mercato

economia criminale o illegale attività di produzione e/o distribuzione, svolta in maniera illegale, di beni e servizi illegali, economia domestica o comunitaria produzione di beni e servizi leciti che tuttavia non sono orientati al mercato bensì a forme di autoconsumo familiare economia sommersa attività di produzione e distribuzione di beni e servizi di per sé leciti, ma che vengono svolte violando le normative fiscali, contributive, amministrative, etc.

I confini tra economia formale ed informale, tra economia sommersa ed illegale, non sono sempre così netti e rigidi e possono mutare nel tempo e nello spazio. Un'attività può essere illegale in un paese e legale in un altro; può essere legale oggi e non esserlo più domani o viceversa. Inoltre, si verificano interscambi continui tra economia formale e informale

Il lavoro sommerso Il lavoro sommerso comprende al suo interno modalità di svolgimento dell'attività lavorativa molto eterogenee - lavoro nero lavoratori che forniscono la loro prestazione al di fuori di un qualsiasi rapporto di lavoro formalizzato, perché dipendenti da aziende completamente sommerse o da aziende emerse che non rispettano gli obblighi di registrazione, ma può comprendere anche i lavoratori autonomi che non dichiarano la propria attività - lavoro grigio irregolarità parziali (le sottodichiarazioni) che riguardano lavoratori, dipendenti ed indipendenti, le cui attività sono dichiarate in modo distorto rispetto alla realtà. I confini tra regolarità e non regolarità, tra lavoro nero e lavoro grigio sono fluidi e possono addirittura coesistere (il caso dei doppiolavoristi con primo lavoro regolare).

METODI DI QUANTIFICAZIONE DELL'ECONOMIA SOMMERSA E DEL LAVORO IRREGOLARE A partire dagli anni '70 tentativi di definire metodi e strumenti di ricerca in grado di offrire stime sempre più attendibili della portata del fenomeno 1) approcci diretti indagini campionarie condotte presso le famiglie e/o le imprese attraverso la somministrazione di questionari a risposta volontaria o attraverso i controlli fiscali e previdenziali effettuati dagli organismi di vigilanza. 2) approcci indiretti approcci di tipo macroenomico che tentano di stimare l'entità dell'economia sommersa e del lavoro irregolare utilizzando modelli econometrici (macro-model approach) o procedendo ad integrazioni tra fonti statistiche ed amministrative diverse

Rilevanza euristica Non unidirezionalità dei processi di sviluppo Compresenza di formazioni economico sociali diverse Diverse vie alla flessibilità

Rilevanza empirica * Processi di trasformazione delle imprese nel periodo post-fordista (decentramento, frantumazione, flessibilità) * Terziarizzazione e crescita dei servizi alle persone * Crisi del welfare e del sistema di tutele e servizi offerti dal settore pubblico * Offerta di lavoro disponibile (quote deboli, immigrati )

Conseguenze negative Riduzione del monte contributivo e fiscale Riduzione delle tutele e della sicurezza sul lavoro Concorrenza sleale alle imprese in regola Cultura dell’illegalità

Le direttive europee a sviluppare strategie globali di contrasto al lavoro irregolare attraverso il ricorso ad azioni preventive che incoraggino sia i datori di lavoro che i lavoratori ad operare all'interno dell'economia ufficiale; a rafforzare la vigilanza e le sanzioni; a rafforzare la cooperazione transnazionale tra gli organi competenti a lottare contro la frode ai danni della previdenza sociale e contro il lavoro non dichiarato; a sensibilizzare i cittadini sulle conseguenze negative del lavoro sommerso; a migliorare la conoscenza delle dimensioni del fenomeno a livello nazionale e nello stesso tempo a contribuire allo sviluppo della quantificazione del sommerso a livello UE, promovendo la collaborazione tra gli istituti di statistica nazionale;

La nuova sociologia economica PROBLEMA SPIEGARE LA VARIETÀ DEI MODELLI DI ORGANIZZAZIONE ECONOMICA (DIMENSIONI DELLE IMPRESE, RICORSO AL MERCATO O INTERNALIZZAZIONE E GERARCHIA, FORME DI COLLABORAZIONE).

IN CAMPO ECONOMICO: A PARTIRE DAGLI ANNI ’70 SI SVILUPPA UN’ECONOMIA ISTITUZIONALE CHE METTE IN DISCUSSIONE L’IDEA DELL’IMPRESA COME ENTITÀ PRODUTTIVA I CUI CONFINI SONO DEFINITI DALLA TECNOLOGIA

IL NEOISTITUZIONALISMO ECONOMICO ESISTENZA DI COSTI DI TRANSAZIONE VARIABILI, DOVUTI A CONDIZIONI DI INCERTEZZA O A CARENZA DI INFORMAZIONI, CHE CREANO SPAZI PIÙ O MENO AMPI PER COMPORTAMENTI OPPORTUNISTICI. INSODDISFAZIONE PER SPIEGAZIONI BASATE SU FATTORI TECNOLOGICI, RICERCA DI FATTORI DI SPIEGAZIONE A LIVELLO MICRO, SIA PURE DALL’OTTICA DELLA SCELTA RAZIONALE DELLE SOLUZIONI ISTITUZIONALI PIÙ EFFICIENTI.

OLIVER WILLIAMSON ECONOMIA DEI COSTI DI TRANSAZIONE (1975, 1985) LA VARIETÀ DELLE FORME DI ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA RISPONDE ALLA LOGICA DI MIGLIORARE L’EFFICIENZA, DIMINUENDO I COSTI DI TRANSAZIONE (SCAMBIO DI MERCATO, UTILIZZO DI MEDIATORI E CONSULENTI, JOINT VENTURES, RAPPORTI GERARCHICI). RAZIONALITÀ LIMITATA: LIMITATA CAPACITÀ DELLA MENTE UMANA A RISOLVERE PROBLEMI COMPLESSI, CHE LIMITA I COMPORTAMENTI MASSIMIZZANTI E RAZIONALI.

LE FORME DI GOVERNO DIPENDERANNO: DALLA FREQUENZA DEGLI SCAMBI DAL CARATTERE DELL’INVESTIMENTO LE TRADIZIONALI FORME DI MERCATO PREVALGONO IN PRESENZA DI BASSA SPECIFICITÀ DI RISORSE, IN TRANSAZIONI OCCASIONALI E RICORRENTI

IN TRANSAZIONI OCCASIONALI AD ELEVATA SPECIFICITÀ SI FA RICORSO ALLE TERZE PARTI IN CORRISPONDENZA DI MAGGIORE FREQUENZA E DI MAGGIORE SPECIFICITÀ SI FARÀ PIÙ RICORSO A FORME DI GOVERNO BILATERALE O GERARCHICO IN PRESENZA DI ELEVATI COSTI DI TRANSAZIONE SI FARA’ PIU’ RICORSO ALLA GERARCHIA

TUTTAVIA I CONCETTI DI OPPORTUNISMO E RAZIONALITÀ LIMITATA NON TENGONO IN ADEGUATO CONTO ALLE DETERMINANTI SOCIALI DEGLI ORIENTAMENTI COGNITIVI E NORMATIVI DEI SOGGETTI. L’AZIONE ECONOMICA NON SI SPIEGA SOLO CON LA RICERCA DELLA SOLUZIONE PIÙ EFFICIENTE, SIA PURE IN CONDIZIONI DI OPPORTUNISMO E RAZIONALITÀ LIMITATA, MA CON L’INFLUENZA DI FATTORI SOCIALI E POLITICI .

LA NUOVA SOCIOLOGIA ECONOMICA INSIEME DI TEORIE CHE A LIVELLO MICRO STUDIANO IL DIVERSIFICARSI DELLE FORME DI ORGANIZZAZIONE ECONOMICA SOTTOLINEANDO IL RUOLO DEI FATTORI CULTURALI E DELLE RETI DI RELAZIONI SOCIALI. RIFIUTO DELLA VISIONE IPOSOCIALIZZATA DELL’ECONOMIA E DI QUELLA IPERSOCIALIZZATA DELLA SOCIOLOGIA TRADIZIONALE (PARSONS: IL COMPORTAMENTO INDIVIDUALE DEI SOGGETTI È SPIEGATO DALLA CULTURA E DALLE NORME INTROIETTATE DAL SOGGETTO)

DUE FILONI: LA TEORIA DELLE RETI CHE FA RIFERIMENTO ALLA COLLOCAZIONE DEI SOGGETTI NELLE RETI SOCIALI COME CONDIZIONANTE LE SCELTE IL NEO-ISTITUZIONALISMO SOCIOLOGICO CHE SOTTOLINEA LE COMPONENTI COGNITIVE E NORMATIVE DELLA CULTURA CHE SI RIPRODUCONO NELL’INTERAZIONE SOCIALE IMPLICAZIONE COMUNE: RADICAMENTO SOCIALE DELL’ECONOMIA (EMBEDDEDNESS)

LA TEORIA DELLE RETI (GRANOVETTER ANNI ’80) APPROCCIO STRUTTURALE CHE FA RIFERIMENTO ALLE RETI CONCRETE DI RELAZIONI NEL TENER SOTTO CONTROLLO IL COMPORTAMENTO E LIMITARE L’OPPORTUNISMO (GERARCHIE, MERCATO E FORME INTERMEDIE FUNZIONANO EFFICACEMENTE SE SONO SOSTENUTE DA RETI DI RELAZIONI FIDUCIARIE)

AMBIVALENZA DELLA FUNZIONE DELLE RETI (COMPORTAMENTI COLLUSIVI, PERSISTENZA DI SOLUZIONI MENO EFFICIENTI) CAMPI DI APPLICAZIONE: RICERCA DEL LAVORO RETI DI IMPRESE

IL CAPITALE SOCIALE WEBER, BOURDIEU (’60), COLEMAN (‘90), PORTES (’98) INSIEME DELLE RELAZIONI SOCIALI DI CUI UN SOGGETTO INDIVIDUALE O COLLETTIVO DISPONE IN UN DETERMINATO MOMENTO RISORSE COGNITIVE (INFORMAZIONI) RISORSE NORMATIVE (FIDUCIA) BENE COLLETTIVO NON APPROPRIABILE INDIVIDUALMENTE

SOTTOPRODOTTO DI ALTRE ATTIVITÀ (LIMITE DELLE SPIEGAZIONI CULTURALISTE) FUNZIONI AMBIVALENTI BENE DEPERIBILE O ALIMENTABILE (PROSPETTIVA DINAMICA) CAPITALE SOCIALE E SVILUPPO LOCALE: RUOLO DELLA POLITICA (ELITES MODERNIZZANTI) RUOLO DEL MERCATO (STIMOLO ALL’EFFICIENZA)

IL NEOISTITUZIONALISMO SOCIOLOGICO (POWELL E DI MAGGIO, 1991) DI FRONTE ALLA CARENZA DI INFORMAZIONI E AI RISCHI DI OPPORTUNISMO I SOGGETTI SI AFFIDANO SIA ALLE RETI, CHE ALLE SOLUZIONI CHE SONO CONSIDERATE PIÙ LEGITTIME E APPROPRIATE NELL’AMBIENTE IN CUI OPERANo: ROUTINES REGOLE COSTITUTIVE PIUTTOSTO CHE REGOLE REGOLATIVE PERSISTENZA DI STANDARD RITENUTI APPROPRIATI AL DI LÀ DELL’EFFICIENZA

CONSEGUENZA: ISOMORFISMO (OMOGENEITÀ DI MODELLI IN UN CAMPO ORGANIZZATIVO) ISOMORFISMO ISTITUZIONALE DI TIPO COERCITIVO (LEGGI E REGOLE DOMINANTI) ISOMORFISMO NORMATIVO (CONSEGUENTE AI PERCORSI DI FORMAZIONE DEI MANAGER) ISOMORFISMO MIMETICO