Corporate governance Giocoli, Cap.5.

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Corporate governance Giocoli, Cap.5

Definizione Sistema di governance: insieme di regole e vincoli posti sulla contrattazione ex post relativa alle quasi rendite generate da una relazione contrattuale (def. di Zingales). L’esigenza di un sistema di governance sorge in caso di impossibilità di stabilire ex ante l’allocazione efficiente delle quasi rendite, ovvero in un mondo di contratti incompleti. L’enfasi è tutta sulle soluzioni ex post in presenza di contratti che sarebbe ex ante troppo costoso (o impossibile) rendere ottimali. In un simile contesto, le quasi rendite ex post esistono per forza! Nel caso la relazione contrattuale riguardi una società di capitali, parleremo di corporate governance (CG). La definizione discende da una visione dell’impresa come insieme di investimenti specifici (con le relative relazioni contrattuali).

Un problema centrale di CG Semplificando, si può dire che esiste un problema di governance ogni volta che un agente diverso dal manager (p.e. un investitore) vuole/vorrebbe esercitare un potere di controllo sull’impresa in modo diverso da quanto farebbero gli amministratori (manager). Ovvero quando un agente ha un interesse – anche se del tutto legittimo – in conflitto con quello dell’impresa (cioè il max profitto). Da questa prospettiva scaturisce il problema centrale della CG, ovvero quale sia l’interesse che deve essere perseguito come obiettivo dei manager della società. Quello degli azionisti (shareholders) o quello di altri portatori di interessi nella società, quali i creditori, i lavoratori, la comunità locale, ecc. (c.d. stakeholders)?

Il concetto di efficienza in CG Efficienza ex ante: le regole di CG sono ex ante efficienti se sono tali da generale il surplus più alto possibile per tutti gli stakeholders. Efficienza paretiana: le regole di CG sono Pareto-efficienti se non esiste un altro sistema di regole che soddisfi il criterio di miglioramento paretiano. I due concetti si equivalgono se si possono sempre trasferire risorse tra gli agenti in modo da soddisfare il criterio paretiano. Ma in un mondo di contratti incompleti questo non è possibile, per cui i due concetti sono differenti. Si usa quasi sempre il primo perché se i trasferimenti possibili sono puramente virtuali l’efficienza ex ante coincide in realtà con il principio di compensazione.

Tre obiettivi di efficienza per la CG Efficienza ex ante: in particolare, le regole di CG devono dare gli incentivi ottimali ex ante agli investimenti che creano surplus. Efficienza ex post: come in Williamson, le regole di CG dovrebbero essere tali da minimizzare gli incentivi al rent-seeking e quindi promuovere gli investimenti efficienti. Riparto efficiente del rischio: le regole di CG dovrebbero ripartire il rischio sulle parti contrattuali che lo possono sopportare meglio (cioè con minori conseguenze negative in termini di efficienza).

Il “teorema” di Jensen & Meckling Un contratto open ended (aperto) è un contratto in cui le prestazioni non sono esattamente definite. Il contratto che lega gli azionisti alla società è di questo tipo perché la remunerazione degli azionisti non è predefinita, ma è pari ciò che residua una volta soddisfatte tutte le altre obbligazioni della società. Jensen & Meckling (1976): se l’impresa è vista come un nesso di contratti (completi), se, tra tutti questi contratti, gli unici ad essere open ended sono quelli degli azionisti e se non ci sono problemi di azione nascosta, allora la massimizzazione del valore per gli azionisti (shareholder value) coincide con l’efficienza ex ante (ed anche con quella Paretiana). Quindi un sistema di CG costruito per perseguire il solo interesse degli azionisti è efficiente. Come sempre, il “teorema” di J&M rileva soprattutto in negativo, cioè quando non vale. Il venir meno di uno dei tre “se” implica che un sistema di CG che persegua il solo interesse degli azionisti non è efficiente. Per avere efficienza la CG deve quindi tener conto anche dell’interesse degli altri stakeholders.

Azione collettiva e common agency Proprietà dispersa: quando in una società di capitali gli azionisti sono molteplici e “piccoli” (c.d. public company). La dispersione della proprietà crea un conflitto di interessi tra i piccoli azionisti e tra di essi e gli altri stakeholders. Sorge un problema di azione collettiva, cioè una situazione in cui il comportamento razionale dal punto di vista individuale non conduce all’esito ottimale dal punto di vista collettivo. Esempi analoghi: produzione di beni pubblici, dilemma del prigioniero. Il problema è noto anche come common agency problem. Abbiamo infatti una situazione del tipo azione nascosta in cui esiste un singolo agente (il manager) e molti principali (gli azionisti e gli altri stakeholders). Definiamo constituency (o gruppo di interesse) l’insieme degli agenti che hanno un interesse comune nei confronti della società. La domanda è: l’interesse di quale principale/constituency deve perseguire il manager/agente? Inoltre: come evitare che il manager approfitti del conflitto tra constituencies (p.e. in caso di azionariato disperso) per perseguire il proprio interesse?

Perché lo shareholder value come obiettivo? Esistono diverse spiegazioni, che richiamano le diverse teorie dell’impresa: I contratti degli azionisti sono open-ended: è la spiegazione di J&M. Ma: chi ci dice che anche gli altri contratti (con gli stakeholders) siano completi o comunque meno incompleti di quelli con gli azionisti? P.e. un contratto di “conferimento di capitale umano” (cioè un contratto di lavoro) non pare affatto più semplice da stipulare in ogni suo aspetto (= più completo) di uno di conferimento di solo denaro con il piccolo azionista. Gli azionisti sono gli unici ad essere locked-in nella società perché uscire dal contratto per loro può significare perdere tutto l’investimento (= assenza di outside options): è la spiegazione di Williamson. Ma: chi impedisce al piccolo azionista che non vuole essere locked-in di trasformarsi in semplice creditore? Gli azionisti hanno il DRC (che include anche il riparto dei profitti) perché sono quelli che conferiscono l’input essenziale (ed in ogni caso perché hanno il minor potere contrattuale ex post): è la spiegazione di GHM. Ma: i piccoli azionisti conferiscono un asset (il denaro) facilmente sostituibile e comunque spesso non sono interessati alla gestione (cioè al DRC). Gli azionisti sono proprietari di un asset (il denaro conferito) la cui specializzazione è delegata interamente al manager, e quindi devono essere tutelati dal rischio di esproprio attribuendo loro il DRC: è la spiegazione c.d. “delega della specializzazione” di Zingales. L’idea è che il potere di controllo su un asset riduce l’incentivo del titolare a specializzarlo (per non esporsi al rischio di lock-in). Quindi può essere efficiente per l’impresa lasciare il potere di controllo e specializzazione ad un terzo (il manager). Questo vale in particolare per l’asset “denaro liquido”.

Soluzioni al problema dell’azione collettiva Come tenere sotto controllo i problemi di conflitto di interessi, free riding ed opportunismo del manager tipici della CG nelle società (specie se a proprietà dispersa)? La minaccia di takeover ostili: il manager che non gestisce la società per massimizzare SHV (= valore delle azioni in Borsa), subirà la scalata di nuovi proprietari e verrà licenziato. La concentrazione della proprietà in pochi grandi azionisti (c.d. azionisti di blocco, o blockholders). Ma chi tutela i piccoli azionisti se blockholders e manager colludono? La delega del potere di controllo sul manager ad un consiglio di amministrazione i cui membri siano indipendenti dagli azionisti. Ma chi nomina gli amministratori indipendenti? Contratti incentivanti per il manager al fine di allineare i suoi incentivi con quelli della proprietà. Si parla di pacchetti di remunerazione per i manager (p.e. mediante stock options). Ma come misurare la performance? Il problema dei “paracadute d’oro”: il contratto deve essere compatibile con gli incentivi (vedi cap.4), ma questo può portare il manager ad assumere rischi eccessivi sapendo di godere in ogni caso di un “paracadute”. La sottoscrizione di regole fiduciarie (c.d. “liste dei doveri”) da parte del manager, con automatico licenziamento in caso di violazione.