La difficoltà come categoria pedagogica

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Transcript della presentazione:

La difficoltà come categoria pedagogica RAGAZZI DIFFICILI: La difficoltà come categoria pedagogica Rita Minello A prima vista, sembrerebbe che quella dei “ragazzi difficili” sia una categoria talmente vasta da poter comprendere chiunque. In realtà il termine “difficile” individua quelle condizioni in cui la soglia della problematicità viene in qualche modo superata e richiede appropriate strategie di intervento. Possiamo identificare le caratteristiche della difficoltà in base ai comportamenti messi in atto e riconoscere così che esistono tre categorie identificate dal Tribunale dei Minori:

COMPORTAMENTO 1: I ragazzi a rischio Vivono in situazioni caratterizzate da carenze di ordine materiale: povertà, insicurezza economica, disagio abitativo, contesto sociale degradato o relazionale: particolari situazioni o storie familiari che portano a situazioni di rifiuto più o meno consapevole, disgregazione della famiglia, presenza di figure di riferimento poco adeguate o modelli di devianza. L’intervento educativo si fonda in prima istanza sulla necessità di costruire intorno al ragazzo un contesto adeguato, ma anche nel risolvere il disagio attuale.

COMPORTAMENTO 2: I ragazzi disadattati Casi in cui il luogo della difficoltà non è più individuato solo nel contesto di vita materiale o relazionale ma nell’assunzione da parte del ragazzo di atteggiamenti comportamentali disadattativi, lesivi di sé e del contesto in cui vivono. Spesso oscillano fra l’assunzione di atteggiamenti svalutativi o oppositivi (senso permanente di fallimento, rivendicazione continua di una fittizia autonomia…) alla messa in atto di comportamenti definibili come irregolari (fughe da casa, abbandono della scuola, piccoli furti, reazioni aggressive nei confronti di cose o persone…) Dal punto di vista pedagogico qui il focus è nella loro difficoltà (di ordine educativo) a percepirsi come soggetto.

COMPORTAMENTO 3: I ragazzi delinquenti Il riferimento è obbligato. Coloro che hanno avuto a che fare con la giustizia, definiti così quando hanno infranto le norme del codice penale. Spesso fanno parte di forme di criminalità organizzata e, a modo loro, hanno una visione del mondo solida e sono integrati in un nucleo sociale di cui condividono valori e comportamenti, per questo si sono sottoposti a dei riti.

CO-PROTAGONISTI DEL CAMBIAMENTO Il valore dell’intervento pedagogico, in ogni caso, non può prescindere da un contributo del soggetto alla costruzione del proprio modello di interpretazione del mondo e di azione nel mondo. Il ragazzo deve essere co-protagonista del suo cambiamento.

1. L’assenza dell’intenzionalità DOVE FAR LEVA: 1. L’assenza dell’intenzionalità Rinuncia a concepirsi come responsabile del proprio comportamento. Rimane entro i limiti di una visione del mondo dominata dal senso di nullità. Ciò genera un atteggiamento di vita quotidiana di dispersione e fatalismo devastante. Genera tendenza ad unirsi ad altri (delega al gruppo)e in certi casi ad obbedire totalmente. LA DISPERAZIONE DI NON VOLER ESSERE SE STESSI. Rovesciare il punto di vista!

2. La distorsione dell’intenzionalità DOVE FAR LEVA: 2. La distorsione dell’intenzionalità Nasce da un eccesso dell’io nel rapporto io-mondo. Il soggetto assolutizzato si dirige verso una realtà che ha ridotto ad un oggetto-preda. L’altro, in quanto soggetto con dei diritti di stare al mondo, non esiste. La sua autonomia immaginaria è sorda al principio di realtà. Non riconosce i limiti oggettivi imposti dalle cose e dalla comunità, pensa di poter disporre e fare di tutto. Quando la realtà contraddice questo senso di onnipotenza, il ragazzo passa al disorientamento e ad un grave abbattimento: il mondo gli appare “contro di lui” e contro quella volontà che si crede in diritto di esercitare. Anche loro, come i precedenti, cercano la compagnia dei ragazzi, ma per imporre la propria egoità. LA DISPERAZIONE DI VOLER ESSERE SE STESSI. Far nascere nel soggetto il sospetto di “aver sbagliato strada”, una vaga consapevolezza da cui possa nascere il desiderio di cambiamento

NON EDUCARE MA RI-EDUCARE Che cosa significa ri-educare? Procedere ad una profonda trasformazione della visione del mondo del ragazzo. Procedere ad una ristrutturazione dell’attività intenzionale del ragazzo. Ampliare e modificare la sua scala di valori. La ri-educazione viene rivolta al futuro, è un orientamento al futuro che il ragazzo ritiene già compromesso. Dilatare il suo campo di esperienza facendogli vivere situazioni nuove (educare con l’avventura che ogni tanto scardini la quotidianità perché il ragazzo in situazioni-limite può riacquistare fiducia in sé) Esperienze possibilmente nella vita di gruppo per generare un senso di appartenenza a… (piccolo gruppo, al di sopra dei 10 soggetti si sviluppano delle gerarchie interne e una perdita di controllo dell’educatore). Uso del transfert pedagogico (identificazione del ragazzo con l’educatore).

BULLISMO: LA CASISTICA E’ una forma di oppressione subdola attraverso la quale la vittima sperimenta una condizione di umiliazione e di sofferenza, spesso senza apparente ragione. L’attacco di molestia del bullo può essere sia fisico che mentale. L’azione aggressiva e sistematica dura nel tempo. Le prepotenze possono essere dirette o indirette (più nascoste e sottili, spesso l’esclusione dal gruppo, la diffusione di calunnie, istigazione di altri).

PROFILO PSICOLOGICO DEL BULLO Il bullo prova scarsa empatia per la vittima, ma non è privo di competenze sociali, anzi, è molto bravo a comprendere le emozioni interne della sua vittima, i meccanismi intellettivi della mente dell’altro, solo che li manipola per i propri scopi, in altre parole utilizza le proprie competenze sociali per fini strumentali e machiavellici.

LE PECULIARITA’ DEL “BULLO” Presenta aggressività, sia verso i coetanei sia verso i genitori; inoltre è bisognoso di dominio. Riconosce le sue vittime in quanto verso queste ha scarsa empatia. Ha livelli di ansia e di insicurezza relativamente bassi. Facile da comprendere come sfogando l'insicurezza verso altre persone, egli possa sentirsi meglio ogni giorno. Sul piano social-scolastico, il bullo non arriva mai ad un livello di impopolarità come la vittima, però nemmeno giunge ad essere una celebrità. Secondo alcune statistiche, i prevaricatori a scuola hanno una buona possibilità di incorrere in processi penali pesanti a causa dei gravi reati commessi. Il potere del bullo poggia essenzialmente sull'omertà e sulla codardia dei compagni di classe. Questi infatti, secondo alcune ricerche, anche a causa dei mass media, ritengono degradante la condizione di vittima e sono portati a disprezzarla, isolarla e magari anche colpirla.

PROFILO PSICOLOGICO DELLA VITTIMA La vittima è mediamente più ansiosa e insicura degli altri studenti. Ragazzi che, se attaccati, reagiscono piangendo o chiudendosi in se stessi. Vivono una condizione di isolamento e di esclusione nella classe che li rende ancora più vulnerabili agli occhi dei compagni. Tipico: difficoltà della vittima nel riconoscere le sue emozioni, eccessiva passività e sottomissione ai compagni. Difficoltà a fronteggiare gli attacchi con comportamenti reattivi o chiedendo aiuto. Molti negano il problema e annullano la loro sofferenza emotiva. Peggio: mettono in atto meccanismi di auto-colpevolizzazione. Oppure fanno il contrario: hanno atteggiamenti provocatori e iper-reattivi di fronte ai compagni. Eccessiva dipendenza dal nucleo ristretto della famiglia, che reagisce fin troppo in modo protettivo.

IL MANIFESTARSI DEI PRIMI SEGNI I segni primi manifestati dalla vittima sono uno stato d'ansia continua e un'insicurezza prepotente nelle attività quotidiane rispetto agli altri compagni di classe. Inoltre presenta difficoltà di concentrazione e irritazione nei confronti dei coetanei della stessa sua classe. Prima di divenire vittime, peggiorando la loro condizione successivamente, non hanno molta autostima, ma sono dotati di prudenza e di un'elevata sensibilità, spesso sono in solitudine e hanno pochi amici. Tutto questo porta ad una reazione scarsa o addirittura nulla nel momento in cui subiscono attacchi dall'esterno, ai quali reagiscono per lo più chiudendosi in sé stessi.

IL DUE MODELLI DI “VITTIMA” I modelli di vittima attualmente conosciuti sono due: quella remissiva e quella provocatrice. È possibile che si assumano entrambi i ruoli ma in tempi diversi. Il primo modello di vittima è caratterizzato dal “ subire in silenzio”, quindi non trovare in sé la forza di reagire, ma nemmeno il desiderio di essere trattato in quel modo. Il secondo modello, invece, è quello che, a mio parere, mostra un disagio ancora maggiore. Qui abbiamo una vittima che, oltre ad essersi adattata alle violenze, vede in queste una fonte di soddisfazione in quanto momento in cui si trovano al centro dell'attenzione. Questi arrivano davvero a confondere la violenza con il gioco. La sofferenza però persiste, infatti, quando sono soli nella loro camera abbassano la guardia e i sentimenti prendono il sopravvento: un pianto di paura esplode nel silenzio. Questo suo comportamento favorisce una maggiore violenza. Nel primo caso si può parlare di crisi reattiva, mentre nel secondo caso di “Sindrome di Norimberga”.

CARATTERISTICHE DEI GENITORI DI BULLI E VITTIME Un esperto come Gustavo Pietropolli Charmet, psicologo che si occupa di problemi degli adolescenti, attribuisce alla famiglia gran parte della responsabilità. “I genitori sono sempre più occupati dal lavoro. E la famiglia è sempre meno presente in qualche caso non c’è affatto. Può succedere, così, che i bambini se ne costruiscano una tutta loro a scuola o in strada, una famiglia sociale che, lentamente, prende il posto di quella naturale”. Un passaggio che si verifica già alle elementari e che in qualche modo è incoraggiato dagli stessi genitori. Quando la leadership di questa famiglia sociale è nelle mani di bambini che vogliono affermare con forza il proprio potere nel gruppo e la propria identità si ha il bullismo. E la vittima designata è, infatti, non a caso, il tipico figlio di mamma, quello cioè accuratamente pettinato, vestito, viziato e coccolato, privo dei segni distintivi del gruppo e carico di quelli della famiglia.

RUOLI DEI PARTECIPANTI BULLO –detiene l’iniziativa AIUTANTE – agisce, ma in posizione secondaria SOSTENITORE – rinforza il comportamento del bullo ridendo o incitandolo o dimostrando qualche forma di soddisfazione DIFENSORE – chi prende le difese della vittima e tenta di far cessare l’azione ESTERNO – chi non fa niente e cerca di rimanere fuori VITTIMA – chi subisce

EFFETTI NEGATIVI DELL’AGGRESSIVITA’ Molti ritengono che, tutto sommato, una certa dose di aggressività faccia parte della vita umana e che qualche episodio di bullismo rafforzi il carattere e la personalità di chi lo subisce. Però la psicologia conosce bene gli effetti negativi che una condizione di vittimizzazione può avere su bambini o adolescenti che subiscono le prepotenze in termini di autostima e di solitudine. Dimostrano vulnerabilità crescente e soccombono di fronte alle avversità della vita. Come conosce il rischio, per il bullo, di passare a comportamenti devianti e antisociali.

LA SCUOLA PUÒ FARE MOLTO Prevenzione: promozione della persona a livello cognitivo, emotivo e sociale. Valorizzarne le competenze e il tipo di intelligenza. L’approccio ecologico (ambiente-individuo) è sempre un approccio transazionale (influenza di modelli positivi o negativi) Potenziamento delle abilità sociali (della vittima) promuovere la cooperazione (nel bullo) Presa di coscienza dei genitori – attività di role play con l’assunzione di diversi ruoli (approccio cognitivo-comportamentale) Interventi contro la prepotenza a livello di gruppo classe per promuovere il senso di responsabilità individuale e elaborazione di un sistema di regole contro le prepotenze Creare a scuola un ambiente caldo caratterizzato dalla partecipazione attiva e positiva degli adulti (modello di Olweus) Provvedimenti e punizioni che non siano né fisiche né ostili

COSE IMPORTANTI DA FARE IN CLASSE E’ importante che: • si crei un ambiente scolastico caratterizzato da affetto e coinvolgimento emotivo da parte degli insegnanti, nonché promozione di interessi positivi. • Il rapporto professore – amico e alunno deve comunque trovare punti fermi che ricordino la presenza di un'autorità forte • Pretendere dagli adulti un comportamento autorevole ( termine diverso da autoritario!)

LINEE-GUIDA PER UN PROGRAMMA DI PREVENZIONE • Consapevolezza dei genitori e degli adulti in genere e nuovi propositi per intervenire e cambiare le cose • Inchiesta mediante questionario agli alunni, agli insegnanti e ai genitori • Organizzazione di una conferenza all'interno della scuola stessa per presentare il problema • Migliore supervisione durante gli orari in cui non c'è lezione • Maggiore comunicazione tra docenti e tra docenti e genitori • Tempestività di intervento • Incontro tra insegnanti, genitori, bulli e vittime • Colloqui approfonditi tra insegnanti e genitori delle vittime

L’OBIETTIVO DI UN PROGRAMMA DI PREVENZIONE Informare e offrire conoscenze e strumenti agli insegnanti, ai gruppi classe e ai genitori delle scuole dell'obbligo per: ridurre le prepotenze, l'aggressività e le manifestazioni di bullismo in ambito scolastico migliorare l'autostima, l'autoefficienza e la motivazione degli alunni sviluppare le competenze sociali saper gestire i rapporti difficili condurre la classe in modo efficace migliorare le abilità comunicative tra alunni e tra alunni e insegnanti promuovere una cultura scolastica basata sui valori della democrazia, della legalità e della solidarietà intervenire specificamente in scuole - classi che segnalano episodi di bullismo rilevare e monitorare il fenomeno del bullismo

I TRE DESTINATARI DI UN PROGRAMMA DI PREVENZIONE insegnanti programma di empowerment mediante formazione su: I problemi di comportamento a scuola La comunicazione assertiva L'educazione razionale emotiva programma per la conduzione della classe consulenza training di abilità sociale programmi di alfabetizzazione socio-affettiva supervisione

I TRE DESTINATARI DI UN PROGRAMMA DI PREVENZIONE 2. alunni gruppo classe con problemi di conflittualità: gruppi di discussione gruppo interclasse: training sulle abilità sociali e assertività 3. genitori attivazione di un gruppo di genitori di bulli e vittime sui temi: regole e discipline contingenze di rinforzo problem solving monitoraggio in casa e fuori

QUANDO NON BASTA PIU’ LA PREVENZIONE, MA L’AZIONE EDUCATIVA AVVIENE A POSTERIORI L’APPROCCIO SENZA ACCUSA (Modello di Maines e Robinson) I Sette passi: Avere un primo colloquio con la vittima. Scoprire chi è coinvolto. Conoscere i suoi sentimenti. Il bullo non sarà né incolpato né punito, quindi non deve temere di fornire informazioni. Organizzare un incontro che comprenda bulli e spettatori o comunque soggetti esterni al fenomeno. Comunicare al gruppo come si sente la vittima con letture o descrizioni specifiche. Favorire un’assunzione di responsabilità da parte del gruppo e sollecitarne la collaborazione per migliorare le condizioni della vittima. Ottenere suggerimenti su come le vittime possano essere sostenute. Consegna di responsabilità al gruppo: non è un problema del singolo, è un problema del gruppo. Incontri individuali con i partecipanti.