STRATIFICAZIONE, CLASSI E DISUGUAGLIANZA

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STRATIFICAZIONE, CLASSI E DISUGUAGLIANZA

Contenuti della lezione: Stratificazione e classi sociali Mobilità sociale e povertà La stratificazione in Italia

Parte I: stratificazione e classi sociali

La stratificazione sociale è un sistema di disuguaglianze strutturate tra gruppi sociali. È così possibile concepire la società come costituita da ‘strati’ ordinati gerarchicamente, dove i privilegiati stanno in alto e i meno privilegiati in basso. La stratificazione sociale può essere determinata da diversi fattori: risorse economiche; genere; età; appartenenza religiosa; prestigio; potere.

Si possono distinguere 4 sistemi fondamentali di stratificazione delle società umane: schiavitù: forma estrema di disuguaglianza => gli individui sono “posseduti” da altri come loro proprietà; casta: associata alle culture del sub-continente indiano e alla credenza induista della reincarnazione  chi disattende i doveri della propria casta si troverà in una posizione inferiore nella vita successiva; ceto: caratteristico del feudalesimo europeo  i ceti feudali erano formati da strati con doveri e diritti diversi; classe: vasto gruppo di individui che condividono lo stesso tipo di risorse economiche, le quali influiscono sulle loro condizioni di vita.

Le classi si distinguono dalle altre forme di stratificazione, poiché: non dipendono da ordinamenti giuridici o religiosi  i sistemi di classe sono fluidi e i confini tra classi non sono mai netti; la collocazione di classe è, almeno in parte, acquisita  è frequente la mobilità sociale; le classi si fondano su differenze economiche  possesso e controllo di risorse materiali; i sistemi di classe si fondano su rapporti impersonali  le disuguaglianze di trattamento salariale, ad esempio, interessano tutti i membri di una stessa categoria occupazionale.

Karl Marx e la struttura di classe Una classe è un gruppo di individui che condivide un determinato rapporto con i mezzi di produzione  mezzi con cui si provvede al proprio sostentamento. Nel corso della storia si sono sempre opposte due classi principali in base ai differenti mezzi di produzione e ai differenti rapporti di produzione caratteristici del periodo storico. Il rapporto tra classi è sempre stato un rapporto di sfruttamento.

La teoria di Karl Marx Capitalisti Proletariato Proprietari terrieri Lavoratori della terra Classi principali Sfruttamento occultato (pluslavoro  plusvalore) Fabbriche Macchinari Capitale Società industriali Trasferimento diretto di prodotti o di lavoro Terra Strumenti agricoli Strumenti per allevare il bestiame Società pre- industriali Tipo di sfruttamento Mezzi di produzione Epoca

La teoria di Max Weber Le dimensioni della stratificazione sociale sono: la classe: si fonda sulla posizione di mercato  possesso dei mezzi di produzione + capacità e credenziali professionali (es. qualifiche, titoli di studio); lo status (o ceto): si fonda su differenze sociali relative all’onore o al prestigio  viene riconosciuto attraverso lo stile di vita (abbigliamento, abitazione, modo di parlare ecc.); il partito: gruppo di individui che operano insieme in virtù di origini, obiettivi o interessi comuni. Classe e status non necessariamente coincidono (es. ‘nobiltà decaduta’ o ‘nuovi ricchi’). Né lo status, né il partito possono essere ridotti alle divisioni di classe.

Nelle società occidentali contemporanee è possibile distinguere la: classe superiore: alti dirigenti, imprenditori e capitalisti finanziari; classe media: professionisti, dirigenti, funzionari, impiegati, tecnici; classe operaia: operai  imborghesimento: processo attraverso il quale gli operai con redditi da classe media ne adottano anche i valori, la mentalità e gli stili di vita ; sottoproletariato: emarginati ed esclusi.

Mentre nelle società occidentali, sino agli anni ’60 del XX secolo, la classe sociale si sovrapponeva con uno stile di vita ben determinato (classi con tratti cetuali), con l’affermarsi della società del benessere si è assistito: in una prima fase alla tendenziale massificazione degli stili di vita in direzione del ceto medio; dal punto di vista soggettivo permaneva una visione centrata sul modello di una rigida divisione in classi; in una seconda fase (dalla seconda metà degli anni ’70) la condizione economica si è gradualmente separata dallo stile di vita con la crescente moltiplicazione di quest’ultimi e la fine delle rappresentazioni sociali centrati sul modello delle classi (molecolarizzazione= frammentazione degli stili di vita e contemporaneo rafforzamento delle disuguaglianze; terziarizzazione del lavoro);

Attualmente, lo studio della stratificazione sociale si articola nell’analisi delle tre (sue) dimensioni che si considerano fondamentali: Struttura delle disuguaglianze (distribuzione degli individui e dei gruppi nello spazio sociale, nel suo farsi). Fenomeni di mobilità (in che modo gli individui e i gruppi accedono a queste posizioni). Rappresentazioni sociali della stratificazione (percezione, immaginario e razionalizzazioni delle strutture di disuguaglianza e dei fenomeni di mobilità).

Parte II: Mobilità sociale e povertà

La mobilità sociale è data dai movimenti di individui e gruppi tra diverse posizioni socioeconomiche. È possibile distinguerla in: mobilità verticale: movimento verso l’alto o verso il basso nella scala delle posizioni socioeconomiche; mobilità orizzontale: movimento geografico attraverso quartieri, città, regioni e paesi; mobilità ascendente: si ha quando un individuo o un gruppo guadagna in ricchezza, reddito, status ecc.; mobilità discendente: si ha quando un individuo o un gruppo subisce una perdita di ricchezza, reddito, status ecc. I canali di mobilità, sono i fattori tramite i quali è possibile mutare posizione (ad esempio, l’istruzione).

La mobilità discendente, seppur meno frequente di quella ascendente, rimane un fenomeno diffuso. I principali fattori della mobilità discendente sono: l’insorgere di problemi e disturbi psicologici; la disoccupazione; le ristrutturazioni aziendali; i tagli occupazionali; il divorzio (soprattutto per le donne).

Studiamo la mobilità sociale per capire se, quanto e come una società è fluida oppure bloccata, vale a dire come sono distribuite, come funzionano e come sono riprodotte le disuguaglianze di opportunità al suo interno (considerata, nella modernità, dove dovrebbero dominare i valori acquisitivi, una delle principali fonti delle altre disuguaglianze sociali e dell’equità sociale).

Come possiamo analizzare in modo sociologicamente significativo i fenomeni di mobilità in una data società? Attraverso i concetti (e relativa operazionalizzazione statistica) di: Mobilità assoluta; Mobilità intergenerazionale; Mobilità intragenerazionale; Traiettorie di mobilità sociale Mobilità relativa. Questi concetti\strumenti statistici, generalmente, sono costruiti prendendo in considerazione non la classe sociale complessivamente intesa (estremamente difficile da misurare in modo “condiviso”) ma la classe occupazionale intesa come un indicatore significativo della più complessiva mobilità sociale\disuguaglianza in società.

Mobilità assoluta: quota di figli che hanno raggiunto una posizione occupazionale diversa da quella dei padri (misura “contingente” e “grezza” di mobilità sociale); Essa misura il cambiamento di classe occupazionale da una generazione ad un’altra.

Mobilità intergenerazionale: è una misura non contingente e “più strutturale” della mobilità tra le generazioni. Essa si ottiene mettendo a confronto la posizione occupazionale del figlio al primo lavoro, con quella del padre (rilevata in Italia dall’ISTAT, quando il figlio aveva 14 anni). - Essa misura la riproduzione complessiva (effetti strutturali+effetti sistemici) delle disuguaglianze da una generazione ad un’altra, e dunque anche uno degli aspetti più rilevanti del mutamento sociale.

Mobilità intragenerazionale: misura il cambiamento di posizione nel corso della vita adulta. Si misura mettendo a confronto la classe occupazionale al primo lavoro con quella detenuta al momento della rilevazione. Essa è un indicatore complessivo della distribuzione delle opportunità per una data generazione, all’interno di una società. E dunque, anche di eventuali fenomeni di segregazione socio- Occupazionale e di proattività dei singoli.

Traiettorie di mobilità: i percorsi seguiti dagli individui di una stessa generazione, per raggiungere una data posizione sociale. Si misura prendendo contemporaneamente in considerazione la classe d’origine, quella al primo lavoro e la classe occupata al momento della rilevazione. Esse misurano gli archi di ampiezza della mobilità sociale e le varie tipologie di percorsi, consentendoci di capire se conta più l’azione della mobilità intragenerazionale o di quella Intergenerazionale e come si combinano.

Le misure di mobilità precedentemente viste sono complessive, cioè al “lordo” dei cambiamenti strutturali del sistema (industrializzazione, aumento del benessere, modernizzazione ecc.). Per sapere quanto una società, nel corso del tempo, assicura uguaglianze di opportunità a tutti i suoi membri (fluidità sociale effettiva), occorre escludere gli effetti strutturali, soprattutto, di cambiamento del sistema occupazionale. Mobilità relativa: si misura proprio a questo scopo. Essa è un confronto sistematico delle probabilità di raggiungere una data destinazione, anziché un’altra ad essa alternativa, da parte di individui provenienti da due classi diverse.

Povertà (situazione di de-privazione di risorse materiali, utili per vivere e partecipare alla società): È definita povera una famiglia il cui reddito o la cui spesa per consumi, si pone sotto una (variabile storicamente, culturalmente e socialmente) soglia di povertà. Esistono tre criteri fondamentali per definire la soglia: assoluto; relativo; soggettivo.

Criterio assoluto: la soglia è definita rispetto ad un paniere minimo di beni sufficiente ad assicurare la sopravvivenza della famiglia; la povertà assoluta è definita come incapacità ad acquisire tale paniere. Criterio relativo: la soglia è definita in base allo standard di vita medio della società considerata. Di norma lo standard è definito come una quota (pari di solito al 60%) del valore medio o mediano dei redditi equivalenti familiari; la povertà relativa è la condizione in cui si trovano tutte le persone che eguagliano o sono al di sotto di questa soglia. Criterio soggettivo: la soglia è definita a quel livello di reddito che le famiglie considerano necessario per garantire uno standard minimo di benessere.

In Italia, (fonte, Istat 2003) tra il 1998 e il 2003: Il tasso di mobilità assoluta è lievemente aumentato. Se, da un lato, le opportunità di raggiungere un determinato livello di istruzione sono fortemente influenzate dalle condizioni di partenza individuali, che tendono a riprodurre le disuguaglianze sociali, dall’altro, il conseguimento di un titolo di studio medio-alto può divenire un fattore di promozione sociale. Il tasso di mobilità intergenerazionale è aumentato lievemente; tuttavia c’è un’alta similarità tra la posizione dei padri e dei figli. Mobilità intragenerazionale: una volta entrati nel mondo del lavoro appare relativamente difficile modificare nel corso della vita attiva la propria posizione di partenza. In effetti, il percorso di mobilità largamente prevalente, è quello di mobilità all’ingresso nel mercato del lavoro. Mobilità relativa: al netto degli effetti strutturali esercitati dai profondi cambiamenti avvenuti nel sistema occupazionale, il regime di mobilità è invece piuttosto rigido: la classe di origine influisce infatti in misura rilevante e limita la possibilità di movimento all’interno dello spazio sociale.

Valore linea di povertà 2008 (per una famiglia di due componenti): € 999,67 Intensità 21,5%. La povertà relativa presenta caratteristiche strutturali ben delineate, legate ai tradizionali fattori di vulnerabilità. Le famiglie povere dai primi anni ’80 sono circa il 10%, salgono intorno al 14% nel periodo 1987-1989, per poi diminuire progressivamente e attestarsi, negli ultimi anni, tra l’11% e il 12%.