L’ affaire Rocchi: la persecuzione a Perugia nei documenti del processo ad Armando Rocchi
L’operato di Armando Rocchi presenta caratteri abbastanza singolari: pur essendo un acceso fascista ed esecutore fedele degli ordini tedeschi, non si accanì contro gli ebrei , anzi li protesse nella fase più feroce della persecuzione, anche se per motivi non sempre limpidi. Fu chiamato a Perugia dopo l’occupazione tedesca del 13 giugno 1943; aveva partecipato a tre guerre: quella mondiale, quella di Spagna e quella jugoslava, dove era stato inflessibile con i partigiani, contro i quali aveva condotto esecuzioni sommarie divenute leggendarie. Lui stesso aveva una protesi d’argento alla mascella per le ferite riportate durante un’esecuzione, dalla quale si era salvato fingendosi morto. Fu processato, dopo la guerra, come a war criminal of the worst type dagli alleati. Fotografie di Armando Rocchi
L’opera di Rocchi era basata su una rete di spie; dal Memoriale, che Rocchi redasse proprio in occasione del processo risulta che, non giustificando l’antisemitismo, si attenne ad un criterio di “ moderazione” e “ maggior lentezza possibile” nell’effettuare gli arresti, spesso avvertendo tempestivamente i ricercati. Ciò è evidente nelle dichiarazioni rilasciate dagli ebrei perugini, sotto sua richiesta, e presentate al processo: Ada Saralvo Coen, Luisa Tagliacozzo, Abramo Krachmalnicoff, Corrado Coen, Anna Rosa Ottolenghi.
Amata Bianchi Tedeschi Durante il processo subito a Bologna, Rocchi fu accusato di aver costituito un tesoretto con i beni sequestrati agli ebrei, soprattutto opere d’arte, custoditi presso la Cassa di Risparmio di Perugia. Le famiglie perugine a cui vennero sequestrate opere d’arte: Matilde di Prospero Irwin Spitzer Elisabetta Ederlyi Anna Terni Lino Levi de Veali Amata Bianchi Tedeschi Enzo Carcasoni Mariano Bendel Josef Schlossman Elena Modigliani
Al momento dell’ordine di arresto, molti ebrei si allontanarono per “destinazione ignota”. Nella provincia di Perugia vennero allestiti campi di concentramento: Villa Ajò nei dintorni e l’Istituto Magistrale in città. Qui gli ebrei affluirono per tutto gennaio 1943. Nel mese di dicembre l’ufficio antiebraico passò nelle mani della Gestapo, che da quel momento gestì i campi di concentramento, dai quali i prigionieri venivano riuniti a Fossoli, per poi partire per Bergen Belsen. Documenti del Centro di documentazione ebraica di Milano attestano che treni per Fossoli partirono anche da Perugia.
A Novembre la Gestapo chiese a Rocchi la consegna dei prigionieri custoditi all’Istituto Magistrale, ma Rocchi si oppose, trasferendo i prigionieri a Isola Maggiore, nella Villa dei Marchesi Guglielmi. Gli ebrei erano in tutto una quarantina, tra cui tutti i Coen
Rocchi aveva garantito ai tedeschi l’allontanamento di tutte le imbarcazioni, ma al contrario questa norma non venne mai applicata, anzi i pescatori del lago contribuirono attivamente alla fuga dei prigionieri. Le famiglie Coen e Servadio furono aiutate nella fuga da due militi della Guardia Repubblicana, che disobbedirono ai Tedeschi e passarono alla Resistenza. La notte del 12 giugno, nove partigiani, guidati da Pietro Marchetti raggiunsero Villa Guglielmi e liberarono i detenuti, tra cui Bice Ottolenghi e Giuseppina Levi. Due giorni dopo sbarcarono sull’isola militi tedeschi, che infierirono sulla popolazione locale, ritenuta complice, facendo alcuni morti.
Tra i non reperibili risultava Abramo Krachmalnicoff, apolide, originario di Odessa, con la moglie Rachel Silberschmjdt e il figlio Vittorio; il fratello Isacco, invece, non scampò all’arresto e morì, presumibilmente, ad Auschwitz. Rocchi stesso aveva avvertito Abramo, come risulta dalla sua deposizione al processo. I Norza, tutta la famiglia Pacifici, Anna Rosa Ottolenghi, i Perugia rimasero al riparo nelle campagne. Altri ancora, come Pietro Viterbo, furono rastrellati e fucilati alle spalle da un reparto tedesco nelle campagne di Gubbio. Alberto Krachmalnicoff, figlio di Vittorio