Radicalizzazione e Islam in Europa

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Transcript della presentazione:

Radicalizzazione e Islam in Europa Francesco Marone Università di Pavia e Università di Fiume / Rijeka

La violenza jihadista in Europa Negli ultimi anni, e specialmente dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, il fenomeno della violenza di matrice “jihadista” ha attirato un interesse crescente Alcuni gravi attentati, come quelli portati a termine a Madrid l’11 marzo 2004, a Londra il 7 luglio 2005 e, da ultimo, a Parigi il 13 novembre 2015, hanno mostrato in maniera eclatante che il terrorismo ispirato dal radicalismo islamico è un problema molto serio anche in EUROPA Si può calcolare che dal 1994 a oggi in Europa occidentale siano stati pianificati più di 120 attacchi di matrice jihadista [Nesser & Stenersen 2014]. Fortunatamente solo una piccola parte è stata effettivamente portata a termine

Radicalizzazione e comunità islamiche È del tutto evidente che l’estremismo jihadista coinvolge una minoranza assai esigua dei milioni di musulmani presenti nel Vecchio Continente Oltretutto, tali tendenze non interessano allo stesso modo tutte le diverse comunità islamiche. Per menzionare solo un esempio, la comunità turca, particolarmente ampia in Germania, è apparsa meno vulnerabile a questo pericolo, almeno sino a pochi anni fa

Comunità islamiche in Europa (2010)

Radicalizzazione e integrazione Molti dei musulmani residenti in Europa presentano un grado di istruzione, un livello di reddito e un tasso di partecipazione politica inferiori alla media generale. L’integrazione di queste comunità costituisce, in effetti, una delle grandi sfide sociali del continente In generale, si può sostenere che la mancanza di integrazione, in determinate condizioni, possa favorire percorsi di radicalizzazione violenta Nondimeno, numerosi studiosi hanno mostrato che le condizioni economiche e sociali non determinano automaticamente la comparsa di fenomeni di radicalizzazione

La radicalizzazione come processo individuale Il processo di radicalizzazione si basa su percorsi di carattere individuale, che variano da persona a persona Per esempio, in Europa, a fianco di giovani in condizioni di disagio ed emarginazione, non mancano certo soggetti che hanno abbracciato la causa jihadista senza esibire segni rilevanti di privazione economica, sociale o culturale In generale, il processo di radicalizzazione può basarsi su percorsi e meccanismi differenti Questo fatto rappresenta una sfida importante per le Scienze sociali

Radicalizzazione e relazioni personali Oggi in Europa l’adozione di credenze e comportamenti radicali di ispirazione jihadista avviene frequentemente nell’ambito di piccoli gruppi sociali, composti da amici, parenti o conoscenti Si pensi, per esempio, al caso dei fratelli Cherif e Said Kouachi, responsabili della strage alla redazione di “Charlie Hebdo” del 7 gennaio 2015 a Parigi In questo caso la radicalizzazione si innesta su relazioni di carattere personale che precedono la militanza jihadista

L’influenza dei luoghi di aggregazione Negli anni passati e, specialmente, prima dell’11 settembre, luoghi fisici di incontro e aggregazione, come moschee e centri culturali estremisti, avevano giocato un ruolo importante nella radicalizzazione e nel reclutamento di militanti jihadisti Nondimeno oggi l’estremismo di matrice jihadista tende a prediligere luoghi e percorsi più sicuri e segreti, tanto che l’influenza delle moschee, anche radicali, appare ridimensionata rispetto al passato, anche in Italia Il carcere, invece, continua a rappresentare un ambiente importante per la radicalizzazione in numerosi paesi europei

Il ruolo dei “facilitatori” In alcuni frangenti, il processo di radicalizzazione può essere innescato e favorito da individui impegnati in attività di proselitismo, come predicatori islamici estremisti o veterani di conflitti in aree extra-europee Nondimeno queste figure spesso non ricoprono il ruolo formale di veri e propri reclutatori al servizio di una determinata organizzazione terroristica Sono piuttosto dei facilitatori, anche itineranti, dei “cattivi maestri” che promuovono il credo jihadista, incitano alla violenza e offrono assistenza e supporto

L’importanza di internet In alcuni casi, la radicalizzazione di matrice jihadista ha luogo direttamente sul WEB e, al limite, non richiede interazioni sociali nel mondo reale (vedi, in Italia, il caso Jarmoune). Internet, in effetti, costituisce uno strumento assai utile per gli jihadisti. Infatti può essere usato per: indottrinare e fare propaganda, per trasmettere informazioni e istruzioni (anche di carattere operativo), per reclutare nuovi militanti, per raccogliere fondi e per costruire reti di contatti. La Rete assicura numerosi vantaggi: può garantire l’anonimato, è semplice da usare, è poco costoso, è interattivo, permette di scavalcare il filtro dei media tradizionali ed è difficile da controllare e regolare per le autorità statali. Di particolare importanza è il ruolo assunto di recente dai social networks [cfr. Marone 2015].

Gli jihadisti autoctoni Le manifestazioni più recenti e preoccupanti del radicalismo islamico in Europa sono costituite dagli jihadisti autoctoni (homegrown) - di seconda/terza generazione oppure convertiti. In tutto, poche centinaia di persone in Italia [Vidino 2014] A) Il fenomeno dello jihadismo autoctono “di seconda generazione” è comparso più tardi in Italia rispetto a molti altri Paesi europei e sinora ha assunto dimensioni più ridotte, anche per ragioni di carattere demografico. I musulmani europei di seconda generazione rischiano di trovarsi in una sorta di “limbo” B) I convertiti possono trovare in una visione estremista della religione una risposta semplice e potente a un’esigenza personale di ordine, di appartenenza e di dedizione

Il caso di Mohamed Jarmoune [Fonte: Polizia di Stato] 15 marzo 2012

I foreign fighters I cosiddetti foreign fighters terroristi (FFT) sono individui che decidono di combattere con milizie di ispirazione jihadista in conflitti armati all’estero, come la guerra in Siria e Iraq Questi soggetti entrano in contatto con reti di militanti jihadisti (tra cui, l’auto-procalamto “Stato Islamico”), acquisiscono competenze nell’uso delle armi ed esperienza di combattimento e possono sviluppare atteggiamenti fortemente anti-occidentali Chiaramente il timore è che alcuni di loro possano ritornare nei Paesi di origine o recarsi in altri Paesi per realizzare atti terroristici; come dimostrato in maniera eclatante dagli attacchi del 13 novembre 2015 a Parigi

Stime sui foreign fighters Secondo stime recenti, i foreign fighters che hanno raggiunto il teatro del conflitto in Siria e Iraq sarebbero, nel complesso, circa 30.000 [vedi Soufan 2015] In questo contesto, il contingente italiano appare di dimensioni limitate [Marone 2016]. I combattenti stranieri legati al nostro Paese dovrebbero essere circa 90; le ultime stime ufficiali (settembre 2015), fissavano il numero a 87, di cui solo 12 con passaporto italiano A ben guardare, si tratta di una cifra relativamente bassa, molto distante dalle stime riguardanti altri grandi Paesi europei, come la Francia (1.700 foreign fighters), il Regno Unito (700-800) e la Germania (700-800)

Il caso di Maria Giulia Sergio [fonte: Polizia di Stato]

Tre casi di foreign fighters italiani 1) Giuliano Delnevo (1989-2013) 2) Anas el-Abboubi (1992-?) 3) Maria Giulia Sergio (1987-) Tutti e tre erano giovani, abitavano al nord, non erano in gravi condizioni di disagio economico o emarginazione sociale, non presentavano disturbi psicologici. A parte alcune caratteristiche generali, non è possibile tracciare un profilo comune Il processo di radicalizzazione non è avvenuto in ambienti e luoghi tradizionali (come moschee radicali), mentre fondamentale è stato il ruolo di internet