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1° lezione 07 ottobre 2013 educazione, esperienze

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Presentazione sul tema: "1° lezione 07 ottobre 2013 educazione, esperienze"— Transcript della presentazione:

1 1° lezione 07 ottobre 2013 educazione, esperienze
Gran parte di questi lucidi sono tratti dal primo cap. del testo: Pietro Lucisano, Anna Salerni, Patrizia Sposetti, Didattica e conoscenza,Carocci Editore, Roma, 2013

2 educazione Educazione: il processo attraverso il quale vengono trasmessi ai bambini, o comunque a persone in via di crescita o suscettibili di modifiche nei comportamenti intellettuali e pratici, gli abiti culturali di un gruppo più o meno ampio della società. L’opera educativa è svolta da tutti gli stimoli significativi che raggiungono l’individuo, ma, in modo deliberato e organizzato, da istituti sociali naturali (famiglia, clan, tribù, nazione ecc.), e da istituti appositamente creati (scuole, centri educativi ecc.). La riflessione sui problemi e i fenomeni educativi prende il nome di pedagogia.

3 Natura e finalità dell’educazione
Sulla natura e le finalità proprie dell’educazione le opinioni risentono dei differenti orientamenti filosofici e culturali sottesi alla riflessione pedagogica. L’accento cade, di volta in volta, sui valori etici dell’educazione o sui contenuti del sapere da trasmettere e acquisire, sulla necessità di promuovere la formazione del soggetto, la sua autonomia e libertà ovvero di assicurare l’integrazione dell’individuo nella società tramite l’assimilazione di modelli e comportamenti che ne garantiscono la conservazione e lo sviluppo.

4 Natura e finalità dell’educazione
[..] attenzione […] dedicata alle età precedenti e seguenti a quelle tradizionalmente soggette a educazione intenzionale e istituzionale, vale a dire all’età infantile e a quella adulta, riconfermando su basi più aggiornate il principio che l’educazione dura tutta la vita (educazione permanente). In questo quadro, l’educazione infantile occupa un posto primario: di qui l’opportunità di un’ educazione […] [nelle] strutture destinate alla prima infanzia (asili nido, centri di maternità) e di una fase di socializzazione precoce prescolastica (scuole materne) per la seconda infanzia.

5 Al polo opposto, l’ educazione degli adulti si propone l’alfabetizzazione di quanti non hanno raggiunto un adeguato livello di istruzione, il completamento dell’ educazione di base o di quella formazione professionale necessaria a un inserimento funzionale nel lavoro, la libera fruizione delle opere d’arte e della scienza e di quant’altro costituisce il patrimonio culturale di una comunità. Mentre il rapido avanzamento in tutti i settori del sapere rende sempre più evidente e urgente l’esistenza di un aggiornamento continuo, la convenienza di non protrarre troppo a lungo il periodo di scolarità giovanile suggerisce di scaglionare la formazione in tempi diversi, alternando fasi di studio e di lavoro anche nell’età adulta, secondo uno schema di educazione ricorrente.

6 Nell’educazione trova spazio la didattica in quanto:
Didattica: […] quella parte dell’attività e della teoria educativa che concerne i metodi di insegnamento*. Si distingue una didattica generale, riferita ai criteri e alle condizioni generali della pratica educativa, dalle didattiche speciali relative alle singole discipline d’insegnamento o alle caratteristiche particolari (età, capacità, ambiente) dei soggetti dell’apprendimento. * parleremo di didattica in modo più ampio e articolato in seguito

7 anche si distingue: una didattica generale, riferita ai criteri e alle condizioni generali della pratica educativa, dalle didattiche disciplinari relative alle singole discipline d’insegnamento, dalle didattiche speciali relative alle caratteristiche particolari (età, capacità, ambiente) dei soggetti dell’apprendimento.

8 Educazione: quale e come?
In un libro che si intitola Frankenstein educatore, Mierieu tratta il tema dell’educazione a partire dal libro di Mary Shelley Frankenstein. “La creatura, o se volete il mostro, non ha nome: noi lo chiamiamo Frankenstein, ma soltanto perché quello è il nome del padre. Il padre, il professor Victor, si dimentica di dargli un nome, il padre lo fabbrica, non per cattiveria, ma perché vuole risolvere dei problemi dell’umanità, vuole combattere la morte, vuole fare un uomo fatto meglio. Questo professor Victor Frankenstein non è uno con la mania di voler essere Dio, ma è uno che dice: “l’uomo cosi com’è ha dei limiti, muore, io vorrei arrivare al di là di questi limiti e vorrei fare un uomo fatto meglio” e poi lo costruisce.”(*) (*) Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012 , pag

9 “Dopo aver costruito la sua creatura Victor è deluso perché non corrisponde al suo progetto, è un mostro, così l’abbandona, anzi cerca di ucciderlo ma, la creatura fugge cresce nei boschi e cresce buona. Tutta la prima parte della crescita di questa creatura sembra orientarsi al bene, tant’è che impara a leggere, vive nascosta accanto a una famiglia, cerca di rendersi utile. Diventa amico di una bambina e di un vecchio cieco. Poi la realtà ha il sopravvento: viene scacciato, e mentre prova il dolore del rifiuto ingiustificato dovuto al suo aspetto esteriore scopre nel diario del dottor Frankenstein la storia della sua origine e del rifiuto e diventa cattivo.” (*) Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012 , pag

10 Nello stesso libro Mierieu parla anche di Pinocchio; un burattino che Geppetto costruisce per avere compagnia, al quale rimprovera sempre di farsi influenzare e manovrare; Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

11 “[…] c’è qualcosa nella stessa creazione che richiama la pretesa di educare e di fare i giovani a nostra immagine e somiglianza. Forse c’è qualcosa di difficile da capire anche nel racconto della Bibbia.’Io ti ho creato a mia immagine, ora sei libero di fare tutto quello vuoi purché tu faccia quello che voglio io, e se disobbedirai io ti scaccerò’.” L’uomo poi disobbedisce e Dio, deluso dalla creatura fatta a sua somiglianza, lo scaccia, lo condanna, e l’uomo disorientato e ferito dall’abbandono e anche costretto nella sua maledizione, diviene cattivo. (*) Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012 , pag

12 “Questo che Mierieu chiama mito della fabbricazione, è un problema col quale dobbiamo imparare a confrontarci, perché noi pensiamo che per il bene dei ragazzi, è bene che loro facciano quello che noi pensiamo sia bene che loro facciano. È difficile pensare che noi possiamo voler bene ai ragazzi per come sono. Nel caso della creatura, il rifiuto iniziale avviene per l’aspetto. La mostruosità della creatura è solo nella mente e nel cuore di chi lo vede mostro, perché diverso dalle sue attese, però il vederlo mostro lo trasforma in mostro. È difficile pensare che è bene che i ragazzi siano liberi e possano crescere secondo la loro natura se non possono crescere diversi da come ci aspettiamo.” (*) Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012 , pag

13 Dobbiamo dunque ripensare [pensare] l’educazione come pratica di libertà e abbandonare il mito della fabbricazione delle persone che devono essere come vogliamo noi. Questo è un cambio di marcia impegnativo. (*) Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

14 un muratore che costruisce muri a secco;
Può essere utile pensare al lavoro di un artigiano che costruisce muri, quando si pensa di educare; un muratore che costruisce muri a secco; sceglie pietre pesanti da mettere alla base, poi via via sempre più leggere; sono pietre concave e convesse, sistemate in modo opportuno, senza l’aggiunta di cemento; non occorre perché i muri a secco sono più elastici e quindi resistenti proprio per l’assenza di questi collanti; si flettono e resistono con più facilità alle diverse sollecitazioni. Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

15 Non si usano mattoni, tutti uguali, combinati secondo modalità standard; non si costruiscono ville, case (forse l’immagine comune di ‘villette a schiera’ rende meglio l’idea); i ragazzi/studenti sono tutti diversi fra loro ed hanno bisogno di costruzioni che valorizzino le proprie caratteristiche Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

16 “Per questo la prima cosa che chi si occupa di educazione deve comprendere è una visione di sé come artigiano, e non come impiegato addetto all’addestramento. Un artigiano che lavora a costruire conoscenza […]” Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag. 19

17 Ammaestrare oppure ..? Ragioniamo sui fini per capire meglio quali sono i metodi e i percorsi; il fine è mettere ordine, ammaestrare, integrare? Allora basta farsi un modello, individuare degli obiettivi, perseguirli, misurare continuamente le distanze fra questi ed il livello dei ragazzi, misurare alla fine i risultati e prendere decisioni; significa fare propri gli standard che definiscono la qualità nei termini di prodotto e processo e quindi conformarsi ed accettare che la qualità possa essere misurata. Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

18 Possiamo accettare queste modalità di lavoro, oppure intravvedere altre possibilità;
probabilmente il lavoro di insegnati/educatori è un lavoro diverso; non completamente razionalizzabile e programmabile: è infatti basato sulla relazione, sui rapporti, è spesso/sempre diverso*, ha un radicamento empirico, vive nell’esperienza... *Ovviamente ciò non significa tentare di trovare delle soluzioni che possano essere generalizzate ed usate per migliorare l’esperienza Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

19 Tuttavia non possiamo esimerci dal chiedere a noi stessi se, quando operiamo, lo stiamo facendo bene e “se stiamo aiutando i nostri allievi a crescere o li stiamo ammaestrando per formare dei buoni e obbedienti consumatori.” la risposta a questo quesito non sta nei test dell’INVALSI; “la comprensione inizia quando ci coinvolgiamo nella relazione educativa, quando decidiamo di prenderci carico dei nostri allievi.” Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

20 “Se davvero non te ne importa niente non ti accorgi nemmeno che c’è qualcosa di sbagliato. Non ti viene neanche in mente. Il solo fatto di dire che c’è qualcosa di sbagliato significa che ci tieni” (*) Robert M. Pirsig , Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, 1974, vers. Ital. Adelphi, 1999, in Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

21 Esperienza ed educazione
Alla base del nostro apprendimento ci sono le esperienze; noi siamo ciò che abbiamo fatto: siamo il risultato di un lungo percorso di esperienze, fatte con le cose e con gli altri; un bambino si affaccia e riesce a vivere nel mondo guardando, toccando, ascoltando, gustando, annusando; noi a volte ricordiamo le nostre esperienze, altre volte no, tuttavia le abbiamo interiorizzate, sono diventate il nostro abito naturale. Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag. 24

22 Rousseau Rousseau (28, giugno, , luglio, 1778) all’inizio dell’Emilio distingue tre tipi di educazione: l’educazione della natura, quelle delle cose, quella degli uomini; tuttavia, l’educazione degli uomini viene completamente esclusa; dice R. “per formare quest’uomo raro cosa dobbiamo fare? Molto, senza dubbio: impedire che nulla sia fatto”; ciò comporta essenzialmente l’esclusione di tutte le pratiche care alla “nostra mania didascalica e pedantesca”. Visalberghi A. (a cura), Emilio, Economica Laterza, 2003

23 Rousseau Rifuggire l’assillo di una azione educativa verbalistica, come anche le varie ammonizioni, le punizioni dispensate dall’alto, come anche i continui tentativi di anticipare lo sviluppo delle capacità naturali; la più utile regola di un agire educativo “non è di guadagnar tempo, è di perderne”; una educazione * siffatta, tuttavia, è possibile perché esiste un naturale sviluppo delle capacità dell’educando, “un principio attivo” intimo al fanciullo; in ciò consiste l’educazione naturale. Visalberghi A. (a cura), Emilio, Economica Laterza, 2003 * educazione negativa che R. chiama anche metodo inattivo.

24 Rousseau Tuttavia non bisogna lasciare lo sviluppo in un vuoto educativo per avere buoni e migliori risultati; una impegnativa esperienza rende possibile lo sviluppo, tuttavia questa esperienza deve essere fatta sulle cose; gli uomini debbono intervenire solo indirettamente apprestando situazioni con le cose che possano soddisfare i bisogni di attività degli allievi e queste esperienze debbono essere scandite con gradualità. Visalberghi A. (a cura), Emilio, Economica Laterza, 2003

25 Rousseau In definitiva
Rousseau accetta l’educazione naturale, respinge quella degli uomini, utilizza quella delle cose accoppiandola strettamente a quella naturale (in questo ultimo senso si parla di educazione indiretta); il rapporto fra educatore ed educando non viene abolito o sminuito, al contrario esso è ancora più difficile e impegnativo: infatti eliminando ogni sorta di approccio didascalico esterno, si realizza nell’allestire situazioni concrete (con le cose) che si rivelano avere un forte valore educativo. Visalberghi A. (a cura), Emilio, Economica Laterza, 2003

26 Dewey (20, ottobre, 1859 –1, giugno, 1952) punta l’attenzione sulla differente modalità di apprendere nella scuola e nel periodo che precede il suo inizio; in una sua opera l’autore (*) afferma …….. ; per Dewey un’esperienza si sviluppa attraverso una interazione con qualcosa o con qualcuno, un rapporto che ci mette in gioco, un problema da risolvere; ogni esperienza dà significato e può ristrutturare quelle precedenti e finisce e rinforza la nostra capacità di affrontare quelle future; però non tutte le esperienze sono educative: lo sono quando da esse nasce il desiderio di proseguire verso altre esperienze; possono anche essere dei fallimenti, però sono educativi se ci spingono a cercare una nuova soluzione; non lo sono quando da un fallimento scaturiscono delusione, rabbia, resa. * Dewey, J. Scuola e società, in Il mio credo pedagogico. Antologia degli scritti sull’educazione, trad. ital, Newton Compton, Roma, 1976 Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

27 occorre dare sempre fiducia in se stessi agli allievi:
Un insegnamento è efficace se aiuta gli allievi ad apprendere, ma lo è ancor di più quando non li allontana dal gusto di apprendere; occorre dare sempre fiducia in se stessi agli allievi: noi non sappiamo ballare, parlare in pubblico, giocare a calcio, siamo preoccupati davanti ad un foglio bianco da riempire o davanti ad un testo di numeri, perché ‘non siamo portati’ oppure perché abbiamo avuto delle esperienze negative? Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

28 Quindi occorre impostare azioni educative che si basino sulla continuità delle esperienze: è ovvio che possano esserci esperienze negative, però non debbono rimanere tali; l’esperienza successiva che si pone in continuità ci rafforza e contemporaneamente permette di rielaborare le precedenti e questa rielaborazione investe anche quella negativa, sanandola. Per Dewey è fondamentale questa continuità delle esperienze. Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

29 Gioco, lavoro, attività ludiformi
Visalberghi (1, agosto, , febbraio, 2007) introduce il concetto di attività ludiformi affrontando il tema dell’esperienza fra gioco e lavoro. L’autore parla di impegnatività, continuità, progressività nelle esperienze di gioco: impegnatività: deve avere qualche grado di difficoltà, ma non troppi altrimenti non ci si diverte; continuità, progressività: le esperienze debbono essere in un continuo con successivi gradi di progressione; questa non deve rompere la continuità. Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

30 Il gioco si conclude con il proprio fine (il gioco è fine a se steso; si gioca per raggiungere il risultato finale; si finisce di costruire una macchina e si abbandona/finisce il gioco), il lavoro produce dei risultati che poi vengono reimpiegati per fini ulteriori; tuttavia alcuni lavori mantengono le caratteristiche del gioco: quando il lavoro ha un fine/termine (artigiano, ingegnere, architetto, medico, ..); altri invece entrano in un ciclo di ripetitività alienante (impiegati, operai nella catena di montaggio, ..); nei primi gli attori (i lavoratori) partecipano alla finalità del lavoro, partecipano in prima persona alla progettazione, all’esecuzione ed anche al profitto, nei secondi invece non partecipano né alla progettazione, né al fine, né tantomeno al profitto (sono solo dei prestatori di opera e per questo vengono retribuiti). Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

31 Quindi: attività ludiformi e gioco sono esperienze accomunate dalla partecipazione al fine da parte di chi esercita l’attività, nel lavoro alienante il lavoratore non partecipa né alla progettazione né al profitto. Nella scuola si assiste alla proposizione di attività alienanti: per gli allievi sono esperienze altre da sé, non ne capiscono le finalità, spesso viene detto loro lo capirai da grande; gli insegnanti/educatori sono visti come coloro che obbligano con bastone e carota a studiare cose di cui sfugge l’utilità. Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

32 Esperienza e cose da insegnare
Se il centro del processo di apprendimento è l’esperienza degli allievi, ci si chiede quali siano le cose da insegnare. Inizialmente esistevano i programmi ministeriali rigidi, da rispettare, poi resi flessibili da programmazioni nelle scuole, infine sostituiti da indicazioni generali per aree e discipline Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

33 Si assiste, comunque, ad una frattura fra il carattere indicativo/esortativo di queste indicazioni e l’esperienza reale di chi lavora in classe e spesso si sente ‘in colpa’ per non essere riuscito a rispettarle; comunque è possibile individuare delle linee di ‘condotta’ che possono aiutare e nella scelta dei contenuti da trattare e nei comportamenti da adottare: Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

34 È bene selezionare fra i contenuti quelli che si conoscono bene;
i contenuti debbono essere in linea con l’esperienza attuale dei discenti ; dovrebbero rispettare i caratteri di impegnatività, continuità, progressività; ciascuna esperienza deve essere proposta fino in fondo; identificare, per ogni esperienza, dei percorsi diversi in relazione ai diversi profili personali degli allievi; evitare di incanalare le esperienze internamente ad una singola disciplina; ricordiamo che la divisione in discipline è un artificio adottato per semplificare l’attività di insegnamento, ma una conoscenza non è riconducibile ad un solo punto di vista; evitare di sostituirsi agli allievi nel raggiungimento del risultato finale. Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

35 Dalla disciplina imposta alla disciplina dell’esperienza
Secondo un approccio basato sull’omologazione, sul controllo e sul comando il problema di ottenere docilità, obbedienza, ricettività è di fondamentale importanza (ricordiamo la famosa proposta del 5 in condotta) Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

36 Se si propongono “esperienze di cui gli studenti comprendono il senso e alle quali partecipano da protagonisti, il problema scompare. In tutte le cose che si fanno sul serio è implicita una disciplina del pensiero e dell’azione. Una disciplina che è richiesta dalla necessità di raggiungere lo scopo che ci si è prefisso. […] Le regole nelle cose da fare, se si tiene al risultato, vengono osservate spontaneamente, così come vengono osservate spontaneamente nelle attività di gioco.”(*) Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

37 Nelle attività fra più persone interviene il “controllo sociale” (Dewey), quando i componenti del gruppo pretendono che ciascuno faccia la propria parte; in definitiva, quando una attività interessa e coinvolge, i problemi legati all’indisciplina sono ridotti al minimo; possono, comunque, esistere e vanno analizzati per individuarne le cause e quindi apportare le dovute correzioni. Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

38 La disciplina non è obbedienza;
non si deve pensare che il fare una cosa abbia come metodo migliore quello proposto dall’insegnante/educatore e che, necessariamente, occorre insegnarlo e quindi una ‘trasgressione’ a questo sia disobbedienza; sicuramente occorre rispettare le regole, ma non dovrebbero esistere ‘regole disciplinari’ (legate cioè ai contenuti disciplinari); Feyerabend in Contro il metodo afferma che il progresso nasce dalla messa in discussione di equilibri che regolano lo stato di conoscenza, di volta in volta, attuale. Lucisano P. (a cura), Didattica e conoscenza, Carocci, 2012, pag

39 Grazie, arrivederci


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