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L’apprendimento e la motivazione

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Presentazione sul tema: "L’apprendimento e la motivazione"— Transcript della presentazione:

1 L’apprendimento e la motivazione
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Centro Studi Erickson

2 Apprendimento “l’apprendimento è un cambiamento relativamente permanente del comportamento, determinato dall’esperienza.” da tenere distinti da cambiamenti: dovuti alla maturazione dell’individuo -alterazioni di condizioni psicofisiche (es. prestazione negativa dovuta ad affaticamento, patologie)

3 Apprendimento: approcci principali
comportamentismo Meccanismo dell’apprendimento: associazione tra stimoli ambientali e risposte dell’individuo Individuo: soggetto passivo Risultato dell’apprendimento= copia dell’esperienza fatta Cognitivismo, Gestalt, approccio sociologico Meccanismo dell’apprendimento: processo di elaborazione intelligente degli stimoli ambientali Individuo: soggetto attivo Risultato dell’apprendimento= elaborazione

4 Comportamentismo studia i cambiamenti osservabili del comportamento in particolare, comportamenti automatizzati, basati sulla ripetizione -condizionamento classico (Pavlov ) -condizionamento operante (Thorndike , Skinner )

5 Comportamentismo: condizionamento classico
Comportamento umano spiegato in base a catene causali di stimolo-risposta 8 Pavlov (1927), mentre studia da fisiologo quale era la digestione dei cani, fa delle osservazioni sulla base delle quali elabora un modello di apprendimento che sarà noto come “condizionamento classico”

6 Salivazione = risposta condizionata Cibo = stimolo incondizionato
Comportamentismo: condizionamento classico uno stimolo neutro finisce per causare una risposta dopo che è stato abbinato a uno stimolo che causa normalmente quella risposta Suono di un campanello = stimolo condizionato Salivazione = risposta condizionata Cibo = stimolo incondizionato Salivazione = risposta incondizionata

7 Comportamentismo: condizionamento classico
A stimolo incondizionato (=cibo) segue risposta incondizionata (naturale, fisiologica = salivazione) Associazione: lo stimolo incondizionato è preceduto da uno stimolo neutro (non produce salivazione = suono di un campanello) Ripetizione dell’associazione Risultato: lo stimolo neutro è stato condizionato cioè è in grado da solo (senza la presenza dello stimolo incondizionato) di provocare la salivazione (=risposta condizionata) che precedentemente dipendeva unicamente dallo stimolo incondizionato

8 Comportamentismo: condizionamento classico
Discriminazione dello stimolo capacità di distinguere tra stimoli: non tutti gli stimoli simili producono analoghe risposte. Può essere insegnata (evitando l’associazione tra certi stimoli e quello incondizionato) Generalizzazione dello stimolo Si verifica quando una risposta condizionata segue la comparsa di uno stimolo simile allo stimolo condizionato originale

9 Comportamentismo: condizionamento classico
Recupero spontaneo Ricomparsa di una risposta condizionata estinta dopo un periodo di riposo e senza ulteriore condizionamento. Estinzione Si verifica quando una risposta precedentemente condizionata diminuisce in frequenza fino a scomparire

10 Comportamentismo: condizionamento classico
Condizionamento di ordine superiore Associazione tra stimolo condizionato e un altro stimolo neutro; quest’ultimo diviene a sua volta condizionato e da solo è in grado di provocare la risposta condizionata 3°ordine (2°ordine) (1°ordine) risp. cond. carezza (luce) (campanello) salivazione

11 Comportamentismo: condizionamento classico
Nell’uomo: esempi di condizionamento avversativo Il condizionamento classico incide sull’apprendimento di molte risposte emotive, come paure e fobie. Il condizionamento è avversativo quando lo stimolo incondizionato produce una risposta spiacevole per l’individuo paura, fobia, ansia si sviluppano come forme di allerta

12 Comportamentismo: condizionamento classico
Il piccolo Albert, uno studio condotto da Watson e Rayner nel (NB:contro deontologia!) Un forte rumore (SI) suscita naturalmente paura (RI) nel bimbo. Invece, il piccolo non mostra nessuna paura dei topi bianchi con gioca (SN). Dopo poche associazioni del rumore con il contatto con uno dei topi (SC), Albert comincia ad avere paura (RC) dell’animale. Alla sola vista del topo scoppia in lacrime. Lo stimolo condizionato si è generalizzato fino a comprendere oggetti morbidi e bianchi che ricordano il manto del topo.

13 Comportamentismo: condizionamento classico
decondizionamento (tecniche dell’esposizione usate in psicoterapia comportamentale) Desensibilizzazione: in condizioni di rilassamento il paziente è portato a immaginare la situazione ansiogena (stimolo condizionato che provoca risposta di ansia, paura, stress) nei suoi vari gradi di ansia. Mantenendo la risposta di rilassamento, il paziente si desensibilizza verso lo stimolo ansiogeno Inondamento (nei casi più resistenti) il paziente immagina la situazione temuta al suo massimo grado ed è posto in una situazione (immaginaria) di no avere vie di fuga. Seguirebbe l’estinzione dell’ansia in quanto portata al massimo livello

14 Comportamentismo: condizionamento classico
Limiti Il condizionamento classico spiega solo una tipologia di apprendimento (connessa a comportamenti meccanici e fisiologici) e non l’apprendimento tout court L’associazione tra stimoli e risposte avviene, secondo il condizionamento classico, in modo meccanico, senza l’intervento dei processi cognitivi quali la comprensione degli stimoli e l’aspettativa verso gli stessi Individuo inteso come soggetto passivo

15 Comportamentismo: condizionamento classico
Alcune evidenze sperimentali (comportamentista Garcia) disconfermano almeno in parte alcune affermazioni del condizionamento classico: -fino a 8 ore di distanza tra stimolo condizionato e presentazione della risposta condizionata -una sola esposizione allo stimolo condizionato può provocare una risposta condizionata persistente

16 Comportamentismo: condizionamento operante
Il principale nome legato al condizionamento operante è quello di Skinner ( ), che si basa sugli studi di Thorndike ( ) Condizionamento operante = forma di apprendimento la cui risposta volontaria (il comportamento risultante dall’apprendimento, agito dal soggetto) è rinforzata o indebolita a seconda che le sue conseguenza siano favorevoli o meno (Motivazione). Il soggetto attraverso tale risposta agisce, opera sull’ambiente per ottenere un certo scopo

17 Thorndike Apprendimento per prove ed errori (1898) Es. gabbia-problema: gatto in gabbia affamato al cui esterno si trova del cibo. Se l’animale preme una leva posta all’interno della gabbia, questa si apre e il gatto può raggiungere il cibo; dopo prove il gatto, in modo CASUALE, riesce ad aprire la gabbia. Legge dell’effetto (1932) il comportamento che ha provocato effetti piacevoli tende ad essere ripetuto, mentre quelli che hanno prodotto effetti spiacevoli ad essere evitati (motivazione, volontà)

18 Comportamentismo: condizionamento operante
Thorndike Legge dell’esercizio: tanto più un comportamento è esercitato tanto più è appreso Irradiazione dell’effetto: Generalizzazione dello stimolo che produce effetti gratificanti a stimoli analoghi Discriminazione dello stimolo: l’effetto piacevole segue un determinato stimolo e non altri anche se simili Punizione: effetto spiacevole che impedisce l’apprendimento di un comportamento. Da studi condotti Thorndike ( ) conclude che il rinforzo positivo è più produttivo della punizione

19 Comportamentismo: condizionamento operante
Skinner Skinner box (1938) Un ratto affamato si trova in una gabbia e al suo interno ha la possibilità di agire, premendo una leva, per ottenere cibo Sviluppa la legge dell’effetto mettendo al centro dell’apprendimento il concetto di rinforzo: -Se un comportamento è rinforzato esso è ripetuto e appreso

20 Comportamentismo: condizionamento operante
Skinner rinforzo: Positivo: produce effetti piacevoli Negativo: permette di evitare situazioni spiacevoli Primario: riguarda bisogni fondamentali per la sopravvivenza Secondario: riguarda bisogni appresi con l’esperienza e culturalmente dipendenti (es. il successo, il giudizio sociale, il denaro)

21 Comportamentismo: condizionamento operante
Skinner rinforzo: Continuo: presentato ogni volta che il soggetto manifesta il comportamento da apprendere o ripetere Parziale: presentato solo alcune volte: in certi intervalli di tempo (fissi o meno) o dopo un certo numero (fisso o variabile) di volte che presenta il comportamento da apprendere o ripetere; produce maggior apprendimento del rinforzo continuo Assente: produce l’estinzione del comportamento appreso

22 Comportamentismo: condizionamento operante
Skinner punizione: processo che tende ad aumentare la probabilità di inibire (ma non estinguere) un comportamento precedentemente appreso Agisce attraverso uno stimolo che produce effetti spiacevoli cui l’individuo non ha la possibilità di sottrarsi

23 i rischi della punizione:
Comportamentismo: condizionamento operante Skinner i rischi della punizione: -Può ledere l’autostima se il sogg. non sa per cosa è punito -È dannosa quando il soggetto non sa come sostituire il comportamento punito: può portare a inibizione generalizzata -si può instaurare un rapporto di paura tra punito e punitore -può dar luogo ad atteggiamenti alternativi altrettanto negativi (agire di nascosto, sfidare il punitore…)

24 Comportamentismo intenzionale di Tolman
(comportamentista eretico, influenzato dalla psic. della Gestalt e da Lewin) Per primo mostra apertura ai costrutti mentali per indagare l’apprendimento: Ogni comportamento molare (inteso in senso macroscopico, complesso) è guidato da un’intenzione Variabili individuali (intelligenza, intensità dei bisogni, personalità…) favoriscono o meno un apprendimento anche se non sono indagabili direttamente (sono costrutti ipotetici) Principio del minimo sforzo: i soggetti scelgono le azioni che permettono di raggiungere lo scopo nel modo più semplice. Presuppone un’intelligenza

25 3 gruppi di ratti in 3 labirinti aventi lo stesso percorso
Comportamentismo intenzionale di Tolman 3 gruppi di ratti in 3 labirinti aventi lo stesso percorso Gruppo 1 i ratti circolano liberamente nel labirinto, quando trovano l’uscita non sono ricompensati Gruppo 1 Periodo di prove ed errori; alto numero di errori Gruppo 2 Dopo l’acquisizione dell’ apprendimento (grazie ai rinforzi) fa pochi errori Gruppo 2 È ricompensato ogni volta che arriva alla fine del labirinto Gruppo 3 Non riceve ricompense, i ratti circolano liberamente nel labirinto. Dall’11° giorno riceve ricompense Gruppo 3 Fino all’11° giorno come il gruppo 1. Dal 12° come il gruppo 2

26 Apprendimento latente
Comportamentismo intenzionale di Tolman Apprendimento latente L’apprendimento latente non si traduce direttamente in comportamento ma in mappe concettuali grazie alle quali è possibile formulare schemi di comportamento che si manifestano in comportamenti quando questi saranno richiesti dalla situazione Dal comportamento dei ratti del 3° gruppo si evince l’apprendimento latente

27 Apprendimento sociale o osservativo: l’imitazione
Bandura (1969, 1971) Fasi: 1)Osservare il comportamento del modello; 2)Ricordare il comportamento; 3)Riprodurre l’azione; 4)Essere motivati a riprodurre l’azione in futuro (es. tramite rinforzo). Subentrano: percezione, attenzione, memoria, motivazione; riproduzione motoria

28 Approccio cognitivo all’apprendimento
apprendimento come processo che prevede vari passaggi e varie capacità mentali tra cui: Memoria, attenzione, percezione, capacità motorie, schemi mentali (raccolte organizzate di informazioni) Lo studio dell’apprendimento si focalizza su tali capacità cognitive

29 L’approccio gestaltico all’apprendimento: l’insight:
Gli studi di psicologia animale di Köhler (1913, 1917) hanno riproposto il problema dell’atto mentale che si esprime nella visione mentale della soluzione di un problema (intuizione, eureka!) che è qualcosa di diverso rispetto all’apprendimento per tentativi ed errori e alla riproduzione di risposte apprese

30 L’approccio gestaltico all’apprendimento: l’insight:
Esperimento sul problem- solving (1927): Degli scimpanzè dovevano raggiungere delle banane fuori dalle loro gabbie e gli unici oggetti a loro disposizione erano bastoni. Uno di loro prese i due bastoni e li unì insieme per ottenerne uno più lungo con il quale raggiunse le banane: esempio di insight (lo scimpanzè aveva agito in modo diretto ad uno scopo) e non per tentativi ed errori. L'intelligenza delle scimmie antropoidi [1917], Giunti-Barbera, Firenze, 1961. La psicologia della Gestalt [1947], Feltrinelli, Milano, 1976.

31 Ristrutturazione della situazione e della funzione degli oggetti
L’approccio gestaltico all’apprendimento: l’insight: Ristrutturazione della situazione e della funzione degli oggetti

32 L’approccio gestaltico all’apprendimento: l’insight:

33 L’approccio gestaltico all’apprendimento: l’insight:
Ristrutturazione e insight: per es. il problema delle due corde o del pendolo, umorismo (Maier, 1931); Fissità funzionale e assetto mentale: per es. il problema della candela (Duncker, 1926) Per i Gestaltisti problem solving = qualcosa di più della semplici riproduzione di risposte apprese; Implica processi attivi di insight e ristrutturazione cognitiva, che contrastano la fissità funzionale e l’assetto mentale statico La soluzione è immediata, non tentata ma pensata e messa in atto

34 L’approccio gestaltico all’apprendimento: l’insight:
alcuni suggerimenti per sviluppare il pensiero creativo (Feldman, Coats,Swartzberger 1994; Levy 1997): Frazionare il problema: decomporlo in vari step Ridefinire il problema: riformularlo in maniera più astratta o concreta Adottare una prospettiva critica: cercare possibili implicazioni, eccezioni che sovvertano il regolare significato delle cose Uso di analogie Uso degli opposti Usare la prospettiva di un’altra persona Pensare in modo divergente: pensare al di fuori degli schemi consueti Utilizzo dell’euristica: vincoli alla generazione di ipotesi; scorciatoie cognitive

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Metacognizione Il termine “metacognizione” può essere definito come l’insieme delle attività psichiche che sovrintendono il funzionamento cognitivo. Per metacognizione si intendono tutte quelle idee, intuizioni etc. che riguardano una determinata area di funzionamento cognitivo e che possono essere considerate anche indipendenti dall’effettiva attività cognitiva.

36 Tre Livelli di metacognizione
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Tre Livelli di metacognizione Si possono distinguere almeno tre livelli di metacognizione (Cornoldi et al., 2001): Atteggiamento metacognitivo generale: sfera emotiva, tendenza a riflettere sul funzionamento mentale o sull’uso appropriato di strategie etc.; Conoscenze metacognitive specifiche: conoscenze specifiche legate ad una particolare attività cognitiva (ad es. la memoria) o all’apprendimento (dallo studio alla comprensione del testo). Processi metacognitivi di controllo: operazioni con cui l’individuo effettivamente sovrintende alle esecuzioni dei propri processi cognitivi.

37 Metacognizione - Compito Processi di controllo
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Metacognizione Conoscenze specifiche di strategie Ripetizione Organizzazione Elaborazione verbale Abilità di riassumere Processi di controllo - Strategie Prestazione Compito

38 CONOSCENZE METACOGNITIVE ESPERIENZE METACOGNITIVE
Dr.ssa M.Luisa Boninelli IL MODELLO TRICOMPONENZIALE Flavell (1981) Le strategie scegliere le strategia più idonea al tipo di compito orientarla agli scopi sostituirla se inadeguata Se’ Compito Strategie Pianificazione Controllo Verifica CONOSCENZE METACOGNITIVE ESPERIENZE METACOGNITIVE

39 Le conoscenze Metacognitive
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Le conoscenze Metacognitive sono rivolte a se stessi, al compito e alle strategie per risolverlo. In particolare, le conoscenze che riguardano se stessi possono essere: Intra-individuali, ossia ognuno conosce l’ambito in cui può riuscire meglio; interindividuali, ossia una persona sa di essere migliore delle altre nell’esecuzione di un compito; universali, ossia sapere che per svolgere un certo tipo di compito sono necessarie determinate attività che consentano e rafforzino l’esecuzione.

40 Modello Metacognitivo
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Modello Metacognitivo Uno dei modelli metacognitivi più recenti e importanti è quello di Borkowski e Muthukrishna (1994), che considera la metacognizione come un sistema complesso e multicomponenziale, in cui le componenti principali sono: cognitiva metacognitiva-strategica motivazionale-attributiva emotiva

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42 Analisi del Modello Metacognitivo
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Analisi del Modello Metacognitivo dal rigo centrale partano tutta una serie di conseguenze (rappresentate dalle frecce) che non solo riguardano l’ambito dell’apprendimento, ma che toccano anche la sfera del Sé e degli stati emotivi personali e motivazionali. Il rigo principale indica la situazione-tipo di uno studente che deve affrontare un compito: compito —> viene affrontato attraverso l’uso di alcune strategie —> questo dà come effetto una prestazione, che può essere più o meno positiva —> quindi lo studente riceve un feedback dal contesto (solitamente l’insegnante).

43 Analisi del Modello Metacognitivo
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Analisi del Modello Metacognitivo All’inizio della scuola secondaria di secondo grado l’alunno ha un bagaglio piuttosto limitato di strategie che conosce per affrontare un compito. Di solito queste strategie sono state apprese a partire dalla spiegazione di uno studente più grande o dall’insegnante. E’ solo attraverso l’esperienza, le informazioni di ritorno (feedback) dell’insegnante e dai risultati, che l’alunno impara a verificare l’efficacia di ogni strategia in base al tipo di compito e al tipo di stile cognitivo che lui stesso possiede.

44 Analisi del Modello Metacognitivo
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Analisi del Modello Metacognitivo Attraverso l’esperienza l’allievo, acquisisce sempre nuove strategie e una maggiore flessibilità nel loro utilizzo. Tutto questo stimola lo sviluppo di processi metacognitivi di controllo grazie ai quali apprendere in maniera efficiente, ottenendo un miglior risultato senza uno spreco eccessivo di energie.

45 Analisi del Modelllo Borkowski e Muthukrishna
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Analisi del Modelllo Borkowski e Muthukrishna I processi di controllo influenzano le conoscenze specifiche sulle strategie e, indirettamente, le conoscenze di tipo specifico legate all’ambito dell’apprendimento. Tutto ciò ha effetti sui propri stati emotivi e sugli stati motivazionali (motivazione intrinseca o estrinseca nei confronti di un compito) e sul senso di autoefficacia.

46 Perché un approccio metacognitivo allo studio?
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Perché un approccio metacognitivo allo studio? Una impostazione metacognitiva nello studio può valorizzare la capacità di pensare (“learning to think”), la capacità di apprendere (“learning to learn”) e di sostenere la motivazione all’apprendimento e la propria autorealizzazione intellettuale.

47 Perché un approccio metacognitivo allo studio?
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Perché un approccio metacognitivo allo studio? Un approccio metacognitivo allo studio non si limita ad insegnare delle nozioni nuove o diverse ma vuole insegnare allo studente come fare ad imparare delle nuove nozioni o delle nuove conoscenze, in maniera più strategica e funzionale. Come? rendendo lo studente più sensibile ai propri problemi di studio insegnandogli a padroneggiare varie strategie di studio insegnandogli un atteggiamento positivo e motivato verso lo studio rendendolo consapevole del proprio stile cognitivo.

48 Lo scopo di un approccio metacognitivo
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Lo scopo di un approccio metacognitivo Lo scopo di incoraggiare un atteggiamento metacognitivo nello studente, quindi, è quello di stimolare in lui un senso di maggior consapevolezza delle proprie abilità e della loro modificabilità, di conseguenza della possibilità di migliorarle.

49 Lo scopo di un approccio metacognitivo
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Lo scopo di un approccio metacognitivo Un approccio metacognitivo nei confronti dello studio aiuta il ragazzo ad avere un atteggiamento più consapevole nei confronti delle proprie abilità e dei propri successi e insuccessi. Il successo scolastico, infatti, non deve essere inteso solo in termini di risultato di apprendimento ma anche e soprattutto come soddisfazione per i percorsi fatti e le tappe raggiunte, seppure intermedie o parziali. Allo stesso modo l’insuccesso scolastico non deve essere inteso come un fallimento irreparabile, dovuto alla sorte avversa o alle proprie immodificabili scarse abilità.

50 Scopo di un approccio metacognitivo per lo sviluppo di..
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Scopo di un approccio metacognitivo per lo sviluppo di.. Un atteggiamento più consapevole un processo intenzionale volto all’apprendimento consapevole e motivato di qualcosa che non si conosce. Un atteggiamento metacognitivo inteso in questi termini avrà certamente un’influenza positiva sulla propria efficacia, percepita dallo studente stesso.

51 Uno studente metacognitivo è
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Uno studente metacognitivo è uno studente strategico, cioè che sperimenta l’utilizzo costante e consapevole di adeguate strategie di apprendimento: ottenendo buoni risultati scolastici.

52 Uno studente metacognitivo
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Uno studente metacognitivo Affinché uno studente sia uno studente di successo sono necessarie molte componenti: le abilità possedute, le diverse conoscenze metacognitive, le abilità di controllo, la conoscenza di strategie e il loro uso flessibile e consapevole, la consapevolezza metacognitiva dei processi mentali e la capacità di riferirli e controllarli. Esiste però un’altra componente di fondamentale importanza: l’aspetto emotivo-motivazionale correlato all’apprendimento.

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Motivazione La parola motivazione deriva dal latino “motus” che significa movimento, quindi motivazione vuol dire spinta, movimento verso un qualcosa, verso un obiettivo.

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Motivazione Una più completa definizione di motivazione potrebbe essere la seguente: “una configurazione organizzata di esperienze soggettive che consente di spiegare l’inizio, la direzione, l’intensità e la persistenza di un comportamento diretto a uno scopo” (De Beni et al., 2003, p. 217). Se pensiamo alle attività scolastiche, la motivazione allo studio ci spiega perché uno studente studia più di altro, perché insiste dopo un fallimento, come studia e così via.

55 Due tipi di motivazione nel contesto scolastico
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Due tipi di motivazione nel contesto scolastico

56 Esempi di motivazione intrinseca ed estrinseca
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Esempi di motivazione intrinseca ed estrinseca Esempi di motivazione intrinseca sono la curiosità, l’interesse il desiderio di sentirsi competente e realizzato in qualcosa. Esempi di motivazione estrinseca invece sono quei comportamenti spinti dal desiderio di ricevere una ricompensa, una lode, l’approvazione sociale etc.

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Dal tipo di motivazione che spinge un ragazzo a studiare e ad impegnarsi, dipendono gli obiettivi che lo studente stesso si pone.

60 Obiettivi di prestazione e di padronanza
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Obiettivi di prestazione e di padronanza In primo luogo cerchiamo di definire il termine obiettivo di apprendimento. Con questo termini ci si riferisce alle mete che gli studenti si prefiggono di realizzare. Queste mete possono riguardare sia la quantità che la qualità dell’apprendimento: ad esempio il fatto di voler leggere un libro in un fine settimana è un obiettivo di apprendimento riferito alla quantità. In riferimento alla qualità invece, ci sono diversi aspetti che possono entrare in gioco, come ad esempio il valore che si dà ad un compito, oppure la possibilità di mostrare o esibire le proprie conoscenze o competenze.

61 Obiettivi di prestazione
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Obiettivi di prestazione )Gli studenti che sono spinti da motivazione estrinseca, e quindi hanno come obiettivo del loro studio quello di mostrare le proprie conoscenze e di ottenere l’approvazione sociale, si pongono un obiettivo di prestazione. In altre parole, si ha un obiettivo di prestazione quando lo scopo è quello di dimostrare le proprie conoscenze e capacità al fine di ottenere un giudizio positivo e di evitare quello negativo. L’esempio più comune è quello degli studenti che si impegnano solo per ottenere un buon voto, per ricevere un premio, per “far contenti” i genitori.

62 Obiettivi di padronanza
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Obiettivi di padronanza Coloro invece che si pongono degli obiettivi di padronanza e quindi si impegnano per acquisire delle nuove competenze o delle nuove conoscenze. Il lavoro di questi ragazzi è indipendente dal ricevere o meno una ricompensa o un giudizio sociale, ma è mosso da un interesse intrinseco.

63 Obiettivi per Padronanza
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Obiettivi per Padronanza Infatti coloro che si pongono degli obiettivi di padronanza non temono il fallimento, poiché la loro prestazione non ha alcuna conseguenza da un punto di vista sociale, quindi non temono il giudizio negativo. Piuttosto un fallimento o un esito negativo può venire interpretato come un insuccesso dovuto ad uno scarso impegno o ad una difficoltà tecnica (ad es. una cattiva strategia di studio) che ha impedito di riuscire bene nel compito. Il fallimento può essere vissuto un insegnamento per il futuro.

64 Obiettivi per prestazione
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Obiettivi per prestazione Negli obiettivi di prestazione, invece, corrispondono una interpretazione dell’insuccesso come un fallimento personale, incapacità, Uno studente con una motivazione estrinseca, e quindi con obiettivi di prestazione, teme il fallimento perché teme che questo implichi un giudizio negativo su di sé. Gli esiti negativi sono interpretati come una carenza di abilità, come la mancanza stabile di competenze per affrontare quella determinata situazione che ha avuto uno scarso risultato. La paura del fallimento porta all’evitamento. ABBANDONO

65 Obiettivi e scelta delle difficoltà del compito
Dato che la motivazione è strettamente legata anche all’immagine di sé di uno studente, il tipo di motivazione e di obiettivo di apprendimento avrà delle conseguenze anche nei confronti dell’atteggiamento generale verso lo studio e anche verso la scelta dei compiti.

66 Obiettivi e scelta delle difficoltà del compito
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Obiettivi e scelta delle difficoltà del compito Motivazione estrinseca Perdita di occasioni Nuovi contenuti Compiti semplici Paura di commettere errori

67 Obiettivo per padronanza
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Obiettivo per padronanza Motivazione intrinseca Ricerca della sfida ottimale Compiti sfidanti Mette alla prova le proprie competenze Non è sicuro di riuscire

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Riassumendo…

69 MOTIVAZINE ESTRINSECA
MOTIVAZIONE INTRINSECA MOTIVAZINE ESTRINSECA Legata agli obiettivi di padronanza Legata agli obiettivi di prestazione Atteggiamento positivo Atteggiamento Negativo

70 Motivazione intrinseca
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Motivazione intrinseca La motivazione intrinseca ha origine all’interno dell’individuo, come dice la parola stessa, e questo fa sì che il soggetto si impegni ad affrontare un compito per se stesso, senza finalità esterna, poiché il raggiungimento dello scopo è di per sè una grande ricompensa.

71 Motivazione intrinseca
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Motivazione intrinseca Secondo Berline (1971) la motivazione intrinseca origina da quella che lui definisce curiosità epistemica, ossia dal bisogno universale di conoscere e di apprendere, che si manifesta nell’ esplorazione dell’ambiente motivata dal solo desiderio di conoscere e di sapere. Se si pensa ad un ragazzomolto piccolo, verrà facilmente in mente la scena in cui egli scruta l’ambiente, i volti che gli stanno intorno, gli oggetti che vede per la prima volta. Questo comportamento di esplorazione è presente non solo nei neonati ma anche nel mondo animale e ha lo scopo non solo di conoscere, ma pure di padroneggiare e controllare l’ambiente circostante per sentirsi competente ed efficace. Questo bisogno è stato definito bisogno di competenza (effectance).

72 Teoria della curiosità epistemica
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Teoria della curiosità epistemica La teoria della curiosità epistemica sottolinea inoltre l’importanza dell’ambiente e delle caratteristiche degli stimoli, come novità complessità, incongruenza, che favoriscono la curiosità. Se volessimo applicare questi concetti all’ambito scolastico dovremmo tener presente con attenzione anche le modalità con cui vengono presentati i materiali di studio, la tipologia dei testi e così via, per cercare di mantenere attivo un atteggiamento di curiosità epistemica.

73 Teoria della curiosità epistemica
Dr.ssa M. Luisa Boninelli Teoria della curiosità epistemica Le esperienze di successo e insuccesso, nei tentativi di padronanza, e la presenza/assenza del mondo degli adulti rivestono un ruolo molto importante. Se uno studente viene sostenuto nei suoi primi tentativi di esplorazione e di padronanza, egli tenderà a sviluppare un sistema di auto ricompensa che renderà superflua l’approvazione esterna e agevolerà lo sviluppo della motivazione intrinseca e di obiettivi di padronanza. Tutto ciò farà sentire il ragazzo competente e gli farà interiorizzare una percezione di controllo personale che a sua volta permetterà l’aumento della motivazione alla competenza.

74 Teoria della curiosità epistemica
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Teoria della curiosità epistemica Lo studente che invece non viene incoraggiato o che viene disapprovato nei tentativi di padronanza, svilupperà un bisogno di approvazione esterna che lo porterà a sentirsi dipendente dall’approvazione dell’adulto: gli obiettivi di prestazione saranno caratterizzati dal desiderio di mostrare le proprie abilità e dal timore di fallire e mostrarsi incapace. Tutto ciò farà sentire il ragazzomeno competente e più soggetto ad ansia, per paura di fallire. Lo studente tenderà ad evitare situazioni in cui teme il fallimento, situazioni che non ritiene alla sua portata e così via (Harter, 1978).

75 Dr.ssa M.Luisa Boninelli
Tuttavia si può verificare anche il contrario, ossia che un processo di motivazione intrinseca diventi estrinseca. Un causa possibile è la presenza, a volte eccessiva, di gratificazioni o lodi, quando queste non sono necessarie. Gli studi di Lepper, Greene e Nisbett (1973) e di Lepper e Greene (1975), condotti su bambini, hanno dimostrato che l’introduzione di un premio può ridurre una pre-esistente motivazione intrinseca. Infatti ragazzi cui veniva promesso un premio per attività che già svolgevano spontaneamente, come ad esempio disegnare, successivamente si rifiutavano di affrontare quelle stesse attività qualora il premio non venisse più dato.

76 Ruolo delle gratificazioni
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Ruolo delle gratificazioni le gratificazioni non hanno sempre la funzione di incentivo: a volte rischiano di produrre l’effetto opposto. Questo non vuol dire comunque che non bisogna più gratificare gli alunni , anche perchè nella maggioranza dei casi le lodi hanno degli effetti molto positivi e sono molto apprezzate.

77 Ruolo delle gratificazioni
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Ruolo delle gratificazioni Una questione importante da porci è quindi quella di cercare di capire le caratteristiche di una gratificazione che sia efficace e non controproducente. Da alcune ricerche è emerso che una gratificazione efficace dovrebbe essere (O'Leary e O' Leary, 1977; Schloss e Smith, 1994): specifica credibile espressa in maniera contingente all’esecuzione del compito relativa al comportamento e non alla persona informativa, in modo da dare anche dei suggerimenti per un eventuale miglioramento.

78 Ruolo delle gratificazioni
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Ruolo delle gratificazioni Ad esempio, quando diciamo “Bravo!” ad un studente, stiamo dando una gratificazione generica che premia più lo studente in sé piuttosto che il comportamento positivo che deve essere premiato. Non è raro infatti vedere l’espressione stupita di uno studente quando viene lodato in maniera impropria, poiché non ne capisce il motivo.

79 Ruolo delle gratificazioni
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Ruolo delle gratificazioni Una lode efficace invece deve essere specifica e contingente ad una situazione precisa appena accaduta, ad esempio: “Sei stato bravo! Ti sei concentrato tanto e sei riuscito a risolvere l’espressione senza commettere errori!”. In questo modo non solo si loda il comportamento specifico che si ritiene responsabile del successo, ma si dà implicitamente il suggerimento strategico secondo cui è necessario concentrarsi, porre molta attenzione per non sbagliare le espressioni.

80 Ruolo delle gratificazioni
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Ruolo delle gratificazioni Sempre gli stessi autori, che hanno studiato quali sono le caratteristiche delle gratificazioni efficaci, danno indicazioni sul modo in cui utilizzare gli incentivi senza demotivare i ragazzi. In particolare, suggeriscono di non stimolare la competizione, ma fare riferimento a standard esterni, premiare l’impegno, piuttosto che le abilità, offrire incentivi interessanti e rendere coinvolgenti i compiti proposti.

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Dr.ssa M.Luisa Boninelli Ruolo efficace delle lodi LODI INFORMATIVE LODI CONTROLLANTI PER CONTROLLARE IL COMPORTAMENTO DEL RAGAZZO PER CONTROLLARE IL COMPORTAMENTO DEL RAGAZZO

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Una distinzione simile è stata proposta anche dalla Dweck (2000), la quale ha individuato tre tipi di lode: orientata al sé: la lode si focalizza sulle abilità possedute rispetto a quel dato tipo di compito (“Bravo!”, “Sei proprio intelligente!”) orientata al risultato: la lode riguarda principalmente il risultato (“L’esercizio è stato svolto correttamente!”) orientata alle strategie: la lode aspira al miglioramento rispetto a situazioni precedenti (“Hai applicato la regola corretta!” “Si vede che questa volta ti sei impegnato!”).

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Dr.ssa M.Luisa Boninelli Analizziamo il tipo di lode: (“Bravo!”, “Sei proprio intelligente!”) Come si potrà intuire, il primo tipo di lode tende a demotivare, poiché esprime un giudizio sulle abilità, competenze e conoscenze possedute dall’individuo, e non sulle capacità, che possono essere migliorate. E’ come se si volesse dire: “Sei bravo, quindi è inutile che ti impegni tanto, perché tanto riesci lo stesso, perché sei bravo”.

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Analizziamo il tipo di lode: (“L’esercizio è stato svolto correttamente!”) Il secondo tipo, invece, è alquanto neutro perché non considera né le abilità, eventualmente possedute, né l’impegno esercitato.

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Analizziamo il tipo di lode: (“Hai applicato la regola corretta!” “Si vede che questa volta ti sei impegnato!”). Il terzo tipo invece è quello più efficace, poiché è motivante. In questo tipo di gratificazione si fa un apprezzamento di quanto fatto, dello sforzo, dell’impegno che il ragazzoha messo nello svolgere l’attività. In questo modo si sostiene il desiderio di fare ancora di più in futuro, e di ricercare nuove strategie e compiti più difficili e nuovi in cui cimentarsi.

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Riassumendo… Queste distinzioni fra lodi di diverso tipo proposte da Stipek (1996) e Dweck (2000) mettono in luce come il processo motivazionale non sia relazionato con il tipo di lode in sè, ma dall’interpretazione che un individuo può darne. Il modo in cui una persona interpreta un evento, in particolare una gratificazione, dipende a sua volta da altre variabili quali le proprie credenze, la propria immagine di sè, gli obiettivi, il proprio stile attributivo, insomma tutta quella serie di elementi emotivi motivazionali che si solito si usano per interpretare gli eventi. (Pazzaglia, Moè, Friso, Rizzato, 2002 “Empowerment cognitivo e prevenzione dell’insuccesso, p. 43).

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Dr.ssa M.Luisa Boninelli Teoria dell’autodeterminazione Non sempre la motivazione è legata ad una gratificazione esterna. É un’esperienza comune quella di provare soddisfazione quando abbiamo la possibilità di scegliere di realizzare qualcosa in assoluta liberà, senza alcun vincolo, ad esempio poter comprare qualcosa, fare una corsa o situazioni simili. Questo senso di soddisfazione è dato dalla possibilità di poter scegliere personalmente le attività da svolgere. Deci e Ryan (1985) hanno studiato questo tipo di motivazione e hanno proposto la teoria dell’autodeterminazione. L

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Dr.ssa M.Luisa Boninelli Teoria dell’autodeterminazione L’autodeterminazione consiste nella libera scelta, svincolata da bisogni o forze esterne, di condurre un’azione. Il prototipo di un comportamento autodeterminato è l’azione intrinsecamente motivata che implica curiosità, spontaneità, interesse. In pratica, l’impegno per l’attività scelta, nel caso del comportamento autodeterminato, è assolutamente svincolato da incentivi esterni, da obiettivi o esiti, ma dipende dal desiderio di svolgere quella particolare attività per le caratteristiche proprie che la caratterizzano.

89 Teoria dell’autodeterminazione
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Teoria dell’autodeterminazione Se un individuo vive una situazione come libera scelta, mantiene o accresce la motivazione per quella attività, se invece questa viene percepita come imposta dall’esterno la persona si sentirà meno motivata. Alla base di un comportamento autodeterminato vi è quindi il bisogno di sentirsi artefice delle proprie azioni e di scegliere liberamente il tipo di compito da svolgere e le modalità in cui svolgerlo.

90 Teoria dell’autodeterminazione in ambito scolastico.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli Teoria dell’autodeterminazione in ambito scolastico.

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Vogliamo mantenere vivo il piacere della lettura negli studenti dobbiamo cercare di trasmettere questo piacere, senza far loro percepire la lettura come un obbligo, un compito scolastico al quale sono costretti. Quindi è importante lasciare che lo studente sia libero di scegliere il libro che lo interessa di più, in base ai criteri che ritiene più opportuni, come il titolo, l’argomento, o addirittura la copertina. Approvare le scelte dello studente e stimolarlo ad avere un comportamento attivo e di ricerca nei confronti del libro è sicuramente un atteggiamento appropriato e incoraggiante. Infine, proporre continuamente verifiche scritte, riassunti, commenti, analisti del testo, rischia di appesantire il processo spontaneo di lettura di un libro e di avvicinarlo ad un “qualsiasi” compito scolastico.

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Sempre secondo Deci e Ryan (1985), per essere autodeterminati bisogna soddisfare tre tipi di bisogni psicologici innati: il senso di competenza, ossia la percezione di controllo e di capacità di azione sull’ambiente; l’autonomia, cioè la possibilità di scegliere tra diverse attività e la possibilità di scegliere anche la modalità di svolgerla; la relazione, che si riferisce al bisogno innato di mantenere relazioni sociali. l’autodeterminazione si riferisce non solo all’avere la possibilità di fare ciò che si desidera, ma anche al sentirsi competenti e accettati per le scelte compiute.

93 UN CASO COMUNE……un apprendista fuori legge
Dr.ssa M.Luisa Boninelli UN CASO COMUNE……un apprendista fuori legge Consideriamo il seguente caso. Roberto è un studente di prima superiore con una famiglia di condizione socioculturale media, ma senza particolari problemi. Il ragazzo ha sempre incontrato grosse difficoltà scolastiche. Nell’apprendimento della lettura ha sempre palesato notevoli incertezze, per cui i suoi attuali livelli di abilità di lettura sono simili a quelli di un ragazzodi prima media. Ma questi problemi sono comparativamente ‘leggeri’ rispetto a quelli che incontra in quasi tutte le altre aree scolastiche. In matematica commette continuamente errori gravi, anche in compiti di grande semplicità. Sembra incapace di costruire un ragionamento lineare che gli consenta di risolvere un problema o di costruire un discorso, soprattutto se scritto. Quando è interrogato sui contenuti proposti al suo studio è capace solo di fornire risposte vaghe e poco coordinate.

94 I miseri esiti scolastici del ragazzo, già palesati a conclusione del percorso della scuola secondaria di primo grado e dimostratisi progressivamente sempre più preoccupanti, hanno portato alla richiesta dell’insegnante di sostegno e alla ricerca di un aiuto presso dei servizi sociosanitari. L’assegnazione dell’insegnante di sostegno ha costituito un implicito riconoscimento della condizione di “handicap” di Roberto. Ma è vero che Roberto è un alunno con disabilità ? La prima impressione che Roberto offre e’ quella di un ragazzo simpatico, sorridente, con uno sguardo vivace, che però perde facilmente il filo dei ragionamenti e incontra difficoltà a organizzarsi. Questa impressione non corrisponde a quella offerta tipicamente da ragazzi con disturbo della personalità o con ritardo mentale, mentre offre eventualmente qualche indicatore associato al disturbo d’attenzione (che però non appare a tal punto presente da giustificare una diagnosi in questo senso). Si procede ad un esame clinico che non evidenzia alcun indicatore neurologico particolare e che, soprattutto, mette in luce un livello intellettivo generale ‘normale’ (il QI ottenuto da Roberto, di 90, è vicino al QI medio di 100 e ben lontano dal QI di 70 che dovrebbe costituire il criterio sotto il quale è consentita una diagnosi di ritardo mentale).

95 Quando viene discusso il caso di Roberto fra gli operatori interessati, vi e’ una certa sorpresa nel conoscere il QI che egli ha ottenuto. Ci si domanda come Robert possa ottenere delle prestazioni scolastiche così basse, pur avendo delle potenzialità intellettive discrete. Si nota inoltre che la diagnosi conseguente per Roberto (quella di ‘disturbo specifico di apprendimento’) viene spesso associata al caso di ragazzi intelligenti e con difficoltà scolastiche, ove tuttavia queste difficoltà riguardano solo specifiche aree di apprendimento (per esempio lettura, calcolo, ecc.) e non si generalizzano – come nel caso in questione - a tutte o quasi le aree scolastiche. Viene spiegato agli operatori che quest’ultima concezione nasce dal fatto che i disturbi altamente specifici sono quelli che più colpiscono l’attenzione e sono occasione di più frequente citazione, ma non corrispondono affatto alla maggioranza dei disturbi specifici di apprendimento. Infatti, un disturbo può essere specifico perché altamente selettivo, ma anche perché non interessa le funzioni intellettive di base. In seguito al riesame del caso, gli operatori sono costretti a modificare il loro atteggiamento e gli stessi obiettivi educativi.


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