La presentazione è in caricamento. Aspetta per favore

La presentazione è in caricamento. Aspetta per favore

(Ugolino di Vieri, Epigrammata III, 23) «La poesia dantesca passa per tutti i gradi dell’esperienza umana dal primitivo al colto; e vi può passare.

Presentazioni simili


Presentazione sul tema: "(Ugolino di Vieri, Epigrammata III, 23) «La poesia dantesca passa per tutti i gradi dell’esperienza umana dal primitivo al colto; e vi può passare."— Transcript della presentazione:

1

2

3 (Ugolino di Vieri, Epigrammata III, 23)
«La poesia dantesca passa per tutti i gradi dell’esperienza umana dal primitivo al colto; e vi può passare proprio perché Dante presenta l’uomo non come un essere perfetto, ma come un essere perfettibile, anche attraverso i suoi errori e certamente attraverso la sua condizione di uomo; salirà per le vie dell’intelletto corruttibile ancora, andrà per le vie del suolo immortale, sensibilmente.» (Giuseppe Ungaretti) SOPRA: Ritratto di Dante eseguito da Sandro Botticelli, olio su tela, collezione privata, Ginevra BIO: Dante Alighieri, o Alighiero, battezzato Durante di Alighiero degli Alighieri e anche noto con il solo nome Dante, della famiglia Alighieri (Firenze, tra il 22 maggio e il 13 giugno 1265 – Ravenna, 14 settembre 1321), è stato un poeta, scrittore e politico italiano. È considerato, al pari di Francesco Petrarca, il padre della lingua italiana; la sua fama è dovuta eminentemente alla paternità della Comedìa, divenuta celebre come Divina Commedia e universalmente considerata la più grande opera scritta in italiano e uno dei più grandi capolavori della letteratura mondiale. Espressione della cultura medievale, filtrata attraverso la dolce lirica del Dolce stil novo, la Commedia è anche veicolo allegorico della salvezza umana, che si concretizza nel toccare i drammi dei dannati, le pene purgatoriali e le glorie celesti, permettendo a Dante di offrire al lettore uno spaccato di altissima qualità morale ed etica. Importante linguista, teorico politico e filosofo, Dante spaziò all'interno dello scibile umano, segnando profondamente la letteratura italiana dei secoli successivi, e la stessa cultura occidentale (in ogni campo artistico), tanto da essere soprannominato il "Sommo Poeta“. Oggi Dante, che trova riposo nella Tomba a Ravenna costruita nel 1780 da Camillo Morigia, è diventato uno dei simboli dell'Italia nel Mondo, grazie al nome del principale ente della diffusione della lingua italiana, la Società Dante Alighieri, mentre gli studi critici e filologici sono mantenuti vivi dalla Società dantesca. A partire dal XX secolo e nei primi anni del XXI, l'autore della Commedia è entrato a far parte della cultura di massa italiana anche grazie alla promozione divulgatrice operata da Roberto Benigni, mentre nel mondo l'opera e la figura di Dante hanno ispirato il mondo dei fumetti, dei manga, dei videogiochi e della letteratura straniera. « Aequari sibi non indignetur Apelles Sandrum: iam notum est nomen ubique suum. » (Ugolino di Vieri, Epigrammata III, 23) « Non si sdegni Apelle di essere eguagliato a Sandro: già il suo nome è noto ovunque » (Ugolino di Vieri, Epigrammata III, 23)

4 Botticelli tra Platonismo e Suggestioni savonaroliane

5 Nei disegni danteschi Botticelli ritrae anche la Firenze del XV secolo
Il dialogo tra Botticelli e Dante fu qualcosa di più di una semplice occasione di incontro tra un maestro della figurazione e un maestro della poesia. Ricordiamo sempre che entrambi furono maestri dell’allegoria: Dante nell’ impiego di essa nelle sue terzine Botticelli nella raffigurazione dei personaggi e degli scenari dei suoi quadri La sensibiltà di Botticelli fa rivivere nella poesia di Dante le teorie neoplatoniche di cui è imperniata la Firenze Medicea per poi assumere negli anni, soprattutto nei disegni per l’Inferno, i toni cupi dell’ideologia savonaroliana.

6 Abbiamo le parole del Vasari secondo il quale Botticelli: Parole che ci attestano una lunga consuetudine, un rinnovato interesse del BOTTICELLI per Dante. “Comentò una parte di Dante, e figurò lo Inferno e lo mise in stampa; dietro il quale consumò di molto tempo: per il che fu ragione d’infiniti disordini alla vita sua”.

7 Botticelli neoplatonico ?
Non era difficile leggere nel viaggio ultramondano di Dante dall’Inferno al Paradiso una grande illustrazione poetica della teoria neoplatonica di Marsilio Ficino secondo cui l’anima umana, per via di conoscenza e amore, poteva risalire dalle cose terrene alla pura contemplazione di Dio e della sua infinità. E cos’era l’ “Amor che move il sole e l’altre stelle” di cui parlava Dante se non appunto quel principio infinito e presente in tutto l’universo predicato dalla teologia platonica? Letto in questo modo, Dante poteva offrire diverse suggestioni a Botticelli, di certo ben introdotto ai misteri neoplatonici, come attestano le complicate letture delle sue opere più famose, in primo luogo le celebri La Primavera e La nascita di Venere, non a caso dipinte per lo stesso committente delle pergamene dantesche.

8 MARSILIO FICINO “La natura della bellezza non può essere corpo. Perché se ella fusse corpo non converrebbe alle virtù dell'animo che sono incorporali. ... concludiamo brevemente che la Bellezza è una grazia, vivace e spirituale, la quale per il raggio divino prima si infonde negli Angeli, poi nelle anime degli uomini, dopo nelle figure e voci corporali... “ (dal Trattato dell'amore)

9 Descrizione dell'allegoria
A destra il vento Zefiro afferra Clori e con il suo soffio la feconda trasformandola in Flora, generatrice di fiori e Dea della Primavera. Gli alberi carichi di frutta si piegano all'arrivo del vento; i fiori che escono dalla bocca della ninfa Clori si mescolano a quelli che crescono nel prato, riprodotti con meticolose attenzioni. Al centro, davanti al cespuglio di Mirto, pianta a lei sacra, la solenne figura di Venere. Sopra di lei il figlio Cupido, bendato, sta per scoccare una delle sue fatali frecce. A sinistra si svolge un ritmo lento e melodioso, la danza delle Grazie, splendide creature coperte di veli trasparenti che paganamente simboleggiano l'amore che si dona, si riceve, si restituisce; a chiudere la composizione Mercurio che, con il caduceo, sfiora le nuvole: forse allude alla presenza divina oppure tiene il maltempo lontano dal giardino. Lo sfondo è costituito dagli alberi del boschetto, oltre ai quali dopo il restauro del 1983 è apparso un luminoso paesaggio che ha restituito profondità alla scena.    I temi neoplatonici La Primavera  è un'allegoria mitologica. Sul finire del '400 nasce a Firenze l'Accademia neoplatonica, dove operano i filosofi Marsilio Ficino e Pico della Mirandola.  Botticelli si misura con un concetto nuovo di arte immateriale e spiritualizzante, individuato dal Ficino soprattutto nella musica, come mezzo di elevazione dell'Anima a Dio e riproduzione dell'Armonia superiore che attraversa l'intero universo.  L'opera è ricostruzione  raffinata e del tutto personale del mito della nascita della Primavera ( personificazione delle forze naturali che si ridestano a nuova vita ). Il tema può apparire superficialmente di carattere profano; invece è connotato da allegorie morali e religiose, legate al neoplatonismo cristianizzato della Firenze medicea.  Il tema, tratto da Orazio e Lucrezio sarà ripreso dal Poliziano nelle Stanze . Venere al centro è simbolo dell'Humanitas ( riconducibile ad un emblema, ad una personificazione di tutto ciò che innalza la natura umana ad un livello superiore di civiltà e cultura. A destra Flora è inseguita da Zefiro, che la feconda e la trasforma in Primavera ( figura con la veste trapunta di fiori, dispensatrice di rose ). Le Grazie, allegoricamente Castità, Bellezza e Amore sono unite in un ritmico abbraccio, mentre Mercurio tiene lontana ogni minaccia che proviene dal cielo. Non si tratta di semplice personificazione pagana del rifiorire dell'eterna Primavera, ma della celebrazione simbolica di valori più astratti e più alti, moralizzati dalla spiritualità cristiana attraverso la celebrazione delle virtù della castità, della purezza, e dell'armonia del creato. Il ritmo mosso delle immagini, la delicatezza dei panneggi e dei gesti offrono quell'equilibrio e quell'armonia di forme, che riconducono idealmente alla dolcezza del locus amoenus ( luogo di perfetta serenità ripreso dal Paradiso terrestre nell'immaginario cristiano e dall'età dell'oro nel mondo pagano).   Angelo Poliziano, Le Stanze per la giostra - Il regno di Venere

10

11 Il contatto con la drammaticità dantesca avrebbe al contrario dischiuso a Botticelli strade ulteriori rispetto a quelle fino allora percorse, quelle degli abissi insondabili dell’animo umano. Su questa strada già aperta si inseriranno i temi cupi della predicazione di Savonarola che avrebbero portato la pittura di Botticelli agli accenti tesi e drammatici della sua tarda produzione, a quei quadri visionari e sofferti non lontani dalla terribilità delle immagini dantesche, che il pittore aveva avuto modo di conoscere molto bene.

12 Girolamo Savonarola “Tu vorresti roba: vivi secondo Dio e parcamente e non voler le pompe e le vanità e a questo modo risparmierai e avrai più roba.”  Girolamo Maria Francesco Matteo Savonarola (Ferrara, 21 settembre 1452 – Firenze, 23 maggio 1498) è stato "Nel 1490 arrivò nel convento di San Marco di Firenze il frate domenicano Girolamo Savonarola, che in breve tempo si fece notare per la sua appassionata predicazione e per la sua azione di riforma religiosa, politica e sociale. Fino al 1498, quando fu impiccato e arso sul rogo, Savonarola fu il grande protagonista di una stagione intensa e controversa, e nel bene e nel male polarizzò su di sé l’attenzione dei fiorentini. Il suo impatto sulla vita cittadina fu talmente forte che attorno a lui si formò un vero e proprio movimento savonaroliano, e che la sua morte non bastò a cancellare la sua eredità religiosa, politica e culturale. Le autorità civili ed ecclesiastiche misero in atto divieti e condanne per sopprimere la memoria del domenicano e tutte le istanze di dissenso ad essa riconducibili, ma nonostante ciò i numerosi seguaci di fra Girolamo continuarono a venerare il loro maestro scomparso, e a diffondere le sue opere, i suoi insegnamenti, e i suoi progetti di riforma. Naturalmente il movimento savonaroliano e il retaggio del frate dovettero confrontarsi con tutti gli sviluppi storici che caratterizzarono il Cinquecento, dalla Riforma alla Controriforma, dalla crisi del repubblicanesimo fiorentino alla definitiva affermazione dell’assolutismo mediceo, e anche l’immagine di fra Girolamo uscì profondamente trasformata dalle congiunture di questo complesso periodo storico. 

13 L’INFLUSSO DI SAVONAROLA SULLO STILE BOTTICELLIANO
Ad un certo punto infatti, e proprio negli anni ’80, qualcosa inizia a cambiare nella pittura di Botticelli. Qualcosa inizia a perturbare la soave grazia del suo universo estetico, così perfettamente espressa nei due più celebri capolavori: La nascita di Venere e La Primavera.  La sua pittura si carica di una tensione drammatica che finirà per esplodere nelle ultime opere, La Crocifissione Mistica e La Natività Mistica, tutte permeate da un’atmosfera austera, grave e rigorosa su cui ebbe certo influenza la predicazione di Girolamo Savonarola. Quando Botticelli viene a confrontarsi con Dante il suo stile è in un periodo di trasformazione. Molti disegni ci parlano ancora con un linguaggio elegante, a volte leggero. Consideriamo anche il fatto che i disegni danteschi furono parte integrante dell’opera di Botticelli, lo seguirono dagli esordi fino alla morte per questo conservano tutte le tracce dei suoi prgressi stilistici. Le figure dei dannati, ad esempio, anche nelle più crudeli distorsioni, deformazioni, menomazioni, restano improntate a quell’ideale di bellezza per cui è tanto famoso. E nella sua leggerezza angelica la raffigurazione di Beatrice può ricordare una Venere o una Primavera. Ma in altri disegni la splendida linearità del tratto di Botticelli tende all’essenzialità, a quel crescendo emotivo astrattizzante che sarà la cifra della sua tarda produzione.

14 Sandro Botticelli, Crocifissione Mistica

15 Sandro Botticelli, Compianto Mistico

16 DANTE precursore del Rinascimento Fiorentino ?
Vederne in Dante un precursore significava innalzarlo a padre e primo glorioso indizio di quella Firenze Novella Atene che si sarebbe realizzata due secoli dopo, sotto e grazie alla dinastia medicea e al suo Magnifico principe in particolare. 1481: CELEBRARE LA GRANDEZZA DI DANTE CON UN’EDIZIONE DI PREGIO A questa esigenza rispose l’edizione del 1481, corredata dal commento di uno dei maggiori umanisti, Cristoforo Landino, e illustrata dai disegni abbozzati da un artista del calibro di Botticelli.

17 IL COMMITTENTE Lorenzo di Pierfrancesco de Medici, nipote di Lorenzo il Magnifico commissionò a Sandro Botticelli 92 disegni dedicati alla Divina Commedia che avrebbero impreziosito il codice redatto a mano dal monaco amanuense Niccolò Mangona con commento dell’Umanista Cristoforo Landino Mecenate di artisti e letterari fu anche il committente de La Primavera, dove si pensa compaia ritratto nelle vesti di Mercurio. CONOSCIUTO COME LORENZO IL POPOLANO Cugino di Lorenzo de Medici e il più importante committente di Botticelli. In città Lorenzo abitava in alcune case su via Larga, attigue al Palazzo Medici, dove aveva collocato la sua collezione di libri rari e pregevoli dipinti, tra i quali spiccavano le opere di Sandro Botticelli de La Primavera (  circa) e la Pallade che doma il centauro (1482 - 1483), catalogate negli inventari del 1498, del 1503 e del 1516. Nella Primavera Lorenzo è forse ritratto come Mercurio, mentre sua moglie Semiramide Appiani è la Grazia centrale che guarda verso di lui e verso la quale Eros sta per lanciare una freccia dell'amore; secondo altri studiosi sarebbero invece Giuliano de' Medici, che fu assassinato nella congiura dei Pazzi del 1478 e la sua amata: Simonetta Vespucci. Risulta più verosimile questa seconda ipotesi, poiché l'opera venne realizzata dal Botticelli quando Lorenzo aveva solo 15 anni, difficile che si sia sposato così prematuramente, è più probabile che la persona effigiata dietro lo sguardo di Mercurio sia il volto del cugino Giuliano, morto proprio in quell'anno. La Pallade invece pare che fosse stata commissionata in occasione delle nozze di Lorenzo del 1482 con Semiramide Appiano, figlia di Jacopo III Signore di Piombino, oppure per quelle di suo fratello Giovanni, con Luisa de' Medici, figlia del Magnifico, che però morì improvvisamente prima della data dello sposalizio. Alcune interpretazioni dell'opera vi vedono un consiglio dettato dal Magnifico a mitigare, tramite le loro consorti, il burrascoso carattere di Lorenzo minor e di suo fratello Giovanni. Appartenevano inoltre a Lorenzo la villa del Trebbio, lasciata in eredità da Giovanni di Bicci a suo nonno Lorenzo il Vecchio(fratello di Cosimo il Vecchio), e la Villa di Castello, acquistata nel 1477, su indicazione del Magnifico. A seguito della cacciata dei Medici da Firenze, intraprese un periodo di accorte attività diplomatiche mirate alla protezione di artisti Botticelli e Michelangelo innanzitutto e letterati come Alessandro Braccesi e Bartolomeo Scala, che gli dedicarono alcune delle loro opere. Nel 1494 fondò una manifattura di ceramica, che poi trasferì a Cafaggiolo, mentre nel 1496 scrisse delle lettere di presentazione per Michelangelo che partì per Romaper la prima volta e fu accolto nell'ambiente dei banchieri fiorentini ivi residenti. Per lui Michelangelo aveva infatti scolpito un anno prima un San Giovannino, ad oggi perduto o ancora non individuato. Al Botticelli commissionò nuove opere, come gli affreschi nelle sue ville (Trebbio nel 1495, Castello nel 1497), che sono tutti andati perduti. Anche la celeberrima tavola della La nascita di Venere fu da lui commissionata per decorare la villa di Castello.

18 LA FONTE STORICA Di tale commissione abbiamo conferma da una fonte della metà del 500, l’Anonimo Magliabechiano: “Botticelli dipinse e storiò un Dante in cartapecora a Lorenzo di Piero Francesco de Medici che fu cosa meravigliosa. Partendo dall’Inferno, attraverso il Purgatorio per arrivare al Paradiso, Botticelli illustrò la Divina Commedia con la collaborazione dell’amanuense Niccolò Mangona che incise sul retro delle pergamene il testo dei canti della Divina Commedia.”

19 COSA RAPPRESENTANO I 92 DISEGNI?
Novanta dei novantadue disegni arrivati fino a noi illustrano un episodio di un singolo canto della Divina Commedia; gli altri due sono una visione d’insieme del Cratere dell’Inferno e una raffigurazione di Lucifero.

20 IL MISTERO DEL CORPUS DANTESCO DI BOTTICELLI
QUANDO FU ESEGUITO? La cronologia dei disegni della Commedia dell'illustre pittore fiorentino (1444 o '45 – 1510 ?) è ancora incerta. Quanto all'inizio, non lo si anticipa molto al di là del 1481, data dell'edizione dantesca a stampa per i tipi di Niccolò della Magna, con il commento del Landino. Infatti, poiché quelle illustrazioni presentano qualche affinità con l'opera botticelliana, si è pensato che l'incisore Baccio Baldini avesse avuto presenti i disegni di Botticelli e si è spiegato anche l'esiguo numero delle illustrazioni, 19 negli esemplari più completi, con la partenza di Botticelli per Roma, chiamato ad affrescare la Cappella Sistina, e quindi con la sospensione del suo studio sulla Divina Commedia.

21 IL MISTERO DELLE SERIE DI DISEGNI
Esistevano due differenti serie di disegni. Il corpus arrivato fino a noi sarebbe il secondo è ultimo realizzato da Botticelli. E’ corretto pensare a una doppia serie di opere botticelliane per la Commedia, la prima iniziata prima del 1481 e realizzata dal Baldini, e la seconda dopo il ritorno a Firenze, tra il 1490 e il 1510 e di questa farebbero parte i fogli che (v. oltre) sono ora a Berlino o alla Vaticana.

22 UNO STILE ARCAICIZZANTE
I disegni, realizzati a punta di metallo su pergamena, ripresi a inchiostro e parzialmente colorati, confermano quanto il Botticelli fosse permeato della poesia dantesca. Lo stile utilizzato da Botticelli è più arcaico di quello in uso durante la sua epoca. - È infatti chiaro come nelle intenzioni del Botticelli i disegni non dovessero seguire fedelmente il testo. - che non fossero eseguiti direttamente per l’In Folio lo capaiamo dal tracciato botticelliano che arriva fino al margine interno della pergamena, così che è possibile escludere che fossero cuciti prima che Botticelli vi lavorasse.

23 IN FOLIO O CORPUS INDIPENDENTE?
È chiaro come nelle intenzioni del Botticelli i disegni non dovessero seguire fedelmente il testo. - che non fossero eseguiti direttamente per l’In Folio lo capiamo dal tracciato botticelliano che arriva fino al margine interno della pergamena, così che è possibile escludere che fossero cuciti prima che Botticelli vi lavorasse.

24 Sandro Botticelli e Dante Alighieri, il Documentario

25 Discesa nell’Inferno Sandro Botticelli, La mappa dell'Inferno, tra il 1480 e il 1490, Biblioteca Apostolica Vaticana. La divisione dell'Inferno e degli altri due regni dell'Oltretomba sono debitori dell'etica aristotelica. L’influenza della filosofia e della cosmologia greche sono ben ravvisabili nel corpus dantesco. Dalla Fisica Aristotelica Dante accolse la struttura cosmologica del Creato (impianto profondamente debitore anche dell'astronomo egiziano Tolomeo), adattandola poi alla fede cristiana; Dall'Etica, invece, prese spunto per l'ordinata e razionale organizzazione del suo mondo ultraterreno, suddividendolo in varie sottounità (gironi nell'Inferno, cornici nel Purgatorio e cieli nel Paradiso) dove porre determinate categorie di anime in base alle colpe/virtù commesse in vita.

26 di Dante Alleghieri di Fiorenza, ne la quale tratta de le pene e
Incomincia la Comedia di Dante Alleghieri di Fiorenza, ne la quale tratta de le pene e punimenti de' vizi e de'meriti e premi de le virtù.

27 Dante, per quanto riguarda la struttura dell’Inferno, si basa sulla teoria di Aristotele nell’Etica nicomachea.  Dante ritiene che l’Inferno sia una voragine a forma di cono, formatasi nei pressi di Gerusalemme, nell’emisfero boreale. La formazione di questa voragine è dovuta alla punizione che Dio ha inflitto a Lucifero, uno degli angeli più belli del Paradiso, che voleva diventare pari lui, scaraventandolo sulla Terra dove appunto formerà questa voragine, e al termine di questa si conficcherà a testa in giù. Dante, per cominciare la missione che lo porterà alla salvezza di se stesso e di tutta l’umanità, deve intraprendere questo primo percorso nell’Inferno, per venire a contatto con il peccato e comprendere che il peccato ed il male allontanano l’uomo da Dio.

28

29 IV Girone AVARI E PRODIGHI V Girone IRACONDI E ACCIDIOSI
SELVA OSCURA ANTINFERNO 1 FIUME: ACHERONTE I Girone LIMBO II Girone LUSSURIOSI III Girone GOLOSI IV Girone AVARI E PRODIGHI V Girone IRACONDI E ACCIDIOSI

30 I girone VIOLENTI CONTRO GLI ALTRI II girone VIOLENTI CONTRO SE STESSI
PASSAGGIO DEL FLAGETONTE E INGRESSO IN DITE VI cerchio ERETICI VII cerchio VIOLENTI I girone VIOLENTI CONTRO GLI ALTRI II girone VIOLENTI CONTRO SE STESSI III girone VIOLENTI CONTRO DIO

31 VIII Cerchio MALEBOLGE erta scoscesa I Girone RUFFIANI E SEDUTTORI II Girone ADULATORI III Girone SIMONIACI IV Girone INDOVINI V Girone BARATTIERI VI Girone IPOCRITI VII Girone LADRI VIII Girone CONSIGLEIRI DI FRODE IX Girone SEMINATORI DI DISCORDIE X Girone FALSARI

32 IX Cerchio Fiume Cocito Prima zona CAINA (traditori dei Parenti) Seconda zona ANTENORA (traditori della Patria) Terza Zona TOLOMEA (traditpri degli ospiti) Quarta Zona GIUDECCA ( traditori dei benefattori)

33 Primo giorno di viaggio: INFERNO, CANTI I - VII venerdì 8 aprile (o 25 marzo) del 1300
È oggetto dei primi sette Canti dell'Inferno e descrive l'inizio del viaggio, dallo smarrimento di Dante nella selva oscura sino all'arrivo alla palude dello Stige. Le indicazioni temporali riguardano quasi esclusivamente i momenti iniziali (Inf., I, 37-43), quando Dante indica l'alba del venerdì descrivendo il sole che spunta dietro il colle che tenta vanamente di scalare e dichiara che l'astro è in congiunzione con la costellazione dell'Ariete, come al momento della Creazione del mondo (siamo dunque in prossimità dell'equinozio di primavera, la dolce stagione che lo induce a nutrire speranza). In seguito si fa riferimento all'imbrunire (II, 1 ss.) e dunque la discesa all'Inferno inizia nella tarda serata del venerdì, proseguendo nella notte tra quel giorno e il sabato: poiché Virgilio alla fine del Canto XI  indica con una perifrasi astronomica che sono circa le tre-quattro del mattino, è logico supporre che i due poeti verso la mezzanotte giungano nel IV Cerchio e si apprestino ad attraversare lo Stige.

34 Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura,
INFERNO CANTO I Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura!

35 GLI IGNAVI INFERNO, CANTO III E io, che riguardai, vidi una ’nsegna che girando correva tanto ratta, che d’ogne posa mi parea indegna;  dietro le venìa sì lunga tratta di gente, ch’i’ non averei creduto che morte tanta n’avesse disfatta.  Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto.  E io, che riguardai, vidi una ’nsegna che girando correva tanto ratta, che d’ogne posa mi parea indegna; 54 e dietro le venìa sì lunga tratta di gente, ch’i’ non averei creduto che morte tanta n’avesse disfatta. 57 E` questa una punizione per contrasto. Chi non ha avuto ideali e non ha mai fatto delle scelte ne` in bene ne` in male, ma ha oziato per tutta la vita e ignorato i propri doveri, e` condannato a seguire un’insegna …d’ogne posa indegna (= immeritevole), un qualcosa di vacuo e irraggiungibile;  e tanta e` la gente che le corre dietro da far sembrare l’ignavia il peccato piu` diffuso sulla terra. Considerando questi primi personaggi incontrati come burattini interiori dello stesso Sognatore-Viandante-Discepolo possiamo dire che egli si rimprovera di non aver fatto abbastanza nella sua vita e di dolersene assai.    Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto. 60 I personaggi storici attribuiti a questi versetti sembrano essere tre: Celestino V o Ponzio Pilato od Esau`; ma ogni volta che un discepolo sul Sentiero, timoroso delle difficolta` o della fatica o distratto da altri interessi, per ignavia rifiuta di percorrere la Via della Reintegrazione diventa un Celestino V, o un Ponzio Pilato o un Esau  Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto. 

36 Il Passaggio dell’Acheronte
INFERNO, CANTO III Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo, gridando: "Guai a voi, anime prave!  Non isperate mai veder lo cielo: i’ vegno per menarvi a l’altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo. E` questo il primo guardiano che il Viandante incontra nell’inferno. E` Caronte. (cfr. Eneide VI, e ns/ interpretazione cabalistica in  miti). Caronte (=da chero = godo, ma anche da Charun = morte – essendo nella religione etrusca lo spirito della morte che accompagna l’anima nell’aldila`) sembra gioire dell’arrivo dei nuovi ospiti e anche della sofferenze dei dannati, ai quali toglie ogni speranza per l’eternita`.

37 Il Limbo e il castello delle anime virtuose
INFERNO, Canto IV Venimmo al piè d'un nobile castello, sette volte cerchiato d'alte mura, difeso intorno d'un bel fiumicello... Il Limbo e il castello delle anime virtuose Limbo Girone 1 canto quarto Nella Divina Commedia di Dante Alighieri il Limbo è il primo cerchio dell'Inferno (nel canto IV dell'Inferno). Oltre agli infanti morti senza battesimo, il poeta vi colloca le anime di quanti non furono cristiani, ma vissero da uomini giusti e perciò non meritarono l'Inferno vero e proprio. Un posto particolare tra questi è riservato ai grandi personaggi della storia, soprattutto antichi greci e romani (tra i più importanti Aristotele, Omero e Cesare) ma anche un musulmano come il Saladino: questi vivono in un castello illuminato da una luce soprannaturale (il solo luogo illuminato di tutto l'Inferno, altrimenti immerso nell'oscurità), in una condizione malinconica ma serena, che molto deve alla suggestione dei Campi Elisi descritti nel sesto libro dell'Eneide. Di questi grandi personaggi fa parte anche Virgilio, che ha momentaneamente lasciato il suo posto tra di essi per guidare Dante nel suo viaggio. Sintesi del canto: Mentre parlano, i due poeti proseguono e si avvicinano a un punto del Limbo in cui Dante vede una luce, tanto vivida da formare un semicerchio luminoso. Dante si avvede subito che il luogo è abitato da anime particolarmente virtuose: chiede spiegazioni a Virgilio, il quale risponde che lì risiedono spiriti che hanno ottenuto una tale fama in vita da meritare un grado di distinzione nell'Aldilà. Si sente poi una voce, che invita a rendere onore a Virgilio che ritorna nel Limbo: Dante vede quattro imponenti anime farsi avanti, che non sembrano tristi né liete. Virgilio li presenta come Omero, che regge in mano una spada ed è come il re degli altri; Orazio, autore delle Satire; Ovidio, autore delleMetamorfosi e Lucano, autore del Bellum civile.  I quattro si trattengono un poco a parlare con Virgilio, poi si rivolgono amichevolemente a Dante; Virgilio sorride di ciò, come del fatto che Dante viene ammesso nel loro gruppo ed è sesto tra cotanto senno.  Il castello degli «spiriti magni» ( ) I sei si avvicinano poi al punto luminoso, dove sorge un nobile castello che è circondato da sette ordini di mura ed è cinto da un fiume. Lo superano come se fosse terra solida, attraversano sette porte ed entrano in un verde prato, dove risiedono spiriti dall'aspetto autorevole e dallo sguardo fiero (gli «spiriti magni»). Il gruppo si mette in disparte, in un punto alto da dove possano vedere tutti i presenti: Dante scorge Elettra, Ettore, Enea, Cesare, Camilla, Pentesilea, il re Latino, Lavinia, Lucio Bruto, Lucrezia, Giulia (figlia di Cesare), Marzia (moglie diCatone Uticense), Cornelia (madre dei Gracchi), il Saladino. Dante vede anche un gruppo di filosofi, tra cui Aristotele, Socrate, Platone, Democrito, Diogene, Anassagora, Talete, Empedocle, Eraclito, Zenone, Dioscoride. Vede anche dei poeti, tra cui Orfeo e Lino, nonché scrittori come Cicerone e Seneca, poi Euclide, Tolomeo, Ippocrate, Avicenna, Galeno, Averroè. Dante non può nominarli tutti, quindi interrompe l'elenco; lui e Virgilio si separano dagli altri quattro poeti, scendendo nel II Cerchio dove l'aria è tempestosa e buia. Interpretazione complessiva Il Canto descrive il Limbo, il I Cerchio dell'Inferno dove sono relegate le anime di coloro che vissero virtuosamente, ma non furono battezzati (come i bambini morti in tenera età) oppure vissero prima di Cristo (come i pagani, fra cui Virgilio stesso). Questi spiriti non sono dannati, la loro unica pena consiste in un desiderio eternamente inappagato di vedere Dio e non potranno mai salvarsi. Il nome Limbo significa «lembo» e indica l'orlo estremo della voragine infernale. Protagonista nella prima parte del Canto è ovviamente Virgilio, che impallidisce al suo ritorno nel luogo infernale cui appartiene e suscita i timori di Dante, che è appena all'inizio del suo difficile viaggio nell'Oltretomba: il maestro spiega le ragioni della sua angoscia, dovuta al dramma spirituale vissuto da lui e da tutte le anime confinate nel Limbo, escluse dalla salvezza non perché abbiano commesso peccati, ma solo in quanto non hanno conosciuto la fede cristiana. Dante tocca qui il delicato tema dell'apparente ingiustizia della condizione di queste anime, fra le quali egli comprende subito che sono inclusi personaggi di altissimo riguardo e che sono esclusi dalla salvezza perché nati prima della venuta di Cristo (è il caso di Virgilio, ma anche dei principali filsofi e personaggi pagani mostrati più avanti) o vissuti in terre lontane dall'Occidente in cui è avvenuta storicamente la predicazione cristiana, senza contare il caso dei bambini morti prima di ricevere il battesimo (e infatti il pianto degli infanti  è una sensazione uditiva che colpisce subito l'orecchio di Dante). Il poeta tornerà a più riprese su questo argomento che suscitava i dubbi suoi e di altri pensatori cristiani nel Medioevo, a cominciare dal Canto III del Purgatorio in cui proprio Virgilio spiegherà a Dante che la giustizia divina fa sì che i corpi umbratili delle anime possano subire pene fisiche e che questo mistero divino è incomprensibile alla ragione umana, come quello della Trinità (invano i filosofi antichi tentarono di dare risposta a simili questioni, così come ora essi desiderano invano conoscere Dio, destino che accomuna Aristotele, Platone e altri tra cui forse lo stesso poeta latino). In seguito, nei Canti XIX-XX del Paradiso, l'aquila del Cielo di Giove tornerà a spiegare a Dante che la salvezza è legata alla fede in Cristo venturo o venuto e che l'esclusione da essa per quelle persone vissute ai limiti estremi del mondo può sembrare ingiusta, ma è motivata dall'imperscrutabile volontà divina che la ragione umana non deve avere la presunzione di comprendere, in quanto la sua profondità è insondabile. L'unica eccezione rispetto al destino delle anime vissute nell'antichità è rappresentata dai patriarchi biblici che, secondo la testimonianza di Virgilio, soggiornarono nel Limbo fino alla morte e resurrezione di Cristo, che venne poi trionfante nell'Inferno a trarli fuori e portarli in Paradiso. Tra queste anime c'era anche Catone l'Uticense, divenuto poi custode del Purgatorio (cfr. Purg., I, 28 ss.), nonché altre figure da Dante incluse nella rosa dei beati dell'Empireo. L'episodio serve a Dante anche per aprire un discorso intorno alla poesia, infatti i protagonisti del Canto sono quattro fra i principali poeti classici secondo il pensiero medievale: anzitutto Omero, autore di Iliade e Odissea e presentato come il più autorevole del gruppo, quindi Orazio, Ovidio, Lucano. Va detto che Dante non conosceva il testo omerico direttamente, ma attraverso traduzioni e rimaneggiamenti tardi (l'episodio di Ulisse del Canto XXVI, ad esempio, è estraneo ai poemi classici); più diretta la sua conoscenza degli altri tre, soprattutto di Ovidio e Lucano di cui conosceva Metamorfosi e Bellum civile, entrambi fonte di innumerevoli immagini mitologiche. Il pensiero medievale aveva sottoposto specialmente Ovidio a un intenso lavoro di reinterpretazione in chiave cristiana, il che vale naturalmente anche per lo stesso Virgilio e per la letteratura classica in generale, per cui non c'è da stupirsi se Dante accorda la sua preferenza a questi autori che costituivano il «canone» del Medioevo latino ed erano presi a modello dagli scrittori di poesia; tra essi vi era una sorta di gradazione di importanza, per cui si può ipotizzare che l'ordine in cui li cita Dante rispetti tale gerarchia e consideri Virgilio e Omero come i modelli più autorevoli, non solo in quanto maestri di letteratura ma anche di filosofia e sapere, il che vale in particolare per il poeta latino. Dante stesso gareggia proprio con Ovidio e Lucano in Inf., XXV, , allorché descrive le mostruose trasformazioni dei ladri nella VII Bolgia e manifesta con un certo orgoglio la propria abilità che gli consente, a suo dire, di superare di gran lunga il loro esempio e il loro magistero. Già in questo Canto, del resto, il poeta moderno viene accolto nella compagnia di quelli antichi e si vanta di essere sesto tra cotanto senno, ammesso alla discussione di profondi argomenti che, in virtù di una sorta di reticenza, non esplicita al lettore. Nella seconda parte viene descritto il castello degli «spiriti magni», ovvero i pagani virtuosi che si sono distinti per meriti letterari, militari, scientifici o morali, e che pur non essendo salvi godono di un maggior grado di considerazione rispetto alle altre anime. Tra questi Dante cita personaggi del mito classico, sia del ciclo troiano sia di quello latino e personaggi dell'antica storia romana, come il Bruto che cacciò Tarquinio il Superbo, Lucrezia moglie di Collatino che si suicidò per la violenza subita da Sesto Tarquinio, la figlia di Giulio Cesare, la moglie di Catone Uticense. Cita anche personaggi musulmani, come il Saladino e i filosofi Avicenna e Averroè, nonché quasi tutti i filosofi greci, tra i quali Aristotele è definito maestro di color che sanno. Il luogo in cui essi risiedono è un nobile castello che li tiene separati dal resto delle anime del Limbo, in ragione dell'eccellenza che essi raggiunsero durante la vita terrena, e che rappresenta l'unico punto luminoso nella tenebrosa oscurità del I Cerchio; all'interno vi è un giardino la cui descrizione ricorda molto quella classica del locus amoenus, nonché la raffigurazione dei Campi Elisi dove Enea, nel libro VI dell'Eneide, incontra l'ombra del padre Anchise (l'eroe troiano figura tra gli spiriti indicati da Dante, mentre curiosamente assente è il padre che non viene mai presentato direttamente nel poema). L'episodio ha anche una certa attinenza con quello della valletta dei principi negligenti (Purg., VII-VIII), in cui sarà il poeta Sordello a indicare a Dante e Virgilio alcune anime particolarmente eminenti, in modo a simile a quanto Anchise fa col figlio Enea nel poema virgiliano mostrandogli i futuri eroi dell'anticaRoma.

38 Ghiottoneria e Avarizia
INFERNO CANTO VI Qual è quel cane ch'abbaiando agogna, e si racqueta poi che 'l pasto morde, ché solo a divorarlo intende e pugna, cotai si fecer quelle facce lorde de lo demonio Cerbero, che 'ntrona l'anime sì, ch'esser vorrebber sorde. Canto VI Canto sesto, nel quale mostra del terzo cerchio de l'inferno e tratta del punimento del vizio de la gola, e massimamente in persona d'un fiorentino chiamato Ciacco; in confusione di tutt'i buffoni tratta del dimonio Cerbero e narra in forma di predicere più cose a divenire a la città di Fiorenza.

39 Secondo giorno di viaggio: INFERNO CANTI VIII-XXXIV sabato 9 aprile (o 26 marzo) del 1300
È oggetto dei Canti VIII-XXXIV dell'Inferno e descrive gran parte della discesa nel primo regno, dalla palude Stigia sino al centro della Terra dove è confitto Lucifero. Alla fine del Canto XI ( ) c'è un'importante precisazione astronomica di Virgilio, in base alla quale si deduce che sono circa le tre-quattro del mattino; in XXI, il diavolo Malacoda fornisce un'importantissima indicazione circa l'ora (sono le sette del mattino) e la data (è il sabato santo dell'anno 1300). In XXIX, 10 è ancora Virgilio a dire che la luna è sotto i nostri piedi, il che significa che sono circa le due-tre del pomeriggio, mentre in XXXIV, 68 il poeta latino informa il discepolo che la notte risurge, quindi siamo al tramonto di sabato. Va ricordato inoltre che quando Dante e Virgilio passano nell'emisfero australe si ritrovano nella faccia opposta della Terra, dove è già il mattino della domenica di Pasqua (i due poeti giungono sulla spiaggia del Purgatorio poco prima dell'alba).

40 LE MURA DI DITE E L’INCONTRO CON FILIPPO ARGENTI
INFERNO CANTO VIII Mentre noi corravam la morta gora, dinanzi mi si fece un pien di fango, e disse: «Chi se' tu che vieni anzi ora?». E io a lui: «S'i' vegno, non rimango; ma tu chi se', che sì se' fatto brutto?». Rispuose: «Vedi che son un che piango». E io a lui: «Con piangere e con lutto, spirito maladetto, ti rimani; ch'i' ti conosco, ancor sie lordo tutto». Allor distese al legno ambo le mani; per che 'l maestro accorto lo sospinse, dicendo: «Via costà con li altri cani!» FILIPPO ARGENTI: PUNIZIONE DEI TRACONTANTI Sono immersi nel Flegetonte Alle porte di Dite Mentre noi corravam la morta gora, dinanzi mi si fece un pien di fango, e disse: «Chi se' tu che vieni anzi ora?». E io a lui: «S'i' vegno, non rimango; ma tu chi se', che sì se' fatto brutto?». Rispuose: «Vedi che son un che piango». E io a lui: «Con piangere e con lutto, spirito maladetto, ti rimani; ch'i' ti conosco, ancor sie lordo tutto». Allor distese al legno ambo le mani; per che 'l maestro accorto lo sospinse, dicendo: «Via costà con li altri cani!»

41 LE MURA DI DITE E L’INCONTRO CON FILIPPO ARGENTI
INFERNO CANTO VIII « E io: "Maestro, molto sarei vago di vederlo attuffare in questa broda prima che noi uscissimo del lago". Ed elli a me: "Avante che la proda ti si lasci veder, tu sarai sazio: di tal disïo convien che tu goda". Dopo ciò poco vid' io quello strazio far di costui a le fangose genti, che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio. Tutti gridavano: "A Filippo Argenti!"; e 'l fiorentino spirito bizzarro in sé medesmo si volvea co' denti.  Inferno canto VIII Le mura di Dite IRACONDI: immersi nell acqua per purificarsi dall ira. Eccezionale ira anche di dante e virgilio. Canto ottavo, ove tratta del quinto cerchio de l'inferno e alquanto del sesto, e de la pena del peccato de l'ira, massimamente in persona d'uno cavaliere fiorentino chiamato messer Filippo Argenti, e del dimonio Flegias e de la palude di Stige e del pervenire a la città d'inferno detta Dite. FILIPPO ARGENTI

42 IL CIMIETERO DEGLI ERETICI
INFERNO, CANTO IX "Vegna Medusa: sì 'l farem di smalto", dicevan tutte riguardando in giuso; "mal non vengiammo in Teseo l'assalto" Ahi quanto mi parea pien di disdegno! Venne a la porta e con una verghetta l'aperse, che non v'ebbe alcun ritegno E io: "Maestro, quai son quelle genti che, seppellite dentro da quell'arche, si fan sentir coi sospiri dolenti?" ... Canto IX  contrappasso si addice solo agli epicurei: per analogia, poiché essi negarono la vita dopo la morte, essi sono morti tra i morti Canto nono, ove tratta e dimostra de la cittade c'ha nome Dite, la qual si è nel sesto cerchio de l'inferno e vedesi messa la qualità de le pene de li eretici; e dichiara in questo canto Virgilio a Dante una questione, e rendelo sicuro dicendo sé esservi stato dentro altra fiata. Dentro le mura: il cimitero degli eretici - vv [modifica | modifica wikitesto] I due poeti a questo punto non trovano più nessun ostacolo ad entrare nella città e attraversano le mura. Il cambio di situazione è totale: dall'affollamento e l'azione dei versi immediatamente precedenti, si passa al deserto del cimitero, seppure punteggiato dai soliti lamenti dei dannati. Al lettore moderno magari può impressionare il fatto che dentro le mura della città invece di trovare case e persone i due poeti trovano l'esatto opposto cioè un cimitero: bisogna comunque pensare che al tempo di Dante i cimiteri si potevano ancora trovare dentro le mura, e che il divieto a seppellire dentro il centro delle nostre città risale solo all'epoca napoleonica. Dante quindi si guarda attorno e lo stuolo di tombe gli ricorda due famosi cimiteri medievali: quello di Arles (l'odierno Cimetière des Alyscamps) e quello di Pola (oggi scomparso). Dalle fosse (gli avelli) scoperchiate escono fiamme, che basterebbero ad un fabbro per qualsiasi opera ("che ferro più non chiede verun' arte"). Dante chiede chi sia sepolto qui e Virgilio risponde gli eresiarchi, cioè i fondatori di eresie, ma vedremo nel canto successivo che qui sono puniti anche (e soprattutto) i seguaci, ma sarà un caso voluto o meno da Dante, si incontreranno solo i negatori della vita ultraterrena, gli atei o epicureio monofisiti. In ogni caso Virgilio avverte che in ogni sepolcro sono puniti seguaci di dottrine analoghe, quindi non ci si dovrebbe sorprendere di trovare nel prossimo canto solo epicurei, perché viene descritto un sepolcro solo. Però è anche da sottolineare che il

43 FARINATA DEGLI UBERTI « Volgiti! Che fai? Vedi là Farinata che s'è dritto: de la cintola in sù tutto 'l vedrai » Farinata compare improvvisamente, rivolgendosi direttamente a Dante perché ne riconosce la parlata toscana: “O Tosco che per la città del foco | vivo ten vai così parlando onesto, | piacciati di restare in questo loco” (vv ). Dante è spaventato e Virgilio lo spinge ad avvicinarsi alla tomba, rivelando che si tratta del politico fiorentino: “Volgiti! Che fai? | Vedi là Farinata che s’è dritto: | da la cintola in sù tutto ‘l vedrai” (vv.31-33). Farinata viene presentato come una figura orgogliosa e fiera, con uno sguardo “sdegnoso” (v. 41) e “com’avesse l’inferno a gran dispitto” (v. 36). Interroga il poeta sulle sue origini e, scoperto che era di parte guelfa, afferma superbamente di essere riuscito a cacciarli da Firenze due volte, Dante, a sua volta, replica che entrambe le volte i Guelfi riuscirono a rientrare (vv ). Il discorso tra i due viene interrotto dalla comparsa di un’altra figura centrale del canto, Cavalcante de’ Cavalcanti, padre di Guido Cavalcanti, poeta e amico di Dante, a cui domanda, avendolo riconosciuto, dove sia suo figlio: “Se per questo cieco | carcere vai per altezza d’ingegno, | mio figlio ov’è? e perché non è teco?” (vv ). Il poeta risponde che lui non è giunto lì per sua volontà e ingegno, ma grazie a Dio, che Guido “ebbe a disdegno”. L’uso del verbo al passato fa credere a Cavalcante che il figlio sia morto: “Come? | dicesti ‘elli ebbe’? non viv’ elli ancora?” (vv ). Stupito dal fatto che i dannati non conoscano il presente, ma possano prevedere il futuro, Dante esita a rispondere, cosa che provoca ulteriore disperazione in Cavalcante, che ricade sconsolato nella tomba. Nei versi successivi (vv ) riprende il dialogo con Farinata, che prevede il futuro esilio di Dante. Domanda poi al poeta perché i fiorentini siano così crudeli nei confronti suoi e della sua famiglia, e Danterisponde che è a causa dellasconfitta di Montaperti. Farinata, quindi, si giustifica: “A ciò non fu’ io sol... né certo | sanza cagion con li altri sarei mosso” (vv ); inoltre fu l’unico che difese la città dalla distruzione, quando fu proposta dagli altri capi ghibellini. Dante infine chiede a Farinata perché i dannati possano vedere il futuro, ma non il presente. Questo spiega che essi sono come i presbiti: vedono solo le vicende lontane, ma più si avvicinano al presente, più perdono chiarezza, dato che la Grazia Divina ha deciso in tal modo. Con il Giudizio Universale, quando il futuro cesserà e “tutta morta | fia nostra conoscenza” (v.105) essi saranno del tutto ciechi. Dopo aver pregato Farinata di rivelare a Cavalcante che suo figlio è ancora vivo, Dante si allontana smarrito. Virgilio, venuto a conoscenza dello sconforto di Dante per il suo esilio futuro, lo conforta, ricordandogli di aspettare Beatrice, che gli rivelerà tutti gli eventi della sua vita: “quando sarai dinnanzi al dolce raggio | di quella il cui bell’occhio tutto vede, | da lei saprai di tua vita il viaggio” (vv ). Infatti, alla presenza di Beatrice nel Paradiso (come si legge nel canto XVII), l’avo Cacciaguida spiegherà a Dante il senso delle profezie precedenti.

44 INFERNO CANTO X O Tosco che per la città del foco vivo ten vai così parlando onesto, piacciati di restare in questo loco. La tua loquela ti fa manifesto di quella nobil patrïa natio, a la qual forse fui troppo molesto». Farinata compare improvvisamente, rivolgendosi direttamente a Dante perché ne riconosce la parlata toscana: “O Tosco che per la città del foco | vivo ten vai così parlando onesto, | piacciati di restare in questo loco” (vv ). Dante è spaventato e Virgilio lo spinge ad avvicinarsi alla tomba, rivelando che si tratta del politico fiorentino: “Volgiti! Che fai? | Vedi là Farinata che s’è dritto: | da la cintola in sù tutto ‘l vedrai” (vv.31-33). Farinata viene presentato come una figura orgogliosa e fiera, con uno sguardo “sdegnoso” (v. 41) e “com’avesse l’inferno a gran dispitto” (v. 36). Interroga il poeta sulle sue origini e, scoperto che era di parte guelfa, afferma superbamente di essere riuscito a cacciarli da Firenze due volte, Dante, a sua volta, replica che entrambe le volte i Guelfi riuscirono a rientrare (vv ). Il discorso tra i due viene interrotto dalla comparsa di un’altra figura centrale del canto, Cavalcante de’ Cavalcanti, padre di Guido Cavalcanti, poeta e amico di Dante, a cui domanda, avendolo riconosciuto, dove sia suo figlio: “Se per questo cieco | carcere vai per altezza d’ingegno, | mio figlio ov’è? e perché non è teco?” (vv ). Il poeta risponde che lui non è giunto lì per sua volontà e ingegno, ma grazie a Dio, che Guido “ebbe a disdegno”. L’uso del verbo al passato fa credere a Cavalcante che il figlio sia morto: “Come? | dicesti ‘elli ebbe’? non viv’ elli ancora?” (vv ). Stupito dal fatto che i dannati non conoscano il presente, ma possano prevedere il futuro, Dante esita a rispondere, cosa che provoca ulteriore disperazione in Cavalcante, che ricade sconsolato nella tomba. Nei versi successivi (vv ) riprende il dialogo con Farinata, che prevede il futuro esilio di Dante. Domanda poi al poeta perché i fiorentini siano così crudeli nei confronti suoi e della sua famiglia, e Danterisponde che è a causa dellasconfitta di Montaperti. Farinata, quindi, si giustifica: “A ciò non fu’ io sol... né certo | sanza cagion con li altri sarei mosso” (vv ); inoltre fu l’unico che difese la città dalla distruzione, quando fu proposta dagli altri capi ghibellini. Dante infine chiede a Farinata perché i dannati possano vedere il futuro, ma non il presente. Questo spiega che essi sono come i presbiti: vedono solo le vicende lontane, ma più si avvicinano al presente, più perdono chiarezza, dato che la Grazia Divina ha deciso in tal modo. Con il Giudizio Universale, quando il futuro cesserà e “tutta morta | fia nostra conoscenza” (v.105) essi saranno del tutto ciechi. Dopo aver pregato Farinata di rivelare a Cavalcante che suo figlio è ancora vivo, Dante si allontana smarrito. Virgilio, venuto a conoscenza dello sconforto di Dante per il suo esilio futuro, lo conforta, ricordandogli di aspettare Beatrice, che gli rivelerà tutti gli eventi della sua vita: “quando sarai dinnanzi al dolce raggio | di quella il cui bell’occhio tutto vede, | da lei saprai di tua vita il viaggio” (vv ). Infatti, alla presenza di Beatrice nel Paradiso (come si legge nel canto XVII), l’avo Cacciaguida spiegherà a Dante il senso delle profezie precedenti.

45 I VIOLENTI CONTRO IL PROSSIMO, I TIRANNI
INFERNO, CANTO XII Lo savio mio inver' lui gridò: «Forse tu credi che qui sia 'l duca d'Atene, che sù nel mondo la morte ti porse? Pàrtiti, bestia, ché questi non vene ammaestrato da la tua sorella, ma vassi per veder le vostre pene». Canto XII minotauro Canto XII, ove tratta del discendimento nel settimo cerchio d'inferno, e de le pene di quelli che fecero forza in persona de' tiranni, e qui tratta di Minotauro e del fiume del sangue, e come per uno centauro furono scorti e guidati sicuri oltre il fiume.

46 SUICIDI, PIER DELLE VIGNE
INFERNO CANTO XIII Come d'un stizzo verde ch'arso sia da l'un de' capi, che da l'altro geme e cigola per vento che va via, sì de la scheggia rotta usciva insieme parole e sangue; ond' io lasciai la cima cadere, e stetti come l'uom che teme.  Inferno, Canto XIII Violenti contro se stessi Suicidi E PIER DELLE VIGNE (Ancora nel 7° cerchio) I poeti entrano nell’orri­da selva dei suicidi che non conservano aspetto umano ma sono rinchiusi nei tronchi degli alberi, le cui foglie sono straziate dalle arpie (vv. 1-22). Dante sente dei gemiti senza capire da dove provengono e su consiglio di Virgilio spezza il ramoscello di un pruno, dal quale escono parole e sangue. Chi parla è il cancelliere di Federico II, Pier delle Vigne, che esalta il suo signore, si difende dall’accusa di infedeltà, prega il poeta di riabilitarlo. Spiega come le anime si chiudano nei tronchi e aggiunge che dopo il giudizio universale, i dannati riprenderanno il loro corpo che rimarrà appeso alle piante (vv ). D. e V. vedono due cagne infernali che straziano due sperperatori delle loro sostanze: Lano da Siena e Jacopo da Sant’Andrea; quest’ultimo si appiatta dietro ad un cespuglio che  riveste l’anima di un anonimo suicida fiorentino (vv ). Come d'un stizzo verde ch'arso sia da l'un de' capi, che da l'altro geme e cigola per vento che va via, sì de la scheggia rotta usciva insieme parole e sangue; ond' io lasciai la cima cadere, e stetti come l'uom che teme. La Valle dei Suicidi e Pie delle Vigne

47 GIRONE DEI SODOMITI E INCONTRO CON SER BRUNETTO LATINI
INFERNO, CANTO XV Poi si rivolse, e parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna; e parve di costoro quelli che vince, non colui che perde  INFERNO, CANTO XV SER BRUNETTO LATINI Poi si rivolse, e parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna; e parve di costoro quelli che vince, non colui che perde  Canto XV Canto XV, ove tratta di quello medesimo girone e di quello medesimo cerchio; e qui sono puniti coloro che fanno forza ne la deitade, spregiando natura e sua bontade, sì come sono li soddomiti.

48 POZZO DI MALEBOLGE FRAUDOLENTI
IL DEMONE GERIONE INFERNO, CANTO XVII POZZO DI MALEBOLGE FRAUDOLENTI Come la navicella esce di loco in dietro in dietro, sì quindi si tolse; e poi ch'al tutto si sentì a gioco, là 'v' era 'l petto, la coda rivolse, e quella tesa, come anguilla, mosse, e con le branche l'aere a sé raccolse. POZZO DI MALEBOLGE FRAUDOLENTI

49 MALEBOLGE INFERNO CANTO XVIII Luogo è in inferno detto Malebolge,
tutto di pietra di color ferrigno, come la cerchia che dintorno il volge. Nel dritto mezzo del campo maligno vaneggia un pozzo assai largo e profondo, di cui suo loco dicerò l'ordigno. Canto XVIII MALEBOLGE Canto XVIII Canto XVIII, ove si descrive come è fatto il luogo di Malebolge e tratta de' ruffiani e ingannatori e lusinghieri, ove dinomina in questa setta messer Venedico Caccianemico da Bologna e Giasone greco e Alessio de li Interminelli da Lucca, e tratta come sono state loro pene.

50 I SIMONIACI INFERNO, CANTO XIX O Simon mago, o miseri seguaci
che le cose di Dio, che di bontate deon essere spose, e voi rapaci per oro e per argento avolterate, or convien che per voi suoni la tromba, però che ne la terza bolgia state. INFERNO, CANTO XIX I SIMONIACI Canto XIX Canto XIX, nel quale sgrida contra li simoniachi in persona di Simone Mago, che fu al tempo di san Pietro e di santo Paulo, e contra tutti coloro che simonia seguitano, e qui pone le pene che sono concedute a coloro che seguitano il sopradetto vizio, e dinomaci entro papa Niccola de li Orsini di Roma perché seguitò simonia; e pone de la terza bolgia de l'inferno.

51 ULISSE INFERNO, CANTO XXVI O frati», dissi «che per cento milia
perigli siete giunti a l'occidente, a questa tanto picciola vigilia d'i nostri sensi ch'è del rimanente non vogliate negar l'esperïenza, di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza». INFERNO, CANTO XXVI ULISSE E DIOMEDE Canto XXVI, nel quale si tratta de l'ottava bolgia contro a quelli che mettono aguati e danno frodolenti consigli; e in prima sgrida contro a' fiorentini e tacitamente predice del futuro e in persona d'Ulisse e Diomedes pone loro pene.

52 «Or vedi com' io mi dilacco! vedi come storpiato è Mäometto!
CANTO XXVIII «Or vedi com' io mi dilacco! vedi come storpiato è Mäometto! Dinanzi a me sen va piangendo Alì, fesso nel volto dal mento al ciuffetto. CANTO XXVIII SEMINATORI DI SCISMA Ottavo cerchio, IX bolgia. I peccatori puniti: seminatori di discordie (chi favorì guerre e inimicizie). Le pene: sono orribilmente mutilati dalle spade dei diavoli, davanti ai quali devono passare continuamente. I personaggi principali: Maometto  col genero Alì, il poeta provenzale Bertram del Bornio e altri. rofeta e fondatore dell'Islam, nato alla Mecca intorno al 570 e morto a Medina nel 632 (il vero nome era Muhammad, «il lodato», poi italianizzato in Maometto e talvolta storpiato in Malcommetto, con evidente intento spregiativo). Rimasto orfano e sposatosi con la ricca vedova Khadigia, iniziò la predicazione della nuova religione nel 610, trovando l'ostilità della nobiltà della Mecca. Fuggito a Medina nel 622 (la cosiddetta egira, da cui inizia il calendario islamico), rientrò alla Mecca in armi e fondò lo Stato musulmano, di cui fu leader politico e religioso. Un suo collaboratore scrisse sulla base dei suoi insegnamenti il Corano, testo base della religione islamica. Dante lo colloca tra i seminatori di discordie della IX Bolgia dell'VIII Cerchiodell'Inferno, la cui pena consiste nell'essere fatti a pezzi da un diavolo armato di spada. Maometto compare nel Canto XXVIII, vv : appare tagliato dal mento all'ano, con le interiora e gli organi interni che gli pendono tra le gambe; egli stesso si presenta a Dante e mostra le sue ferite aprendosi il petto, spiegando che lui e i compagni di pena hanno seminato scandalo e scisma nel mondo, per cui ora sono fessi, tagliati in questo modo da un diavolo che li mutila con una spada (le ferite si rimarginano prima che siano tornati davanti a lui, una volta percorsa l'intera Bolgia). Maometto indica tra gli altri dannati Alì, che fu suo cugino e suo quarto successore come califfo, tagliato dal mento alla fronte, quindi chiede a Dante chi sia e perché indugi a unirsi a loro nella pena. Virgilio spiega che Dante è ancora vivo ed è lì per vedere la loro punizione, quindi Maometto si arresta e fa a Dante una profezia riguardante l'eretico fra Dolcino (se non vuole seguirlo presto lì, dice, dovrà rifornirsi di viveri per non essere preso per fame nell'assedio del 1306 nel Biellese). Durante queste ultime parole il dannato tiene il piede sospeso in aria, in una posizione grottesca che accentua il carattere comico-realistico di tutta la sua descrizione. «Or vedi com' io mi dilacco! vedi come storpiato è Mäometto! Dinanzi a me sen va piangendo Alì, fesso nel volto dal mento al ciuffetto. Dante  assiste allo strazio sanguinoso che i diavoli fanno dei dannati: si sofferma inorridito su Bertram del Bornio che ha solo il busto, perché gli è stata troncata la testa, che tiene in mano, penzoloni per i capelli.

53 INFERNO, CANTO XXXI Come quando la nebbia si dissipa, lo sguardo a poco a poco raffigura ciò che cela 'l vapor che l'aere stipa, così forando l'aura grossa e scura, più e più appressando ver' la sponda, fuggiemi errore e cresciemi paura; però che, come su la cerchia tonda Montereggion di torri si corona, così la proda che 'l pozzo circonda torreggiavan di mezza la persona li orribili giganti, cui minaccia Giove del cielo ancora quando tuona. TRACOTANTI Canto XXXI TRACOTANTI Canto XXXI, ove tratta de' giganti che guardano il pozzo de l'inferno, ed è il nono cerchio.

54 UGOLINO DELLA GHERARDESCA
INFERNO CANTO XXXIII Queta'mi allor per non farli più tristi; lo dì e l'altro stemmo tutti muti; ahi dura terra, perché non t'apristi? Poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno» INFERNO CANTO XXXIII UGOLINO DELLA GHERARDESCA In apertura del canto XXXIII dell’Inferno, Dante si trova nella ghiaccia del Cocito, nel nono cerchio, dove sono puniti i traditori della patria e degli ospiti. Già nella conclusione del canto precedente, egli aveva scorto due dannati immersi in parte nel ghiaccio, uno dei quali addentava la nuca dell’altro. Sono il conte Ugolino della Gherardesca e l’arcivescovo Ruggieri di Pisa. Riassunto Il nuovo canto inizia con le parole del conte che rivela al poeta la sua identità e dell’altro dannato e la loro storia: “La bocca sollevò dal fiero pasto | quel peccator, forbendola a' capelli | del capo ch'elli avea di retro guasto. | Poi cominciò: «Tu dei saper ch’i’ fui conte Ugolino, | e questi è l’arcivescovo Ruggieri: | or ti dirò perché i’ son tal vicino». ” (vv. 1-15). Questi personaggi sono due figure storiche, legati alle vicende politiche di Pisa: il conte di origine ghibellina, era alleato con i guelfi per interessi economici e di difesa dei suoi territori - ed è qui probabilmente che bisogna rintracciare il suo tradimento; suo avversario era l’arcivescovo, intorno al quale si era radunati gli altri nemici di Ugolino. In seguito a una rivolta popolare, nel 1288, il conte viene catturato e chiuso nella Torre della Muda con i suoi figli e nipoti. Secondo la versione di Dante l’arcivescovo aveva tradito Ugolino, attirandolo con la promessa di un accordo e facendolo invece imprigionare. La storia precedente la prigionia non viene raccontata da Dante, dal momento che si tratta di una vicenda nota ai lettori dell’epoca. Il racconto, quindi, si concentra sulla lunga e atroce morte del conte e dei figli nella torre: “quel che non puoi avere inteso, | cioè come la morte mia fu cruda, | udirai, e saprai s’e’ m’ ha offeso” (vv ). Ugolino della Gherardesca (Pisa, 1210 – Pisa, 1289) è stato un politico italiano ghibellino (parteggiò per i guelfi) e comandante navale del XIII secolo. Auguste Rodin, il Conte Ugolino e i suoi figli, Musée d'Orsay, Parigi Ugolino ricopriva un'importante serie di cariche nobiliari: era infatti Conte di Donoratico, secondo in successione come Signore del Cagliaritano e Patrizio di Pisa; divenne Vicario di Sardegna nel 1252per conto del Re Enzo di Svevia, e fu uno dei vertici politici di Pisa dal 18 aprile 1284 (come podestà) al 1º luglio 1288, giorno in cui fu deposto dal ruolo di capitano del popolo. Gli attriti con Ruggieri degli Ubaldini (arcivescovo di Pisa nonché capofazione ghibellino) portarono la sua posizione a peggiorare a tal punto che finì con alcuni figli e nipoti rinchiuso in una torre, dovemorì per inedia nel marzo 1289. La sua figura fu rappresentata, vent'anni dopo, nel canto XXXIII dell'Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri.

55 GIUDECCA E LUCIFERO INFERNO CANTO XXIV Lo 'mperador del doloroso regno
da mezzo 'l petto uscia fuor de la ghiaccia; e più con un gigante io mi convegno, che i giganti non fan con le sue braccia: vedi oggimai quant' esser dee quel tutto ch'a così fatta parte si confaccia. S'el fu sì bel com' elli è ora brutto, e contra 'l suo fattore alzò le ciglia, ben dee da lui procedere ogne lutto. Oh quanto parve a me gran maraviglia quand' io vidi tre facce a la sua testa! Canto XXXIV Lucifero Canto XXXIV e ultimo de la prima cantica di Dante Alleghieri di Fiorenza, nel qual canto tratta di Belzebù principe de' dimoni e de' traditori di loro signori, e narra come uscie de l'inferno.

56 INFERNO Lo duca e io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo; e sanza cura aver d'alcun riposo, salimmo sù, el primo e io secondo, tanto ch'i' vidi de le cose belle che porta 'l ciel, per un pertugio tondo. E quindi uscimmo a riveder le stelle.

57 IL MISTERO DEL CODICE BOTTICELLIANO
Dopo le ultime testimonianze che potremmo definire coeve all’esecuzione di Botticelli o di poco posteriori se ne perdono completamente le tracce per almeno un secolo.

58 (cioè i disegni per If I, IX, XII, XIII, XV, XVI )
XVII SECOLO 92 dei 100 disegni furono rinvenuti nella collezione della Regina Cristina di Svezia. Otto (cioè i disegni per If I, IX, XII, XIII, XV, XVI ) sono tutt’oggi conser vati nella Biblioteca Apostolica Vaticana, fondo della regina Cristina, codice Reginense lat Questi disegni facevano parte di un codice miscellaneo di 18 opere d'ogni genere, epoca, contenuto, che erano state fatte legare da Pio IX. Strozygowski, che per primo pubblicò i fogli vaticani, e ritenne, come il Lippmann e l'Ulmann per i berlinesi, che formassero un codice.

59 XIX SECOLO Le restanti opere furono identificati presso un libraio parigino e furono acquistati da Alexander Hamilton, X duca di Hamilton nel 1882. La raccolta era lacunosa: anziché 100 come i canti del poema dantesco, i fogli erano 88, dei quali 85 con disegni. Fra questi 85 due fogli uniti contengono la figura di Lucifero. Dunque nella collezione Hamilton vi erano i disegni per 83 canti. l'Anonimo Gaddiano accenna all'opera dantesca del Botticelli: " dipinse e storiò un Dante in cartapecora a Lorenzo di Piero Francesco de' Medici, il che fu cosa meravigliosa tenuta ". Queste parole, senza possibilità di dubbio, sono riferite ai disegni berlinesi e della Vaticana. In quanto alla datazione per il termine dell'opera dantesca del B., seguendo l'indicazione dell'Horne, i critici propendono per il 1497, anno in cui il committente del B. dovette fuggire da Firenze per ragioni politiche con il fratello Giovanni, per opera del quale un anno più tardi, secondo la cronaca di Simone Filipepi, il Savonarola fu catturato. Quindi parve improbabile che il B., simpatizzante per il frate, lavorasse ancora per Lorenzo dopo quella data. Recentemente a uno studioso americano, Toby Yuen, il 1497 è parso un terminus ante quem troppo immediato, data l'evidente diversità stilistica che appare nella serie dei disegni danteschi. Lo stesso studioso corrobora questa ipotesi asserendo che le architetture del disegno per Pg X, relative ai vv , attestano la conoscenza botticelliana di palazzi romani della prima

60 IN VIAGGIO VERSO BERLINO
I fogli vennero acquistati per il Gabinetto delle Stampe di Berlino dal Lippmann, conservatore del Re di Prussia, per il gabinetto Reale di disegni e stampe di Berlino che li pubblicò. A causa della trascrizione dei canti sul recto di ogni disegno e per il fatto che i fogli erano legati in volume, il Lippmann, seguito dallo Ulmann, ritenne che il testo fosse stato scritto prima che il B. eseguisse i disegni e che si dovesse parlare di " codice ". Quattro anni più tardi il Reitzenstein identificò altri otto fogli conservati nella Biblioteca Apostolica Vaticana, fondo della regina Cristina, codice Reginense lat. 1896, cioè i disegni per If I, IX, XII, XIII, XV, XVI e inoltre una veduta d'insieme dell'Inferno, la cui attribuzione è ancora controversa.

61 LA SORTE DEL CORPUS BOTTICELLIANO NEL XX SECOLO Dopo la guerra si ritenne erroneamente che i disegni berlinesi fossero andati perduti. Furono invece smembrati in due gruppi: If VIII, XVII-XXXIV, e Pg I-VIII al Museo di Dahlem nella Berlino occidentale; Pg IX-XXXIII, Pd I-XXX e XXXII al Kupferstichkabinett di Berlino Est.

62 Attualmente infatti i disegni botticelliani sono conservati in due differenti archivi: nella Biblioteca Apostolica Vaticana (otto), e nel Kupferstichkabinet di Berlino (ottantaquattro), dove peraltro sono stati riuniti solo dopo la caduta del Muro; mentre prima erano ulteriormente divisi tra la parte Est e quella Ovest della attuale capitale tedesca.

63 Il corpus digitalizzato è consultabile on line!
La Biblioteca Apostolica Vaticana e l'associazione Digita Vaticana Onlus lanciano il progetto Dante per Sempre, per la digitalizzazione dei manoscritti dell'autore. I tesori contenuti nella Biblioteca Apostolica Vaticana sono di inestimabile valore per la storia culturale dell’umanità e devono essere visibili a tutti.  Sul web saranno pubblicate circa 40 milioni di pagine. Il corpus digitalizzato è consultabile on line! Martedì 23 giugno alle alla Biblioteca vaticana ci sarà la presentazione del progetto seguita da una visita guidata dell'intera collezione degli antichi manoscritti. Fondata da Papa Niccolò V nel 1451, la Biblioteca Apostolica Vaticana oggi custodisce un ricchissimo patrimonio composto   di circa manoscritti e d'archivio, libri stampati, più di incunaboli, tra monete e medaglie, fra stampe, disegni e matrici, e oltre fotografie. Digita Vaticana sviluppa iniziative volte alla conservazione, diffusione e valorizzazione del contenuto di questi documenti storici portando avanti un progetto che mira a pubblicare sul web circa 40 milioni di pagine per un totale di oltre 45 milioni di miliardi di byte.

64 «Leggere Dante è dovere, rileggerlo necessità, sentirlo presagio di grandezza.»
VI ASPETTIAMO !


Scaricare ppt "(Ugolino di Vieri, Epigrammata III, 23) «La poesia dantesca passa per tutti i gradi dell’esperienza umana dal primitivo al colto; e vi può passare."

Presentazioni simili


Annunci Google