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2 Città e mobilità Città e mobilità

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Presentazione sul tema: "2 Città e mobilità Città e mobilità"— Transcript della presentazione:

1 2 Città e mobilità Città e mobilità
Dicembre 2007 Alma Mater Studiorum Università di Bologna Città e mobilità Newsletter di urbanistica, ambiente e trasporti Città e mobilità a cura di Temi urbani Attualità Ufficio Mobility Manager News Università Unibocultura Ricerca RIUM pubblicazione periodica

2 Indice Indice Città e mobilità – Newsletter di urbanistica, ambiente e trasporti Città e mobilità – Newsletter di urbanistica, ambiente e trasporti A cura dell’Ufficio Mobility Manager - Unibocultura – RIUM Articoli di: Mr. Hans Halvorsen, Ms.Else Østergaard Andersen Dalla Ricerca University of Copenhagen Temi urbani Prof. Guido Sarchielli Professore Ordinario - Dipartimento di Scienze dell'Educazione «Giovanni Maria Bertin» Attualità News Direttore settore Mobilità Urbana – Comune di Bologna Ing. Cleto Carlini Dall’ Università Car-pooling Indice Nel secondo numero Pedibus calcantibus Accessibilità Controllata (Bologna + Ravenna) Dott. Michele Dall’Aglio Abbonamenti Agevolati al TPL Uno studio per la zona universitaria Dott.ssa Melika Righi Swaczy

3 Accessibilità controllata
Accessibilità controllata: Bologna A cura di Roberto Battistini Attualità Accessibilità controllata Bologna SIRIO dalle 7.00 alle tutti i giorni, escluso il sabato RITA 0-24 tutti i giorni Attivazione di nuove telecamere RITA: via Farini (direzione da P.zza Cavour a P.zza Galvani) e via San Donato (direzione periferia)

4 Accessibilità controllata
Accessibilità controllata: Ravenna A cura di Roberto Battistini Attualità Accessibilità controllata Ravenna SIRIO 0-24 tutti i giorni Attivazione avvenuta dal 16 luglio 2007

5 Il cursus publicus Il cursus publicus
Dott. Michele Dall’Aglio – archeologo – Università di Bologna L’Impero Romano era una nazione vastissima da un punto di vista territoriale e fondava la sua unità anche e soprattutto su un’efficiente rete stradale, che permetteva di raggiungere nel minor tempo possibile ogni centro abitato importante. La comunicazione tra le diverse realtà unite politicamente sotto le aquile delle legioni era assicurata, lungo queste strade, dal cursus publicus o fiscalis. Quest’ultimo era un servizio dello stato e ad uso esclusivo di esso, destinato ad assicurare i collegamenti tra la capitale, il potere centrale, e tutto il resto dell’Impero. Chi usufruiva del servizio non era soltanto l’imperatore, ma anche tutti i funzionari statali, i governatori e i comandanti dell’esercito, che si servivano del cursus publicus anche per i loro viaggi personali, che non avevano nulla a che fare con la ragione di Stato. Anche i privati, comunque, previa autorizzazione, potevano avvalersi del servizio di posta. Era anche garantito il trasporto di messaggi e lettere, grazie ai tabellarii, corrieri a cavallo, che si scambiavano a staffetta la borsa, e ai veredarii, postini di servizio regolare giornaliero. Le spese di gestione del servizio postale erano sostenute dalle amministrazioni delle città direttamente interessate, ma, a partire dal principato di Adriano (117 d. C. – 138 d. C.), fu la cassa imperiale ad incaricarsi totalmente del servizio. I mezzi di trasporto più usati erano, oltre ai propri piedi (il traffico pedonale era intensissimo), il cavallo, il mulo e l’asino, che spesso erano aggiogati ad un qualche tipo di carro. Lectica, sella gestatoria e ferculum erano una sorta di portantine ed erano a trasporto umano: ogni cittadino benestante aveva sempre degli schiavi robusti per quest’uso. La thensa era un carro a due ruote, molto ricco ed ornato, con un seggio ed era usato, soprattutto in età tardoantica, come carro trionfale; il pilentum, o petorritum, a quattro ruote, era un altro mezzo di trasporto particolare e da cerimonia, usato dai sacerdoti e dalle vestali, le vergini che dovevano tenere vivo il fuoco della dea Vesta, e , quindi lo “spirito vitale” di Roma. I veicoli da viaggio veri e propri potevano essere a due ruote, come l’essedum, traianato da da una coppia di muli o di cavalli, il cisium e il covinnus, carri leggeri, che venivano guidati dal padrone stesso, la birota, o birdus, che era il più usato dal cursus publicus, trainato da tre muli ed il carpentum, chiuso con una copertura. A quattro ruote erano la carruca, carrozza di lusso in cui si poteva anche dormire, e la rheda, con due o quattro cavalli, coperta da teloni e con un cassone portabagagli. Dalla Ricerca Il cursus publicus thensa Pedibus calcantibus

6 prosegue dalla pagina precedente – Il cursus publicus (Michele Dall’Aglio)
Chiunque percorreva una strada in età romana non era abbandonato a se stesso: oltre a pattuglie di soldati a cavallo, che vegliavano sull’incolumità dei viaggiatori e che avevano il compito di sgominare le bande di briganti, il viaggiatore poteva contare ad ogni miglio sui cosiddetti miliarii, veri e propri cartelli stradali che indicavano la distanza dalla città più vicina, ma soprattutto sulle mutationes e le mansiones. Queste erano stazioni di posta, ubicate tra loro a distanza più o meno regolare lungo la strada. Avevano apprestamenti necessari al cambio dei cavalli, come stalle e scuderie, e al ristoro dei viaggiatori, come locande, terme e taverne, oltre ad avere talvolta anche corpi di guardia, officine e magazzini. Le mansiones erano impianti più grandi delle mutationes, che sostanzialmente erano destinate soltanto al cambio dei cavalli, ed erano attrezzate anche per il pernottamento dei viandanti. Ciò faceva sì che queste fossero poste ad una giornata di viaggio l’una dall’altra. Dalle fonti letterarie, poi, si possono ottenere anche una serie di dati riguardanti i tempi di percorrenza di alcune strade, durante l’età romana. Un viaggiatore comune a piedi percorreva dalle 20 alle 25 miglia al giorno[1]; da ciò si evince che percorrere la Via Appia da Roma a Brindisi (365 miglia) richiedeva all’incirca 13 – 14 giorni, ma Orazio, usando mezzi diversi, come le barche, per percorrere un canale, che attraversava le paludi pontine, per colpa di un barcaiolo ubriaco, ne impiegò 15[2]. I corrieri militari, a cavallo ventre a terra, correvano a staffetta ad una media di 5 miglia all’ora, per un totale di 50 miglia al giorno di viaggio e, quindi, un dispaccio da Roma per arrivare a Brindisi avrebbe impiegato una settimana, anche se Catone nel 191 a. C. impiegò soltanto 5 giorni, percorrendo 80 miglia al giorno. Il servizio postale pubblico permetteva, comunque, anche velocità maggiori, tanto che Cesare, nel 58 a. C., giunse in soli 8 giorni da Roma a Ginevra, percorrendo 100 miglia al giorno. BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO C. CORSI, Le strutture di servizio del cursus publicus in Italia. Ricerche topografiche ed evidenze archeologiche, BAR International Series 875, 2000 H. E. HERZIG, Le réseau routier des régions VI et VIII d’Italie, Bologna, 1970 S. PESAVENTO MATTIOLI – P. BASSO (a cura di), Le strade dell’Italia romana, Milano, 2004 L. QUILICI, Le strade. Viabilità tra Roma e Lazio, Roma, 1990 A. STACCIOLI, Strade romane, Roma, 2003 Dalla Ricerca Il cursus publicus [1] (1) 1 miglio = 1478 m [2] (2) ORAZIO, Sat., I, 5. Pedibus calcantibus

7 La zona universitaria: studio per un modello gestionale
Dott.ssa Melika Righi Swaczy (tesi di laurea in Ingegneria Edile Architettura – relatore: Prof.Ing. Carlo Monti) L’idea di studiare una porzione di città già completamente edificata nasce nell’ambito della nuova concezione dell’urbanistica, che vede questa disciplina sempre più orientata verso politiche di gestione dell’esistente, piuttosto che alla progettazione di nuove aree. La scelta del quartiere universitario è dovuta alla peculiarità di questa zona, che affiancando residenze ad istituiti universitari e zone di ritrovo notturno, rappresenta un caso emblematico della vita cittadina bolognese. La sua storia ha inizio alla fine del 1800, con un progetto del rettore Capellini che prevedeva un campus in una zona periferica con edifici universitari e residenze per i professori; a causa delle vicende belliche, delle crisi economiche e del rapido sviluppo demografico avvenuto nella prima metà del secolo scorso, questo progetto fu attuato solo in parte e l’Università di Bologna, una delle più grandi università italiane, si è ritrovata in pieno centro storico e completamente integrata nella città. L’istituzione universitaria attira circa persone ogni giorno, con una richiesta di circa posti letto per studenti ogni anno; ciò comporta una crisi delle vecchie strutture urbane, che risultano inadatte ad accogliere tutte queste persone. Il quartiere universitario ha una popolazione molto varia, composta da anziani, giovani fra i 25 e i 35 anni, molte famiglie con bambini, stranieri e studenti, che rappresentano la categoria più numerosa. Per quanto concerne la mobilità, il problema principale riguarda lo scarso numero di parcheggi per le automobili. Inoltre i mezzi pubblici servono la zona abbastanza bene nelle ore di punta, ma nelle ore serali la qualità cala vertiginosamente fino ad una assenza completa di corse negli orari notturni e nei giorni festivi. Risulta pertanto difficile muoversi da e verso la periferia, soprattutto per gli studenti, che sono costretti a cercare un alloggio in centro storico, per essere vicini all’Università, ai ritrovi notturni e alla stazione dei treni. Molte persone infine utilizzano le biciclette, ma lamentano la carenza di piste ciclabili. A questo si aggiunge il carico urbanistico che, come affermato in precedenza, risulta molto intenso, poiché ai residenti ed agli studenti ogni giorno si aggiungono ogni giorno i lavoratori ed i turisti. I problemi legati alle realtà commerciali riguardano la mancanza di un tessuto commerciale di base, messo in crisi dalla politica urbanistica del passato decennio che ha permesso di costruire ipermercati molto vicini al centro cittadino. Va citato infine il decentramento dei centri sociali e dei grandi luoghi di ritrovo, che ha portato numerosi giovani a scegliere le piazze cittadine come zone di aggregazione, in mancanza di strutture adatte vicine al centro; questo ha comportato problemi di ordine pubblico che si ripetono periodicamente da qualche tempo a questa parte. Molti di questi problemi possono venire risolti con piccoli progetti innovativi: le caratteristiche del quartiere ne fanno un laboratorio urbanistico ideale per sperimentare nuove soluzioni di gestione urbana. In questa direzione si è già mosso il Comune che ha avviato un progetto di pedonalizzazione parziale della zona, sperimentando un sistema di telecontrollo degli accessi alle isole pedonali. Partendo da queste premesse, all’interno di una tesi di laurea in Urbanistica, corso tenuto dal Professor Carlo Monti alla facoltà di Ingegneria, si è cercato di sviluppare un progetto di restyling e gestione del territorio che permettesse di eliminare le barriere architettoniche, ricavare spazi per piste ciclabili e zone di verde o zone “30”, in cui riposarsi e passeggiare liberamente, senza intaccare più di tanto il numero di parcheggi e la mobilità stradale. Dall’ Università Studio di un modello gestionale urbano

8 Dott.ssa Melika Righi Swaczy Studio di un modello gestionale
prosegue dalla pagina precedente – La zona universitaria: studio per un modello gestionale Dott.ssa Melika Righi Swaczy L’obiettivo principale è quindi integrare e ampliare il progetto del Comune, uscendo dal semplice esercizio accademico e confrontandosi con la realtà, ideando un modello di gestione del quartiere tenendo conto di tutte le caratteristiche economiche, sociali ed edilizie. Partendo ad esempio da via S. Giacomo, si è scelto di utilizzarla come ingresso alla zona “30” , costruendo una piazzetta all’inizio della via con elementi di verde e di arredo. Lungo tutta la via viene aggiunto un percorso ciclabile a un senso di marcia. I posti auto vengono spostati solo lungo un lato, a spina di pesce; in questo modo è possibile recuperare posti moto a fianco del marciapiede ciclopedonale. Completa l’intervento la ripavimentazione della strada con betonelle autobloccanti. In via Selmi i posti auto vengono spostati su un solo lato, disponendoli sempre a spina di pesce, il lato libero dai posti auto viene utilizzato per la sosta moto, che attualmente è posizionata sul marciapiede della facoltà di Zoologia. Il marciapiede, molto ampio, diventa uno spazio attrezzato con panchine, verde e rastrelliere. Su via Belmeloro viene aggiunta la pista ciclabile a un senso di marcia che collega quella esistente su via Massarenti e su viale Ercolani a quella su via Zamboni. Largo Trombetti viene chiuso al traffico veicolare, diventa uno spazio aperto con panchine, alberi, mantenendo le attrezzature per la sosta bici. In via Zamboni la pista ciclabile già esistente tra piazza Rossini e piazza Verdi viene prolungata fino a Porta San Donato. Per rendere il percorso a doppio senso di marcia vengono tolti tutti gli stalli moto presenti davanti agli edifici universitari. Infine la rete di piste cilcabili viene completata con il pezzo di via Augusto Righi che collega le piste già esistenti in via delle Moline e in via de’ Falegnami. Lo spazio per questo tratto di pista viene ricavato utilizzando il marciapiede esterno al portico ripavimentandolo e spostando gli elementi di arredo, come i cartelloni pubblicitari che intralciano il percorso. I posti auto vengono mantenuti e utilizzati per ridurre la sezione stradale in modo da disincentivare la sosta in seconda fila. All’incrocio con via Venturini il marciapiede viene allargato per creare uno spazio con panchine, rastrelliere e alberi. Infine tutti questi spazi, per evitare che diventino luoghi degradati, devono venire occupati da attività culturali e commerciali: eventi che non siano solo funzionali alla vitalità del quartiere ma che servano anche a intervenire sulla coesione sociale all’interno della zona. Gli eventi di tipo ricreativo, culturale o semplicemente a supporto del commercio devono venire realizzati con un cronoprogramma che copra l’intero anno, facendo attenzione ai ritmi dell’università, che sono più blandi durante l’estate. Le attività devono avere anche una funzione socializzante per favorire la conoscenza tra le persone che popolano la zona, tenendo ben presente che è la paura che più alimenta tutti gli episodi di intolleranza. La sensazione di sicurezza infatti non può venire data solo dalle forze dell’ordine ma viene anche dai volti noti che si incontrano tutti i giorni intorno a casa. Creando una sinergia col mercato della piazzola nel fine settimana e sistemando alcune attività strategicamente negli spazi ricavati nella zona si potrebbe così aumentare il passaggio di persone nella zona, con un conseguente beneficio per le attività commerciali. E’ possibile infine sperimentare un modello di gestione dei rifiuti meno costoso e più sostenibile di quello attuale, già in uso nel comune campano di Mercato San Severino e oggetto di interesse internazionale. Seguendo un sistema di raccolta differenziata porta a porta, questo Comune ha eliminato i cassonetti e risparmiato il 20% del costo annuo sulla gestione della raccolta, oltre ad aver diminuito del 60% il volume di rifiuti indifferenziati. Applicando lo stesso modello al quartiere universitario di Bologna sarebbe possibile risparmiare ad esempio 400 metri quadrati circa di spazio, che potrebbero venire adibiti a verde pubblico, quasi assente nella zona. Governare una città è un compito estremamente complesso, in particolare una zona ricca di attività e di componenti sociali diverse come quella universitaria. E’ necessario avere il coraggio di proporre modelli gestionali nuovi, di provare a innovare e a cambiare l’esistente, rispettando il costruito e le esigenze dei residenti ma cercando di venire incontro a tutti i city users che giornalmente frequentano l’area e contribuiscono alla vita del quartiere. Dall’ Università Studio di un modello gestionale urbano

9 Abstract e traduzione a cura di Lorena Mengoli
A case on the University of Copenhagen and its conditions of accessibility Mr. Hans Halvorsen (Head of the Campus Programme ) Ms. Else Østergaard Andersen (Project Coordinator) The University of Copenhagen, Denmark The University of Copenhagen is a young university compared to Universitá of Bologna. However, it is the oldest university in Denmark and also the largest. It was founded as a catholic university in Today it holds 8 faculties, 54 institutes, employees, and students. Cycling in Copenhagen – the city of cyclists Many students and a fair amount of the employees use the bicycle for daily transport to and from the University – from home or a train station nearby. Denmark has no mountains, Copenhagen is fairly flat, and close to ideal for cyclists. In % drove the bicycle to work in Copenhagen. The city policy seeks to increase the number to 50%. People take the bicycle because it is fast and easy. The city policy therefore sustains the fastness and easiness. Activities include establishing green waves through traffic lights, and improving the bicycle paths. Cooperation between the city and university is important. But the University could also build upon the initiatives of the city and make biking even easier for students and staff. University initiatives could include providing bicycles for errands in town, improving bicycle paths and parking on each campus, encouraging repair shops nearby, etc. The Campus Master Plan During the history the university has expanded, and recently it covered 85 different addresses up to 50 km apart. Within the next 5 years the Campus Master Plan will relocate a number of institutes in 4 campus areas – all fairly close to the city center and no more than 7 km apart. Furthermore, the Campus Master Plan pays attention to building renewal, infrastructure, and sustainability. The plan seeks to improve the facilities for students, staff, and guests, and contribute to developing networks and knowledge companies. The University of Copenhagen seeks international network partners for sharing knowledge on a number of issues relating to sustainability and campus master planning. Abstract e traduzione a cura di Lorena Mengoli L’Università di Copenhagen è la più grande ed antica università danese, fondata nel 1479 come Università Cattolica. Attualmente le sedi universitarie sono integrate nella città, comprendendo 8 facoltà e 54 istituti dislocati in 85 strutture diffuse in un raggio di 50 km. La sua struttura è composta da dipendenti ed attrae studenti. Attualmente è in fase di elaborazione un documento di pianificazione urbanistica, il campus master plan, volto alla riorganizzazione spaziale delle diverse sedi universitarie assumendo come concetti chiave la sostenibilità, gli interventi di ristrutturazione edilizia e infrastrutturali, prevedendo, nell’arco dei prossimi 5 anni, la ricollocazione di gran parte degli istituti in 4 campus, tutti vicini al centro cittadino. Copenhagen ha 1,5 milioni di abitanti e il centro della città è affetto dalle problematiche di congestione tipiche delle grandi città europee; a fronte delle difficoltà che caratterizzano i diversi sistemi di trasporto risulta di particolare spicco la promozione della ciclabilità: la percentuale di mobilità casa lavoro in bicicletta è attualmente 36%, con obiettivo di raggiungere il 50%. A questo scopo si stanno studiando azioni per supportare la componente ciclabile, sia dal lato dell’amministrazione cittadina mediante la costruzione di nuove piste ciclabili e l’attuazione delle “onde verdi” dei dispositivi semaforici, sia dal lato dell’Università mediante la definizione di percorsi ciclabili e aree di sosta per biciclette in ciascun campus, sviluppando forme di noleggio e incoraggiando l’apertura di punti di riparazione dei mezzi. Transport to and from a campus Copenhagen is a town of 1.5 million inhabitants, and the city centre is crowded as in many larger European cities. We do not know yet, where students, employees, nor guests come from or go to. The intention is to analyze the mobility habits and needs at each campus. This would also make it easier to plan for increased sustainability in regards to mobility. Some tendencies from the city of Copenhagen are: driving the car gets ever harder, the rush hours are extended, parking space becomes more expensive, buses take ages to go over short distances, and the newly established metro system will never feed all the university campuses. However, there are other means of transportation – and more sustainable ones: e.g., bicycles! Temi urbani A case on the University of Copenhagen

10 Temi urbani Tempo e lavoro: è possibile una conciliazione?
Prof. Guido Sarchielli - Professore Ordinario - Dipartimento di Scienze dell'Educazione «Giovanni Maria Bertin» Le numerose esperienze di conciliazione tra “tempi di lavoro” e “tempi di vita” che si stanno attuando in diverse organizzazioni rappresentano dei tentativi, talvolta riusciti, di affrontare antiche contraddizioni e tensioni nel modo di gestire le dimensioni temporali dell’esistenza quotidiana dentro e fuori i contesti di lavoro. Queste esperienze, che sono sostenute dagli stessi contratti di lavoro e che si realizzano soprattutto a livello locale (spesso promosse o sostenute da comuni e province, programmi regionali), appaiono caratterizzate da due principi principali strategie: a) la ricerca di uno scambio equilibrato, di un sensato trade-off tra tempo di lavoro e di non lavoro, giocato soprattutto mediante forme differenti di riduzione dell’orario lavorativo o di congedi parentali; b) la ricerca di sinergie tra i tempi personali e sociali fondata sulla variabilità, sulla flessibilità nella redistribuzione dei tempi e sulle variegate forme di adattamento rese possibili nei differenti contesti lavorativi. Si tratta dunque di tentativi significativi di costruire politiche temporali più congruenti con le esigenze delle persone e degli attori organizzativi con cui sono in contatto. Tuttavia, queste differenti soluzioni, ormai molto desiderate dalle lavoratrici e dai lavoratori, non sempre hanno fortuna ovvero non sempre si stabilizzano in concreti orientamenti operativi condivisi socialmente e a livello di organizzazione di lavoro. Spesso hanno un significato di facilitazione temporanea dell’esperienza quotidiana per alcune categorie sociali, assumono un ruolo di tampone quasi assistenziale, debbono essere rinegoziate e richiedono energie collettive per potersi sostenere e rinnovare. Tra l’altro, al di là delle intenzioni dei vari attori sociali la stabilizzazione di queste esperienze implica concreti investimenti pubblici non sempre disponibili (si pensi, ad esempio, ai servizi per l’infanzia o a quelli di cura delle persone). Perché è così difficile giustificare e trovare un equilibrio soddisfacente tra i vari tempi che scandiscono l’esperienza di un lavoratore? Quali fattori di ordine generale possono costituire dei vincoli su cui operare? La norma temporale: uno schema sociale universale e immodificabile? Per poter riflettere sulle questioni temporali intrecciate con il lavoro bisognerebbe definire bene quali coordinate usare per rappresentare il tempo e per parlarne come oggetto sociale da comprendere e su cui intervenire. Quella più comune è la durata. E’ stato su questo aspetto del tempo che si è sviluppata nell’ultimo secolo la principale battaglia sociale tesa ad una riduzione delle ore lavorate e alla creazione di un modello di giornata lavorativa accettabile. Questo obiettivo “di minima” sembra essere ancora attuale anche in Europa se pensiamo che la stessa Working time directive dell’Unione Europea nel 2006 ha sentito il bisogno di fissare il limite delle 48 ore lavorative per settimana. In realtà, oltre alla durata, si dovrebbero tenere presenti altri parametri con cui connotare i risvolti concreti dell’esperienza temporale per le persone: la localizzazione dei tempi (la ripartizione del lavoro, le pause e i riposi), la scansione temporale ovvero i ritmi del lavoro, l’orizzonte temporale nel quale si iscrivono le differenti attività e il grado di sincronizzazione tra i vari tempi lavorativi personali e sociali. Questo ultimo aspetto è assunto come riferimento di base in molte esperienze di conciliazione tra i vari tempi della persona (si vedano, ad esempio, le iniziative sugli orari dei servizi pubblici, dei negozi, delle scuole, ecc. affinché essi siano meglio fruibili dai cittadini lavoratori). Temi urbani Tempo e lavoro: è possibile una conciliazione?

11 è possibile una conciliazione?
prosegue dalla pagina precedente – Tempo e lavoro: è possibile una conciliazione? Prof. Guido Sarchielli Considerando singolarmente e insieme i vari parametri con cui si definisce il tempo vissuto dalla persona ci si rende conto sia della notevole variabilità delle possibili risposte che essa può dare in pratica per gestire la propria vita quotidiana sia della grande diversificazione dei bisogni individuali e collettivi che dovrebbero essere tradotti in schemi temporali differenziati. In pratica, si potrebbe dire che è assai difficile immaginare una risposta univoca e valida ovunque alla richiesta di conciliare i vari tempi della persona. In ogni caso, l’esperienza del tempo non pare prescindere da una norma sociale che organizza i comportamenti prevalenti e accettati e che risulta storicamente fondata sul “tempo industriale”. Si tratta di uno dei possibili modi di concepire e regolare il tempo lavorativo che è divenuto dominante e che appare spesso come naturale, immodificabile. In realtà, esso si è costruito socialmente sulla base di una concezione astratta del tempo stesso, come struttura socio-cognitiva indipendente dalle specifiche attività, misurabile, scomponibile in micro-unità elementari, convertibile in denaro, manipolabile per esigenze economiche, scambiabile, apparentemente oggettiva e universalistica, che fissa una separazione netta tra lavoro e vita personale e che corrisponde di fatto al modello del lavoro industriale del passato. Essa rappresenta uno schema sociale ancora dominante, una norma appunto, che orienta le condotte, ma che troppo spesso contraddice la variabilità delle esigenze personali, la differenziazione dei vissuti, la presenza attuale di netti cambiamenti nella composizione della forza-lavoro (ad esempio, il tasso più elevato di presenza femminile sul mercato del lavoro) e nei tipi di lavoro centrati sui servizi e su richieste di ordine prevalentemente cognitivo. Un modo per incidere sulla norma temporale dominante che giustifica la vigente dicotomia tempo di lavoro-di tempo di vita è quello di considerare insieme le due polarità e di parlare di tempo sociale delle attività (comprese quelle lavorative) come frame entro il quale si può dare un senso ai desideri, ai progetti e alle realizzazioni delle persone. Progettare e vivere il tempo da parte delle persone nelle diverse attività che le coinvolgono, e non solo in quelle economicamente remunerative, potrebbe rappresentare il punto di partenza per delineare una nuova norma temporale condivisa: uno schema sociale non eterodiretto, ma esplicitamente riconducibile al sistema di attività personali e sociali che rendono la persona competente e attiva nella comunità. In questa prospettiva anche le politiche del lavoro e della comunità trarrebbero elementi per facilitare la coordinazione tra le varie temporalità che coinvolgono le persone e per legittimare meglio l’investimento di risorse per lo sviluppo di una comunità meglio integrata. Le culture del tempo lavorativo Come sappiamo la concezione del tempo lavorativo caratterizzato solamente dal parametro della durata risulta, comunque, un potente principio organizzatore della vita delle persone che influenza la quantità di cose che si possono fare, il quando e il come farle . I vari tentativi di riduzione del tempo di lavoro protrattisi per molti decenni sono stati importanti soprattutto dal punto di vista della salubrità e dell’igiene del lavoro svolto. Essi, però, da soli non assicurano automaticamente effettivi miglioramenti qualitativi nelle esperienze interpersonali, familiari, sociali e pubbliche su cui si fonda l’indentità sociale del cittadino-lavoratore. Infatti, da un lato essi spesso si trasformano in un aumento dell’intensità e della pressione temporale nelle ore lavorate (si vedano le indagini svolte a livello europeo dalla European Foundation for Improvement of Working Life), dall’altro, non intaccano l’articolazione delle diverse esperienze temporali, non toccano i significati attribuibili alle varie attività; anzi, mantengono la centralità e il predominio del lavoro sulle altre attività, accrescono la sensazione di avere qualche tempo in più solamente per ristorarsi dalla fatica e tamponare gli accumuli di richieste extralavorative (specialmente per il lavoro domestico e di cura che continua a interessare in prevalenza le lavoratrici). In sostanza, il legame tempo-lavoro centrato sulla quantità, la durata e la sua misura rigorosa definisce una relazione di scambio costi-benefici, ma tende ad oscurare la dimensione soggettiva e i possibili significati personali di tale scambio. Del resto, anche in presenza di una crescente insoddisfazione per la persistente pressione dei tempi quotidiani impostati sul lavoro, non risulta semplice contrastare i modelli culturali dominanti che sono profondamente interiorizzati nel corso della socializzazione e che tendono ad orientare le stesse logiche di gestione delle risorse umane nelle organizzazioni. Semmai si potrebbe dire che la ricerca psicosociale sta segnalando come il prototipo culturale di tempo lavorativo standard adottato dalle organizzazioni stia rivelando, sul terreno pratico, Temi urbani Tempo e lavoro: è possibile una conciliazione?

12 è possibile una conciliazione?
prosegue dalla pagina precedente – Tempo e lavoro: è possibile una conciliazione? Prof. Guido Sarchielli incrinature, adattamenti informali, oscillazioni, varianze, imprevisti; tutti segnali di contrasto della pervasività del tempo lavorativo da cui partire per aprire una discussione approfondita sui possibili cambiamenti degli assetti culturali derivanti da una certa concezione del tempo. Possiamo riassumere, schematicamente e in maniera estremizzata, tali assetti con cui confrontarsi: a) le culture dell’orologio. Sono centrate sul tempo come risorsa scarsa, scambiabile, traducibile in denaro. Si dà un primato al tempo di lavoro, alle scadenze da rispettare, senza una grande attenzione ai contenuti e alle persone in gioco. Le attività e i compiti hanno una sequenza ordinata, spesso standardizzabile; la stabilità delle risposte è un valore. Prevale la quantità delle cose da fare in un dato tempo, la puntualità e i rituali di scuse in caso di ritardo. Anche le mete che si intendono raggiungere e i giudizi sul valore delle persone risentono di questa prospettiva centrata sul risultato e la riuscita professionale. b) Le culture legate all’evento. Sono centrate sulla situazione, sulle condizioni che possono facilitare o ostacolare l’esperienza e sulle persone, con minore risalto dato agli schemi prestabiliti di azione. Le attività lavorative sono regolate da un flusso naturale in base alla situazione, non da un “orologio superiore” che regola astrattamente le relazioni. La flessibilità è un valore come pure gli adattamenti, le negoziazioni, i compromessi informali costituiscono una strategia di azione che le persone sono stimolate ad adoperare per risolvere i problemi, ottenere dei risultati nei tempi possibili e organizzare la propria carriera secondo un timing largamente soggettivo. c) Le culture armoniche. Prestano attenzione al presente, ai vissuti soggettivi, agli equilibri tra le varie temporalità personali e sociali delle persone. Prevalgono la fluidità e la lentezza rispetto alla velocità di risposta e alle scadenze eterodefinite. Il tempo è appunto policrono, fatto di tante componenti significative per le persone (e non solamente dagli obblighi del lavoro) che influenzano il tipo di mete e i modi per raggiungerle. Seppure presentati in forma quasi caricaturale i tre esempi di culture temporali di riferimento possono attivare riflessioni collettive sui modi di gestire i tempi da parte delle persone. Tali modi rivelano comunque una forte differenziazione - per genere, fase di sviluppo personale, esperienza e impegni familiari, percorsi di carriera, mete professionali, ecc.- di cui spesso non si è consapevoli. Essi, soprattutto potrebbero aiutarci a capire cosa significa la sensazione di “avere poco tempo” che spinge le persone a richiedere qualche cambiamento nel lavoro o a livello organizzativo e sociale. Ad esempio, nella prima “cultura” è in gioco una prospettiva individualistica di carattere difensivo o utilitaristico (“come posso sfruttare meglio e subito il tempo e cercare di avere meno svantaggi ?”). Nella seconda e terza prospettiva emergono esigenze di responsabilizzazione sociale, di congruenza tra tempi personali e tempi organizzativi, di pluralismo temporale (“come posso far riconoscere il valore dei vari tempi dell’esperienza quotidiana? Come posso promuovere l’armonia nel sistema delle mie attività personali, sociali e pubbliche”?). La stessa ricerca scientifica sulle relazioni tra lavoro e vita familiare mostra evidenti differenziazioni nel tipo di esigenze e di strategie delle persone che derivano da scopi, scelte di carriera, tipi di professione molto diversi e che implicano una concezione del lavoro (e del tempo) ascrivibile a qualcuno degli esempi sopra riportati e potrebbero suggerire strategie di azione collettiva molto articolate. La stessa ricerca scientifica sulle relazioni tra lavoro e vita familiare mostra evidenti differenziazioni nel tipo di esigenze e di strategie delle persone che derivano da scopi, scelte di carriera, tipi di professione molto diversi e che implicano una concezione del lavoro (e del tempo) ascrivibile a qualcuno degli esempi sopra riportati e potrebbero suggerire strategie di azione collettiva molto articolate. Temi urbani Tempo e lavoro: è possibile una conciliazione?

13 è possibile una conciliazione?
prosegue dalla pagina precedente – Tempo e lavoro: è possibile una conciliazione? Prof. Guido Sarchielli Dal tempo del lavoro al tempo del lavoratore La conciliazione dei tempi per non essere un artificio provvisorio (espresso attraverso singole e sporadiche iniziative, anche creative e comunque meritorie) presuppone una connessione con una cultura che renda plausibile il passaggio dal tempo del lavoro al tempo del lavoratore. Ciò significa, in particolare, superare l’unicità della concezione del tempo di lavoro in favore del riconoscimento della molteplicità delle sue funzioni e relazioni con il sistema di attività delle persone oltre che delle organizzazioni. In pratica, alla norma temporale standard si può cercare di sostituire un ventaglio di regole temporali che prendano atto del valore della flessibilità e della variabilità negoziata e concordata. Il ché implicherebbe una riconsiderazione dei vari tempi professionali, di studio e formazione, non professionali, familiari, ecc. in rapporto alla storia lavorativa delle persone, ai numerosi vari fattori sociali che la diversificano (genere, tipo di contratto, posizione e carriera, opportunità e alternative di sviluppo, ecc.) e alle competenze disponibili nelle persone per regolare proattivamente le diverse attività, anche dal punto di vista temporale. Del resto per metabolizzare e gestire il tempo in modo soddisfacente occorrono risorse personali e psicosociali. In questa direzione la ricerca psicologica può fornire qualche sostegno nel senso di: a) giustificare empiricamente l’esigenza di ridurre la funzione ordinativa di una norma temporale standard, nata per lavori e per relazioni organizzative che stanno storicamente diminuendo di importanza; b) riconoscere il valore collettivo della differenziazione dei modelli temporali e di conseguenza anche degli ancoraggi cognitivi su cui si costruiscono anche nuove identità sociali, non esclusivamente centrate sull’attività e i risultati lavorativi; c) arricchire o utilizzare in modo avveduto le strategie di coping per riuscire a “personalizzare i tempi” nel quadro del sistema delle attività della persona (esempi di tali strategie che di volta in volta possono dare risultati utili anche se temporanei sono: la scissione netta tra attività di lavoro e non lavoro; la sovrastima dei possibili vantaggi di un dato schema temporale; l’intensificazione degli impegni temporali per ottenere vantaggi; la rivendicazione collettiva di miglioramenti o servizi; la riprogettazione del futuro lavorativo; le “risposte di fuga” come pensionamenti anticipati, dimissioni, turn-over); d) potenziare le possibilità di negoziare schemi temporali fondati sulla coordinazione delle attività e non più sulla separazione netta e permanente tra lavoro e non lavoro e sulla esclusiva localizzazione nell’ambito delle organizzazioni di lavoro. Qualche riferimento bibliografico European Foundation for Improvement of Working Life, (2006), Working time and work-life balance in European companies, Dublin Fraccaroli F., Sarchielli, (2002), E’ tempo di lavoro? Per una psicologia dei tempi lavorativi, Bologna, Clueb Lautsch B.A., Scully M.A., (2007), Restructuring time: implications of work-hours reduction for the working class, «Human Relations», 5, Temi urbani Tempo e lavoro: è possibile una conciliazione?

14 Il ruolo del MoMa Temi urbani
Rilancio del trasporto pubblico: il ruolo del Mobility Management nel Nuovo PGTU Ing. Cleto Carlini – Direttore Settore Mobilità Urbana Comune di Bologna Il Nuovo Piano Generale del Traffico Urbano (PGTU) intende perseguire l’obiettivo di modifica della ripartizione modale, individuando una serie di azioni che permetteranno di raggiungere l’ambizioso risultato di dare al trasporto pubblico una quota modale non inferiore a quella del trasporto privato (ad un valore compreso tra il 28% e il 30%, relativamente agli spostamenti interni) e di incrementare la quota di trasporto su bici (passando al 9%), raggiungendo standard di sostenibilità confrontabili con quelli delle principali realtà urbane europee. Un risultato ancora più importante potrà essere ottenuto in futuro a seguito della realizzazione degli interventi di nuova infrastrutturazione (Metrotranvia, People-Mover, TPGV, …) che, se accompagnati da ulteriori misure di riorganizzazione dell’intera rete del trasporto pubblico, potranno permettere di incrementare ulteriormente la quota modale fino ad un valore prossimo al 33%. Gli interventi necessari a raggiungere tale risultato sono stati articolati individuando gli ambiti di azione, e all’interno di questi delineando le diverse tipologie di misure da predisporre nel prossimo futuro. L'ambito specifico di azione del Mobility Management riguarda la gestione e la razionalizzazione della mobilità sistematica, al fine di ridurre l’uso dei mezzi privati individuali - specie se ad elevato impatto ambientale - attraverso una migliore organizzazione della domanda di trasporto, per limitare la congestione del traffico ed i relativi effetti. Gli interventi di Mobility Management in senso allargato si riferiscono anche all'incentivazione diretta della domanda di trasporto pubblico; in particolare ci si riferisce al coordinamento dei Mobility Manager aziendali e di area, per l’individuazione di misure mirate alle esigenze delle singole realtà produttive della città e di misure finalizzate a sensibilizzare e incentivare l’uso del trasporto pubblico. Il PGTU intende aumentare il numero di persone che ogni giorno si muovono col mezzo pubblico di / nuovi utenti al giorno a seconda degli scenari di riferimento: si stima che l’effetto delle azioni integrate di incentivazione del trasporto pubblico (tra cui quelle di Mobility Management) sia dell'ordine di 8.000/ nuovi utenti al giorno. La figura del Mobility Manager ha assunto un ruolo non trascurabile per le aziende/Enti ubicati nel territorio bolognese: 36 sono i Mobility Manager nominati rispetto ai 50 individuati ai sensi del Decreto Ronchi, interessando l'86% dei dipendenti rispetto alla platea di riferimento; dei circa addetti in unità locali di imprese e di istituzioni (ISTAT 2001) circa prestano servizio in strutture aventi la figura del Mobility Manager. Anche in termini di presentazione dei Piani degli spostamenti casa-lavoro (PSCL) il quadro di riferimento non è dissimile: gli addetti coinvolti sono dell'ordine dei Per quanto concerne la parte attuativa dei PSCL, si ricorda che in questi anni sono stati sottoscritti Accordi di Mobility Management che hanno interessato dipendenti, pari al 44% della platea di riferimento. In termini di effetti delle azioni sul riequilibrio modale, vanno ricordati tra gli altri gli importanti risultati ottenuti nella distribuzione di abbonamenti annuali agevolati ATC: nelle aziende che hanno sottoscritto Accordi di Mobility Management dai circa 600 addetti che possedevano l'abbonamento annuale prima dell'attuazione dei PSCL, si è passati ai del 2004, ai del 2005 fino ai del 2006, contribuendo in maniera rilevante alla fidelizzazione dell'uso del bus. Anche con Trenitalia, seppur con pochi accordi aziendali in essere, il numero di abbonamenti annuali è prossimo a raggiungere il migliaio, con incrementi superiori al 10%. Per rafforzare i risultati volti al riequilibrio modale a favore dei mezzi pubblici, in occasione della Settimana Europea della Mobilità del 2006, evento che è stato premiato dal Commissario Europeo all'Ambiente per la qualità degli interventi strutturali promossi dal Comune di Bologna per favorire una mobilità meno impattante, sono stati sottoscritti gli Accordi quadro - di durata triennale - tra il Comune di Bologna e ATC (che è delegata anche ad operare per FER) e con Trenitalia, garantendo così una riduzione sul costo degli abbonamenti annuali ai dipendenti delle aziende che hanno un accordo di Mobility Management con il Comune di Bologna. (prosegue nella pagina seguente) Temi urbani Il ruolo del MoMa

15 Ulteriori informazioni: http://urp.comune.bologna.it/Mobilita
prosegue dalla pagina precedente - Rilancio del trasporto pubblico: il ruolo del Mobility Management nel Nuovo PGTU Ing. Cleto Carlini Proseguendo nella strategia di allargare la platea delle persone coinvolte in azioni di Mobility Management per contribuire alla realizzazione complessiva di un più corretto riequilibrio modale, incoraggiando i dipendenti a soddisfare i propri bisogni di mobilità sistematica utilizzando sia il trasporto pubblico sia altre forme di trasporto alternativo all’uso privato dell’auto e del motoveicolo, con il Nuovo PGTU si intende perseguire le seguenti azioni: sensibilizzare ad un uso più razionale e meno impattante dell'auto; proseguire nell'azione di fidelizzazione all'uso del TPL (tramite gli abbonamenti annuali), influenzando in tal modo anche le scelte modali di natura occasionale; estendere e diversificare la gamma delle possibilità offerte negli Accordi Quadro rivolte alle aziende/Enti che praticano il Mobility Management, volte a favorire gli spostamenti casa-lavoro con i mezzi pubblici (ATC, FER e Trenitalia), con la bicicletta (anche a pedalata assistita), prestando particolare interesse al ricovero delle stesse nelle sedi di lavoro, e favorendo progetti di car pooling aziendale nonchè l'uso del car sharing sia per i dipendenti che utilizzano il trasporto pubblico sia quale alternativa alle flotte aziendali; aumentare il numero delle aziende con Accordo di Mobility Management sottoscritto con il Comune di Bologna, nonché rinnovare quelli attualmente in essere previo aggiornamento dei PSCL, e coinvolgendo i Mobility Manager di aziende private nominati che non hanno ancora presentato il PSCL; estendere l'ambito operativo aziendale con politiche di Mobility Management in aree specifiche (es. Zona Industriale Roveri), al fine di allargare la platea delle aziende e rendere più incisive le politiche di gestione della domanda di mobilità in zone attrattive caratterizzate da criticità di traffico privato e scarsa offerta di trasporto pubblico e con elevato numero di addetti anche in piccole unità locali, valutando anche soluzioni di sperimentazione di trasporto pubblico non di linea; relativamente a tutte le scuole di ordine e grado (Università compresa), promuovere iniziative per agevolare il costo degli abbonamenti al TPL e l'utilizzo della bicicletta. Temi urbani Il ruolo del MoMa Ulteriori informazioni:

16 Bacheca virtuale per il car pooling
E’ in fase di lavorazione lo sviluppo di una bacheca virtuale per la gestione delle flotte di Car pooling. Che cosa è il Car Pooling Il car pooling è l’uso condiviso da più persone di un’autovettura al fine di ottimizzare le dinamiche di mobilità, riducendo i costi di viaggio e gli impatti ambientali. La bacheca on line dà la possibilità di trovare e contattare colleghi con cui condividere gli spostamenti casa-lavoro. I vantaggi principali del Car pooling sono: Minori costi di trasporto Minor numero di vetture circolanti Contributo per migliorare la qualità dell’aria Minor stress da traffico Socializzazione tra partecipanti Abbonamento obbligatorio per il trasporto pubblico A partire dall’estate 2007 è stato promosso un sondaggio web based per conoscere il parere dei lavoratori dell’Ateneo sulla proposta di estendere obbligatoriamente l’abbonamento al mezzo pubblico nell’area di Bologna a tutto il personale, con una sostanziale agevolazione tariffaria. La soluzione proposta non risulta al momento attuabile a causa del limitato campione di partecipanti e alla forte presenza di contrari News Risultati Totale dei voti: 1558 Favorevoli: 1011 (65%) Contrari: 547 (35%) dall’Ufficio MoMa


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