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Necessità e forme dell’amore nella cultura greca da Omero ai Cristiani

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Presentazione sul tema: "Necessità e forme dell’amore nella cultura greca da Omero ai Cristiani"— Transcript della presentazione:

1 Necessità e forme dell’amore nella cultura greca da Omero ai Cristiani
Storia della Lingua Greca Laurea Specialistica in Filologia, Letteratura e Tradizione Classica a.a. 2006/2007 – C. Neri

2 Le necessità dell’amore rischiano di essere più acute di quelle della geometria, quando si tratta di persuadere e di trascinarsi dietro un esercito di gente. Platone, Repubblica 458d

3 Un enigma di difficile comprensione e soluzione.
Plutarco, fr. 136,24 Sandbach

4 Blaise Pascal, Pensées 1378 (= 28,255)
Le coeur a ses raisons que la raison ne connaît point. Blaise Pascal, Pensées (= 28,255)

5 Roberto Vecchioni, Stranamore
Forse non lo sai, ma pure questo è amore. Roberto Vecchioni, Stranamore

6 Iliade XIV Questa infine nel cuore le parve la scelta migliore: / mettersi lì a farsi bella, e quindi recarsi sull’Ida, / e in qualche modo tentare di suscitarne la voglia / di stendersi a fare l’amore stringendosi a tutto il suo corpo, / ed in tal modo versare un sonno sereno, gentile, / sulle sue palpebre e sulla sua mente prudente ed accorta.

7 Iliade XIV Dammi oggi, qui ed ora, l’amore e il desiderio, / quello con cui tu soggioghi tutti, mortali e immortali.

8 Iliade XIV E da quei suoi fianchi si sciolse il cinto trapunto, / variegato e intessuto di tutti i possibili incanti: / vi erano infatti l’amore, la voglia, le dolci parole / e l’incantamento che invola la mente anche agli uomini saggi.

9 Iliade XIV Come la vide, l’amore gli avvolse la lucida mente, / come quella prima volta, quando lo fecero insieme, / entrati nello stesso letto, di nascosto dai genitori.

10 Iliade XIV E il figlio di Crono infine abbracciò la sua sposa: / sotto di loro la terra divina faceva spuntare / dell’erba tenera e fresca, loto e rugiada e in gran numero / morbidi crochi e giacinti, che da terra li sollevavano. / Qui, come a letto, si posero, avvolti dentro a quella nuvola / aurea e bella; e lucente rugiada di là gocciolava. / Così, sulla vetta del Gargaro, dormiva sereno quel Padre, / prostrato da amore e dal sonno, e teneva abbracciata la sposa.

11 Tre elementi... il simpatico quadretto familiare fatto di nascondimento e tenerezza. l’inganno: l’amore che distoglie e che imbroglia, interessato e con secondi fini. l’amore che genera e che crea, e offre un modello a ogni ierogamia, con il suo si-gnificato ‘naturale-vegetale’, cosmogoni-co, teologico.

12 Dante Alighieri, Commedia. Paradiso XXXIII 145
L’amor che move il sole e le altre stelle. Dante Alighieri, Commedia. Paradiso XXXIII 145

13 Amori cosmogonici Esiodo, Teogonia Eros è “il più bello tra gli dèi immortali, scioglimembra, soggiogatore della mente e della volontà pur saggia di tutti, uomini e dèi” (divinità fecondante, quando ancora c’erano solo il Caos e la Terra). Inno omerico ad Afrodite 3-6 Afrodite Cipride “suscita il dolce desiderio per gli dèi, e soggioga le stirpi dei mortali, gli uccelli che volano in cielo, e tutti gli animali, i molti che nutre la terra e quanti ne nutre il mare”. Parmenide, VS 28 B 13 Eros è “il primo tra tutti gli dèi”. Empedocle, VS 31 B 151 “Afrodite feconda, ζείδωρος”. Orphica fr. 1 K. “Eros desiderabile dalle ali dorate” (creatore di ogni cosa attraverso la μίξις, l’unione sessuale e la commistione). Sofocle, fr. 847 R.2 Afrodite Citerea εκαρπος. Euripide, fr. 898 K. Afrodite “nutre me, te, e tutti i mortali … e fa nascere e alimenta tutte le cose, di cui il genere dei mortali vive e fiorisce”. Lucrezio, La natura I 1-40 La “genitrice degli Eneadi”, hominum divomque voluptas, / alma Venus, affolla il cosmo, fa nascere i fiori, colpisce con il desiderio i viventi, governa la natura, ispira la poesia, soggioga Marte e placa le guerre.

14 Lingue letterarie e lingue parlate
Il greco (tranne, parzialmente, glosse e iscrizioni, che peraltro sono ‘formalizzate’) è per noi una lingua letteraria (ma ciò, come sempre avviene per le lingue antiche, è dovuto anche al processo della tradizione); dalle differenze segniche (x, f, c, y) all’unificazione alfabetica (403 a.C.). Il complesso dei linguisti e il sospetto verso le lingue letterarie: l’esempio del latino da Augusto al Rinascimento (o al Concilio Vaticano II) e del sanscrito, il divaricarsi dei piani e lo scarso interesse per il linguista. Le lingue letterarie come forme ‘normalizzate’ del parlato e come insiemi compatti di regole fissate e codificate (ma questo non sempre è vero) e le lingue parlate come incerti oggetti di ricerca (quale lingua parlata? quali atlanti linguistici?). L’importanza, anche modellizzante, delle lingue letterarie (es. il gotico di Ulfila, lo slavo o slavone di Salonicco di Cirillo e Metodio, l’armeno dei primi traduttori biblici, l’arabo del Corano) e le lingue comuni in nuce (es. di Dante, Petrarca e Boccaccio). La lingua letteraria è uno dei mezzi di azione di un gruppo di individui dotati di forza e di coscienza di sé; non di rado una lingua letteraria diventa lingua comune: «vantaggio decisivo per quei popoli che hanno saputo meritarselo, essendo riusciti a formarsi un’aristocrazia dello spirito» (A. Meillet).

15 Dal parlato alla ‘letteratura’
La difficile individuazione del parlato (l’esempio di Erodoto I 142 e delle diverse lingue ioniche) e i presunti ‘rispecchiamenti’ (Ipponatte e la commedia). Le lingue letterarie, come anche le lingue religiose, sono un tipo particolare di lingue ‘speciali’ o ‘tecniche’. Parlate locali (ogni gruppo locale ha la sua) e parlate speciali (gruppi professionali, esercito, sport). Il carattere esoterico e ‘segreto’ delle lingue speciali, che le rende così difficili da studiare. I caratteri delle lingue speciali: il mantenimento della fonetica e del sistema grammaticale, e la differenziazione lessicale (il lessico ha una certa autonomia ed è più facilmente modificabile: l’es. dell’armeno zingaresco); forestierismi, neologismi, slittamenti semantici.

16 Lingue letterarie religiose e profane
Le lingue religiose: il passaggio dall’umano al divino e l’esigenza di discontinuità e di oscurità (terminologica e sintattica: l’es. di Ahura Mazdah); le Gatha, gli inni vedici, il Carmen fratrum Arvalium, l’Inno a Zeus dell’Agamennone di Eschilo. Il processo di laicizzazione delle lingue religiose: l’intervento di elementi esterni (i re stranieri in India) e il proselitismo (l’alfabeto gotico, slavo, armeno). Il processo di cristallizzazione e di irrigidimento indotto dalle lingue religiose divenute letterarie: la chiave di interpretazione della realtà e la meccanizzazione del pensiero. L’internazionalismo delle lingue letterarie. Le lingue letterarie di origine profana: thul islandesi, filé irlandesi, scop anglossassoni, chansons de gestes francesi.

17 Il greco come lingua profana
Il diletto delle aristocrazie, le feste pubbliche, l’espressione di sentimenti individuali; la scarsa incidenza dell’elemento religioso sulla lingua e sulla letteratura elleniche. I caratteri delle lingue letterarie: arcaismo e dialettalismo (il dialetto diverso da quello su cui riposa la lingua corrente); differenze grammaticali (il passato remoto, il congiuntivo, …), fonetiche (gorod e grad in russo), lessicali (corsiero, affinché, concerne, sono a dirle, èspleta; l’esempio dei Cechi e dei Francesi: ordinateur e computer), di ordo verborum (le esigenze di autonomia e completezza delle frasi letterarie). Parlato (varietas e irregolarità grammaticale, monotonia nei tipi di frase e nel lessico) versus letterario (regolarità [monotonia] grammaticale, varietà nei tipi di frase e nel lessico).

18 Il lessico della poesia
Lo scarto dalla norma. glw`ttai, composti (vojevoda, medvĕdĭ), metafore. La necessità di non eccedere: Aristotele e il Telefo di Euripide (kwvph~ ajnavsswn), Corinna e Pindaro nella testimonianza di Plutarco (mh; o{lw/ tw/` qulavkw/).

19 Il sorgere delle lingue letterarie greche
Dalla raffinata cultura egea (arte evoluta ed elegante, scrittura indecifrata) ai secoli bui X-IX a.C. (senza arte né scrittura). I primordi nell’VIII secolo (le linee geometriche dei vasi del Dipylon) e il rapido progresso di arte (dal VI al V sec.: dalle kovrai a Fidia) e letteratura (dal nulla a Omero, Esiodo, Archiloco, Alcmane): la precoce formalizzazione (caratteristica di ogni prodotto culturale greco). La tradizione orale e il tardo avvento della scrittura: le liste di Olimpia (776), degli efori (757) degli arconti (683), le iscrizioni non anteriori al VII sec. e l’esempio dei poemi omerici (che non menzionano la scrittura). L’unità del mondo greco: Amasi e gli stabilimenti greci di Naucrati (560), i giochi di Olimpia e le vittorie dei Crotoniati, i rapporti tra Sibari e Mileto, Panevllhne~ (Hom. Il. II 530, Hes. Op. 528, Archil. fr. 102,1 W.2) ed ïEllav~ (5x nell’Iliade e 5x nell’Odissea); l’unità religiosa (gli stessi dèi dovunque); l’unità linguistica (Plat. Alc. I 111a to; eJllhnivzein, mou`sa=mw`sa=mw`ha=moi`sa, i prestiti); l’unità culturale e l’internazionalismo aristocratico. La grande colonizzazione ellenica: la civiltà rivierasca e marinara e le commistioni panelleniche; lo spirito epico della colonizzazione; l’origine coloniale della letteratura (Omero? ed Esiodo; Archiloco e i lesbici; la lirica dorica tra Terpandro, Alcmane, Stesicoro e Ibico; la commedia siciliana; la filosofia tra Pitagora, Senofane, Eraclito; la sofistica tra Protagora, Gorgia e Trasimaco); i generi letterari regionali (almeno in parte: l’esempio della prosa) e la formalizzazione letteraria: «il greco che è stato scritto e che ha avuto un’influenza è stato la lingua di un’aristocrazia» (A. Meillet).

20 Le origini della metrica greca
L’accento tonico-musicale e non intensivo-rafforzativo, ininfluente sul timbro, sulla quantità vocalica e sul metro. Sillabe lunghe (che contengono una vocale lunga, un dittongo o una vocale seguita da due o più consonanti) e sillabe brevi (che contengono una vocale breve in sillaba aperta); la successiva ‘eccezione’ dei gruppi muta cum liquida (VI sec. a.C.? La discussa presenza nei poemi omerici). Il ‘taglio’ entro la prima metà del verso, la prima parte libera e la seconda fissa (eccetto la sillaba finale); l’isocronia; la sequenza di elementi lk e lkk; le strofe di 3/4 versi: i paralleli greco-vedici. I metri dattilici e giambo-trocaici e l’equivalenza kk = l: il ritmo più regolare, il numero delle sillabe più vario vs. il ritmo più vario e l’isocronia sillabica dei metri eolici. La poesia lirica e cultuale di tradizione orale e origine indoeuropea e la poesia epica aristocratica di origine egea (es. ÆAcilleuv~, ÆOdusseuv~, Ai[a~ non indoeuropei)?

21 La tradizione dei testi
I papiri e la conferma della bontà della tradizione medioevale (almeno per quanto riguarda lo ‘stato complessivo’ dei testi, che è quello che interessa al linguista): es. Herodot. II in P.Oxy Il filtro della filologia bizantina: lo stato dei testi antichi è quello stabilito nel III-II sec. a.C. Il mistero della tradizione dei testi in età prealessandrina (l’assenza di manoscritti del VI o V sec.) e gli elementi che consentono di indagarla: a) le citazioni (ma si tengano presenti gli adattamenti al nuovo contesto) b) il metro e le forme impossibili (il limite sta però nella nostra imperfetta conoscenza di certi metri o di certi fenomeni metrici). c) le iscrizioni (un confronto sempre problematico). I problemi della lingua omerica. Gli ionismi di Bacchilide (presumibilmente originari?). La Kunstsprache (l’es. di Timoteo e della celicelwvnh). L’esempio del s per q in laconico: la lingua si muove con la storia.

22 La lingua di Omero? Il fantasma del testo di Omero: l’età prealessandrina e l’età alessandrina e postalessandrina. L’età prealessandrina: il sostrato eolico (ma tessalico e beotico, non lesbico) e le differenti spiegazioni degli eolismi omerici; il sostrato arcadico-cipriota; la fase ionica; l’edizione pisistratidea e l’atticizzazione (?); il metacarakthrismov~ ionico del 403 (l’esempio di EOS); edizioni kat’ a[ndra e kata; povlin. L’età alessandrina e postalessandrina: il lavoro degli Alessandrini (Zenodoto, Aristofane di Bisanzio) e le edizioni ‘selvagge’ dei papiri; Aristarco e la sua scuola; l’erudizione ellenistica (Aristonico e Didimo, Erodiano e Nicanore: il commento dei quattro); il Venetus A e la tradizione medioevale. Il problema degli arcaismi: il testo come risultato di un continuo compromesso tra le esigenze della tradizione e della metrica da un lato e della modernizzazione e dell’uditorio dall’altro. La fissazione del testo omerico risale a un’epoca in cui la pronuncia si era già differenziata rispetto a quella degli antichi aedi. Le differenze/oscillazioni (dovute al destinatario: Ioni, Eoli, ecc.) già nel testo antico.

23 Incoerenze omeriche L’azione del digamma (ü) ‘scoperto’ da Richard Bentley: a) i 350 casi in cui ü fa posizione nei tempi forti dell’esametro (ma non nei deboli). b) i migliaia di casi in cui ü evita lo iato. c) la consonante che si sta indebolendo (il passaggio da Omero a Esiodo). Il dativo plurale delle declinazioni tematiche: le forme antiche ‑oisi e ‑h/si e le forme recenti ‑oi~ e ‑h/~/‑ai~. Forme non contratte e forme contratte: a) il genitivo singolare: ‑oo e ‑ou/‑w. b) le contrazioni indebite (deivdoa ed hjova). c) il caso ei{w~ / e{w~ / h|o~, ei|o~, a\(ü)o~.

24 La palaia; ÆIav~: diacronia e sincronia
Le forme eoliche nelle iscrizioni ioniche di Chio, e le forme eoliche metricamente ‘protette’. Il passaggio di a a h. I duali in ‑a, i gen. in ‑ao e in ‑avwn, laov~ / nhov~. I nomi di Posidone e degli Ioni. Le forme dell’articolo plurale. Forme con nasali geminate e pronomi personali. Esiti di labiovelari. Desinenze di infiniti. I participi perfetti in ‑nt‑. Dativi plurali in ‑essi e aoristi in ‑ss‑. Le varie forme delle preposizioni (prov~, potiv, protiv). I nomina agentis: ‑twr/‑thr per i nomi semplici e ‑ta~/‑th~ per i composti (come in eolico). Il destinatario ionico e il sostrato eolico (le città ex eoliche dell’Asia Minore ionicizzata).

25 Una lingua letteraria e internazionale
L’uso incoerente e ‘versificatorio’ del duale (o[sse, ojfqalmov~). Il pubblico aristocratico (l’esempio di Tersite) e la corporazione internazionale degli aedi. I composti ‘letterarizzanti’ e termini peregrini (glw`ttai). Opera ‘aperta’, formularità, pensiero individuale e libero dei personaggi.

26 l’amore come forza che trasforma e deforma

27 L’amore che trasforma e deforma
Zeus-pioggia d’oro e Danae Zeus-aquila e Ganimede Zeus e Leda-cigno Pasifae, Europa e i tori Ermafrodito Tiresia voyeur accecato

28 attrazione fatale, desiderio
I nomi dell’amore e[ρως i{μερος πovθος attrazione fatale, desiderio φιλivα φιλovτης legame d’affetto ajγavπη affetto capace di dono

29 e[ρως-φιλivα vs ejπιθυμivα-hJδονhv
I nomi dell’amore e[ρως, i{μερος e πovθος: attrazione fatale. φιλivα e φιλovτης: legame. ajγavπη (bibl., ma ajγαπavω è già in Od. XXIII 214): affetto capace di dono. e[ρως-φιλivα vs ejπιθυμivα-hJδονhv

30 dio mostruoso o grazioso fisicità del sentimento
Gli dèi dell’amore Eρως/Amor forza cosmogonica forza arcana impulso del desiderio dio mostruoso o grazioso Afrodivth/Venus amplesso e piacere fisicità del sentimento Peiqwv/Suada Cavriteς, Αρμονivα persuasione amorosa bellezza e perfezione

31 Gli dèi dell’amore Eρως/Amor: forza arcana e cosmogoni-ca, impulso del desiderio verso la bellezza, dio mostruoso o efebo grazioso, arciere, didaskalos, apteros, nosos. Afrodivth/Venus: dea dell’amplesso e del piacere, fisicità del sentimento. Peiqwv/Suada: persuasione amorosa. Cavriteς, Αρμονivα: bellezza e perfezione.

32 L’amore... riscalda (Alcm. PMGF 59(a)) avviluppa (Archil. fr. 191 W.2)
brucia (Sapph. fr. 48,2 V.) scioglie (Alcm. PMGF 3,61, Bacchyl. 17,131) scuote (Sapph. fr. 47 V., Ibyc. PMGF 286,8) strema (Sapph. fr. 130,1 V.) stronca (Telest. PMG 805(a),5) soggioga (Archil fr. 196 W.2, Anacr. PMG 357,1) è dolce (Alcm. PMGF 59(a), Pind. P. 4,184, Sapph. fr. 130,2 V., che lo dice “invincibile animale dolceamaro”, γλυκuvπικρον ajμavχανον o[ρπετον), sfrontato (Ibyc. PMGF 286,11), insolente (Alcm. PMGF 58), invincibile (Sapph. fr. 130,2 V.)

33 deformazioni provvisorie e malattie mortali

34 Deformazioni provvisorie e malattie mortali
follia turbinosa potenza ambigua e ambivalente mescolanza di sguardi e di corpi strale e filtro velenoso droga alienante morbo che distrugge

35 Saffo, fr. 31 V. A me pare che sia uguale agli dèi / quell’uomo – chi sia – che di fronte a te / siede, e accanto, mentre sì dolcemente / parli, ti ascolta, / e sorridi e susciti desiderio, / ciò che mi sconvolge il cuore nel petto: / ché appena ti vedo, non mi è concesso / dire più nulla, / ma la lingua si è franta ed un sottile / fuoco tosto corre sotto la pelle, / con gli occhi non vedo nulla e rimbomba‑/no le mie orecchie, / e freddo sudore si effonde, e un tremito / tutta mi cattura, e sono più verde / dell’erba, e al morire poco lontana / paio a me stessa.

36 La malattia mortale Ibico, PMGF 286,6-13 “A me invece l’amore / in nessuna stagione mai s’acquieta; / e di folgore fiammeggiante / Borea che vien di Tracia, / slanciandosi impetuoso per impulso di Cipride, / con torride follie, tenebroso, impassibile, / con forza, totalmente, fa la guardia / al nostro cuore”. Catullo, Carme 85 odi et amo. quare id faciam, fortasse requiris. / nescio, sed fieri sentio et excrucior. Lucrezio, La natura IV , dove la malattia spinge a un’impossibile fusione reciproca gli amanti, che si mordono le labbra e stringono le membra gli uni contro gli altri, ed emettono vani liquidi verso l’oggetto della loro passione; IV , dove l’inganno fa apparire dee persino le donne più brutte: ed ecco la “semplicità” dell’“immonda creatura”, la nana “granello di sale”, la “tettona” che è Cerere, la “camusa” Silena, e così via.

37 Il carattere arcaico della lingua epica
La presenza intermittente dell’aumento, non rintracciabile in alcun testo di prosa. L’autonomia degli avverbi, non ancora preposizioni o preverbi. L’alternanza di ‑ss‑ con ‑s‑: tovsso~ e tovso~, mevsso~ e mevso~, (ej)kavlesa ed (ej)kavlessa. La scomparsa (non rivoluzionante) di alcune libertà e di alcune oscillazioni: la regolarizza-zione linguistica del greco post-epico.

38 L’invenzione dell’articolo
Il primo manifestarsi dell’individualità e del presente nella lirica greca arcaica: il mito come confronto, la sentenza e lo snodo tra particolare e universale, l’io e il sentimento, la mobilità dello spirito (B. Snell). La formazione (autoctona soltanto in Grecia) dei concetti scientifici e la lingua come espressione dello spirito e come mezzo di conoscenza: le premesse linguistiche della scienza e la selezione degli elementi linguistici necessari all’elaborazione teorica. La fissazione dell’universale in forma determinata e il processo di astrazione (nomi propri [l’individuale], nomi comuni [il generale: classificazione, generalizzazione e prima conoscenza], astratti [mere astrazioni senza plurale; ‘nomi mitici’-personificazioni e metafore: antropomorfizzare l’incorporeo]): l’invenzione dell’articolo e la sostantivizzazione dell’aggettivo e delle forme verbali. Funzioni dell’articolo: determinare l’immateriale, porlo come universale, determinare singolarmente l’universale (farne cioè un nome astratto, comune e proprio a un tempo). L’uso particolare, determinato (“questo qui”), dell’articolo omerico (ed esiodico): il valore dimostrativo e l’assenza degli articoli veri e propri; il valore oppositivo (“questi … quelli”); il valore anaforico (“Odisseo … lui”); il valore ‘connettivo-relativo’ (“e quelle …”); il valore prolettico; il valore dimostrativo-apposizionale (“quella, l’isola”); il valore individualizzante (“tutte quelle altre volte”); il valore enfatico (“questo tuo dono”). La prima comparsa della prosa e la presenza dell’articolo (a eccezione delle iscrizioni cipriote e di quelle panfilie, che lo presentano assai di rado): il valore determinativo; il valore di rinvio e riferimento; il valore di opposizione; l’interposizione e la creazione del gruppo del sostantivo; la sostantivazione di qualsiasi elemento della frase e l’algebra linguistica; «un processo privo di ogni valore affettivo ma comodo per l’esposizione delle idee, e di un’agilità e varietà che non hanno riscontro nella prosa di nessun’altra lingua indoeuropea» (A. Meillet).

39 Le lingue dei lirici I dativi plurali in ‑oi~, ‑ai~ (strum. ai. ‑aih, ir. ‑aiš. lit. ‑ais) e in ‑oisi, ‑aisi/‑hósi (loc. ‑su in indoiranico e baltoslavo): ‑oisi in ionico, ‑oi~ nei dialetti dorico-occidentali (eccezioni in argivo), ‑oisi (agg. e sost.) e ‑oi~ (art.) nel lesbico, le oscillazioni dell’attico e delle lingue letterarie (la tragedia, la commedia di Epicarmo, i poeti lirici). L’uso intermittente, arcaico (ábharat e bhárat) e omerico, dell’aumento: libero nella lirica corale e in quella eolica, costante (tranne omeriche eccezioni) in quella ionica. L’uso intermittente, ‘poetico’, dell’articolo (raro negli elegiaci, nella lirica monodica e corale, più frequente nel giambo e nella commedia, oltre che nella prosa). L’iperbato e l’ordo verborum artificiale.

40 I generi della lirica Il fondo ionico (kovt’, kw~, etc.) e gli epicismi dell’elegia: ionicismi (o atticismi: doriv?) non epici (la progressiva riduzione) ed epicismi non ionici (il progressivo incremento). L’epigramma dalla dialettizzazione alla maggiore letterarietà (fine IV sec.). Il verso popolare (con paralleli nel vedico) e lo ionico corrente (cólto, non parlato: la lingua delle iscrizioni) del giambo (forme contratte, crasi, declinazione ‘attica’, termini volgari, la riduzione degli epicismi non ionici). L’incomparabile lirica eolica (in mancanza di una prosa eolica e di una lirica corale epicorica; il limitato apporto delle iscrizioni: fonetica e morfologia, non lessico) e beotica (Corinna), i metri ‘innodici’ indoeuropei, il lessico e lo stile semplici; la lingua delle persone cólte contemporanee (tranne la rarità dell’articolo e delle forme contratte): eolico nei lesbici, ionico in Anacreonte, beotico in Corinna. La lirica corale: il ‘dorico’ di poeti non dorici; composizioni corali per feste religiose pubbliche e successiva laicizzazione; l’a, gli infiniti in ‑men, gen. in ‑a`n e dat. in ‑essi, la mancanza di aoristi in ‑xa e di ‘futuri dorici’, la rarità di ü (tranne che in Alcmane e in Pindaro: la confusione ü/g nei codici), l’alternanza suv/tuv, la presenza di a[n e ke(n), Mw`sa e Moi`sa, in gen. in ‑oio, kh`r > kevar, i composti e la lingua solenne.

41 Un desiderio raddoppiato è amore, e un amore raddoppiato diviene follia.
Prodico di Ceo, VS 84 B 7

42 Sofocle, Antigone Amore, invincibile in guerra, / Amore, tu che sugli armenti / ti abbatti, e sulle guance tenere / di una fanciulla fai veglia, / che vaghi al di sopra del mare, / nei campi e nei pascoli agresti: / nessuno mai degli immortali o / degli uomini figli di un giorno / a te può sfuggire. Chi tocchi, / è già preda della follia. / Tu pure le menti dei giusti / trascini e trasformi in ingiuste / perché li rovinino; tu / hai stretto il tuo sconvolgimento / su questa consanguinea lite. / È qui il desiderio che vince, / chiarissimo, frutto di sguardi / di una fidanzata promessa / di gioie amorose, e compagno / di leggi grandissime, antiche. / È un dio irresistibile quello / che qui si diverte: Afrodite.

43 Euripide, Ippolito Amore, Amore che sugli occhi a gocce / distilli la passione, e che nell’anima / dolce piacere infondi a chi tu assali, / non mi apparire mai col volto truce, / né mai senza misura. / Perché il dardo del fuoco o delle stelle / non sopravanza quello di Afrodite, / che con le proprie mani sa scoccare / Amor, figlio di Zeus.

44 omnia vincit amor, et nos cedamus amori.
Virgilio, Bucoliche 10,69

45 Il teatro: festa religiosa e laica
Le maschere da armamentario cultuale a istituto letterario e mezzo di rappresentazione. Lo scenario (il teatro di Dioniso), il pubblico (l’intera povli~) e la formalizzazione. La commistione di generi poetici non attici: il genere lirico religioso dorico e quello lirico narrativo ionico. Dalla lirica corale alla tragedia: il Coro, il canto ‘a solo’, il parlato-recitato (l’attività di Arione di Metimna a Corinto e l’origine dorico-corinzia?).

46 Commistione linguistica nella tragedia
I Cori: i metri e la lingua lirici, l’a, le ultime tracce del ‘sacro’ (le oscillazioni testuali e il problema della tradizione linguistica dei testi scenici). Il parlato giambo-trocaico, la lingua di Atene e gli ionismi letterarizzanti: la grammatica attica; a ed h attici; la sporadicità del duale; ss (non tt) e rs (non rr) e gli iperionismi (pursov~); forme ioniche letterarie (o[pwpa per eJovraka, douvrato~ e dorov~ per dovrato~, Qrh`/x, gh`qen). La volontà di distaccarsi dall’attico quotidiano e di ‘alzare il tono’: gli omerismi (forme non contratte, lunghe ei e ou per e e o, des. in ‑oio ed ‑essi, forme pronominali e articolo-relativo, diverse forme verbali, comp. ajreivwn e bevltero~, preposizioni, congiunzioni e particelle) e il gioco dei verbi composti (e dei preverbi ‘esaustivi’); la glossa in luogo del nome comune; meri ionismi; occidentalismi (nel Coro e nel dialogo: dal Coro al dialogo o da Corinto ad Atene? Metricismi, poetismi, tecnicismi, a originari); omerismi sporadici.

47 La cultura ‘di tipo ateniese’
La commistione stilizzata di tutte le espressioni letterarie precedenti. La lirica discorsiva e narrativa ionica e la lirica religiosa dorica. Il carattere interdialettale e tendenzialmente ‘imperialista’ della letteratura ateniese. La preparazione di una nuova lingua comune (che però sarà creata dalla filosofia, dalla scienza e dalla storiografia più che dalla poesia).

48 Il ‘dramma’ siciliano e la commedia
La misteriosa (l’assenza di opere intere fino a Teocrito e ad Archimede) ma influente (l’esempio delle monete del VI sec. a.C.) cultura siciliana e le origini doriche del dramma (dra`ma) La koine occidentale di tipo dorico: Epicarmo (il nome di un genere?) e Sofrone. I genitivi ejmevo~ e tevo~, üivsami (< üivsanti), deiknuvein (< deiknuvonti), pef&kein, pevposca, il dat. pl. in ‑essi, kavrrwn (per kreivsswn) Le differenze dall’attico, la lingua naturale e ‘parlata’, i composti parodici.

49 La commedia attica L’ateniese parlato e le differenze tra Aristofane e Menandro: i volgarismi. La grammatica attica (imperativi in ‑o e in ‑so, e[dosan ed e[dwkan, futuri dorici, e[mellon ed h[mellon, comparativi in ‑w e in ‑ona, plei`n h] …), i Cori e i composti paratragici, gli ‘stranieri’ parlanti nei dialetti locali (le lingue diverse ma comunicanti). La letteratura ateniese e panellenica.

50 L’amore è una follia ispirata da dio, ed è la migliore di tutte le follie e di tutti gli invasamenti. Platone, Fedro 249e, 265a-b

51 conservazione della specie, amicizie intime, pederastia ed educazione

52 Canti popolari, PMG 873 O fanciulli, voi che in sorte aveste Grazie e padri illustri / non negate al vostro fior di gioventù un rapporto nobile: / ché col valore, anche Eros, scioglimembra / nelle città dei Calcidesi sboccia.

53 dolci follie e strutture sociali

54 Pseudo-Demostene, 59,122 Per il piacere abbiamo le cortigiane [πovρναι ed eJταiραι], per la quotidiana cura del corpo le concubine [παλλακαiv], per darci figli legittimi e fare fidata guardia alla casa le mogli [a[λοχοι, δavμαρτες, γυναiκαι γαμεταiv ed ejγγυηταiv].

55 ajνwvνυμος è l’unione di una donna e di un uomo.
Aristotele, Politica 1253b 10

56 le molte facce di Amore nel Simposio platonico

57 Platone, Simposio 178c, 178e, 180d, 192e, 195a, 197c
Eros dio antichissimo e causa di beni grandissimi ... al punto che se vi fosse una città o un esercito di amanti e di amati, in nessun altro modo potrebbero meglio governare, tenendosi lontani da ogni nefandezza e gareggiando a vicenda nel farsi onore. Non c’è Afrodite senza Eros. Desiderio di congiungersi e con-fondersi con l’amato, e da due divenire uno: è questo ne è il motivo, perché questa era la nostra antica natura, quando eravamo interi; e il desiderio e la ricerca di interezza hanno il nome di amore. Eros è il più beato tra tutti gli dèi beati, essendo il più bello e il migliore. Pace tra gli uomini, sul mare quiete, / calma di venti che nel sonno posano, / in ogni affanno. Platone, Simposio 178c, 178e, 180d, 192e, 195a, 197c

58 Il racconto di Diotima amore, desiderio e mancanza del bello e del buono (199c-201c). démone intermedio (μεταξuv) fra bello e brutto, buono e cattivo, sapienza e ignoranza (“ed è dunque filosofo in quanto μεταξuv, intermedio tra sapiente e ignorante”, 204b). figlio di Poros, “Espediente”, e di Penia, “Povertà” (201d-204c).

59 Platone, Simposio 204b-c La natura del démone, caro Socrate, è questa; quanto a quello che tu credevi che Eros fosse, non te ne devi stupire: credevi infatti – mi pare, almeno a giudicare da quanto tu dici – che Eros fosse l’amato, e non l’amante, ed è per questo, credo, che ti appariva tutto bello.

60 L’amore che educa desiderio del Bene per sempre (205a-206a), e dunque di immortalità (207a-208b): per questo, nel corpo come nell’anima (208b-209e), è tendenza a procreare nel bello (206c-207a). la ‘scala dell’eros’: dall’amore per un corpo bello, all’amore per la bellezza che è in tutti i corpi belli (210a-b), e quindi alla bellezza delle anime, delle attività umane, delle leggi, delle conoscenze e della sapienza (210b-d), fino all’amore del bello in sé (210e-211b). partorire la virtù (211d-212a).

61 Platone, Simposio 206c-207a Ebbene – disse lei – lo spiegherò io stessa più chiaramente. Tutti gli uomini dunque – continuò – concepiscono sia nel corpo, sia nell’anima, e quando essi giungono all’età giusta, la nostra natura desidera generare. Tuttavia, generare nel brutto non può, mentre può nel bello. L’unione di un uomo e di una donna, del resto, è partorire. E proprio questa è la cosa divina, proprio questa è la porzione di immortalità che sta in un essere vivente, che pure è mortale: il concepimento e la generazione. Non è possibile che ciò avvenga in chi non è adatto, e il brutto è inadatto a qualsiasi forma di divino, mentre il bello è adatto. Dea del destino e del parto è dunque la Bellezza per quanto riguarda la generazione. Perciò quando ciò che è gravido si accosta a qualche cosa di bello, si rasserena e tutto contento si effonde, e partorisce, e genera; se quel qualcosa è brutto, invece, si fa scuro in volto, e addolorato si richiude, e si allontana, e si ripiega su se stesso, e non genera, ma trattiene il concepito e ne soffre. Per questo in chi è gravido ed è ormai tutto gonfio si ingenera tanta agitazione per il bello, perché esso può liberare da quell’enorme doglia chi ne è afflitto. E dunque, Socrate, l’amore non è amore del bello, come credi tu. E allora che cos’è? È amore della generazione e del parto nel bello. D’accordo, dissi io. Benissimo – riprese – ma perché proprio della generazione? Perché la generazione è sempre nascente e come immortale per un mortale, e da quanto abbiamo convenuto è necessario desiderare immortalità, oltre che bene, se davvero amore è sempre volontà di avere bene in sé. E quindi, in base a questo discorso, è necessario che l’amore sia anche amore di immortalità.

62 Platone, Simposio 211b-212a Quando poi, partendo di qui, attraverso un giusto rapporto pederotico, ci si eleva e si prende a contemplare quel bello in quanto tale, ecco che si sta quasi per toccare il termine. Questo infatti è il modo giusto di procedere, o di farsi condurre da qualcun altro, nelle questioni erotiche: si comincia dapprima da queste forme di bellezza e poi, in vista di quel bello in quanto tale, ci si innalza sempre, come salendo per una scala, da un unico corpo bello a due, e da due a tutti i corpi belli, e dai corpi belli alle belle attività, e dalle attività alle belle conoscenze, e dalle conoscenze sino a raggiungere infine quella conoscenza che non è conoscenza di nient’altro se non si quel bello in quanto tale, in modo da conoscere, alla fine, ciò che è bello in sé e per sé. Questo è il momento della vita, Socrate – disse la straniera di Mantinea – se mai se ne dia qualche altro, in cui un uomo vive davvero: quando, cioè, egli contempla il bello in sé. E se mai riuscirai a vederlo, non ti sembrerà paragonabile ad ori, vesti, bei fanciulli o ragazzi, alla vista dei quali ora resti colpito e saresti disposto – tu come molti altri – pur di contemplare l’amato e unirti costantemente a lui, a fare a meno di mangiare e bere, se mai fosse possibile, per contemplarlo solo e unirti a lui. Che cosa dovremmo pensare – continuò – se a qualcuno accadesse di vedere il bello in sé, puro, nitido, non frammisto, non pieno di carni mortali e di colori e di qualsiasi altra sciocchezza mortale, ed egli potesse al contrario contemplare il bello divino in sé, nella sua forma unica? Credi forse – soggiunse – che sarebbe meschina la vita di quell’uomo che guardasse là e lo contemplasse come si deve e si unisse a lui? Non credi invece – continuò – che là soltanto potrebbe accadergli, mentre guarda il bello come è visibile, di partorire non immagini di virtù, perché non è a un’immagine che si accosta, ma la verità, perché è al vero che si accosta, e, mentre genera e nutre la vera virtù, di divenire caro agli dèi, e immortale per giunta anche lui, se mai un altro uomo lo fu?

63 Un’invenzione ionica: la prosa
La poesia degli Eoli e la prosa degli Ioni: l’affrancamento dalla tradizione e dal sentimento e la riproduzione intellettuale e discorsiva di una realtà positiva. Gli Ioni alla guida culturale e spirituale della Grecia dall’età arcaica all’inizio di quella classica: i Greci yauna, l’influsso sull’architettura, sulle arti e sulla scienza orientale (persiana in primis). La koiné ionica e l’influenza dell’alfabeto ionico (l’es. di c), poi generalizzato (Atene 403, Beozia 370, ecc.), e della terminologia ionica. L’estrazione e la lingua ionica dei primi prosatori (Talete, Anassimandro, Anassimene; Eraclito; Ecateo), e quindi del genere in quanto tale (Erodoto e Tucidide; Ippocrate di Coo; Antioco di Siracusa, Ellanico di Lesbo); le poche tracce di una prosa dorica (dalle Dialexeis ad Archimede); le differenze stilistiche (maggiore o minore letterarietà), non linguistiche tra i gevnh della prosa.

64 La prosa ‘paraletteraria’: ai\noi, lovgoi, mu`qoi, leggi ed elenchi
L’Ai[swpo~ logopoiov~ e i riflessi poetici da Archiloco a Platone (Phaed. 60c, 61b). Genealogie, elenchi di vincitori (ad Olimpia dal 776 a.C.), liste di sacerdoti o governanti (gli efori a Sparta dal 757 a.C., gli arconti ad Atene dal 683 a.C.), leggi.

65 La prosa didascalica e narrativa: logografia, storiografia, scienza, filosofia
La lingua dei primi logografi tra pretese poetiche e koiné d’uso microasiatica. Epicismi, forme non contratte, ionismi arcaici, l’ingenuità e il gusto narrativo (l’esempio degli Iamata di Epidauro).

66 Erodoto, la filosofia, la medicina
La lingua semplice (scevra di glw`ttai), varia e ‘internazionale’ del viaggiatore di Alicarnasso. Arcaismi, forme non contratte, epicismi e atticismi: il peso della tradizione manoscritta e la stilizzazione letteraria. Le gnw`mai filosofiche tra retorica e poesia: Eraclito e Democrito. Ippocrate a[krato~: concisione e chiarezza.

67 La lingua ufficiale della dodecapoli e della giambografia: la prosa ‘orale’
Il carattere autoctono della prosa ionica e il rifiuto dei concetti tradizionali di origine orientale (ma si veda Eraclito): i fatti e la ragione. Gli scritti per la lettura (cf. Plat. Parm. 127c) e il carattere orale delle frasi (le ripetizioni, le pospositive, i parallelismi e la sottolineatura continua della struttura della frase). Dalle parole-forza alle parole-segno (es. di u{pno~, fuvsi~, ajnavgkh). Il pensiero discorsivo e razionale: l’isolamento e l’espressione distinta di ogni nozione (l’opposizione dei termini, l’articolo e l’aggettivo neutro, le formanti nominali ‑th~, ‑si~ e ‑ma e la razionalizzazione del linguaggio), agilità e precisione.

68 Atene e la retorica La sopravvivenza della lingua di cultura ionica.
La prosa fatta per l’azione: l’attico dall’arcaismo (il duale, i verbi atematici, lambavnw/lhvyomai, povli~, ‑tt‑ e ‑rr‑ o ‑ss‑ ed ‑rs‑) alla Kunstprosa. La retorica di importazione (Siracusa?): Gorgia di Leontini (le figure retoriche), Trasimaco di Calcedonia (il ritmo prosastico e i cola). Politologia e storiografia: la Costituzione degli Ateniesi e Tucidide. Lisia figlio di Cefalo (l’atticismo giudiziario); Antifonte e la differenza tra Tetralogie e discorsi giudiziari; Iperide e l’anticipo della koiné; Demostene e la prosa di tutta la Grecia.

69 Filosofia e retorica: Isocrate e Platone
La conversazione cólta di Platone: i poetismi, le etimologie popolari (vd. Cratilo), l’attico puro (il duale), parole usuali in significato generale (i neutri e l’articolo), l’algebra linguistica. La storia girovaga di Senofonte: l’attico impuro e l’annuncio della koiné (la rarità del duale, dorismi e ionismi, poetismi, coinismi). La lingua aulica e la grammatica attica di Isocrate. La koiné in Aristotele: l’attico che diventa greco comune e prosa del pensiero razionale (l’ordo verborum, le pospositive, gli elementi verbali e nominal-verbali, l’articolo dimostrativo, varietas e unità). La lingua dei vasai e delle tabellae defixionis: l’attico che non rimane. Il problema della tradizione manoscritta e l’emendazione (già antica) delle anomalie.

70 philia tra eguali o connubio di atomi

71 Non c’è amore senza sesso.
Plutarco, Amatorio 752a

72 Non c’è amore senza Dio. Plutarco, Amatorio 756e, 758c

73 Woody Allen, Amore e guerra
Il sesso senza amore è un’esperienza vuota, ma tra le esperienze vuote è una delle migliori. Woody Allen, Amore e guerra

74 un nuovo dibattito su Amore: l’Amatorius plutarcheo

75 L’Amatorius di Plutarco
una concezione dell’amore aggiornata alla sensibilità e alle problematiche di una società ormai abbondantemente secolarizzata (I sec. d.C.), anche rispetto agli istituti sociali ereditati dall’età arcaica e alle filosofie ‘integrali’ dell’età classica e postclassica. Ismenodora e Baccone: lo scandalo e il dibattito. Protogene stoico: non bisogna confondere il naturale bisogno di piacere che possono dare le donne – o l’istituto del matrimonio – con l’eros, che è invece quanto “si accosta a un’anima giovane e nobile e si realizza nella virtù attraverso l’amicizia” (750b-e) Dafneo: l’amore per le donne fa leva sulla natura, e può condurre alla φιλivα attraverso la grazia della reciprocità (751d). Plutarco: Eros è un medico e un salvatore, che ci riporta alla mente la realtà celeste da cui proveniamo – attraverso la bellezza dei corpi, specchio sensibile di realtà puramente spirituali – e ci guida alla “pianura della verità” (765a) se solo sappiamo depurare la passione dal suo elemento maniaco, come si fa con il fuoco, lasciando vivere nell’anima con temperanza e pudore “lo splendore e il calore della fiamma” (765c) e risvegliando così la traccia del divino (765b-d).

76 Plutarco, Amatorio 765b-d Quanti poi, con un ragionamento sensato e con pudore, tolgono all’eros il suo elemento folle, proprio come si fa con il fuoco, lasciano all’anima luce, insieme a un calore che non produce, come dice qualcuno, un movimento verso lo sperma o uno scivolamento di atomi sospinti dalla dolcezza e dall’eccitazione, ma piuttosto un’effusione mirabile e feconda, come in una pianta che germoglia e cresce, tale da aprire le vie della docilità e dell’amorevolezza; e non dovrà allora passare molto tempo perché, spingendosi oltre il corpo degli amati, penetrino all’interno e ne tocchino la personalità, che possono ora contemplare con occhi disvelati, e in parole e gesti entrino in una profonda comunione reciproca: sempre che abbiano conservato nei propri pensieri un ritaglio e un’immagine del bello in quanto tale. Se no, lasciano perdere e si volgono ad altri, come le api che si allontanano dai germogli, anche quando sono verdi e ben fioriti, se non hanno miele. Quando invece trovano una traccia del divino, una sua emanazione, una similarità festosa, pervasi dal piacere e dalla meraviglia la circondano di cure, godono della memoria, e si infiammano per quel bello che è veramente amabile, e beatificante, e caro a tutti, e da tutti prediletto.

77 Amore coniugale e pedagogia del matrimonio
il porto sicuro dell’amore coniugale (767d-e). platonismo temperato e personalizzato. la pedagogia del matrimonio: nella fatica dell’impegno quotidiano, nella pazienza e nella fedeltà, si trova quella “fusione di interi” (769f) che è il rapporto pieno tra due persone che si amano (769a-b, d-f).

78 Plutarco, Amatorio 767d-e A me pare che stergesthai [“essere amati”] e stergein [“amare”], che si distingue per una sola lettera da stegein [“custodire”], dimostrino già che la benevolenza si mescola a quella costrizione che il passare del tempo e la convivenza producono. Colui che Amore visita e ispira sulle prime avrà ancora il “mio” e il “non mio” della città platonica (Repubblica 462c) – perché non avviene così semplicemente che “comuni sian le cose degli amici”, <né degli amanti>, ma piuttosto di coloro che, ancor dotati di un’individualità corporale ben distinta, conducono e con-fondono a viva forza le loro anime, e non vogliono né ritengono di essere più due persone. Poi, un profondo rispetto reciproco, di cui il matrimonio ha enorme bisogno (e che viene dall’esterno e dalle leggi, più che da un atto volontario, e produce un legame forzato dalla vergogna e della paura, “frutto di molte redini e timoni” [Sofocle, frammento 869 Radt2]), è sempre alla portata degli amanti. Ma in Amore vi è tanto autocontrollo, e decoro, e fedeltà, che anche quand’esso tocchi un’anima intemperante, la allontana dagli altri amanti, ne fiacca l’ardire, ne spezza l’arroganza e la dissolutezza, vi infonde pudore, silenzio, calma, le conferisce un contegno decoroso, e la rende attenta a una sola persona.

79 Plutarco, Amatorio 769a-b, d-f
Ma con le donne, e soprattutto con le legittime spose, questi rapporti sono principio di amore profondo, come quando si inizia a prendere parte ai grandi sacri misteri. E se la parte del piacere è di breve durata, il rispetto, la gratitudine, l’affetto reciproco e il senso di fedeltà che ne germogliano giorno per giorno non permettono certo di bollare come pazzi i Delfi che definirono Afrodite “Unione”, né Omero, che chiama legame di amore questo tipo di unione fisica, e tesimoniano anzi come Solone sia stato un legislatore particolarmente accorto di questioni matrimoniali, allorché prescrive di unirsi alla propria consorte non meno di tre volte al mese, e non certo per dare sfogo al piacere, ma perché, come le città rinnovano periodicamente i reciproci trattati di pace, così anch’egli voleva che il matrimonio si rinnovasse, rispetto alle forme che di volta in volta finivano per sclerotizzarsi, tramite questa forma di affetto ... Nel matrimonio, del resto, amare è un bene maggiore dell’essere amato, perché in tal modo ci si tiene lontani da molti errori, e soprattutto da tutti quelli che finiscono per distruggere o per rovinare il matrimonio. E se qualcosa, sulle prime, può turbare o mordere, carissimo Zeusippo, non temerlo come se fosse davvero una ferita o un morso. E anche là dove vi fosse una ferita, non c’è nulla da temere nell’unirsi a una brava donna, ed è come nel caso di piante innestate: la lacerazione è anche principio di concepimento, mentre non vi è realmente unione tra chi non si è reciprocamente influenzato. La matematica sconvolge i fanciulli alle prime armi, la filosofia i giovani: ma questo senso di fastidio pungente non resta a lungo né presso costoro, né presso gli amanti. Come quando dei liquidi confluiscono l’uno nell’altro, anche Amore sembra da principio produrre una sorta di effervescenza e di sconvolgimento; poi, con il tempo, stabilizzandosi e purificandosi, presenta un saldissimo equilibrio. E questa, quella degli amanti, è quella che a buon diritto può essere definita fusione di interi.

80 L’anima di chi ama vive dentro quella dell’amato.
Catone, Dicta fr. 17 Cug.

81 una passione psicofisica dirompente e totalizzante

82 “Io sono per il mio amato e il mio amato è per me”. dodi li weani lo,
ani ledodi wedodi li, “Io sono per il mio amato e il mio amato è per me”. dodi li weani lo, “Il mio amato è per me e io sono per lui”. Cantico dei cantici 6,3 e 2,16

83 Il Cantico dei cantici sensualità, desiderio di unione, assoluto di Dio. dono e destinazione di sé, comunione totale e fusione delle identità. potenza impagabile e divina.

84 Cantico dei cantici 8,6s. ‘azza kammawet ’ahava…, “forte come la morte è l’amore, dura come l’inferno la passione; vampe di fuoco sono le sue vampe, sono fiamma di Dio. / Le grandi acque non possono estinguere l’amore, né travolgerlo i torrenti. Se un uomo desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, sarebbe certamente disprezza-to”.

85 La pornografia fa del pettegolezzo su un mistero.
Ennio Flaiano, Taccuino del marziano nr. 33 (in G. Ruozzi, Scrittori italiani di aforismi, II, Milano 19972, 1052)

86 L’unità di tre nozioni La lingua letteraria da Aristotele all’età moderna: la lingua di Polibio, di Strabone, di Plutarco; la lingua avversata dagli atticisti, ‘accademici della Crusca’ ante litteram. La lingua parlata, d’uso, dell’età di Alessandro Magno e dei secoli successivi: la testimonianza dei papiri documentari e di opere a finalità non principalmente letteraria come il Nuovo Testamento; l’evoluzione della lingua in rapporto ad Aufstieg und Niedergang dell’impero culturale greco; l’inevitabile varietas di ogni lingua parlata. La lingua ‘madre’ del greco medioevale e moderno, con la sua nuova differenziazione in parlate non corrispondenti in nulla agli antichi dialetti, e caratterizzate da una sostanziale unità di fondo. La codificazione ortografico-grammaticale e l’insegnamento scolastico da un lato, le varietà e ‘irregolarità’ fonetiche e di pronuncia dall’altro: la koiné come fluttuante insieme di tendenze (la progressiva e inarrestabile scomparsa del perfetto, dell’ottativo, del futuro, dell’infinito, dei casi). La norma ideale e le tendenze naturali, la tradizione e l’evoluzione, la fissità e il cambiamento.

87 Il quadro storico Commercianti, soldati, intellettuali dalle povlei~-stato alla cittadinanza ‘allentata’ dell’età ellenistica: la lingua locale dalla funzione politica di lingua della comunità a vernacolo per esteriori rivendicazioni di indipendenza. Le tappe di un’evoluzione storico-linguistica: le invasioni persiane, l’egemonia ateniese, l’egemonia macedone e l’impero di Alessandro Magno, l’impero romano. La minaccia persiana: dalla koiné ionica del VI sec. a.C. alla koiné ionico-attica ( a.C.); la resistenza contro i Persiani e l’egemonia di Atene e di Sparta L’impero culturale di Atene: il sistema giudiziario (dal 446 a.C.), le cleruchie, le arti e l’aristocrazia dello spirito (l’ininfluenza linguistica delle egemonie di Sparta e di Tebe). I Macedoni da Alessandro I ( ) ad Archelao ( ) e da Filippo ad Alessandro Magno, e la consacrazione dell’attico sotto l’impero macedone: il nuovo periodo di espansione (a differenza del V secolo) e l’affermarsi della cultura ellenistica (Alessandria, Pergamo, Antiochia). La soppressione delle peculiarità attiche e il formarsi di una lingua comune dalla Sicilia all’India, dall’Egitto al Mar Nero: la lingua urbana e ufficiale delle classi dirigenti e i patois locali (il declino delle koinaiv occidentali). Il carattere ‘impoetico’ della koinhv, lingua della scienza e della filosofia: il lessico intellettuale dell’Occidente (precisione e sfumature). I confini del greco: latino, aramaico, partico, arabo, armeno, slavo; influenze, prestiti, calchi.

88 Le fonti della koiné I testi documentari (lettere, conti, ecc.) e gli errori (ei/i, la pronuncia delle occlusive, a/e, gli errori dei forestieri). Papiri (Egitto ed Ercolano ante 79 d.C.) e iscrizioni: le differenti tipologie di errore. I testi letterari e gli inconvenienti della ‘tradizione’ (quella ‘a monte’: letterarizzante; quella ‘a valle’: analogista e/o innovatrice); i testi documentari come termometri della lingua d’uso nelle opere letterarie. I testi ‘paraletterari’: i Settanta e il Nuovo Testamento; il valore documentario dei testi biblici per lo studio della koiné e l’antichità della loro tradizione (il Vaticano e il Sinaitico del IV sec., l’Alessandrino del V sec.); il problema della paternità delle particolarità (gli autori o i copisti?). L’influenza del parlato sulla lingua ufficiale: l’esempio di oujdeiv~/oujqeiv~ e dei gruppi ‑tt‑/‑ss‑. Il testi letterari non arcaizzanti (Aristotele, Menandro, Polibio) e il greco moderno: l’evoluzione della lingua.

89 I caratteri della koiné
Da un ritmo quantitativo a un ritmo accentuativo (fenomeno indoeuropeo, cui si oppone in parte solo il lituano): l’ingresso dell’accento nella ritmica e l’affievolirsi delle distinzioni quantitative all’interno dello stesso timbro. La scomparsa di ü, y, s‑. La scomparsa del duale (Ar.: 37x duvo: 10x + dracmav~, 27x + duale; Men.: duvo + pl.) e la rianimazio-ne fittizia degli atticisti. La scomparsa dell’ottativo, doppione del congiuntivo (vd. sanscrito, persiano, latino, ecc.): il mantenimento del valore desiderativo, il progressivo arretramento di quello potenziale (la concorrenza del futuro: qualcuno potrebbe fare / farà forse), di quello irreale (la concorrenza del passato: facciamo come se tu fossi / che eri), di quello dipendente dai tempi storici (‘congiuntivo del passato’: la concorrenza del congiuntivo); «la perdita di un’eleganza da aristocratici» (Meillet). Il verbo dalla complicazione indoeuropea (le ‘anomalie’) all’uniformazione paradigmatica: i verbi atematici e le forme ‘irregolari’ ricondotti a una coniugazione ‘normale’; la debole e ambigua des. 3 pers. pl. ‑nt e il prevalere di ‑san. La riduzione delle forme nominali anomale, la riduzione dei comparativi, la progressiva scomparsa del medio, la rapida scomparsa del perfetto (la concorrenza dell’aoristo, nello sbiadirsi dei valori aspettuali), la scomparsa della flessione consonantica, lo sviluppo delle preposizioni (specie nei Settanta).

90 ordo amoris

91 Ebr. Nella casa del vino mi ha introdotta,
e il suo vessillo su di me è l’amore. LXX εἰσαγάγετέ με εἰς οἶκον τοῦ οἴνου, τάξατε ἐπ᾽ ἐμὲ ἀγάπην Vul introduxit me in cellam vinariam, ordinavit in me caritatem Cantico dei cantici 2,4

92 Agostino, La città di Dio XV 22
Così la bellezza dei corpi, indubbiamente creata da Dio, ma come un bene infimo, temporale e carnale, viene amata malamente, se vi si pospone Dio, che è bene eterno, eternamente interiore … e lo stesso vale per ogni creatura: pur buona in sé, può essere amata bene o malamente, e cioè bene se si mantiene un ordine, malamente se quell’ordine è stravolto. È quello che ho detto brevemente, in versi, in una lode del cero: ‘Queste cose son tue, e sono beni, perché buono sei tu, che le hai create; / e non c’è niente in esse che sia nostro, salvo il peccato, quando il nostro amore / trascura l’ordine e si dà ad amare / ciò che da te è creato, e non più te’. Se lo si ama autenticamente – cioè in prima persona, e non attraverso qualcos’altro al di fuori di lui – il Creatore non può essere amato malamente. E dunque anche l’amore con cui bene si ama ciò che deve essere amato, va amato ordinatamente, perché vi sia in noi quella virtù con cui bene si vive. Perciò mi sembra che una definizione breve e autentica della virtù sia ordo amoris.

93 L’ordinata dilectio appetitus, cupiditas, caritas
il filosofo cristiano della Città di Dio e l’appassionato amatore delle Confessioni, ormai redento dall’ordinato obiettivo della sua passione (X 6,8s.).

94 Agostino, Confessioni X 6,8s.
Hai colpito il mio cuore con la tua parola, e io ti ho amato. Ma anche il cielo e la terra, e tutte le cose che stanno in essi, ecco, da ogni parte mi dicono di amarti, e non cessano di ripeterlo a tutti, perché non abbiano scuse ... Ma che cosa amo, quando amo te? Non la bellezza del corpo o la venustà del tempo, non il fulgore della luce che è caro a questi miei occhi, non le dolci melodie di ogni sorta di canto e di modulazione, non il profumo soave dei fiori, dei profumi, degli aromi, non la manna e il miele, non corpi piacevoli e adatti per gli amplessi della carne: non è questo che amo, quando amo il mio Dio. E tuttavia è una specie di luce, di voce, di odore, di cibo, di amplesso, che io amo quando amo il mio Dio: luce, voce, odore, cibo, amplesso del mio uomo interiore, dove risplende, dinnanzi all’anima mia, ciò che un luogo non può contenere, dove risuona ciò che il tempo non può rapire, dove profuma ciò che la brezza non può disperdere, dove dischiude il suo sapore ciò che la voracità non può ottundere, e dove si congiunge in unità ciò che la sazietà carnale non può dividere. Questo è quello che amo, quando amo il mio Dio. E che cos’è, questo? L’ho chiesto alla terra, e mi ha detto: “io non sono”; e qualsiasi cosa vi fosse contenuta, mi ha fatto la stessa confessione. L’ho chiesto al mare, agli abissi, e a tutti gli esseri animati che si muovono, e mi hanno risposto: “non siamo noi il tuo Dio: cerca al di sopra di noi”. L’ho chiesto alle brezze mormoranti, e l’aria intera con i suoi abitanti mi ha detto: “Si sbaglia Anassimene, io non sono Dio”. L’ho chiesto al cielo, al sole, alla luna, alle stelle: “Nemmeno noi siamo il Dio che tu cerchi”, mi hanno risposto. Ho detto allora a tutti coloro che stanno intorno alle porte del mio corpo: “Mi dite, del mio Dio, che voi non siete. Ma ditemi qualcosa di lui”. Gridarono allora a gran voce: “È lui che ci ha creati”. La mia domanda era la mia attenzione, e la loro risposta la loro bellezza. Mi volsi allora a me stesso, e mi dissi: “E tu chi sei?”. E mi risposi: “Un uomo”.

95 La sintesi agostiniana
impulsi carnali e fede spirituale, inclinazioni del corpo e inclinazioni dell’anima, libertà umana e risposta obbediente al comandamento divino. l’amore per Dio. un Platone ‘battezzato’?

96 C’è un uomo seduto, all’alba, sulla riva del lago, di quel lago che sembra un mare, e pesce arrostito sul fuoco, e uno sparuto gruppo di pescatori stanchi e attoniti...

97 Vangelo di Giovanni 21,15-17 Quando ebbero fatto colazione, Gesù dice a Simon Pietro: “Simone di Giovanni, mi ami più di costoro?”. Gli dice: “Sì, Signore, tu sai che ti amo”. Gli dice: “Pasci i miei agnelli”. Gli dice di nuovo, una seconda volta: “Simone di Giovanni, mi ami?”. Gli dice: “Sì, Signore, tu sai che ti amo”. Gli dice: “Pascola le mie pecore”. Gli dice, una terza volta: “Simone di Giovanni, mi ami?”. Pietro rimase addolorato che gli avesse detto, la terza volta, “mi ami?”. E gli dice: “Signore, tu sai tutto, tu ti rendi conto che io ti amo”. Gli dice Gesù: “pasci le mie pecore”.

98 Vangelo di Giovanni 21,15-17 o{te ou\n hjrivsthsan levgei tw'/ Sivmwni Pevtrw/ oJ ÆIhsou'": Sivmwn ÆIwavnnou, ajgapa'/" me plevon touvtwn_ levgei aujtw'/: nai; kuvrie, su; oi\da" o{ti filw' se. levgei aujtw'/: bovske ta; ajrniva mou. levgei aujtw'/ pavlin deuvteron: Sivmwn ÆIwavnnou, ajgapa'/" me_ levgei aujtw'/: nai; kuvrie, su; oi\da" o{ti filw' se. levgei aujtw'/: poivmaine ta; provbatav mou. levgei aujtw'/ to; trivton: Sivmwn ÆIwavnnou, filei'" me_ ejluphvqh oJ Pevtro" o{ti ei\pen aujtw'/ to; trivton: filei'" me_ kai; levgei aujtw'/: kuvrie, pavnta su; oi\da", su; ginwvskei" o{ti filw' se. levgei aujtw'/ oJ ÆIhsou'": bovske ta; provbatav mou.

99 L’amore che si trasforma e si deforma

100 Apparso in forma umana … Lettera ai Filippesi 2,7s.
Tanto era sfigurato il suo aspetto per essere quello di un uomo. Isaia 52,14 Come un bimbo svezzato in braccio a sua madre Salmo 131,2 Tra pace e dolore

101 come riconoscersi amati
come amare come riconoscersi amati

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