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PASCOLI TRADUTTORE “Seuils” 29 novembre 2012 Magda Indiveri.

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Presentazione sul tema: "PASCOLI TRADUTTORE “Seuils” 29 novembre 2012 Magda Indiveri."— Transcript della presentazione:

1 PASCOLI TRADUTTORE “Seuils” 29 novembre 2012 Magda Indiveri

2 TRADUZIONE E/ E’ MODERNITA’

3 « Pascoli è stato il più grande traduttore di classici, e nessuno nel Novecento, a parte l'eccezione di Rosa Calzecchi Onesti, è riuscito a tradurre Omero come lui. La sua metrica neoclassica fu assai più originale di quella carducciana» (Pier Vincenzo Mengaldo, 2006 )

4 Pascoli è “poeta-filologo” (C. Garboli)

5 Le versioni epiche di Pascoli sono “un Omero alquanto rimbambinito” (Benedetto Croce, 1907)

6 «Ho eluso il metodo delle equivalenze metriche perché i risultati da esso conseguiti, se pure avvicinarono al battito delle arsi, al silenzio delle tesi, agli spazi delle cesure, alla norma tecnica, infine astratta, dell’antico testo poetico, non ci resero nel tempo stesso la evidenza delle parole costituite a verso» (Salvatore Quasimodo, Lirici Greci, 1940)

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8 Volgarizzamento del principio della Batracomiomachia, presentato al Carducci come terzo lavoro per la scuola di Magistero nell’anno scolastico 1880-1881 « Negli esametri della mia traduzione si conservano le theseis al loro posto.Che con ciò siano piuttosto un poco somiglianti che uguali a quegli antichi, è chiaro: noi non s’ha quantità, tale almeno da poterla misurare ».

9 IL RITMO, voilà! - Riprodurre non solo gli aspetti linguistici e stilistici ma anche (dove vi siano) ritmici e metrici – « sacrifizio di chiarezza ed eleganza » « non converto la metafora e l’immagine in linguaggio proprio e prosastico, ma la conservo e la spiego »

10 « …dare la cittadinanza italiana specialmente ai poemi epici dell’antichità; che non l’hanno, checché si dica, non l’hanno! L’endecasillabo è un bel verso, è il bellissimo dei versi, se si vuole; e io l’amo d’amore unico. Bene; ma a tradurre Omero e Virgilio, non serve. Non serve, perché quasi mai, e non senza storpiare o mutilare la frase e l’imagine e l’idea, l’endecasillabo del traduttore può contenere l’esametro dell’autore, e quindi diverse sono, nel traduttore e nell’autore, le clausole, cioè tutto” (Lettera a Chiarini)

11 Concetto di “recitazione conveniente”, una pronuncia “picchiata”, scandita dal battere delle mani per far sentire gli ictus (così ci si accorge anche dei versi nella prosa, ad es. “Quel ramo del lago di Como” è un novenario)

12 LA MIA SCUOLA DI GRAMMATICA Pisa 1903 « Il mio compito, sì, è modesto. Per vero, qual è egli? Quello del tradurre i classici delle due lingue…. Non sono a voi maestro di lettere, ma di lingua greca e latina. Invero questa cattedra che qui si intitola di grammatica, altrove si chiama di lingua….. Noi tradurremo. Noi eserciteremo lo scambio d’idee e d’imagini tra i due mirabili linguaggi classici che hanno dopo morte affinato la loro vita, servendo al mero pensiero, e il nostro che è ancora anima e corpo, e si travaglia nella mutabile esistenza. Io non farò che tradurre. Ma che è tradurre? Così domandava poco fa il più geniale dei filologi tedeschi; e rispondeva: “Il di fuori deve divenir nuovo; il di dentro restar com’è. Ogni buona traduzione è mutamento di veste. A dir più preciso, resta l’anima, muta il corpo; la vera traduzione è metempsicosi„. Non si poteva dir meglio; ma la tagliente definizione non recide i miei o i nostri dubbi. Mutar di veste (Travestie), in italiano può essere “travestimento„, e “travestire„ ha in italiano mala voce. Dunque intendiamoci: dobbiamo dare allo scrittore antico una veste nuova, non dobbiamo

13 travestirlo…Noi non abbiamo sempre e non abbiamo spesso la veste da offrire allo scrittore antico di prosa o di poesia: almeno non l’abbiamo lì pronta; almeno almeno non la sappiamo lì per lì scegliere. E poi, quanto a metempsicosi, è giusta (almeno per questo proposito del tradurre) la distinzione di corpo e d’anima? Non è giusta. Mutando corpo, si muta anche anima. Si tratta, dunque, non di conservare all’antico la sua anima in un corpo nuovo, ma di deformargliela meno che sia possibile; si tratta di scegliere per l’antico la veste nuova, che meno lo faccia parere diverso e anche ridicolo e goffo. Dobbiamo, insomma, osservare, traducendo, la stessa proporzione che è nel testo, del pensiero con la forma, dell’anima col corpo, del di dentro col di fuori. A ciò bisogna studiare e ingegnarsi: svecchiare, sovente, ciò che nella nostra lingua pareva morto; trovare, non di rado, qualche cosa che nella nostra letteratura non è ancora. Dico, noi, e dico, nella nostra: forse gli altri popoli non hanno bisogno di tanto lavorio. E sì: qualche volta a noi manca ciò che ad altri abbonda.

14 Di che io mi consolo tanto, perchè c’è ancora da fare, c’è ancora dell’avvenire avanti noi, c’è qualche tesoro da scoprire, qualche statua da dissotterrare, qualche gioia da godere. Per esempio, il verso sciolto del Caro e del Monti è troppo sciolto; cioè, pur non potendo con ogni singolo endecasillabo comprendere un esametro, non cura di comprenderne due con tre, sempre, metodicamente, monotonicamente, come mi par che dovrebbe? Ebbene proveremo noi; faremo noi le terzine o rimate o assonanti o libere. O proveremo a tradurre con l’esametro italico. Ma ci sembrerà, l’esametro Carducciano, troppo libero d’accenti? E noi c’ingegneremo di farlo tanto regolare, tanto sonoro, quanto almeno quelli del Voss e del Geibel. …le parole che credono necessarie o utili, non le derivano solitamente da lingue straniere o non le gettano in una forma inespressiva; ma o le prendono al popolo vivo, che è così buon fabbro, o le chiedono ai grandi morti, dei quali son vivi i pensieri e per ciò non sono ancor morte le parole: lampadine che possono essere raccese anche in un sepolcro, se esse hanno l’olio di vita. Peraltro, io distinguo. C’è traduzione e c’è interpretazione:..di chi vuol far gustare e di chi cerca soltanto di far capire…. Se vogliamo evocarli nella nostra lingua, essi, quando obbediscano, vogliono essere e parere quel che furono; e noi non solo non dobbiamo menomarli e imbruttirli, ma nemmeno (quel che spesso ci sognamo di fare) correggerli e imbellezzirli… Dunque studiate le res, e, s’intende, non trascurate le verba ».

15 A me pare simile a Dio quell’uomo, quale e’ sia, che in faccia ti siede, e fiso tutto in te, da presso t’ascolta, dolce- mente parlare, (strofe saffica)

16 Incipit Iliade L’ira, o Dea, tu canta del Peleìade Achille funebre, causa agli Achei già d’infiniti dolori: ch’anime molte d’eroi si gittò innanzi nell’Hade, mentre gli eroi lasciava che fossero preda de’ cani, mensa per gli uccellacci – di Giove era anche la voglia – sino d’allor che prima si separarono in lotta d’Atreo il figlio, signor delle genti, ed il nobile Achille.

17 Orazio Odi 1.11 Pensiamo a vivere Non cercare così – che non si può – quale a me, quale a te Sorte, o Candida, sia data da Dio; lascia di leggere Quelle cifre Caldee. Prenditi su quel che viene, e via! O che abbiamo più verni anche, oppur sia l’ultimo questo, che ora il mare tirreno urta ed infrange alle scogliere, tu spoglia il vino nel filtro, e, s’è breve la nostra via, lunga non la voler tu la speranza. Ecco, parliamo e un po’ questa vita fuggì. L’oggi lo sai: non il domani, oh! No. Tu ne quaesieris (scire nefas) quem mihi, quem tibi finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios temptaris numeros. Ut melius quidquid erit pati, seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam, quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare Tyrrhenum: sapias, vina liques et spatio brevi spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.

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19 Poetica della lingua morta (Gianfranco Contini 1955) dalla poesia Addio ! (Canti di Castelvecchio) ………………………… nella vostra lingua di gitane, una lingua che più non si sa. Commenta il critico : « Le rondini dunque parlano in una lingua morta. Quest’osservazione mi sembra estremamente significativa dell’aspirazione di Pascoli a operare in una lingua morta ; e in una lingua morta egli ha operato: egli ha operato in latino ». « questo problema ossessiona Pascoli, lo ossessiona esattamente come il problema della morte : il problema della morte delle parole lo angoscia quanto il problema della morte delle creature..»

20 « non è sempre anzi una lingua morta quella della poesia ? e cosa curiosa a dirsi: è essa una lingua morta che si usa a dare maggior vita al pensiero ! » (G. Pascoli) « Il pensiero vive della morte delle parole. Pensare, poetare significherebbero, in questa prospettiva, far esperienza della morte della parola, proferire (e resuscitare) le parole morte » (Giorgio Agamben ….)

21 UN POETA DI LINGUA MORTA « Egli mi avrebbe risposto: … Tu sai bene che non potrei usare un linguaggio che fosse inteso da tutti; perchè non esiste…. Io sento che poesia e religione sono una cosa, e che come la religione ha bisogno del raccoglimento e del mistero e del silenzio e delle parole che velano e perciò incupiscono il loro significato, delle parole, intendo, estranee all’uso presente, così ne ha bisogno la poesia: la quale, del resto, anche in volgare, non usò mai e non usa ancora nè la lingua nè i modi nè il ritmo abituali ».

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23 Lingue moderne G. Pascoli, incerto della lingua inglese, si affidava all’amico Gabriele Briganti (poeta bibliotecario lucchese cui dedicò per il matrimonio Il gelsomino notturno) per le sue traduzioni,dalle quali ricostruiva i versi come solo sapeva far lui che conosceva la produzione letteraria straniera.

24 “Conosceva intimamente la poesia di Wordsworth”. nel volume curato da Maria sono solo tre i testi tradotti dall’inglese – ma l’idea del fanciullino corrisponde a quelle dell’ode Intimation of immortality e da Tennyson “che sono io? un pargolo che piange nella notte..” (vedi “Il ciocco”) (Mario Praz, Cronache letterarie anglosassoni. Pascoli e l’inghilterra)

25 Siamo sette! - We are Seven di G. Wordsworth (1770-1850) - Trad. di G. Pascoli Vidi una cara contadinella, ch’aveva ott’anni, come mi disse, bionda, ricciuta, bella, assai bella con le due grandi pupille fisse. I met a little cottage Girl: She was eight years old, she said; Her hair was thick with many a curl That clustered round her head. Presso il cancello stava. Ed io : – Figlia, quanti tra bimbi siete, e bimbette? chiesi. Con atto di meraviglia ella rispose: – Quanti, noi? Sette. E dove sono? dì', se ti pare - le dissi; ed ella mi disse: – Ma… noi siamo sette : due sono in mare; altri due sono in città, altri due sono nel camposanto, il fratellino, la sorellina: in quella casa che c’è d’accanto, io sto, con mamma, loro vicina.-

26 Tu dici, o bimba: «Due sono in mare, altri due sono nella città» e siete sette. Questo, mi pare, è un conto, bimba mia, che non va. Sette tra bimbe – diceva in tanto e maschi, siamo. Due son qui presso in un cantuccio del camposanto: nel camposanto, sotto il cipresso. Ma tu ti muovi, tu corri: è vero? Tu canti, ruzzi, hai fame, hai sete: se que’ due sono nel cimitero, cara bambina, cinque voi siete. Verde – rispose – verde è il loro posto: lo può vedere, lì, se le preme: da casa un dieci passi discosto: stanno vicini, dormono insieme. vado a fare la calza, e spesso vado a far l’orlo delle pezzuole: mi siedo in terra, sotto il cipresso, con loro, e loro conto le fole. E spesso, quando la sera è bella, e quando l’aria è dolce e serena, io là mi porto la mia scodella, e là con loro fò la mia cena.

27 Ulysses Alfred Tennyson (1809-1892) It little profits that an idle king,/ By this still hearth, among these barren crags,/ match'd with an aged wife, I mete and dole Unequal laws unto a savage race,/That hoard and sleep, and feed, and know not me./ I cannot rest from travel: I will drink/ Life to the lees: All times I have enjoy'd Greatly, have suffer'd greatly, both with those/ That loved me, and alone; on shore, and when/ Thro' scudding drifts the rainy Hyades/ Vext the dim sea. (…)

28 Re neghittoso alla vampa del mio focolare tranquillo/ star, con antica consorte, tra sterili rocce, non giova:/ e misurare e pesare le leggi ineguali a selvaggia/ gente che ammucchia, che dorme, che mangia e che non mi conosce./ Starmi non posso dall'errar mio: vuo' bere la vita/ sino alla feccia. Per tutto il tempo ho molto gioito,/molto sofferto, e con quelli che in cuor mi amarono e solo;/tanto sull'arida terra, che quando tra rapidi nembi/ l'Iadi piovorne travagliano il mare velato di brume. (…)

29 Le Crapaud – V. Hugo (1802-1885) Que savons-nous ? Qui donc connaît le fond des choses ? Le couchant rayonnait dans les nuages roses C'était la fin d'un jour d'orage, et l'occident Changeait l'ondée en flamme en son brasier ardent; Près d'une ornière, au bord d'une flaque de pluie, Un crapaud regardait le ciel, bête éblouie; Grave, il songeait ; l'horreur contemplait la splendeur. Oh! pourquoi la souffrance et pourquoi la laideur ? (…)

30 Era un tramonto dopo il temporale. C'era a ponente un cumulo di cirri color di rosa. Presso la rotaia d'un'erbosa viottola, sull'orlo d'una pozza, era un rospo. Egli guardava il cielo intenerito dalla pioggia; e le foglie degli alberi bagnate parean tinte di porpora, e le pozze annugolate come madreperla. Nel dì che si velava, anche il fringuello velava il canto, e, dopo il bombir lungo del giorno nero, pace era nel cielo e nella terra.

31 « Il poeta non deve affannarsi a dir tutto, a dichiarar tutto, a spiegare tutto (…) ma lasciare che il lettore trovi da sé, dopo avergli messo innanzi quanto basta a capire »

32 Pascoli tradotto (…) e cadenzato dalla gora viene lo sciabordare delle lavandare con tonfi spessi e lunghe cantilene. and the rhytmic washing of the laudresses comes from the mailcourse With its thick splashes and long singsongs. (trad. P. G. Mazzarello)

33 « …e, senza lui, non solo non vedremmo tante cose a cui non badiamo per solito, ma non potremmo nemmeno pensarle e ridirle, perché egli è l'Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente » (Il fanciullino, III)


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