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Maurizio Migliori Uso e senso del passato in Platone.

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2 Maurizio Migliori Uso e senso del passato in Platone

3 Premessa. Come scrive Platone Non posso riprendere tutta la questione. Cfr. MM, Il disordine ordinato. La filosofia dialettica di Platone. I. Dialettica, metafisica e cosmologia; II. Dall’anima alla prassi etica e politica, Morcelliana, Brescia 2013, pp. 25- 190. Solo 165 pp. In sintesi Platone nel Fedro in primo luogo indica i dati necessari per parlare e scrivere in modo adeguato (258D), cioè: 1. conoscere la verità sul tema che si tratta (260D-E); 2. curare la forma costruendo il discorso come un intero ordinato fatto di parti (264B-C); 3. conoscere l’anima degli interlocutori (271A-272A), per decidere a chi dire e a chi no, e come dirlo, facendo un discorso semplice per anime semplici e complesso per quelle complesse (277C).

4 In secondo luogo pone un problema di fondo: Rimane solo da trattare l’opportunità e la non opportunità di scrivere, a che condizioni sia bello e a quali non sia opportuno farlo (Fedro, 274B6-7). Emergono così i limiti della scrittura (275A-276C): 1) non rafforza la memoria, ma la indebolisce; 2) serve al massimo per richiamare alla memoria di chi sa; 3) abitua ad affidarsi non ai dati interiori, ma a segni esterni; 4) non offre il vero sapere frutto di una scoperta personale; 5) non sa come difendersi, è incapace di rispondere alle domande e si limita a ripetere sempre la stessa cosa; 6) non è controllabile perché rotola nelle mani di chiunque e non sa quando parlare e quando tacere. In breve è uno strumento debole facilmente fraintendibile. Solo un ingenuo può pensare di tramandare o ricevere con questo strumento la vera conoscenza (275C; 277D).

5 Tuttavia Platone, consapevole dell’importanza di questo medium, non rinuncia allo scritto. Questo va considerato un fratello più debole di quello orale, cioè bisognoso di maggiori cure (276A). Per questo l’Autore (276C-D) inventa una forma di scrittura definita come un gioco. Chi ha la conoscenza del giusto, del bello e del buono sarà saggio: le sue idee non le scriverà seriamente ( spoudÍ ) nell’acqua nera, seminandole mediante la cannuccia con discorsi che non possono discorsivamente difendersi da soli e che non possono insegnare in modo adeguato il vero… Ma egli, a quanto pare, le seminerà nei giardini di scritture e le scriverà, quando scriva, per gioco ( paidi©j ) (Fedro 276C7-D2).

6 Tutti i testi scritti sono solo giochi. Certo, si tratta di giochi non futili, anzi molto belli (Fedro 276E) e utili; Platone giunge a dire che sono così importanti e impegnativi da potervi dedicare la vita (Fedro 276D) difficile che non abbia pensato a se stesso Infatti il gioco scritto è la caratteristica del filosofo, che è colui che ritiene che in un discorso scritto su qualunque argomento vi è necessariamente molta parte di gioco ( paidi£n … poll¾n ) e che non è mai stata scritta un’opera in versi o in prosa degna di molta serietà ( meg£lhj ¥xion spoudÁj ) (Fedro 277E5-8). L’affermazione è perentoria nel giudicare tutti gli scritti.

7 Dunque se uno ha composto queste opere conoscendo la verità ed essendo in grado di soccorrerle quando viene messo alla prova sulle cose che ha scritto, e se parlando è capace di dimostrare la debolezza degli scritti, costui non deve essere denominato con un qualche nome tratto da quelli, ma da ciò cui si è dedicato… Chiamarlo sapiente ( sofÒn ), Fedro, mi sembra eccessivo e adatto solo a una divinità, ma amante della sapienza ( filÒsofon ) o qualcosa di simile, sarebbe più adatto a lui e più moderato (Fedro, 278C4-D6). Il “filosofo che scrive” 1) conosce la verità; 2) è capace di 2.1. soccorrere lo scritto e 2.2. dimostrarne la debolezza parlando.

8 In sintesi, il filosofo è colui che scrive sui diversi temi 1) in negativo trattenendosi, cioè avendo sempre cose di maggior valore con cui soccorrere le più deboli affermazioni che affida alla scrittura, di cui conosce il limite; 2) in positivo proponendo stimoli, problemi, indicazioni incomplete, forti allusioni, insomma “giochi” che spingano il lettore a riflettere. Si tratta di una geniale applicazione allo scritto della movenza educativa che Platone ha appreso da Socrate La filosofia non si impara, ma si pratica il vero maestro non è quello che comunica soluzioni, ma quello che costringe l’allievo a fare filosofia, cioè a pensare. Lo scritto può farlo se fornisce allusioni e informazioni in funzione protrettica rispetto ai problemi che suscita e di cui non offre la soluzione ultima, lasciata alle capacità del lettore.

9 A questo si aggiunge un ulteriore dato Platone come vedremo ha una concezione della realtà come un disordine ordinato, un molteplice organizzato da un ordine sempre precario, una realtà complessa nel senso che oggi diamo a questo termine nella teoria dei sistemi. Se la realtà va così concepita è evidente la necessità di coglierla da diversi punti di vista, non di valore uguale, ma così capaci di darci il quadro il più articolato possibile di una realtà che risulta sempre uno-molteplice. Fortunatamente qui abbiamo un testo platonico che esplicita questo atteggiamento, nelle Leggi, (804B2-4). L’analisi svaluta totalmente gli esseri umani; burattini fatti dalla divinità per gioco o per qualche altra ragione, i quali partecipano di piccole parti della verità

10 La cosa viene subito chiarita: Non stupirti, Megillo, ma comprendimi: infatti ho detto quello che ora ho detto guardando la divinità e subendone l’influenza. Ma, se questo ti è caro, sia pure il nostro genere umano non privo di valore e degno di una certa attenzione (804B7-C1). La trattazione precedente è stata fatta assumendo come “punto di vista” la divinità, con la conseguente svalutazione della condizione umana. Si può esprimere un giudizio dal punto di vista del divino e un altro dal punto di vista dell’umano e i risultati sono ovviamente diversi e anche opposti. È uno dei tanti possibili esempi di quello che chiamo multifocal approach che Platone utilizza continuamente su tutti i terreni.

11 PRIMO FATTORE: Il senso “storico” La storiografia sta nascendo Con le Genealogie di Ecateo da Mileto (circa 550-476 a.C.) abbiamo un primo tentativo di razionalizzare la storia mitica Erodoto di Alicarnasso (circa 484-425 a.C.) si stacca dai racconti mitici, sospendendo però il giudizio: Io non starò a dire che le cose andarono così o altrimenti (I, 5). Tucidide (circa 460-395 a.C., cioè contemporaneo di Socrate) che sembra contrapporsi a questi suoi predecessori: egli racconta i fatti non informandosi dal primo capitato e nemmeno come sembra a me (I, 22). Con lui emerge una certa tendenza all’oggettività critica.

12 SECONDO FATTORE: Platone e “i fatti” Prendiamo l’Apologia di Socrate. Siamo su un terreno pericoloso: Platone non può mentire dicendo il falso su un processo di stato rischiando anche di screditare tutta l’operazione di difendere Socrate, tanto più che erano certamente ancora vivi molti testimoni; non a caso egli ci informa di essere stato presente, cosa significativa visto che Platone si cita solo qui (34A; 38B) e nel Fedone (per dire che non era presente). Se l’Autore ci tiene a farci sapere che è testimone dei fatti narrati, lo fa per indurci a pensare che non mente. Tuttavia il testo non dice affatto la nuda e pura verità.

13 L’accusa in Diogene Laerzio II, 40, 1-7: La dichiarazione giurata era così fatta (infatti si conserva ancora oggi nel Metroo, come dice Favorino): “Questo ha scritto e giurato Meleto, figlio di Meleto, del demo Pito, contro Socrate, figlio di Sofronisco, del demo Alopece: Socrate infrange la legge, in quanto non riconosce gli dèi che la Città riconosce, mentre introduce divinità diverse e nuove; infrange la legge anche corrompendo i giovani. Pena richiesta: morte. La formulazione dell’accusa è sostanzialmente identica in Senofonte, Memorabilia I, 1, 2-5, e Apologia 10. Quindi l’accusa era 1.di non rispettare gli dèi della città 2.[di conseguenza] di corrompere i giovani.

14 Nell’Apologia di Platone i termini sono gli stessi ma l’ordine è invertito; infatti, Socrate non cita l’esatta dizione: Dice all’incirca ( œcei dš pwj ) così: “Socrate infrange la legge corrompendo i giovani e non riconoscendo gli dèi in cui crede la Città, ma divinità diverse e nuove” (24B8-C1). Platone, che sa la verità; per ben due volte sottolinea il vero ordine dei fattori. Comunque, dicci, Meleto, in che modo affermi che io corrompo i giovani? O è già chiaro, in base all’accusa che hai scritto, che lo faccio insegnando a non riconoscere gli dèi che riconosce la Città ma divinità diverse e nuove? Non dici che li corrompo insegnando questo? (Apologia 26B2-6). La posizione di Socrate è inattaccabile, perché fa riferimento allo scritto di Meleto che l’accusava di non rispettare le divinità di Atene e di conseguenza di corrompere i giovani.

15 L’Eutifrone ripete la stessa movenza espositiva: prima Socrate ricorda l’accusa di rovinare i giovani (2C), poi Eutifrone gli chiede in che modo, a parere di Meleto, lui rovini i giovani Quindi Socrate ricorda l’accusa di inventare nuove divinità e dice che per questo è accusato (3A-B). Platone non mente né omette, ma invertendo l’ordine dei fattori dà rilevanza alla seconda accusa, il che gli consente nell’Apologia di rendere centrale il tema dell’educazione e di aggirare l’accusa concernente gli dèi. Questo è un tema filosoficamente decisivo, che Platone non può trattare liberamente in questa sede. Lo farà infatti subito dopo scrivendo l’Eutifrone. Quest’ultima mia spiegazione può non soddisfare, ma il gioco dell’inversione dell’accusa non può essere ignorato.

16 Secondo esempio: Il pagamento della multa. Ripartiamo dal testo di Diogene Laerzio II, 42. La scena è quella che segue la condanna. Il condannato aveva diritto di chiedere una pena alternativa; Socrate propose 25 dracme, poi, visto che i giudici tumultuavano, disse che meritava di essere mantenuto nel Pritaneo a pubbliche spese; di conseguenza, i giudici si indispettirono e ci furono 80 voti in più per la pena di morte, 360 contro 140. Non c’è nessuna ragione di dar particolare credito a Diogene, né per la successione degli eventi né per la cifra che nel suo stesso testo è incerta, tuttavia 1) il racconto non suscita problemi, in quanto presenta una sequenza logica e coerente; 2) la cifra proposta è ridicola e spiega le proteste dei giudici.

17 In Apologia 35E-36A Socrate affronta il tema chiedendosi che cosa sia meglio per lui, che cosa sia giusto: poiché la sua vita è stata dedicata al bene dei cittadini, merita di essere mantenuto dalla città più di un vincitore alle Olimpiadi. Io sono persuaso di non aver mai commesso volontariamente ingiustizia contro qualcuno, ma non riesco a persuadervi di questo (37A5-6). Essendo persuaso di non avere mai commesso ingiustizia contro qualcuno, sono ben lontano dal commettere ingiustizia contro me stesso e dall’affermare io stesso contro me stesso che merito una pena e dallo stabilire per me una qualche pena (37B2-5). Dovrei scegliere e stabilire qualcuno di quelli che so bene essere mali? (37B7-8). D’altra parte, io non mi adatto a giudicare me stesso meritevole di qualche pena (38A8-B1).

18 La posizione del filosofo risulta chiara e coerente: egli non può indicare una pena alternativa, perché commetterebbe un’ingiustizia e proprio contro se stesso: Il problema è che Platone deve parlare della pena alternativa, perché era stata proposta davvero nel processo infatti Socrate dice: se avessi ricchezze, avrei stabilito una multa che potessi pagare, in quanto non avrei subito alcun danno. Ma ora non posso, a meno che non vogliate stabilire una multa secondo quanto io possa pagare. Forse potrei pagarvi una mina d’argento. Dunque stabilisco questa cifra. Ma ci sono qui Platone, cittadini ateniesi, e Critone e Critobulo e Apollodoro, che mi chiedono di stabilire trenta mine, e se ne fanno garanti loro stessi. Stabilisco, dunque, tale cifra (38B1-8). A questo punto scoppia la protesta dei giudici.

19 Abbiamo due racconti diversi con buone ragioni per dare fiducia a Diogene e non a Platone. Soprattutto, Socrate è caduto in una patente contraddizione, in quanto la questione è stata posta in termini di principio: Socrate parla del fare o non fare una cosa ingiusta, per la prima volta e contro se stesso; da questo punto di vista non c’è scampo: alla fine commette ingiustizia contro se stesso. Platone ha invertito la sequenza degli avvenimenti, in modo da 1) non far parlare Socrate per effetto delle proteste dei giudici; 2) idealizzare ulteriormente la figura del maestro. Così lo porta ad una contraddizione inavvertita dai più Dunque Platone non mente ma narra i fatti organizzandoli rispetto ai suoi intenti. E può farlo perché essendo come tutti gli artisti un mago riesce quasi sempre a ottenere che i lettori nemmeno se ne accorgano, come nell’Apologia.

20 TERZO FATTORE: Platone e la filosofia precedente Prendiamo il famoso passo di Fedone 96A-102A: Socrate ricostruisce la genesi della sua filosofia. Poiché il culmine di questo processo è costituito dalle Idee e dal rinvio ai Principi, appare chiaro che Platone, nella figura dell’evoluzione del maestro, ha proposto la logica del suo percorso filosofico. Tale evoluzione è ritmata da alcuni passaggi che evidenziano 1) il tipo di ricerca che occorre fare; 2) le cose che a Platone interessano 3) che emergono dalla critica ai limiti delle posizioni precedenti. Si tratta di un procedimento che Aristotele renderà paradigmatico.

21 Il primo passo è costituito dall’interesse per l’indagine sulla natura (96A), una ricerca per sapere le cause ( t¦j a„t…aj ) di ciascuna cosa, ossia mediante che cosa ( di¦ t… ) ciascuna realtà si genera, mediante che cosa ( di¦ t… ) si corrompe e mediante che cosa ( di¦ t… ) esiste (96A9-10). 1) questa indagine riguarda la causa ( a„t…a, 96E7, 97A4, A7, B1) di processi riferiti all’abito biologico e fisico- astronomico; 2) La causa è indicata sempre con dià (96C7, C8, E2, E4, 97A1, B4, B5) che (cfr. Liddell Scott) ha un valore causale per esprimere l’occasione, mentre “hupo” ha il valore di causa agente, frequente con i verbi passivi. 3) si evidenzia che una soluzione interna alla sfera fisica non regge a verifiche logiche e appare del tutto inadeguata.

22 Il secondo passo è costituito dalla proposta di Anassagora: l’Intelligenza ordina e causa tutte le cose. Il testo sottolinea l’essere causa ( a„t…a, 97C2, C4) dell’Intelligenza ordinatrice ( `O diakosmîn, 97C2, kosmoànta, 97C4; kosme‹n, 97C4) e la possibilità di trovare la causa ( t¾n a„t…an ) di ciascuna cosa, ossia in che modo ( ÓpV ) ciascuna realtà si genera o perisce o è (97C6-7). 1) la struttura del mondo appare già binaria: il divenire (si genera o perisce) e l’essere; 2) abbiamo un Nous causa che ordina; 3) la ricerca si chiarisce come indagine sul modo con cui questi processi si realizzano; Prima e dopo questo testo, si aggiunge che l’Intelligenza deve disporre ciascuna realtà nel modo migliore ( ÓpV ¨n bšltista, 97C5-6; ÓpV bšltiston, 97C8); ciò comporta un rinvio necessario al Bene come causa.

23 Dunque, Platone ha messo in campo 1) Il Nous come causa (da Anassagora) 2) Il Bene come causa (come aspettativa) 3) altre cause (dià) che spiegano come i processi avvengono Il testo è molto insistente a ribadire la speranza di Socrate - sulla causa ( tÁj a„t…aj, 97D6) della realtà fisica: si citano forma e collocazione della terra, gli astri con i loro movimenti - sulla causa e la necessità ( t¾n a„t…an kaˆ t¾n ¢n£gkhn, 97E1-2) dei dati reali, cioè di poter affermare che sono il meglio ( ¥meinon, 97E2, E4) e di capire perché lo sono.

24 Platone ribadisce la duplice causalita (Nous e Bene), affermando gli sarebbe bastato capire esattamente in che modo ( pÍ pote ) per ciascuno è meglio sia agire sia patire quello che patisce. Infatti non avrei mai creduto che uno che sosteneva che queste cose erano state ordinate ( kekosmÁsqai ) dall’Intelligenza ( ØpÕ noà ), attribuisse loro una causa ( a„t…an ) diversa da questa, ossia che la cosa migliore ( bšltiston ) per loro era di essere così come sono. a tutte Dunque, credevo che egli, assegnando la causa a ciascuna delle cose e a tutte prese insieme, avrebbe esposto dettagliatamente la cosa migliore ( bšltiston ) per ciascuna di esse e il bene comune a tutte ( tÕ koinÕn... ¢gaqÒn ) (98A5- B3). Si noti che la causalità efficiente divina è indicata da upò.

25 Socrate legge Anassagora per scoprire l’ottimo e il pessimo ( tÕ bšltiston kaˆ tÕ ce‹ron, 98B5-6), ma resta deluso, perché Anassagora non fa alcun uso del Nous come causa ( a„t…aj, 98B9) per ordinare il mondo ( diakosme‹n, 98C1), ma mette in gioco solo le concause materiali. È come dire che Socrate fa tutto con intelligenza ( nù, 98C4), indicando poi come cause la struttura fisica o cose del genere. Questi fisici non sanno cogliere la vera causa ( ¢lhqîj a„t…-aj, 98E5) distinguendola dal mezzo senza il quale la causa non può operare (99B). L’errore consiste nel pensare che si agisce 1) mediante queste cose ( di¦ taàta, 99A8) e 2) con intelligenza ( nù, 99A8) 3) ma non per la scelta dell’ottimo ( toà belt…stou, 99B1).

26 Coerentemente con tale impostazione, questi fisici formulano ipotesi sul rapporto tra cielo e terra ma non cercano quel potere ( dÚnamin ) per il quale hanno avuto la migliore disposizione che così ora hanno, e non credono che abbia una forza divina, ma ritengono di poter trovare un Atlante più potente e più immortale ( ¢qanatèteron ) di questo, e più capace di tenere insieme tutte le realtà, e non credono affatto che il bene conveniente ( tÕ ¢gaqÕn kaˆ dšon ) le collega e le tiene insieme veramente (99C1-6). Siamo in presenza di filosofi materialisti 1) non credono che ci sia un potere di natura divina che ha disposto la realtà nel modo migliore; 2) ritengono che nella natura ci sia un principio unico capace di spiegare l’intero cosmo; 3) non ritengono che il Bene abbia la funzione di unificare la realtà.

27 Terzo passo: la “seconda navigazione” Visto questo fallimento, “Socrate” cambia strada, assumendo un atteggiamento euristico non rigido e quasi sperimentale: Comunque, mi sono avviato in questa direzione e, prendendo di volta in volta quel postulato ( Øpoqšmenoj ˜k£stote lÒgon ) che mi sembra più forte, giudico vere le cose che si accordano con esso, sia rispetto alle cause sia rispetto a tutte le altre cose, mentre giudico non vere quelle che non si accordano (100A3-7). Questa è la specie di causa che ha elaborato ( tÁj a„t…aj tÕ eidoj Ö pepragm£teumai … muovendo dal postulato ( Øpoqšmenoj ) che esista un bello in sé e per sé ( kalÕn aÙtÕ kaq ’ aØtÕ ) e un bene e un grande e così via (100B3-7).

28 Platone, avendo così delineato l’esistenza di due piani della realtà, sottolinea subito il problema del rapporto che questa duplicità impone, con una formula di rinvio che però quasi ostenta un certo disinteresse per la soluzione: a questo mi attengo, semplicemente, rozzamente e forse ingenuamente, che nient’altro fa essere bella una cosa, se non la presenza o la comunanza del bello in sé, o qualunque altro sia il modo con cui avvenga ( e‡te parous…a e‡te koinwn…a e‡te ÓpV d¾ kaˆ Ópwj prosgenomšnh ). Ora ( œti ) infatti non insisto su questo, ma sul fatto che tutte le cose belle sono belle per il bello (100D3-8).

29 Quarto passo: I Principi Platone ipotizza che la stessa aporeticità vista per il mondo fisico si manifesti in quello delle Idee. Vediamolo per segmenti Se poi qualcuno volesse discutere lo stesso postulato, lo lasceresti stare e non gli risponderesti prima di aver considerato se le conseguenze che da esso derivano concordano o non concordano fra di loro; Le obiezioni maggiori saranno presentate da Parmenide nel dialogo omonimo; il procedimento richiesto è quello dialettico che sarà esemplificato nella secondo parte di quel dialogo; quando poi dovessi darne ragione procederesti nello stesso modo, ponendo un ulteriore postulato, quello che ti sembra il migliore fra quelli più elevati fino a che tu non pervenga a qualcosa di adeguato ( ƒkanÕn ). Il procedimento è quello ascensivo proposto in Repubblica 510- 511 per raggiungere un Principio Primo Anipotetico.

30 E, se vuoi scoprire qualcosa degli esseri, non farai confusione, come gli antilogici ( ¢ntilogikoˆ ) che mettono in discussione, insieme, il principio e le conseguenze che da esso derivano (101D3-E3). Si tratta di un’indicazione metodica fondamentale per la dialettica che nel Fedone non c’è, implicita nel passo precedente: la verifica ha due movenze che vanno tenute separate - Il controllo delle conseguenze che non devono essere assurde o contraddittorie - la risalita ai fondamenti delle affermazioni proposte. La dialettica, qui richiesta ma non formulabile in questo contesto pre-dialettico, implica questo andare in su e in giù.

31 In sintesi l’orizzonte della filosofia platonica non è costituito dal solo mondo delle idee, ma da un intero a due dimensioni: 1) il mondo fisico della nostra esperienza che va spiegato 2) un’altra realtà che fonda l’esistenza della prima Questo è stato ottenuto con un intenso dialogo con i filosofi precedenti, che ha fatto emergere - dati tratti da altri pensatori (il Nous, le concause materiali) - dati esigiti da quelli precedenti (dato il Nous occorre il Bene; se la causalità fisica è insufficiente occorre un altro paradigma) - ipotesi ulteriori appena accennate come la necessità di dialettizzare/aporetizzare le Idee Sono dati che potremmo ulteriormente sviluppare con moltissimi altri esempi (Zenone, Parmenide, i pitagorici e le matematiche) ma non mi sembra il caso

32 QUARTO FATTORE. Platone e la sofistica A conferma del taglio dell’analisi del Fedone (dalla fisica alla metafisica) Platone non ha messo in campo i sofisti che sono tuttavia un passaggio fondamentale come mostra - la loro rilevantissima presenza nei dialoghi - Il fatto che tra la filosofia “presocratica” e Platone c’è un abisso e il ponte su questo abisso è costituito dalla sofistica. Platone lo sa e lo riconosce: egli critica ferocemente i cascami finali di questo movimento intellettuale (i Polo, i Callicle, i Trasimaco) ma ha rispetto per la sofistica e per i grandi sofisti, che pure discute e critica, ma di cui riconosce il ruolo inventivo, come ora vedremo.

33 Il primo merito dei sofisti è di aver impostato con forza il tema dell’insegnamento in contrasto con l’opinione della massa che ignora il problema. Infatti la contrapposizione sofisti-massa appare molte volte. Ad esempio, in Menone, 90E-95A il ruolo di nemico dei sofisti è svolto addirittura da Anito, che sembra entrare in scena quasi esclusivamente per condannarli; per di più, egli ammette di non conoscerli ed esalta gli onesti cittadini di Atene come maestri di virtù un giudizio che Socrate respinge totalmente, provocando la minacciosa irritazione del suo futuro accusatore.

34 Nel Protagora il sofista presenta il suo insegnamento come eubulia, assennatezza, negli affari privati e in quelli pubblici, cosa che Socrate interpreta come “arte politica”, che consiste nel forgiare buoni cittadini (318E-319A). Alla fine, (357D-E) si critica la massa, che dovrebbe riconoscere che la scienza è più forte dei piaceri, i quali vincono solo per colpa dell’ignoranza. Protagora, Ippia e Prodico dicono di poter curare tale malattia, mentre i più, non capendo il problema, non mandano i giovani dai sofisti, con effetti negativi nelle vicende private e pubbliche.

35 In Repubblica 492A-C Socrate si contrappone al giudizio dei più, che ritengono che i giovani siano corrotti dai sofisti, mentre sono proprio loro ad avere la responsabilità di quella (dis)educazione corruttrice, frutto del comportamento diffuso nelle assemblee o nei tribunali. Questo è ciò che preoccupa Platone. In un simile contesto, nessuno resiste alla pressione sociale.

36 Persino un soggetto dalle eccezionali capacità come Alcibiade, che pure scosso dalle parole di Socrate vorrebbe dedicarsi alla giustizia, corre dei rischi, come dice Socrate Vorrei che tu perseverassi, ma temo molto. Non che non abbia fiducia nelle tue doti naturali, ma, vedendo la forza della città, ho paura che saremo entrambi sopraffatti (Alcibiade I 135E6-7). Si tratta di un giudizio tanto benevolo nella forma quanto terribile in quanto è una profezia post factum, cioè dopo che Alcibiade è stato una delle cause della rovina di Atene.

37 Dunque i sofisti hanno ragione a porre il tema dell’educazione: sbagliano nelle risposte, ma ciò non deve impedire di cogliere l’elemento positivo della loro posizione. Il vero merito dei sofisti Questo aspetto dell’attività dei sofisti, che troveremo confermato da una delle definizioni del Sofista non è l’unico. I sofisti hanno dato dei contributi che spiegano l’atteggiamento rispettoso che Platone a volte manifesta, tra una presa in giro e l’altra.

38 Gorgia 1. Non è difficile mostrare quanto Platone abbia presente il Peri tou me ontos nelle argomentazioni del Parmenide. In effetti nell’opuscolo Gorgia utilizza la logica eleatica per conseguire risultati opposti a quelli sostenuti dagli Eleati Infatti nel Sofista lo Straniero di Elea deve riconoscere che già da tempo l’eleatismo è stato vinto nella confutazione del non essere (239 B). Difficile individuare un altro testo, oltre quello di Gorgia, in cui l'eleatismo stesso debba riconoscersi vinto sul suo terreno, appena dice “Il non essere non è”. 2. La struttura degli argomenti sul Non essere del Sofista (prima una riflessione ontologica, poi la trattazione specifica del discorso sul falso), ricorda l'analogo schema dell'opera gorgiana.

39 3) E soprattutto: La retorica: Platone afferma l’esistenza di due retoriche (Gorgia 502D-503A); una è la lusinga demagogica, mentre l’altra è bella, tesa a rendere buone le anime e a dire cose ottime, siano gradite o no agli ascoltatori Egli apprezza molto la prima, tanto che pone il retore come uno dei tre collaboratori diretti del vero politico (lo stratega, il giudice, il buon retore, Politico 304D-E). La seconda forma spiega perché nel Gorgia dica che sofistica e retorica o sono la stessa cosa o sono similissime (520A) Sono simili in quanto entrambe sono lusinghe, cioè tese al piacere ed hanno più o meno lo stesso oggetto (464C) Se invece sottolineiamo la differenza, dobbiamo dire che la sofistica è superiore alla retorica, in quanto indica regole e fini, mentre la retorica è strumentale

40 L’operazione teoretica è contro la visione “neutrale” della retorica, che deve solo “persuadere”, mentre per Platone la “vera retorica” deve veicolare il vero che riceve da “chi sa”. Si capisce ora l’atteggiamento ambivalente verso Gorgia 1.che Platone apprezza come padre della retorica Gorgia definisce (452D-453A) la retorica tecnica del dominio, una definizione che Platone sembra condividere (la troviamo confermata in Apologia 73C e in Filebo 58A-B). Nel Gorgia Socrate dice che è molto prossima alla realtà e che per completarla occorre solo aggiungere che riguarda il giusto e l’ingiusto, sia nei tribunali sia nelle assemblee (454A-B). 2. Tuttavia Gorgia è incapace di evitarne gli esiti negativi, pur essendo personalmente incolpevole. Gorgia ha il difetto di non dare un vero insegnamento della virtù (viene affermato sia nel Gorgia sia nel Menone, 95C; cfr. anche 70C-D; 76A), ma non è un immoralista.

41 Infatti nel Gorgia è lui che solleva il problema morale. Per il sofista non si può accusare il maestro se viene fatto un uso scorretto della retorica per fini immorali; va punito chi la utilizza così, non chi l’ha insegnata (456A-457C). Ma a conferma della sua personale rettitudine, Gorgia aggiunge che, se uno dei suoi allievi non sa nulla del giusto e dell’ingiusto, la imparerà da lui (460A) per il suo esempio. Tuttavia l’operazione non riesce: Platone lo mostra con la presenza di cattivi allievi (Polo e Callicle). In sintesi, se non si ha il concetto di virtù, ma solo un atteggiamento descrittivo-elencativo (come è nel caso del sofista) non si può evitare un uso negativo di uno strumento potente come la retorica Tuttavia Gorgia è “una brava persona” e Platone lo tratta con rispetto. Infatti

42 - Socrate precisa che domanda in funzione del ragionamento (453B-C; 454B-C), non per poca chiarezza di Gorgia; - Socrate ipotizza di non aver ben inteso il suo discorso (458E); - il sofista prima accetta di essere confutato (458B); - poi consente al suo allievo Polo di subentrargli e di criticarlo pesantemente, poi, di fronte all’emergere di un problema, reinterviene manifestando vero interesse per quanto Socrate sta dicendo sulla retorica (463D-464A) - quando attacca la retorica, Socrate esprime un’ulteriore cautela: non sa se la retorica di Gorgia sia questa pratica empirica volta al solo piacere di cui parla (462A-463A) - nel Filebo, 58 A-D, Protarco ricorda l’esaltazione gorgiana della retorica e Socrate non attacca quella posizione, ma concede al retore la superiorità della sua tecnica per l’utilità, mentre la dialettica è superiore per il vero e l’intelligenza.

43 Quanto a Protagora, non approfondisco perché è evidente che Platone lo considera il pensatore più interessante tra i sofisti, tanto che c’è tutto un dibattito sulla presenza protagorea nella Repubblica. Nel Protagora il sofista e Socrate discutono in modo molto intrecciato e addirittura Protagora fa una giusta lezione di logica al filosofo (350C-351B) che non reagisce (perché il sofista ha ragione). La questione di fondo, legata ad una lettura tutta gnoseologica dell’Homo mensura,viene trattata in modo approfondito nel Teeteto, tanto da affermare che bisogna andare oltre la lettera del suo testo. Ancora meno voglio perder tempo a mostrare quanti apprezzamenti positivi ci sono per Prodico di Ceo

44 La prova più evidente del riconoscimento della natura complessa e interessante del movimento sofistico Platone ce la fornisce ovviamente nel Sofista con varie operazioni 1. Platone sottolinea ripetutamente che quest’arte ha molte forme diverse (223C, 226A; 240C), il che spiega perché altrettanto ripetutamente sottolinea la difficoltà della “caccia” (218C-D; 231C, 236D, 241C, 261A) a questa figura che suscita meraviglia ( tÕn qaumastÕn, 225E4, 236D1). In sostanza non la si può liquidare con un giudizio sommario 2. La prime tre diairesi seguono uno schema identico, già esemplificato con il pescatore con la lenza, a partire dalla distinzione tra arte acquisitiva e arte produttiva La quarta (226B-231B) è completamente diversa: parte dall’arte del separare, tratta varie tematiche etiche e presenta una figura del tutto anomala.

45 Inoltre deve essere una posizione importante agli occhi di Platone: la diairesi è assai lunga e da sola copre lo spazio delle altre quattro; Quanto a questo sofista 1. Combatte la forma più pericolosa di ignoranza, quella di credere di sapere qualcosa senza saperlo (229C1-5); 2. Procede con il metodo confutatorio, cioè tramite domande pone l’interlocutore in contraddizione con se stesso (230B); 3. In questo modo si ha la purificazione del soggetto che può aprirsi a una ulteriore ricerca (230C-E). C’è una sola figura che corrisponde a queste caratteristiche: Socrate.

46 Infatti lo Straniero di Elea teme di dare alla sofistica un onore troppo grande attribuendo loro quest’arte purificatrice. C’è una somiglianza ma come quella tra lupo e cane, tra l’animale più selvaggio e quello più domestico. Occorre prestare attenzione a tali distinzioni, apparentemente sottili, perché le somiglianze ingannano (231A-B). Solo con queste cautele, lo Straniero accetta una tale figura di “sofista di nobile stirpe” (231B) Si tratta di un’operazione sofferta, ma Platone non ha potuto evitare di riconoscere onestamente che il suo maestro, con tutte le sue peculiarità, è tuttavia parte di quel movimento di pensiero che definiamo “sofistica”. Ma se Platone ha così indicato un preciso personaggio non è da escludere che abbia fatto qualcosa del genere anche per le precedenti diairesi.

47 In ogni caso qui c’è un problema ben più grave. La prima diairesi (221C-223B: il sofista è un cacciatore di giovani ricchi), la seconda diairesi (223C-224E: il sofista commerciante di conoscenze che riguardano l’anima), la terza diairesi (224A-226A: il sofista come erista) sono delle arti acquisitive, cioè che utilizzano realtà preesistenti. Si tratta di trovare la caratteristica che unifica queste diversissime figure. Alla fine si afferma con la quinta diairesi (264B-268D) che ciò che unifica i sofisti (con evidente eliminazione di Socrate) è che sono simulatori consapevoli. Il problema è che questa è un’arte produttiva, non acquisitiva. Il problema non può essere bypassato: in sé non ha senso dire che la spiegazione di arti acquisitive si trova in un’arte produttiva, cioè una che genera qualcosa che prima non c’era, che genera cose nuove (265B).

48 Non mi importa riproporre qui la mia soluzione Resta INEQUIVOCABILMENTE che per Platone i sofisti sono “inventori” di qualcosa di nuovo, di “utile”, fosse solo come momento negativo con cui si deve fare i conti. Ma c’è anche del positivo: nella sintesi finale Platone dice che questa sofistica imita la scienza che produce contraddizioni, espressione contorta in cui è però difficile non riconoscere la dialettica, cioè la filosofia stessa (268C). Ancora, non si deve dimenticare che si distingue l’imitazione accompagnata da scienza e quella con opinione (267 E 1-2). In sintesi, questi che pretendono di discutere su tutto (232E), cioè che possiedono un’arte apparente e non la verità (233C- D), un’arte mimetica che ne fa degli incantatori (234A-235A) rientrano nel dibattito filosofico cui hanno dato contributi. Come mostrano i dialoghi e tanti aspetti del pensiero platonico

49 QUINTO FATTORE La interpretazione “storico-teoretica” Com’è noto Platone per stanare il sofista si sente costretto a fare un’operazione molto delicata. C’è un maestro di Elea, esponente di una terza generazione di Eleati che, per quanto sappiamo, non è mai esistita. Egli prima di cominciare dice una cosa chiara Meglio che sarebbe chiara se lo scritto, come dice Platone, non fosse sempre esposto all’equivoco. Lo Straniero fa a Teeteto una preghiera molto particolare, chiede cioè di non pensare che io divenga una specie di parricida (241D3) Siamo di fronte a una preghiera e ad una negazione. Lo Straniero teme di essere preso per un parricida, negatore dell’eleatismo, e quindi prega di non fraintenderlo. Parole vane

50 Lo Straniero vuole salvare la filosofia e l’essere, cioè Parmenide, e l’unico modo per farlo è di forzare il non essere in qualche modo ad essere. Parmenide può essere salvato solo costringendolo ad ammettere una diversa visione dell’essere e del non essere. Senza questo passaggio non è possibile evitare la vittoria del sofista che nega l’esistenza del falso.. Non è un parricidio, ma un inveramento-superamento Allora, che cosa si può dire di me? Infatti già da tempo e ancora ora mi si può trovare sconfitto nella confutazione del non essere. Di conseguenza, come ho detto, non cerchiamo la giusta formulazione del non essere nel mio discorso, ma suvvia, cerchiamola ora nel tuo (239B1-5). La risposta non va cercata nell’eleatismo ma in qualcosa di diverso, che salvi l’ontologia e quindi l’eleatismo stesso.

51 Infine, lo Straniero presenta una ulteriore preghiera a Teeteto, cioè offre un ulteriore avvertimento al lettore: di non prenderlo per matto se sembrerà rovesciare le cose in su e in giù. In effetti la trattazione è di grande complessità perché è in gioco il concetto forse più elevato prodotto dal pensiero precedente, quello di essere. Questo richiede necessariamente un riesame complessivo. Bisogna ripartire da Parmenide e dai Presocratici, per metterli alla prova in quanto non fanno vere dimostrazioni In sintesi sono pre-sofisti mi sembra che ciascuno racconti una specie di mito, come se noi fossimo bambini (243C8-9). Segue un’esposizione molto polemica della molteplicità inconcludente delle diverse posizioni.

52 Tutti costoro vanno rispettati, ma bisogna anche sottolineare che loro non hanno avuto rispetto per i lettori, in quanto con superbia conducono a termine i loro ragionamenti ignorando la difficoltà di chiarire adeguatamente i concetti usati. Così lo Straniero, che pure da giovane credeva di aver compreso il discorso sul non essere, si trova ora in imbarazzo. Quindi è possibile che anche per l’essere ci sia un’analoga difficoltà, che per ora non si vede, mentre il problema concernente il non essere è chiaro (243 B-C).

53 La questione dell’essere si impone secondo una prima distinzione, quella tra monisti e pluralisti (244B) Prima però c’è una domanda apparentemente incongrua e fuori contesto. Lo Straniero chiede a coloro che sostengono un principio duale, come caldo e freddo, che cosa significhi per loro questo “essere”, con due esiti possibili 1. se l’essere è qualcosa d’altro oltre i due principi posti, il tutto risulta costituito da tre principi e non da due; abbiamo così una sorta di affermazione del pluralismo che annichila la posizione duale; 2. Se i due termini sono qualificati entrambi come “essere”, comunque sia, non possono essere detti due, ma uno solo, cioè torniamo ad una posizione puramente monista.

54 Naturalmente si può ignorare la stranezza di questa premessa che attacca, chissà perché, questo dualismo. Facciamo però un’ipotesi: che abbia ragione Reale (ed altri) a sostenere che nel Poema ci sia l’indicazione di una terza via per salvare i fenomeni: L’opinione degli esseri umani che tentano di spiegare il mondo della molteplicità e del divenire ponendo un principio duale tipo giorno-notte Hanno ragione di farlo a condizione che non li qualifichino come essere/non essere, ma solo come essere Se così è, l’argomento diviene direttamente anti- parmenideo e devastante perché comporta o il pluralismo o il monismo melissiano, cioè la totale condanna del mondo come pura illusione.

55 Comunque il centro è costituito da un forte attacco al monismo assoluto, che sostiene che esiste solo una cosa e che è essere (244B). La domanda, ovvia ma difficile per costoro, è se questo “Essere Uno” è una o due cose (244 C-D). Infatti: - è ridicolo porre due nomi diversi quando la cosa è una; - il nome stesso è qualcosa per cui nel momento stesso in cui si pone un nome le realtà divengono due; - non si può sostenere che il nome è identico alla cosa, in quanto allora o è nome di nulla o è solo nome di un nome. In sintesi appare impossibile ammettere un monismo assoluto e coerente. La possibilità di un Uno ineffabile non viene presa in considerazione perché non è storicamente data.

56 Segue un attacco non più interno alla visione storica dei monisti come il precedente ma con un taglio tipico della dialettica platonica, basato sul rapporto tra uno, intero, tutto e parti. Il fatto va sottolineato perché all’improvviso lo Straniero pone una domanda sullo holon: Diranno che l’intero è altro dall’essere uno ( tÕ Ólon ›teron toà Ôntoj ˜nÕj) o che è identico a questo? (244 D 14-15). In breve, i monisti sostengono questa identificazione che invece è impossibile poiché un intero implica parti mentre l’Uno in sé non può averne, cioè deve essere assolutamente semplice La cosa è è particolarmente evidente, poi, nel caso dello sfero di Parmenide (244 E - 245 A) che chiaramente ha parti. Dunque l’essere può essere sia un tutto ( p©n ) sia un intero ( Ólon ), quindi è uno, ma per partecipazione all’Uno, non in sé.

57 Se ne trae una conseguenza che costringe a ripensare tutta la questione in quanto la realtà appare intrinsecamente molteplice: Infatti, se l’essere che è affetto è in qualche modo uno, risulta essere non identico all’uno e il tutto ( t¦ p£nta ) sarà dunque più di uno (245B8-10). Dunque l’essere è sia uno sia molteplicità, per cui occorre porsi la domanda se sia o non sia un intero. Platone dimostra che l’essere deve essere un intero perché : 1. se l’essere non è intero e l’intero è, l’essere non è perché gli manca sé stesso, cioè l’intero che è (245C1-7). 2) il tutto viene ad essere più di uno, poiché l’essere e l’intero hanno ciascuno una natura propria separata (245C8-9)

58 3) Segue un terzo argomento (245C11-D2) che si collega al primo STRANIERO - Se poi l’intero assolutamente non è, queste stesse cose appartengono all’essere e questo, oltre a non essere, non potrà neppure diventare mai essere. TEETETO - Perché? STRANIERO - Ciò che diviene sempre è divenuto intero, cosicché chi non pone l’intero tra gli enti non deve considerare come ente né l’essere né la generazione. TEETETO - Sembra che sia proprio così. Se l’intero non è avremmo solo le realtà che appartengono all’essere senza nulla che le unifica e che permette di definire ente sia ciò che è, sia ciò che diviene. In sintesi, tolto il gioco intero-parti non c’è possibilità di una ontologia

59 Platone senza eplicitarlo sta facendo emergere da questa critica del monismo assoluto la sua posizione teoretica, che potremmo illustrare facendo riferimento al Filebo e al Timeo. A conferma, a questo punto l’analisi si ferma per una scelta fatta consapevolmente dall’Autore, Si afferma che ci sono mille altri problemi che riguardano sia la posizione pluralista sia quella monista, il lavoro non è affatto completo, non si sono passati in rassegna tutti coloro che parlano di essere e non essere ma quanto detto basta (245 E). Quindi sul piano storico si è trattato solo quello che era funzionale agli scopi teoretici che Platone voleva far emergere con i suoi “giochi”. E nella Gigantomachia (245A-249D) fa lo stesso, anzi peggio.

60 Lo Straniero afferma che bisogna procedere affrontando coloro che ragionano in modo diverso. In realtà NON è VERO, è Platone che modifica il punto di vista: non si considera più il numero dei principi messi in gioco, ma la loro natura. Comincia la Gigantomachia, nome che mostra che questa è per Platone una distinzione fondamentale per la filosofia Da una parte ci sono i materialisti, che identificano corpo ed essere, riconducendo l’essere a contatto e resistenza, Dall’altra coloro che sostengono l’esistenza di eide, forme intellegibili e incorporee Il che mostra che le Idee NON SONO UNA INVENZIONE DI PLATONE, MA SONO ANTERIORI (come conferma anche la più antica formulazione del Terzo uomo).

61 Il testo dice che coloro che pongono le Idee hanno una posizione più docile, mentre quella dei materialisti è più difficile, quasi impossibile, da afferrare. L’argomentazione dimostrerà il contrario. Quindi in un senso gli idealisti sono meglio, in un altro sono peggio. L’impostazione dei materialisti è rozza e bloccata, per cui può e deve essere resa migliore portandoli a ragionare, senza limitarsi a riaffermare che esiste solo quello si tocca. Platone, in sintesi, riconosce che la posizione che ora sarà discussa non è quella storicamente presente, ma una resa migliore in modo che sia possibile un confronto. Infatti conclude: Noi non ci occupiamo di costoro, ma cerchiamo la verità (246D8-9).

62 L’argomentazione: basta far ammettere loro che un qualsiasi ente è incorporeo per far cadere tale impostazione. Platone ribadisce che questa argomentazione vale solo per quei materialisti che sono diventati migliori, perché gli altri continuerebbero a ribadire che ciò che non si tiene con le mani è nulla (246E-247C). A questo punto, il ragionamento platonico ha una svolta improvvisa e, per certi aspetti, straordinaria. Lo Straniero sembra preoccupato per la situazione in cui egli stesso ha posto i materialisti “migliori”. Costoro, infatti, si trovano nell’impossibilità di definire la realtà con un termine comune al materiale e al non materiale, sono cioè in gravissima difficoltà. Per questo lo Straniero formula quella che sembra una proposta di aiuto fatta a loro, mentre alla fine risulta un’asserzione metafisicamente decisiva:

63 STRANIERO - … Forse si trovano in difficoltà. Nel caso che si trovino a subire una qualche situazione del genere, guarda se, su nostra proposta, arrivano ad accettare e a concedere che l’ente sia di questo tipo… Dico che qualsiasi cosa possegga una qualsiasi potenza, o che per natura sia predisposta a produrre ( poie‹n ) un’altra cosa qualunque, o a subire ( p£scein ) anche la più piccola azione da parte della realtà più insignificante, anche se solo per una volta, tutto ciò realmente è. Infatti, propongo una definizione: gli enti non sono altro che potenza ( dÚnamij ). TEETETO - Ma poiché essi non hanno, al momento, nulla migliore di questo da dire, accettano questa definizione. STRANIERO - Bene. Può darsi, infatti, che a noi come a loro possa apparire in seguito una cosa diversa. Per ora, dunque, rimanga convenuta tra noi e loro questa definizione. TEETETO - Rimane. (247D4-248A3)

64 Gli amici delle Idee (248A-250D) estremizzano la distinzione tra essere e divenire: le Idee sono il vero essere immateriale e stabile, mentre la realtà fisica è molteplice e diveniente, quindi non qualificabile come “essere”. Ma la loro posizione appare contraddittoria: STRANIERO - E dite che con il corpo, per mezzo della sensazione, noi comunichiamo con il divenire, mentre con l’anima, per mezzo del ragionamento, con l’essere reale, il quale voi dite che è sempre identico nello stesso modo, mentre il divenire è in ogni momento diverso… Ma, ottimi amici, che cosa dobbiamo dire che sia per voi questo “comunicare” in relazione ad entrambi i casi? Non è forse quello che abbiamo detto poco fa?... Dunque se l’anima raggiunge le Idee, essere reale, c’è un movimento anche a questo livello..

65 STRANIERO - Un subire o un fare, per mezzo di una determinata potenza ( p£qhma À po…hma ™k dun£meèj tinoj ), a partire da cose che si incontrano l’un con l’altra. Forse, Teeteto, tu non comprendi la loro risposta a queste domande, mentre io probabilmente sì, data la mia consuetudine con loro? TEETETO - Che discorso fanno, allora? STRANIERO - Non ci concedono quello che poco fa è stato detto sull’essere ai nati dalla terra. Dunque la posizione degli Amici delle idee porta naturalmente al riconoscimento dell’agire e del patire, quanto meno in quanto conoscere ed essere conosciuto, Tuttavia essi, a differenza dei materialisti, non cederanno e per questo Platone porta una serie di argomenti contro di loro su cui sorvoliamo (248A-249D).

66 Dunque mentre si riesce a confrontarsi con i materialisti (meno rozzi) e quindi a metterli in crisi, questo risulta più difficile con costoro con cui, date le premesse comuni, la discussione dovrebbe essere più facile; essi non vanno facilmente in crisi e quindi non accettano quella definizione che invece ammettevano i materialisti; la cosa più rilevante è però la formulazione stessa della definizione Quello che sembrava un aiuto necessario diventa qui una definizione adeguata che si vuole imporre ai dogmatici Amici delle Idee (definizione probabilmente MOLTO ironica) Gli enti sono potenza di agire o di patire. Il reale è per Platone: una dinamica, cioè una dialettica, non una statica ontologia.

67 In sintesi Platone qui dovendo salvare l’ontologia mette in chiaro i dati generali della sua filosofia in polemica con tutto il pensiero precedente I pluralisti moltiplicano in modo poco chiaro le loro posizioni I monisti affermano una posizione autocontraddittoria Il monismo assoluto è impossibile Senza l’intero non si da ontologia La realtà non è una pura ontologia, ma una dialettica basata sul gioco intero-parti e su agire e partire, come risulta esplicitamente chiarito in Filebo e Timeo Il successo del Sofista nasce dal fatto che il pensiero successivo sarà povero di dialettica ma ricco di ontologia Ma non è questa la posizione di Platone.

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