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Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria Dipartimento di Agraria Corso di Diritto dei mercati agroalimentari a.a. 2015/16 Docente titolare:

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1 Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria Dipartimento di Agraria Corso di Diritto dei mercati agroalimentari a.a. 2015/16 Docente titolare: Dott. Roberto Saija

2 Diritto dei mercati agroalimentari Lezione 03.05.2016 *** I segni di qualità

3 Diritto dei mercati agroalimentari Esiste una categoria unitaria racchiudibile sotto l'etichetta “segni di qualità”? La dottrina maggioritaria ritiene difficoltoso ricostruire e classificare i “tipi di segni di qualità” utilizzabili per contraddistinguere sul mercato i prodotti alimentari. La difficoltà del compito ricostruttivo si avverte sia a livello Europeo, sia a livello interno, anche per il fatto che molti Paesi (es. Italia) adottano strumenti a volte contrastanti col diritto UE. A livello internazionale l'Accordo TRIPS ha tentato -senza successo- di uniformare le protezioni assicurate ai segni di qualità. Qualche speranza potrebbe essere riposta nel recente Accordo (UE-Canada) denominato CETA (accordo economico e commerciale globale), nonché nel prossimo TTIP (Partenariato UE-USA sul commercio e gli investimenti. La difficltà di ricostruzione unitaria dei “segni di qualità” deriva dalla scarsa consistenza giuridica del concetto di qualità.

4 Diritto dei mercati agroalimentari “Segni di qualità” = segni che prevedono cogenti meccanismi di tutela - soprattutto preventiva- ed un efficiente apparato sanzionatorio per i contravventori, che siano in grado di garantire al consumatore che l'alimento sia effettivamente in possesso delle caratteristiche promesse o che egli può legittimamente attendersi per la natura del prodotto o per il suo aspetto esteriore. Esempio: se il consumatore compra “passata di pomodoro” si attende che il prodotto sia ottenuto dalla lavorazione del pomodoro fresco. Lo stesso per quanto riguarda i claims nutrizionali (esempio: “senza zuccheri”). Il consumatore ritiene che rientri nel concetto di “prodotto di qualità” quello che possiede le caratteristiche promesse o che è in grado di dargli i benefici effetti sulla salute che gli sono stati promessi. In questa logica svolge un ruolo strategico l'EFSA che valuta la fondatezza scientifica dei claims.

5 Diritto dei mercati agroalimentari Segni di qualità in senso lato : anche la “Denominazione dell'alimento” è un segno di qualità, benché non in senso stretto, in quanto si limita a comunicare al consumatore che il prodotto appartiene ad un determinato genere merceologico. La denominazione ed il claim - nutrizionale o salutistico- sono segni liberamente utilizzabili da tutti i produttori, obbligati solo a dire la verità o ad uniformarsi alle regole per un corretto uso dei claims, cioè a non attribuire al prodotto qualità che il prodotto non possiede. Segni di qualità in senso stretto : sono quelli che rientrano nell'ambito di tutela della cd. “proprietà intellettuale”.

6 Diritto dei mercati agroalimentari Segni di qualità in senso stretto: Segni di natura privatistica: Marchio individuale. La tutela del marchio individuale (ed in generale dei segni di natura privatistica) è interamente attribuita all'iniziativa dei titolari. Il marchio è un diritto di privativa su un nome (diritto di utilizzo del nome in via esclusiva). Il legame tra marchio e qualità dipende da una associazione mentale che il consumatore fa tra il prodotto e quel determinato marchio (Es.: Galbani vuol dire fiducia ). Il consumatore, in altri termini, considera il prodotto che reca quel determinato marchio un prodotto di qualità in base a proprie valutazioni pregresse, o in base alle operazioni di marketing e alla pubblicità che si avvale spesso di slogan che fanno leva sulla qualità del prodotto. Questo legame dipende spesso dall'abilità del titolare che si è saputo conquistare la fiducia di una cerchia di consumatori, attraendoli sul mercato. Per quanto riguarda questi segni, va precisato che l'idea di qualità rimane sullo sfondo. Purtroppo molte imprese agroalimentari (specie quelle di piccole dimensioni) non sono in grado di attrarre i consumatori attraverso le operazioni di marketing, a meno che, nonostante le dimesioni modeste, siano state -comunque- in grado di ottenere elevate redditività, tanto rendere celebre il marchio (es. Corvo di Salaparuta, marchio certamente in grado di attrarre i consumatori più della connessa indicazione geografica che lo caratterizza “Sicilia”).

7 Diritto dei mercati agroalimentari Segni di qualità in senso stretto: Segni di natura privatistica: Marchio collettivo. Il diritto di utilizzare il marchio collettivo è riconosciuto a singole imprese che s'impegnano a produrre seguendo regole prefissate ed al rispetto di determinati standard specificati in un documento predisposto dal titolare, cioè un discipinare chiamato “ regolamento di uso del marchio ”. Per poter utilizzare il marchio collettivo, è necessario essere preventivamente autorizzati dal titolare, normalmente un gruppo di produttori riuniti in Associazione o in Consorzio. Il marchio è detto collettivo poiché è il titolare che è un soggetto collettivo (associazione di imprese o, più di frequente, un consorzio). La disciplina di questo segno è contenuta nel c.p.i. (D. Lgs. n. 30/2005). Il marchio collettivo ha, quindi, una funzione distintiva. Esso garantisce l'utilizzo di certe regole e che il prodotto possiede determinate caratteristiche (origine, natura, qualità, processo produttivo). Ex art. 11, co. IV, c.p.i., in genere si utilizza una provenienza geografica come marchio collettivo, in deroga alla regola generale (art. 13, co. I, c.p.i.) che esclude, per i marchi d'impresa, i segni che non hanno carattere distintivo e in particolare quelli che servono a designare la provenienza geografica.

8 Diritto dei mercati agroalimentari Segni di qualità in senso stretto: Segni di natura privatistica: Marchio individuale e collettivo. Elementi comuni. In entrambi i casi: a) l'ordinamento comunitrio consente la registrazione di un marchio comunitario che, ex art. 66 reg. (CE) 207/2009 può consistere in segni o indicazioni che possono servire, nel commercio, a designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi; b) il legame tra marchio (individuale o collettivo) e qualità dell'alimento è solo eventuale e dipende dall'abilità commerciale dell'imprenditore, oppure ad una volontà collettiva codificata in un regolamento (o in un disciplinare) che definisce i parametri degli standard qualitativi considerati. In presenza del disciplnare, la tutela è effettiva in quanto sono effettivi i controlli che l'associazione o il consorzio effettua; c) la tutela ha carattere privatistico e dipende dalla reazione del titolare di fronte all'uso illegittimo, a meno che il contravventore non si renda autore di un illecito penale (frode in commercio o contraffazione) o amministrativo (etichettatura ingannevole o non conforme al regolamento).

9 Diritto dei mercati agroalimentari Segni di qualità in senso stretto: Segni di natura pubblicistica. In essi, a differenza di quelli di natura privatistica, la connesione dell'alimento a caratteristiche oggettive o all'immagine commerciale non è eventuale -o rimessa alla volontà del titolare del segno- ma è prevista dall'ordinamento come condizione per il riconoscimento ufficiale del segno ed è oggetto specifico della tutela giuridica. Il diritto protegge il collegamento tra il territorio ed il prodotto/processo produttivo. La tutela dei segni di natura pubblicistica inizia a livello nazionale, in Italia attraverso le DOC, prima di tutto nel settore vitivincolo, dove il legame col territorio è molto sentito, e poi anche per i prodotti alimentari (in prevalenza salumi e formaggi). Le protezioni nazionali, tuttavia, creavano ostacoli alla circolazione intracomunitaria dei prodotti, dando luogo a forme di restrizione quantitativa alle esportazioni, a causa delle difficoltà nel riconoscimento reciproco, tra i Paesi membri, delle protezioni rispettivamente accordate, a causa della dimensione nazionale della tutela. La Corte di Giustizia, con una sentenza del 1975 ( Sekt e Weinbrand ), riconobbe la legittimità di queste forme di protezione, nonostante fossero in grado di ostacolare il mercato unico, in quanto finalizzate a tutelare diritti di IP di creazione legislativa. Esse furono ritenute giustificate, a causa di un legame effettivo tra l'origine in un territorio e le caratteristiche apprezzate dal consumatore.

10 Diritto dei mercati agroalimentari Segni di qualità in senso stretto: Segni di natura pubblicistica. La Ccomunità intervenne per armonizzare la disciplina con il reg. 2081/1992 e ciò per il fatto che le prassi nazionali di elaborazione e attribuzione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche erano eterogenee, per cui si rendeva necessario un approccio di tipo comunitario che ne avrebbe certamente favorito la diffusione, in quanto avrebbe garantito maggiore uniformità ed eguali condizioni di concorrenza tra produttori di prodotti che beneficiano delle denominazioni, aumentandone la credibilità agli occhi dei consumatori (cfr. 7° cons.). Ciò in linea con la svolta che agli inizi degli anni '90 stava per riguardare la PAC che anziché indirizzarsi sugli incrementi di produttività, rivolgeva la propria attenzione verso i prodotti tradizionali e si preparava a premiare le produzioni di qualità, legate all'origine geografica. Ciò a condizione che la tradizonalità del prodotto o il collegamento col territorio di produzione fossero regolati da norme armonizzate nell'intera Comunità e garantite tramite controlli ufficiali.

11 Diritto dei mercati agroalimentari DOP e IGP L'attuale disciplina dei “segni di qualità” in ambito UE è oggi contenuta nel cd. “pacchetto qualità” 2012, reg. (UE) n. 1151/2012, sui regimi di qualità dei prodotti alimentari, che ha abrogato e sostituito il reg. (CE), n. 510/2006 che, a sua volta, aveva abrogato e sostituito il reg. (CEE) n. 2081/1992. Nonostante l'avvicendarsi di regolamenti, i concetti di DOP e IGP non sono mai cambiati nel corso dei 26 anni che sono passati dal primo regolamento comunitario. DOP: Nomi che identificano un prodotto originario di un luogo, regione o, eccezionalmente, di un Paese determinati, la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute principalmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico ed ai suoi intrinseci fattori naturali e umani, e le cui fasi di produzione si svolgono tutte nella “zona geografica delimitata” (cfr. art. 5, par. 1, lett. a) reg. 1151/2012); IGP: Nome che identifica un prodotto “originario” di un determinato luogo, regione o Paese, alla cui origine geografica sono essenzialmente attribuibili una data qualità, la reputazione o altre caratteristiche, la cui produzione si svolge per almeno una fase nella zona geografica delimitata (cfr. art. 5, par. 2).

12 Diritto dei mercati agroalimentari DOP e IGP: Differenze DOP e IGP si distinguono per la diversa intensità del legame del processo produttivo al terrotorio di origine e per una diversa quantità di caratteristiche ad esso collegate. DOP: le caratteristiche fondamentali del prodotto devono essere attribuibili esclusivamente o essenzialmente all'ambiente geografico; IGP: anche solo una caratteristica può essere attribuita all'origine geografica. DOP: le proprietà del prodotto derivanti dall'ambiente geografico, dal know-how diffuso nella zona, dal microclima, dalle materie prime, devono essere caratteristiche intrinseche (es., il gusto, il colore, l'aroma, il legame ad una tradizione, etc.). IGP: il legame col territorio può riguardare anche la semplice reputazione derivante, di solito, da una origine storica del prodotto da quella determinata area geografica. In questo caso il diritto europeo protegge la reputazione e soprattutto l'IGP per il suo valore economico come fonte di reddito per il produttore. DOP: tutte le fasi (produzione, trasformazione, elaborazione) devono svolgersi nella zona geografica delimitata; IGP: è sufficiente che una sola fase sia svolta entro la zona geografica, in modo da conferire qualcuna delle caratteristiche o da guadagnare al prodotto la sua specifica reputazione.

13 Diritto dei mercati agroalimentari DOP e IGP. *** L'art. 3, n. 6 e l'art. 6 reg. (UE) n. 1151/2012 vietano di registrare come DOP le denominazioni divenute generiche (o termini generici), cioè nomi di prodotti che pur riferendosi al luogo, alla regione o al Paese in cui il prodotto era originariamente ottenuto o commercializzato, sono diventati il nome comune di un prodotto.

14 Diritto dei mercati agroalimentari STG *** Le STG costituiscono un tertium genus accanto a DOP e IGP. Di questo segno, ex art. 18 reg. 1151/2012, possono fregiarsi i prodotti agricoli e alimentari ottenuti con un metodo di produzione, trasformazione o una composizione che corrispondono ad una pratica tradizionale e ottenuti da materie prime o ingredienti utilizzati tradizionalmente. Si tratta di prodotti specifici, tradizionali e conformi a disposizioni tradizionali o consacrati dall'uso. Anche in questo caso, come per DOP e IGP, la richiesta di registrazione può essere effettuata da un gruppo, cioè da un soggetto collettivo che deve allegare alla richiesta di registrazione un disciplinare che contiene le principali informazioni relative al prodotto e al metodo di produzione. Anche le STG soggiacciono al medesimo regime di controlli previsto per DOP e IGP.

15 Diritto dei mercati agroalimentari STG *** Insuccesso storico di questo segno (o clamoroso fiasco?): dal 1992 abbiamo in tutto circa 50 STG, a fronte di circa 1239 DOP. Causa dell'insuccesso : è la scarsa appetibilità di questo strumento per le associazioni di produttori, vista la natura ibrida del segno STG e delle caratteristiche poco chiare dei requisiti per la tutela, non così specifici da rendere conveniente affrontare i costi della procedura di riconoscimento. Carattere scarsamente distintivo del segno. Manca una privativa sull'uso del nome. Non si capisce, in altri termini, quale sia il valore aggiunto per il produttore che ottiene la STG. Caso italiano della “Pizza napoletana” : solo pochi produttori si avvalgono dell'STG, assoggettandosi così ai controlli, mentre molti producono una Pizza napoletana non-STG, senza essere costretti a seguire il disciplinare e senza essere assoggettati ai controlli. Entrambe le categorie possono usare la denominazione “Pizza napoletana” ma i produttori che non si avvalgono del marchio hanno minori oneri e soprattutto non sono assoggettati ai controlli. La tutela di questo segno è ancora debole e per questo le istituzioni comunitarie auspicano una protezione forte. La menzione STG non implica alcun legame col territorio, ma se un prodotto è STG ciò significa soltanto che l'alimento è stato prodotto secondo la ricetta originale recepita nel disciplinare. Tra i pochi casi di protezione rinforzata abbiamo lo Jamòn Serrano STG, nome registrato da produttori spagnoli per il tradizionale prosciutto della penisola iberica.

16 Diritto dei mercati agroalimentari STG *** Insuccesso storico di questo segno (o clamoroso fiasco?): Molti produttori alimentari hanno preferito creare e registrare marchi privati anziché avvalersi della protezione comunitaria offerta dal segno STG, ancora troppo sfuggente e poco efficace. I marchi privati, infatt, offrono, rispetto alle STG maggiori vantaggi commerciali. Il legislatore europeo addirittura dubita dell'opportunità di mantenere questo segno distintivo, a causa della mancanza della riserva dell'uso del nome ai produttori che aderiscono al disciplinare. Dopo il 2023 le STG registrate senza riserva d'uso del nome non godranno più di alcuna protenzione, salvo che non siano nel frattempo salvate da uno Stato membro su richiesta di un “gruppo” interessato. Gli artt. 23 e 24 del reg. (UE) n. 1151/2012 impediranno, a partire dal 2023, la circolazione di prodotti con lo stesso nome ma non conformi alla ricetta tradizionale trasfusa nel disciplinare.

17 Diritto dei mercati agroalimentari Controlli e sanzioni : Gli artt. 35-40 del reg. 1151/2012 affida i controlli e l'irrogazione delle sanzioni agli ordinamenti nazionali. In Italia chi viola le norme contenute nel regolamento è punito ai sensi del D. Lgs. 297/2004 che tuttavia fa ancora riferimento al reg. (CEE) 2081/1992 in mancanza di coordinamento da parte del legislatore italiano. E' necessaria una operazione interpretativa per individuare una corrispondenza tra i due regolamenti (1992 e 2012). L'attività di controllo viene svolta in Italia da Autorità pubbliche e da organismi privati autorizzati con decreto del Ministero delle politiche agricole (MIPAAF) che coordina le attività di controllo ed è responsabile della vigilanza su di esse. Il Ministero irroga una serie di sanzioni amministrative alle strutture di controllo che non adempiono ai compiti loro affidati e nei confronti dei Consorzi di tutela che non rispettino gli obblighi su di essi incombenti. Le autorità di controllo non sono deputate solo a reprimere le violazioni a DOP e IGP italiane ma anche di altri Paesi. Non così in Germania anche se oggi il reg. 1151/2012 impone ad ogni Paese di attivarsi contro ogni genere di violazione e per assicurare alla disciplina del regolamento ogni più ampio effetto utile proteggendo non solo i prodotti nazionali ma anche quelli di altri Paesi.

18 Diritto dei mercati agroalimentari La denominazione “Prodotti della momtagna”. *** La classificazione dei segni in due grandi categorie, in base alla natura privtistica o pubblicistica della tutela apprestata non riesce ad abbracciare i nuovi strumenti giuridici introdotti per far fronte alle esigenze del mercato. In Italia, la legge n. 97/1994 consentiva di aggiungere ai prodotti protetti con la DOP o l'IGP, l'indicazione “prodotto della montagna italiana”. Qualche anno dopo, nel 1997, la Corte di Giustizia depositò la nota sentenza Pistre, a proposito di una menzione francese apparentemente simile a quella italiana; il che fece sorgere dubbi sulla legittimità della norma italiana del 1994. La CGCE considerò l'espressione “montagna” troppo generica, in quanto manca un nesso diretto tra la qualità o le cartteristiche del prodotto e la sua origine geografica specifica, per cui la norma non interferisce con la disciplina comunitaria su DOP e IGP. La pecca della denominazione montagna, ad avviso della CGCE, dipedeva dal fatto che questa denominazione era riservata ai prodotti della montagna francese con materie prime francesi, impedendo così ai produttori di altri Stati dell'UE di utilizzare in etichetta l'espressione “montagna”. Oggi il reg. 1151/2012 consente agli SM di disciplinare con norme interne l'utilizzo della denominazione “prodotto di montagna”, purché conformememnte al diritto UE e nel rispetto degli specifici requisiti previsti. Questo segno è molto simile ai marchi collettivi aventi la funzione di distinguere il prodotto sulla sola base della sua origine geografica. Per questi segni, l'evocazione della qualità è una pura creazione del consumatore che lo percepisce, il quale associa pregi non ben specificati all'origine montana del prodotto.

19 Diritto dei mercati agroalimentari Marchi regionali *** I cd. “marchi regionali” sono segni riferiti, in genere, a particolari qualità del processo produttivo, in genere qualità ambientali. Esempi italiani: a) la Regione Toscana con l.r. 25/1999 = l’uso di esso è consentito a qualsiasi operatore che operi utilizzando il metodo della cd. “agricoltura integrata”. La peculiarità sta nel fatto che tale marchio non è riservato ai prodotti regionali; b) La Regione Emilia Romagna ne ha istituito uno con l.r. n. 28/1999, utilizzabile dai produttori che operano secondo il metodo di “produzione integrata rispettosa dell’ambiente e della salute”. Anch’esso non è riservato a prodotti regionali, ma se ne può avvalere qualsiasi produttore, purché operi nel rispetto del disciplinare stesso. Strumenti poco utili: i prodotti, benché ottenuti in regioni diverse, possono circolare in tutto il territorio nazionale e UE con quel marchio. Alla stessa logica rispondono anche alcuni marchi nazionali, come lo SQNPI (Sistema di Qualità Nazionale di Produzione Integrata), istituito con decreto del MIPAAF del maggio 2014. Ancora con il Piano Nazionale del 2015 per la promozione straordinaria del Made in Italy, si è istituito il segno distintivo unico “ The extraordinary Italian Taste ”. Questi segni sono difficilmente classificabili dal punto di vista giuridico. Non sono marchi tout court. Hanno elementi che sono propri dei marchi collettivi (es. sono aperti a tutte le imprese che possono usufruirne). Hanno natura prevalentemente pubblicistica in quanto sono istituiti con legge e le conseguenze della applicazione sono regolate dalla legge, è necessario un sistema di controlli ufficiali.

20 Diritto dei mercati agroalimentari DECO *** Le cd. Denominazioni Comunali (De.Co) non sono disciplinate in maniera specifica dalla legge. Sono istituite con provvedimenti dell’amministrazione comunale. Scopo: valorizzare le tradizioni produttive gastronomiche dei territori locali attraverso un’attestazione di provenienza del prodotto dalla specifica zona d’origine. Competenze dei Comuni: valorizzare le attività agroalimentari tradizionali presenti nelle diverse realtà territoriali, realizzando l’interesse dei Comuni stessi alla conservazione di prodotti che si identificano con gli usi e con le tradizioni locali e che fanno parte della cultura popolare (cfr. l. 142/1990, artt. 3, 8 e 13 d. lgs. N. 267/2000 (Testo Unico Enti Locali). Un progetto di legge presentato dall’ANCI nel 2000 auspicava l’istituzione in ogni Comune del Registro delle De.Co. In cui ciascun produttore sarebbe stato iscritto a seguito di un parere favorevole di apposite commissioni comunali di esperti e tecnici autonome e indipendenti. L’iscrizione avrebbe dovuto essere certificata, su richiesta dell’interessato, con le modalità previste dal regolamento di ciascun Comune, al quale sarebbe spettato il compito, se il disegno fosse diventato legge, di definire le condizioni da osservare per poter in etichetta il riferimento all’iscrizione nel registro dei prodotti tradizionali del Comune.

21 Diritto dei mercati agroalimentari DECO *** La De.Co. è un segno evocativo, nel consumatore, di determinate qualità territoriali. Il loro obiettivo è quello di far conoscere la micro-tradizionalità locale di un prodotto alimentare troppo confinato in un Comune, coinvolgendo l’interesse dei consumatori più attenti e sensibili verso il patrimonio gastronomico locale e la promozione di un territorio. Attraverso la valorizzazione, è possibile favorire la conservazione culturale di tali prodotti e del patrimonio di conoscenze che contengono. È arduo parlare di “segni di qualità”, poiché non sarebbero neppure dei segni in senso stretto, ma attestazioni notarili dell’esistenza di un prodotto su un dato territorio e della denominazione d’uso, senza il benché minimo riferimento alla qualità del prodotto stesso. Quasi una anteprima della DOP o IGP.

22 Diritto dei mercati agroalimentari Grazie per l'attenzione.


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