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1. 2 Prologo. Come non partire da qui da quel che di recente è successo e da quanto ancora deve succedere dall’urlo soffocato dall’orrore dal pianto che.

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2 2 Prologo. Come non partire da qui da quel che di recente è successo e da quanto ancora deve succedere dall’urlo soffocato dall’orrore dal pianto che ora non smette?

3 3 Il ricordo. Ricordo. Ogni momento ricordo quel che son stato pur sapendo che di quello molto è sfuggito acqua raccolta con mano e portata alla bocca, sete smorzata dal poco, dalla coscienza che di più non è dato, acqua raccolta di nuovo, nervosismo, impazienza, fretta che sia ciò che si vuole. Tanto da fare. Subito. Solo. Correre a valle prima che tutto sparisca nel buio che dalla collina s’avanza, man mano che il sole solo luce diventa e poi più, niente, più niente, solo notte fra i campi. Ricordo e ciò che ricordo sembra esser ciò che io sono io tocco, io consolo, io stringo tua moglie che piange la squadra sparita giù dal sentiero una voce che chiama il ruscello correre a valle prima che tutto sparisca anch’esso

4 4 e la mancanza di luce trasformi la scala in confusione di pietre. Corro. Volo. Giù dalle scale. Dietro la svolta. Dietro al cespuglio i compagni seduti in attesa ritrovo, saluto, rido, tocco, sono. Questo è importante? questo sono io? Mi definisce, scolpisce, tradisce, lascia passare la luce, non filtra, non nasconde, ma scopre me a me stesso, specchio che specchia immagine persa, profilo che il sole salendo pian piano rivela? Non credo. Solo un ricordo. Niente. Solo ricordo. Soltanto un ricordo. Come altri. Come altri ricordi. Tanti. Solo non tutti. Non tutti. Lo so.

5 5 Non tutti presenti, all’appello, piazzale, piazzale d’inverno, alza bandiera, inutilità evidente, rito del ricordo, risate d’assenza la sera. Solo non tutti. Non tutti. Ricordo correre giù dalla collina, giù, ancora giù, dalla collina scoscesa, strada che scoda, la chiesa e la curva del conte e, infine, giù, in fondo, alberi, alberi pieni, capelli ridenti, ragazze di fuori, ombre d’estate, corso Genova, casa.

6 6 Anita. E di là sono qua, in un battibaleno, senza muovermi, solo nel muover la testa, son qua a stringer la mano e cullarti cercando di ridare al tuo fiato ritmo costante onda che piano si calma al cessare del vento, scollina, scavalla, vede la valle, orizzonte, piano, si calma, contro la spalla, contro di me, contro la mia spalla, tra le mie braccia, coperta calda dopo il disastro, latte la nonna la sera preghiera notturna silente nessuna scelta davvero solo calmarci nella centrifuga inavvertita della rotazione terrestre calmarci giro di balle, urlo, bestemmia, calmarci alla fine lascia lo straccio bagnato per terra.

7 7 Ti calmi e mi guardi spaurita. Alberi cadono tutto d’intorno e il loro rumore assordante copre i nostri passi leggeri. Usciamo.

8 8 Il presente. Passeggiare sulla spiaggia d’inverno godendo d’un sole che i foresti non sanno, prima che la pioggia d’aprile raffreddi la sabbia ed imponga di nuovo maglie dismesse. Passeggiare e non pensare quando il pranzo finisce e il ritmo leggero dei passi ritrova la forza per posare la tela e generare giardini che ancora non so. Dimenticare e ricordare è un tutt’uno di rossi e di bruni salire e scendere, sfregio del tempo. Il presente, il nostro presente è la somiglianza con Dio, ciò che di lui più intimamente godiamo, ciò che a lui ed in lui ci rende figli, fratelli, sodali, unica Sua qualità che possiamo imparare.

9 9 Leivi. Il presente? Qui? Ora? Questo sono io? Adesso? Swann geloso che torna, Pierre che discute, Anna che piange, Zeno, Zeno che entra in casa Malfenti e senza sapere (o sapendo) dà ragione a Leone che serioso ci insegna cos’è la felicità domestica? Questo sono io? Adesso? Io che appaio di sopra alle scale ed invito te, Diego, a salire? Di sopra Leivi c’appare terra e terra, colline e colline, bianche case nascoste, strada di sopra, strada di sotto, nascosta, nascoste, lassù, negli ulivi che ora scendono a valle, grigio nel grigio, foglie alle foglie, dio vero da dio vero, argento schiaffeggiato dal vento.

10 10 Diego. Diego, Diego, Diego, non verrò al tuo funerale, non verrò a vederti morto non verrò a piangere un corpo Non verrò. Rimarrò a casa quel giorno, quando sarà. Rimarrò a casa a cercarti e trovarti ovunque nella memoria e sopra, sotto, davanti, dietro, davanti ad ogni cosa, ad ogni cosa, studi, risate, donne, cazzate, calcio, figli, amici, parenti, libri, dischi, film, feste, viaggi, macchine, case, mobili, telefoni, lavoro, soldi, funerali, matrimoni, fidanzamenti, perché, perché quando tu sei nato, io sono nato, tu con me ed io con te, prima che tu fossi, io non ero, insieme siamo nati e cresciuti, diventati dei fra gli dei, uomini fra gli uomini, amici fra amici. Non verrò. Che senso avrebbe accompagnarti dove non posso venire?

11 11. Che senso avrebbe piangere insieme ad altri quando posso farlo da solo? Che senso avrebbe riempire di urla un silenzio destinato a durare nel tempo, prima, un attimo prima che tu te ne andassi e dopo, durante, sempre? Non ha senso, non lo avrebbe. Non verrò.

12 12 Pregare. Morti per ora non siamo e’l dirlo è paradosso cristiano, noi peccatori, noi lontani da Dio noi ch’ogni notte invochiamo quella parola che se detta (quando? come?) (un urlo? uno schianto?) poi salva salverebbe sono certo ed ogni notte chiediamo cosa costi una parola, una sola parola, un soffio, un pensiero che sciolga la sabbia del cancro e sleghi la corda che inciampa, che tiene. Cosa costa una parola? Cosa? Nulla. a noi.

13 13 Le parole di Dio. Ma le parole di Dio sono pesanti se dette sono dette, una volta, per sempre, sono sempre presenti eco infinito suono e significato perenne, che in noi trova l’ostacolo per continuare il rimbalzo. Noi siamo ciò che rifrange l’onda di Dio, siamo la spiaggia su cui scivola lento ritraendo e sporgendo il capo come adulto che gioca col bimbo che sempre sorride al Suo breve mostrarsi.

14 14 Il sussurro di Dio. Oppure lui tutto sussurra ogni giorno ogni notte e nella litania che ripete in ogni momento sta il nostro respiro cosicché la morte non è che un colpo di tosse un breve improvviso sospiro che interrompe l’anello dei nomi? Immagino il sussurro di Dio, quello in cui tutti noi siamo, sentirne il continuo ripetersi, fino alla piccola pausa, inavvertita spesso, che è la morte degli altri, che è il nostro silenzio. Foto di vecchie sedute in cucina, indiane, mia bisnonna, l’indiana, con i capelli legati, snocciolando piselli o svolgendo la lana muovon le labbra, fanno un rumore, lontano, come motore di frigo. Eppure Lui tutto sussurra ascoltare.

15 15 Il futuro. Del futuro non parlo. Non esiste un futuro. E quando il cane ti morde l’avverti, lo sai, lo tocchi, quanto questo sia vero, quanto il futuro sia un gioco inventato per farci giocare per non farci pensare a ciò che accade davvero a questo presente in cui solo viviamo a quanto il male s’avanzi e il buio sia sopra di noi.

16 16 Stasera. Esiste solo il presente e la certezza di ciò che accadrà non rende il presente meno fascinoso e stanco. Prima o dopo? Il presente siamo noi che stasera parliamo siamo noi che ancora insieme si parla, ricordando, sapendo in ogni momento quel che accadrà. Silenzio.

17 17 La notte. D’improvviso reclini la testa, stanco, e la bocca con gli occhi si chiude. E’ notte, è tardi. Abbiamo resistito fin qui al sonno. Ora ci vince. Vederti che dormi, vedere il tuo sonno, le occhiaie, il colore sbagliato di terra seccata, le gambe magre, vederti fermo, immobile, stanco, rende d’un tratto il futuro presente, mi abbraccia, mi tocca, mi palpa, m’alita in faccia, caldo, schifoso, da vecchio ubriaco, violento, stupido, rozzo e il dubbio diventa certezza e il terrore ritorna. Mi alzo. Ti guardo. Ti svegli. Sorridi. Stanco. Lento. Con fatica. Anche il sorriso. Stentato. Gli occhi a metà. Ti saluto e me ne vado. Casa. Mia. Nell’uscire dico “a domani” e sono certo di quello che dico. Domani. A casa, poi, non accendo la luce.

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