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La storia nei Promessi Sposi

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Presentazione sul tema: "La storia nei Promessi Sposi"— Transcript della presentazione:

1 La storia nei Promessi Sposi
Lavoro a cura di: Cipriano Daniele, Ferrari Vincenzo, Patisso Valerio, Piccoli Marco, Poggi Federica, Tirelli Matteo.

2 TESI 1. In Lombardia nel Seicento c'era l'occupazione straniera, quella spagnola, come nel tempo dello scrittore c'era quella austriaca (bisogna anche considerare, però, che l'autore parla soprattutto del malgoverno, il quale non è tale in quanto spagnolo o francese, ma in quanto irresponsabile e insipiente). 2. Manzoni aveva interesse specifico per quel periodo di tempo non troppo lontano né troppo vicino:      • Perché aveva a disposizione documenti e testi storici molto interessanti      • Perché in esso si scatenavano drammi che rivelavano dinamiche politiche, sociali umane su cui riflettere: la lotta tra Bene e male o il contrasto tra interessi individuale e bene comune.

3 Capitolo 1 Trama Il primo capitolo ci introduce alla storia gettando le basi del racconto e aiutandoci nell’ambientazione storica. Dopo un introduzione in cui ci sono chiaramente detti luogo e data, entriamo subito nel vivo della vicenda, con la minaccia a Don Abbondio da parte dei bravi. Infatti i bravi, per conto di Don Rodrigo, hanno intimidito il curato per convincerlo a non celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia, i due protagonisti della storia. La missione si rivelerà molto semplice in quanto Don Abbondio è un personaggio codardo e pusillanime. Essendo anche incapace di reagire alle avversità e di prendere delle decisioni, chiede consiglio alla fidata Perpetua e dopo averle fatto giurare di evitare i pettegolezzi, le racconta la sua disavventura con i bravi. Al che ella gli consiglierà di andare dal Cardinal Borromeo a chiedere aiuto, ma il curato non le darà ascolto. Questo gli sarà poi rimproverato dal Cardinale Borromeo.

4 Contesto storico - I bravi
Don Rodrigo affida la sua guardia personale ai cosiddetti “bravi”, soldati mercenari, usati però anche come sicari. Assoldare dei bravi era un fenomeno molto diffuso tra i nobili e i signorotti del ’600, ma quasi solamente tra coloro che usavano il proprio potere per arricchirsi alle spalle dei più poveri e dei più indifesi. Infatti i bravi, spesso, erano persone che avevano già avuto problemi con la legge. Erano violenti, disposti a tutto pur di guadagnare soldi (nel caso dell’Innominato i bravi sono disposti anche a convertirsi insieme al proprio padrone pur di avere ancora una paga). L’unico caso nel quale erano utilizzati “a fin di bene” fu quello di Lodovico che per difendere gli umili ha avuto bisogno di ricorrere a simili mezzi. Per quanto essi fossero assolutamente fuorilegge tutti i nobili ne comandavano molti e proprio coloro che avrebbero dovuto essere quelli che dovevano far amministrare le leggi erano quelli che la trasgredivano.

5 Contesto storico - Le grida
Le leggi che avrebbero dovuto impedire l’assunzione dei bravi da parte dei nobili erano presenti ed erano anche numerose e si chiamavano “grida”, dal fatto che venivano gridate alla popolazione analfabeta, che non sapeva leggere e che comunque non capiva latino. In questo capitolo, in particolare (ma anche nel III, quando l’avvocato Azzeccagarbugli ne legge un paio a Renzo), ne vengono citati alcuni esempi. Sono però leggi scomode che soprattutto in questi piccoli paesi i signorotti trovano facile non rispettare. Le grida sono quindi un buon esempio di come la giustizia ci sia, ma di come non sia considerata da coloro che hanno il dovere di farla rispettare, mettono i propri interessi davanti a quelli del proprio popolo, senza neanche pensare alle conseguenze (la scommessa di Don Rodrigo è solo un capriccio che a lui non da molto fastidio mentre è una catastrofe per Lucia e Renzo.

6 Contesto storico – La religiosità nel ‘600
Un altro aspetto importante che emerge dal capitolo e, più precisamente, dalla descrizione di Don Abbondio è la religiosità vista nel ‘600. Nel romanzo emergono due facce della stessa medaglia: da una parte, quella della vera religiosità, abbiamo due tra le figure più importanti del romanzo, Padre Cristoforo e il Cardinale Borromeo, che dimostrano di credere veramente nella loro vocazione, mentre dall’altra parte abbiamo due personaggi che usano la religione come scudo per proteggersi dalle avversità della vita, Don Abbondio, prete codardo, e il padre provinciale, uomo inconsistente, che non è capace di reagire alle minacce del Conte Zio. La religione a volte viene usata per ingannare la popolazione, che aveva una fiducia cieca in queste figure che a volte erano più seguite degli stessi capi di Stato.

7 DA LODOVICO A PADRE CRISTOFORO
TRE SONO I LIVELLI DI LETTURA CON I QUALI SI POSSONO SEGUIRE LE VICENDE DI PADRE CRISTOFORO : LA TRAMA ESSENZIALE DEI FATTI LA RAPPRESENTAZIONE DEL COSTUME DI UN'EPOCA 3. L'INDAGINE DELL'ANIMO DELL'UOMO

8 LA TRAMA ESSENZIALE DEI FATTI
Nel succedersi delle sequenze narrative é possibile individuare: - LE PREMESSE che illustrano l'ambiente e l'atmosfera psicologica in cui cresce Lodovico, soffermandosi in particolare sul dramma del padre, un mercante arricchito. IL PUNTO DI MASSIMA TENSIONE rappresentato dal sanguinoso duello. - LE CONSEGUENZE della morte del nobile che accrescono in Lodovico un sentimento d'umiltà, preannuncio di una nuova vita.

9 LA RAPPRESENTAZIONE DEL COSTUME DI UN'EPOCA
L'INDAGINE DELL'ANIMO DELL'UOMO Emerge la storia interiore di un uomo che, dotato di onestà, alimentata da una serie di valori nella realtà non seguiti da coloro che avrebbero dovuto viverli per primi, i nobili, non ha saputo sottrarsi alla logica del mondo. Si é così trovato a vivere in contrasto fra una sete di protagonismo e l'umiliazione per il rifiuto di quei nobili ai quali avrebbe dovuto assimilarsi. L'autore evidenzia le caratteristiche di un'età legata a pregiudizi feudali e a forti divisioni fra classi: un'epoca dominata da falsi valori e dal prevalere della logica del puntiglio su quella della giustizia.

10 La conversione di Lodovico non è improvvisa ma, anzi, Manzoni dice che “più d’una volta gli era saltata la fantasia di farsi frate” ma l’esperienza della morte del suo fedele servitore fa diventare realtà quella che era una lontana fantasia. In questo modo quello che era Lodovico, un ragazzo orgoglioso anche se generoso e onesto, diventa Padre Cristoforo, un uomo pieno di umiltà e di amore, anche se deciso e temerario quando serve.

11 Capitolo IX Il capitolo IX é a favore della seconda tesi in quanto oltre all’inventiva per la continuazione della storia sono presenti diversi riferimenti a fonti e ciò che é accaduto a Gertrude corrisponde alla realtà anche essendo stato romanzato da Manzoni. Infatti grazie alle sue indicazioni si arriva a capire che la famiglia della monaca di Monza é quella dei De Leyva, spagnoli titolari di un feudo di cui faceva parte anche Monza e con incarichi di grande rilievo a Milano. Si fa inoltre riferimento a Giuseppe Ripamonti, storico milanese autore dell’ Historia patria, delll’Historiae ecclesiae mediolanensis e del De peste quae fuit anno 1630.

12 Trama cap. IX Renzo, Lucia e Agnese giungono a Monza e partito Renzo per Milano le donne vanno al convento. Lì incontreranno la Signora, una monaca molto singolare non solo in quanto chiamata la Signora ma anche per alcuni particolari dell’abbigliamento. Successivamente Manzoni descrive al lettore l’infelice infanzia di Gertrude, la quale è stata costretta alla monacazione.

13 DE LEYVA E’una famiglia spagnola molto importante un ramo della quale si insediò in Italia: governatori di Milano, conti di Monza, marchesi di Atella, principi di Ascoli Satriano. I genitori della monaca di Monza erano Don Martino de Leyva e Donna Virginia Marino e il vero nome della Signora era Virginia Maria de Leyva da suora e Marianna de Leyva prima della monacazione. Il suo amato Egidio era in realtà Gian Paolo Osio e diversi particolari della storia sono stati modificati da Manzoni. Infatti, ad esempio, mentre nel romanzo Gertrude fu convinta a diventare monaca in enimma nella realtà fu costretta esplicitamente.

14 Monache Faccendiere In questo modo sono descritte le monache del convento, che facevano di tutto per accogliere e tenere all’interno del convento Gertrude affinché potessero vantare la presenza di una monaca “della costola d’Adamo”, che avrebbe sicuramente conferito potere e prestigiosità al convento. Nonostante che le monache sapessero che Gertrude non aveva la vocazione, non fecero niente per non farla diventare monaca contro la sua volontà.

15 Capitolo X Nel capitolo X Gertrude chiede perdono al padre e inizia una serie di sì che non terminerà mai. Arriva in convento e lì è chiamata “sposina”. In questa parte di racconto viene anche fatto cenno alla sua relazione con lo “scellerato di professione” Egidio.

16 Gertrude Gertrude viene poi vista in due modi.
Come la “sventurata”, quando rispose a Egidio e quindi quando iniziò la loro relazione; Come una vittima consenziente durante tutta la sua vita non solo quando rispose sempre sì al padre, ma anche in seguito, quando non riuscì a dire di no a Egidio quando egli rapì Lucia o quando uccise la conserva che li aveva scoperti.

17 Capitolo XII Il governo spagnolo per contrastare la carestia non ha fatto niente, tanto da provocare le rivolte che hanno messo nei guai Renzo. L’unica cosa che Ferrer è stato capace di fare è stato porre la meta sul pane, fatto che ha portato solo ad altri avvenimenti molto negativi non esclusivamente per l’economia, ma anche per la stabilità politica del governo spagnolo. Il calmiere dei prezzi ha provocato problemi ai fornai,senza contare il disagio che ha portato ai popolani quando è stato abolito e il pane è di nuovo rincarato. Se il governo avesse preso i provvedimenti adatti, come ad esempio comprare cereali da paesi non colpiti dalla carestia, attraverso una adeguata politica economica, probabilmente la folla avrebbe patito meno la fame.

18 La Folla La folla seicentesca in questo romanzo ci appare sempre in modo negativo, non solo in questo capitolo ma anche nel capitolo VIII quando non arriva a casa di Lucia e Agnese, per verificarne l’incolumità, accontentandosi della voce che fossero salve. Nel capitolo XII si può notare il culmine della negatività quando vuole uccidere Renzo, ma poi quando arriva la scala che avrebbe dovuto permettere l’ingresso nella casa del Vicario, viene dimenticato. La folla è infatti mossa dalle passioni, non ricerca le vere cause del problema dell’aumento del costo del pane, ma cerca qualcuno a cui attribuire colpe. Inoltre tanto più si trovano prove che la carestia esiste (mancanza di farina), tanto più la folla è convinta di quello che pensava, cioè che qualcuno avesse nascosto la farina.

19 Assalto al forno delle grucce
Proprio la folla di Milano ha assaltato il forno delle grucce senza badare a non fare danni. Ma Manzoni subito ci fa notare come la rivolta in sé non sia nata dalla folla ma, anzi, la folla fu aizzata dai “furbi” cioè da coloro che “stavano osservando con molto piacere che l’acqua si stava intorbidando; e s’ingegnavano d’intorbidarla di più, con que’ ragionamenti, e con quelle storie che i furbi sanno comporre e che gli animi alterati sanno credere; e si proponevano di non lasciarla posare quell’acqua senza farci un po’ di pesca.”. Infatti in quell’atmosfera di rivolta alla prima scintilla, scoppia un tumulto nella Corsia de’ Servi, che successivamente scatena nelle vie e nei forni circostanti ulteriori disordini.

20 Capitolo XIII Il dodicesimo capitolo si era concluso con la decisione della folla di dirigersi verso la casa del vicario. Nel tredicesimo capitolo l'autore continua la narrazione della rivolta milanese descrivendo in modo preciso e dettagliato, quasi con verismo storico, ogni singolo avvenimento, tanto che il tempo della storia coincide con quello del racconto. Il capitolo XIII si apre con una digressione storica dell’autore sulla carestia, sulle principali cause di tale grave problema e sulle inadempienze del governo spagnolo. Anche in questo caso vediamo come la folla sia spinta dalle passioni nei propri atti di ribellione, atti che suscitano però qualche dubbio in Renzo che assiste sbigottito alla scena dell’assalto alla casa del vicario, schierandosi dalla parte di coloro che si oppongono ad una giustizia sommaria e invitando i rivoltosi ad assumere atteggiamenti pacifici. Renzo, nonostante provenga da un ambiente sociale semplice mostra un forte ideale di giustizia sociale, rischiando però con questo suo comportamento il linciaggio da parte della folla.

21 FEDERIGO BORROMEO Nel capitolo XXII Manzoni ci parla del cardinale Federigo Borromeo, un “uomo pulito in un secolo pomposo e sporco”. Nacque nel 1564, fu un uomo di famiglia ricca, il quale, nel 1580, manifestò la volontà di dedicarsi alla vita clericale. Ereditò l’incarico dal cugino Carlo, cardinale ed arcivescovo di Milano dal Fu una persona molto umile, come dimostrava il suo modo di vestire e di mangiare, comportamento criticato dai famigliari, timorosi di una diminuzione dell’importanza del casato. Nonostante questo suo modo umile di vivere, non fu facile per il cardinale diffondere la propria visione del mondo e della vita, specialmente nei primi anni ,quando rifiutò anche se solo inizialmente la carica arcivescovile. Grande merito va attribuito al cardinale, anche perché fu l’ideatore della Biblioteca Ambrosiana.

22 Solo andando avanti nella lettura dei capitoli, si riesce a capire bene che genere di persona sia il cardinale. Infatti, nel capitolo XXIII, a colloquio con l’Innominato (in preda ad una crisi mistica), Borromeo dimostra tutta la sua umanità nei confronti di un uomo che, fino a quel giorno, aveva vissuto di violenza, ma che voleva redimersi dai suoi peccati. In questo capitolo, Borromeo si dimostra una persona “esperta di umanità”, e quello a cui stiamo assistendo nel capitolo XXIII è uno dei pochi dialoghi nell’opera di Manzoni che si “conclude bene”.

23 Ma perchè questo dialogo finisce bene?
Essenzialmente per quattro motivi: L’Innominato vorrebbe trovare una soluzione al suo problema; Ha recuperato una memoria passata, in cui ha rimesso dei valori che gli erano stati dati da bambino; Riconoscimento dell’autorevolezza dell’interlocutore; Un interlocutore esperto di umanità (basti pensare che il cardinale accoglie l’Innominato a braccia aperte e quasi si scusa che non sia stato lui ad andarlo a trovare).

24 Comunque, Manzoni non sottolinea solamente gli aspetti positivi di Borromeo, ma ci fa anche presente che la sua mente era fuorviata dagli anni in cui viveva e ciò lo portava ad essere un uomo superstizioso. Infatti Borromeo credeva nelle streghe e negli untori. Inoltre Manzoni, oltre che come simbolo di una cristianità autentica, utilizza la figura del cardinal Borromeo come fonte storica. Infatti Manzoni, nei capitoli dedicati alla peste nel milanese, utilizzò come fonte (oltre gli scritti del Ripamonti), anche De Pestilentia, che fornì all’autore informazioni più numerose ed accurate.

25 Capitolo XXVIII Il capitolo si apre con i fatti successivi al giorno di san Martino e con gli inutili provvedimenti del governo spagnolo e per porre fine alla crisi e per stroncare sul nascere la pestilenza. L’ unico che prova qualche soluzione è il cardinale Borromeo, ma per la ristrettezza dei mezzi non ha gran successo.

26 I provvedimenti (inutili) del governo spagnolo
15 novembre 23 novembre 7 dicembre 15 dicembre 22 dicembre

27 15 novembre Si vieta di comprare pane a chi già ne possiede sotto pene pecuniarie e corporali. I forni devono rimanere aperti sotto pena di galera. Manzoni riassume la grida citandone solo le parti essenziali a sottolineare l’ arbitrarietà delle pene (“all’ arbitrio di Sua Eccellenza”) e l’ impossibilità della loro attuazione (“il ducato di Milano doveva avere almeno tanta gente in mare quanta ne possa avere ora la gran Bretagna”)

28 23 novembre Si sequestra , sotto ordine del vicario e dei dodici di provvisione, metà del riso vestito che ognuno possiede con pena, per chi ne usufruisce illecitamente, di perdita della derrata e multa. Lo stesso giorno i decurioni deliberarono la impossibilità di sostenere il provvedimento. Manzoni riassume i provvedimenti onde dimostrare come il governo spagnolo tenti solamente di trovar soluzioni tampone che non si potrebbero comunque effettuare.

29 7 dicembre Meta del riso (12 lire al moggio) garantita da:
Sequestro della derrata Multa “et maggior pena pecuniaria et ancora corporale sino alla galera, all’ arbitrio di S.E., secondo la qualità de’ casi et delle persone”. Ancora una volta un provvedimento di “tampone” al danno creato dal precedente ed ancora una volta Manzoni cita le pene sempre onde sottolinearne l’ arbitrarietà

30 15 dicembre Don Gonzalo vieta il portar fuori dalla città pane per più di venti soldi sotto pena di: Perdita del pane Multa di 25 soldi Et, in caso di inhabilità, di due tratti di corda in publico, et maggior pena ancora, secondo il solito, all’ arbitrio di S.E.

31 22 dicembre Ordine, di cui Manzoni non comprende la intempestività (“e non si vede perché così tardi”), similare a quello del 15 dicembre ma relativo a farine e grani.

32 Commento economico Dopo il 22 dicembre Manzoni, liberale, scrive come ognuno di quei provvedimenti fosse una conseguenza inevitabile dell’ antecedente, e tutti del primo, che fissava al pane un prezzo così lontano dal prezzo reale, da quello cioè che sarebbe risultato naturalmente dalla proporzione tra il bisogno e la quantità, sottolineando quella che a suo parere era una pessima politica economica.

33 Commento politico Manzoni spiega al lettore come il governo spagnolo fosse poco previdente scrivendo: Di mano in man poi che le conseguenze si fanno sentire, conviene che coloro a cui tocca, vadano al riparo di ciascheduna, con una legge la quale proibisca agli uomini di far quello a che eran portati dall’antecedente.

34 Dati storici Manzoni cita delle gride solo i tratti essenziali onde sottolineare l’arbitrarietà delle leggi emanate. Dopo il 22 dicembre l’autore spiega la mancanza di gride ipotizzando che siano andate distrutte, che gli siano sfuggite oppure che il governo, avvilito dalla loro inutilità, si sia arreso.

35 La carità di Federigo Dopo il doloroso scenario descrittoci da Manzoni entra in gioco il cardinale Borromeo tentando, con la carità, di porre rimedio ove lo Stato aveva fallito. Nonostante però quest’ultimo avesse decretato la distribuzione di alcune sovvenzioni non si riusciva a porvi rimedio. In questo tratto Manzoni riporta le testimonianze del Ripamonti e del Tadino, ma si chiede anche come mai non vi siano cenni di rivolta alcuna.

36 La Roccella e Casale Monferrato
Causa prima della carestia milanese è la guerra di successione mantovana che vedeva contrapposti la Francia, che appoggiava il duca di Nevers, la Spagna, che ne bramava l’annessione e il Sacro Romano Impero, che ne richiedeva la restituzione. Dopo quindi la presa della Roccella (la Rocelle) l’esercito di Richelieu si scontra con quello di don Gonzalo.

37 Capitolo XXXI In questo capitolo Manzoni ci descrive la peste soffermandosi sulle sue cause e le azioni del tribunale della sanità per rimediare a questo problema. Ci descrive inoltre il lazzaretto e le sue funzioni in particolare sottolinea le condizioni degli appestati e la situazione caotica al suo interno e degli untori uomini a cui veniva attribuita la responsabilità della diffusione della pestilenza.

38 I lanzichenecchi, portatori di peste
Manzoni ci anticipa la calata delle milizie imperiali citandoci due storici: il Varchi ed il Tadino. Questi due membri del consiglio di sanità di descrivono i mercenari come portatori di peste e come criminali al soldo dell’ impero.

39 Manzoni e le milizie mercenarie
Nel trattare dei problemi della Lombardia seicentesca Manzoni non potè fare a meno di parlare degli eserciti del tempo. L’ autore, certo non privo di fonti militari su un secolo così bellicoso, ce li descrive come criminali, stupratori, assassini al soldo di un determinato condottiero. Ma, onde meglio dimostrare le sue conoscenze, ci cita alcuni condottieri e la consistenza di questi eserciti, nonché le prime terre “che invasero que’ demoni”. Nel descriverle Manzoni sembra quasi effettuare un parallelismo con quelle spagnole descritte con ironia nel capitolo I.

40 Tadino e la risposta del potere
I due medici della sanità (il Tadino e il Settala) proposero una sorta di quarantena ai mercenari ma non fu possibile far intendere la necessità di un tal ordine al presidente “uomo”,dice il Tadino, “di molta bontà, che non poteva credere dovesse succedere incontri di morte di tante migliaia di persone, per il comercio, di questa gente, et le loro robbe” .

41 Il lazzeretto All’ arrivo della primavera già il tribunale della sanità aveva avvertito del pericolo di contagio, causato dalla miseria, e, “mentre si discute questa proposta, mentre s’ approva, mentre si pensa ai mezzi e ai modi, ai luoghi per mandarla ad effetto” il tribunale della sanità stesso propone di porre gli accattoni nel lazzeretto.

42 La storia del Lazzeretto
La prima destinazione dell’ edificio, costruito nel 1489 con lasciti privati fu quella di ricovero per i malati di peste, allora, ci dice Manzoni, molto comune. L’ autore ci tiene però a sottolineare che la funzione del Lazzareto al tempo della storia era quella di magazzino.

43 Le condizioni Prima gli accattoni si raccolsero volontariamente, poi si cominciò ad usare la forza (atto commentato da Manzoni con “ecco se, nelle maggiori strettezze, i danari del pubblico si trovan sempre, per impiegarli a sproposito”). Poi, passando in rassegna le pessime condizioni di degenza Manzoni ci rende nota la presenza d’alcune fonti (“si potrebbe tristemente congetturarlo, quando non n’avessimo notizie positive; ma le abbiamo”). Dall’ estero poi stanno giungendo gli eserciti francese e imperiale a peggiorare le condizioni già critiche.

44 Capitolo XXXII Il capitolo XXXII è a favore della seconda tesi in quanto tratta di storia, il cui approfondimento è fine alla miglior comprensione degli avvenimenti, in termini molto realistici riportando accuratamente diverse testimonianze storiche dell’epoca ed è proprio Manzoni stesso che aggiunge delle note a fondo pagina nelle quali esplicita le fonti. Le fonti dalle quali trae informazioni nel cap. XXXII sono le seguenti: Ripamonti, Historia patria, pag. 77, 164 e 185; Pietro Verri, Osservazioni sulla tortura, tomo 17 pag. 117, 203 e 261; Agostino Lampugnano, La pestilenza seguita in Milano, l’anno 1630, pag. 44; Alessandro Tadino, Ragguaglio pag.102 e 117; Federigo Borromeo,De pestilentia quae Mediolani anno 1630 magnam stragem edidit, cap V; Muratori, Del Governo della Peste, Manzoni Alessandro , Storia della colonna infame.

45 Trama cap. XXXII Il capitolo comprende le decisioni prese dai politici, la certezza dell’esistenza degli untori, la processione e i suoi effetti ovvero la crescita del contagio, della perversità e il vaneggiamento collettivo.

46 Ripamonti Giuseppe Ripamonti è stato un presbitero e storico italiano. Ricoprì il ruolo di dottore della Biblioteca Ambrosiana. Nel 1625 finì di scrivere l'Historia Ecclesiae mediolanensis per la quale fu incarcerato tre anni sotto l'accusa di eresia e nel 1640 scrisse il De peste Mediolani quae fuit anno Scrisse inoltre l’Historia Patria. Queste opere furono le principali fonti di Alessandro Manzoni per la stesura del romanzo I Promessi Sposi. Morì nell'anno 1643.

47 Pietro Verri Con le Osservazioni sulla tortura esprime la sua contrarietà all'uso della tortura. Egli pensa che la tortura sia una crudeltà, perché se la vittima è innocente, subisce sofferenze non necessarie, mentre se colpisce un colpevole presumibile rischia di martoriare il corpo di un possibile innocente. Verri ricostruisce brevemente anche il processo agli "untori" del 1630, come documento dell'ignoranza di un secolo non guidato dai "Lumi", fornendo la base per la Storia della colonna infame di Alessandro Manzoni.

48 Agostino Lampugnano Don Agostino Lampugnano fu priore di San Simpliciano fuori Porta Comasina e l’autore di uno scritto intitolato La pestilenza seguita in Milano l’anno 1630.

49 Alessandro Tadino Fu un medico milanese, membro del tribunale della sanità che scrisse un Ragguaglio sulla peste.

50 Muratori Ludovico Antonio Muratori (1672 –1750) fu un sacerdote , storico, scrittore e bibliotecario italiano. Scrisse diverse opere molto importanti e fu considerato il padre della storiografia italiana.

51 Alessandro Manzoni Storia della Colonna Infame è un saggio di tipo storico scritto da Alessandro Manzoni che lo stesso avrebbe potuto inserire nel “Fermo e Lucia” ma che pubblicò separatamente per non fuorviare i lettori. La vicenda narra dell'intentato processo a Milano, durante la terribile peste del 1630, contro due presunti untori, ritenuti responsabili del contagio in seguito ad un'accusa, infondata, da parte di una "donnicciola" del popolo, Caterina Rosa. Il processo, svoltosi storicamente nell'estate del 1630, decretò sia la condanna capitale di due innocenti, Guglielmo Piazza e Gian Giacomo Mora sia la distruzione dell’abitazione di quest'ultimo. Come monito venne eretta sulle macerie dell'abitazione di Mora la "colonna infame", che dà il nome allo scritto.

52 La certezza delle unzioni
Ci sono state due “ondate” di unzioni: secondo tutti la prima non aveva avuto gli effetti sperati perché era stato “un tentativo di venefici ancor novizi” ma la seconda li aveva avuti. Ormai chi non ci credeva passava per un ostinato.

53 GLI UNTORI L'untore era un individuo sospettato di cospargere i luoghi con cui una persona entrava spesso in contatto, come le maniglie delle porte, di una sostanza descritta giallastra da Manzoni per contagiare gli abitanti delle città con il morbo. La credenza era allora molto diffusa, tanto che veniva attribuita agli untori la causa del diffondersi della peste, provocando nei loro riguardi una grande persecuzione. Persino lo stesso Cardinal Borromeo credeva a una così palesemente falsa verità. Inoltre una volta un vecchio avendo paura degli untori in chiesa pulì la panca con il soprabito prima di sedersi, ma questo fu subito aggredito e ucciso. Anche un gruppo di tre ragazzi francesi fu accusato di unzione per aver toccato il marmo del duomo, ma questi furono scagionati dal tribunale.

54 I Monatti Un monatto era un addetto pubblico che nei periodi di epidemia pestilenziale era incaricato dai comuni di trasportare nei lazzaretti i malati o i cadaveri; di solito erano persone guarite dal morbo e così immuni da esso. Molti di loro rubavano nelle case degli appestati o ricattavano dei ricchi di attaccargli il morbo.

55 Conclusione Osservando tutto questo siamo arrivati alla conclusione che la seconda tesi è la tesi più rappresentativa delle intenzioni di Manzoni in quanto come cose di primaria importanza egli aveva a disposizione testi storici molto interessanti e si presentavano temi perfetti per riflettere e solo in secondo luogo l’occupazione spagnola è stata determinante nella scelta del periodo storico nel quale ambientare la storia perché non è l’unico esempio di malgoverno estero in Italia quindi avrebbe potuto scegliere altri periodi storici.

56 FINE


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